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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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fantasticando sulle meraviglie esotiche che gli avevano appena raccontato i

suoi.

«Che bello…» mormorò ad occhi chiusi. «Che bei posti… Vedrete un

giorno, quando ci sarò anche io! Guardare quei tramonti dalle tende… Le

dune, le palme… Insieme… A fotografare il mondo…»

La sua voce si affievolì lentamente fino a diventare un sussurro, poi solo

un movimento di labbra, infine più nulla.

Billie si addormentò così, nel bel mezzo del pomeriggio, con il cellulare

ancora in mano e la speranza dietro le palpebre, persa in quella nuvola di

riccioli.

Le sfilai il telefono dalla mano e lo appoggiai sul comodino,

osservandola dormire.

«Sembrano brave persone», constatai, riferita ai suoi genitori.

Li aveva messi in vivavoce, e loro ci avevano salutate entusiasti; avevo

capito da chi Billie avesse preso tutta la sua esuberanza.

«Lo sono.»

Gli occhi di Miki non mi guardavano: erano posati sul viso

addormentato della sua amica.

Il suo sguardo era impenetrabile come sempre, eppure fui certa di

cogliervi dentro una punta di malinconia.

«Le mancano più di quanto dice. Ha il coraggio di ammetterlo solo di

notte.»

«Di notte?»

«Quando mi chiama», mormorò. «Sogna che tornino… Poi si sveglia e

loro non ci sono. A volte sa di esagerare. Sa che è il loro lavoro, che stanno

bene… Non glielo direbbe mai. Ma le mancano», sussurrò. «Sono via da

tanto tempo.»

«Miki sa essere davvero dolce», ricordai le parole di Billie. «È tanto

sensibile.» Fino a quel momento non ero mai stata in grado di capirlo a

pieno. Eppure riuscii a immaginarla mentre nel cuore della notte, dopo una

giornata barricata dietro le sue espressioni ermetiche, andava a dormire con

il cellulare accanto. Aspettava solo di vederlo illuminarsi, e rispondendo

diventava l’unica testimone dei momenti in cui Billie non aveva la forza di

sorridere.

Miki… era la sua famiglia.

«Non sarà mai sola», incrociai i suoi occhi e le rivolsi un sorriso dolce.

«Lei ha te.»

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