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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Per poco non trasalii.

Rigel era appoggiato al muro, le braccia conserte. Una gamba era piegata

a toccare la parete con la suola e il suo volto era leggermente inclinato, con

gli occhi che puntavano sul pavimento.

Era sempre stato molto più alto degli altri ragazzi e notevolmente più

intimidatorio, ma non dovetti aggrapparmi a quelle giustificazioni per

allontanarmi subito di un passo. Tutto di lui mi intimoriva, che fosse il suo

aspetto o ciò che c’era sotto.

Che stava facendo lì, vicino alla soglia, quando c’era una fila di sedie

proprio dall’altra parte della sala d’aspetto?

«La preside è pronta a ricevervi.»

La segretaria spuntò dalla presidenza, riscuotendomi.

«Venite.»

Rigel si staccò dalla parete e mi passò accanto senza nemmeno

guardarmi. Entrammo nello studio mentre la porta veniva chiusa. La

preside, una donna giovane, austera e di bell’aspetto, ci invitò ad

accomodarci nelle sedie davanti alla scrivania; controllò i nostri fascicoli,

rivolgendoci alcune domande sul programma didattico nella nostra vecchia

scuola, e quando arrivò al fascicolo di Rigel sembrò interessarsi molto a ciò

che c’era scritto.

«Ho chiamato il vostro istituto…» enunciò. «Ho chiesto qualche

informazione sul vostro rendimento scolastico… Sono rimasta

piacevolmente sorpresa da lei, signor Wilde», sorrise, voltando pagina.

«Voti alti, una condotta impeccabile, non una nota fuori posto. Un vero e

proprio studente modello. I suoi professori hanno speso solo parole di

raccomandazione sul suo conto.» Alzò gli occhi, compiaciuta. «Sarà un

vero piacere averla con noi alla Burnaby.»

Mi chiesi se ci fosse una possibilità che capisse di starsi sbagliando, che

quelle raccomandazioni non rispecchiavano la realtà delle cose, perché i

professori non avevano mai saputo vedere al di sotto, esattamente come

tutti gli altri.

Avrei voluto trovare la forza di spingerlo fuori dalle labbra.

Ma Rigel sorrise in quella maniera che addosso gli stava così bene, e io

mi chiesi come facesse la gente a non notare che quel calore non arrivava

mai agli occhi. Che loro rimanevano così, bui e impenetrabili, anche se

brillavano come coltelli.

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