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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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un po’ bambini. Come bambole avevamo cuciture di ogni forma e paura,

ma lei riusciva sempre a trovare il filo, a sfaldarci pezzo per pezzo.

Ci puniva perché ci comportavamo male.

Perché era ciò che i bambini cattivi si meritavano, l’espiazione per la loro

colpa.

Io non sapevo quale fosse la mia. Il più delle volte non capivo nemmeno

perché lo facesse.

Ero troppo piccola per comprendere, ma ricordavo ciascuno di quei

momenti come se li avessi tatuati nella memoria.

Non se ne andavano mai.

Quando uno di noi veniva punito, ognuno si stringeva nelle proprie

cuciture e pregava di non riceverne più.

Ma io non volevo essere bambola, no, io volevo essere cielo - con quel

manto terso e quelle nuvole bianche, perché non importava quanti squarci

lo percorressero, non importava quanti tuoni e lampi ne intaccassero il

sereno: lui tornava sempre lo stesso, senza spezzarsi mai.

Io così sognavo di essere. Libera.

Ma tornavo di porcellana e di pezza, quando i suoi occhi si posavano su

di me.

Mi trascinava in avanti e io potevo già vedere la porta della cantina, le

scale strette che scendevano in una voragine scura. Quel letto senza

materasso e le cinture che mi avrebbero bloccato i polsi per tutta la notte.

I miei incubi avrebbero avuto le sembianze di quella stanza per sempre.

Ma lei…

Lei era il mio incubo più grande.

Sarò brava, mi dicevo mentre lei mi passava vicino.

Avevo gambe troppo corte per poterla guardare in viso, ma non avrei mai

dimenticato il suono dei suoi passi. Erano il terrore di tutti noi.

Sarò brava, sussurravo torcendomi le mani, desiderando di essere

invisibile come una crepa dell’intonaco.

E ci provavo a essere ubbidiente, ci provavo a non darle pretesti per

punirmi, ma avevo quell’indole da farfalla, e la delicatezza che mi aveva

lasciato mamma. Curavo lucertole e passeri feriti, mi sporcavo le mani con

la terra e il polline dei fiori, e lei odiava le imperfezioni tanto quanto le

debolezze.

«Smettila con quei cerotti come una piccola mendicante!»

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