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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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20. Un bicchiere d’acqua

“Il cuore puoi legarlo, farlo tacere, bendarlo,

ma quando trema c’è poco da fare.”

Tourgiarov

La stanza era disordinata e polverosa come sempre.

La scrivania sarebbe stata anche bella senza tutto quel caos e le macchie

appiccicose di brandy lasciate dai bicchieri. Ma non era importante.

Lui teneva gli occhi in basso.

Rigel ormai conosceva le venature di quel pavimento a memoria.

«Lo guardi. È un disastro.»

Era sempre così. Nonostante la sua presenza, i due adulti nella stanza

parlavano sempre come se non ci fosse.

Magari è così che si parla dei problemi. Come se non ci fossero.

«Lo guardi», disse ancora il dottore alla donna. La sua voce risuonò con

una punta di pietà e questa volta Rigel lo odiò con ogni fibra del suo corpo.

Lo odiò per la sua compassione, perché lui non la voleva.

Lo odiò perché lo fece sentire ancora più sbagliato.

Lo odiò perché non voleva disprezzarsi più di così.

Ma soprattutto, lo odiò perché sapeva che aveva ragione.

Il disastro non era nelle sue unghie sporche.

Non era nelle palpebre che a volte voleva strapparsi.

Non era nel sangue sulle mani.

Il disastro era dentro di lui, radicato tanto a fondo da essere incurabile.

«Lei può anche non accettarlo, signora Stoker. Ma il bambino mostra i

primi sintomi evidenti. La sua incapacità di relazionarsi con gli altri è

soltanto uno dei segnali. E per quanto riguarda il resto…»

Rigel smise di ascoltarlo perché quel “resto” era ciò che più faceva

male.

Perché era così? Perché non era come gli altri? Non erano domande per

un bambino ma non poteva fare a meno di porsele.

Forse avrebbe potuto chiederlo ai suoi genitori. Loro però non c’erano.

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