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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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«No…» I muscoli si contrassero. Respinse con forza quel dolore che ogni

volta minacciava di farlo sragionare. Serrò gli occhi, graffiandoli,

torturandoli, ma quella sensazione rimase.

In preda alla furia, rovesciò lo zaino con un calcio e si sedette sul letto.

Strinse le mani nei capelli come un pazzo fin quasi a strapparseli.

«Non adesso… Non adesso…»

«Rigel!» chiamai su per le scale.

Arrivai al piano superiore e raggiunsi la sua camera. La porta era

socchiusa. La spinsi lentamente.

E lui era lì, seduto sul letto, immerso nella penombra.

«Rigel…»

«Non entrare», sibilò, facendomi trasalire. Lo fissai, angosciata da quel

tono così minaccioso.

«Vattene…» stritolò le dita tra i capelli neri. «Vattene subito.»

Il mio cuore martellava come un ossesso, tuttavia non mi mossi.

Non avevo intenzione di andarmene.

Mi avvicinai piano, notando il suo respiro corto, ma Rigel schioccò

violentemente i denti.

«Ti ho detto di non entrare», ringhiò rabbioso, affondando le mani nel

materasso. Le sue pupille erano incredibilmente dilatate, come quelle di una

bestia selvatica.

«Rigel…» sussurrai. «Stai… bene?»

«Mai stato meglio», sibilò. «E ora vattene.»

«No», replicai ostinata. «Non vado via…»

«Fuori!» esplose con una violenza tale da spaventarmi. «Sei sorda o

cosa? Ti ho detto di sparire!»

Mi ringhiò addosso in maniera spaventosa. Lo fissai afflitta, gli occhi

spalancati, e vidi una sofferenza devastante sotterrata come un pezzo di

vetro in tutta quella rabbia. Mi annodò la gola e si conficcò anche dentro di

me.

Mi stava respingendo di nuovo, ma questa volta potei vedere la

disperazione con cui lo faceva.

«Perché Rigel si condanna ad essere solo», sentii mentre lui mi

sanguinava davanti.

*

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