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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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«Volevano farle del male…» la mia vocina era sempre troppo debole.

«Volevano…»

Lo strattone mi tolse le parole di bocca.

Cercai di trattenere la lucertola ma fu inutile: me la strappò via con

violenza e le mie braccia si allungarono, gli occhi spalancati.

«No-»

Bruciore di pelle su pelle, palmo su guancia, lo scoppio forte dello

schiaffo. Rovente, pungente, come tante punture di vespa.

«Ricordi cosa mi hai raccontato?»

All’ombra di quel temporale, gli occhi di Adeline erano l’unico colore in

un mare di grigio.

«Quello che ti ha detto la tua mamma… te lo ricordi?»

Io annuii e lei mi prese la mano; sentii il suo sguardo sulle mie unghie

scorticate, che nella disperazione si erano spaccate sul cuoio delle cinture.

«Lo sai come si fa a far passare tutto?»

Sollevai due occhi pesti e gocciolanti e Adeline mi regalò uno dei suoi

sorrisi. Mi lasciò un bacio su ciascun polpastrello.

«Vedi?» disse chinandosi su di me. «Ora il dolore non c’è più.»

E in realtà lo sapeva che non smettevano mai di fare male. Lo sapevamo

tutti, perché ognuno aveva le sue cuciture, ma sanguinavano tutte allo

stesso modo.

Adeline mi strinse al petto, contro i vestiti consunti che le cascavano

sulle spalle, gli stessi che portavo anche io. E io mi lasciai avvolgere dal

suo calore come se fosse l’ultima briciola di sole nel mondo.

«Non te lo dimenticare», sussurrò, come se quel ricordo di mamma

appartenesse un po’ anche a lei.

Allora io scavai nella memoria e lo strinsi con tutta la delicatezza che

avevo.

«Sei uno spirito del cielo», mi ripetei come una nenia. «E come il cielo

non ti spezzi.»

«Sei stata tu?»

Tremai. Il terrore mi paralizzava.

Un cane randagio era entrato nell’istituto e aveva devastato il suo

ufficio, sparpagliando le sue carte.

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