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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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volte non capisco come faccia a non impazzire. Sono sicura che lui odi

persino il suo nome», concluse. «Perché glielo ha dato la tutrice e perché è

il simbolo del suo abbandono.»

Improvvisamente tutto aveva un dettaglio diverso: Rigel che mi spingeva

via, Rigel che non si lasciava avvicinare, Rigel che da bambino fissava

quella candelina di compleanno senza nessuno attorno.

Rigel che mi prendeva in braccio in mezzo al parco, che si lasciava

toccare per la prima volta, che mi guardava con l’arrendevolezza di chi

ancora crede di essere ferito…

«Non abbandonarlo Nica. Non lasciare che si annulli.» Adeline mi

guardò angustiata. «Rigel si condanna a essere solo. Forse perché crede di

non meritarsi altro… È cresciuto con la consapevolezza di non essere stato

voluto ed è convinto che sarà sempre così. Ma tu non lasciarlo solo, Nica.

Promettimi che non lo farai.»

Non lo avrei fatto.

Non più.

Non lo avrei lasciato solo perché lo era stato per troppo tempo.

Non lo avrei lasciato solo perché le favole esistono per tutti.

Non lo avrei lasciato solo perché non è da soli che si apprezza la vita, ma

al fianco di qualcuno, mano nella mano, cuori forti e luce sul viso.

Non lo avrei lasciato solo perché desideravo parlargli, ascoltarlo, sentirlo

ancora per tanto tempo. Desideravo sfiorare la sua anima.

Desideravo vederlo sorridere, ridere e illuminarsi, desideravo vederlo

felice come non avevo mai desiderato nient’altro.

Desideravo tutto questo e anche di più, perché Rigel mi aveva scolpito il

cuore nel ritmo del suo respiro e io ormai non sapevo più come altro

respirare.

E avrei voluto urlarlo lì, su quel divano, tirarlo fuori e gridarlo al mondo,

ma mi trattenni.

Lasciai parlare invece il cuore, e il resto lo tenni per me.

«Lo prometto.»

Il pomeriggio dopo stringevo un pacchetto tra le dita, camminando svelta

per le vie del quartiere.

Ero leggermente in ritardo. Alzai lo sguardo e intravidi il chioschetto dei

gelati dall’altra parte della strada.

Attraversai e mi lanciai un’occhiata intorno, cercando un viso familiare.

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