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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Sono la mia libertà, avrei voluto risponderle, tutti i colori che ho. Ma lei

mi trascinava in avanti e io riuscivo solo ad aggrapparmi alla sua gonna.

Non ci volevo andare giù, non volevo passarci la notte.

Non volevo sentire il ferro del letto graffiarmi le scapole - io sognavo il

cielo e una vita fuori da lì, qualcuno che invece del polso mi prendesse per

mano.

E forse sarebbe arrivato un giorno. Forse avrebbe avuto occhi celesti e

dita troppo gentili per regalare un livido, e allora la mia storia non sarebbe

stata più una storia di bambole, ma qualcosa di diverso.

Una favola, forse. Con i ghirigori a filo d’oro e quel lieto fine che non

avevo mai smesso di sognare.

Il letto vibrava sotto il clangore delle maglie metalliche.

Le mie gambe tremavano e il buio si chiudeva su di me, calando come un

sipario.

Attorno ai miei polsi le cinture scricchiolavano mentre mi dimenavo,

scalciavo, graffiavo febbrilmente il cuoio.

Gli occhi bruciarono di lacrime e il mio corpo si contorse, reclamando

un briciolo della sua attenzione.

«Sarò brava!»

Le unghie raschiavano e si spaccavano nella disperazione di riuscire a

liberarmi.

«Sarò brava! Sarò brava, sarò brava, lo giuro!»

Lei uscì dalla porta alle mie spalle e l’oscurità inghiottì lo stanzino.

Non rimase che una lama di luce proiettata sul muro di fronte: poi nero

nel nero, e l’eco delle mie grida.

Io lo sapevo… lo sapevo che non dovevo mai parlarne.

Nessuno di noi doveva, ma c’erano volte in cui la luce trapelava persino

tra le mura del Grave, c’erano volte in cui tacere sembrava un castigo

ancora peggiore.

«Sai cosa succede se lo dici a qualcuno?»

La sua voce, quel sibilo come unghie su una lavagna.

«Lo vuoi sapere?»

A chiedermelo erano sempre le sue dita impresse nella carne del mio

gomito. E io abbassavo il viso, come ogni volta non riuscivo a guardarla

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