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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Ma qualunque cosa avessi voluto aggiungere dopo… perse significato.

Eravamo vicini. A un soffio l’uno dall’altra.

Mi ero così concentrata da non rendermi conto del modo in cui mi ero

allungata verso di lui, con i gomiti sul tavolo e i capelli che mi ricadevano

lungo la schiena.

E voltando la testa, avevo trovato le sue iridi conficcate dentro le mie.

Mi ritrovai riflessa in quel baratro nero che era il suo sguardo senza

riuscire a respirare.

E Rigel, con il capo ancora appoggiato alla mano, mi fissò con le

palpebre lievemente sgranate e un’espressione freddata.

I miei occhi nei suoi, come un’eclissi di luna.

Gli occhi di Nica.

Era immobile.

Il cuore si era bloccato.

Tutto si era fermato di colpo nel momento in cui il sorriso di lei aveva

illuminato il mondo.

Lo sapeva. Lo sapeva che non avrebbe dovuto andarci.

Lo sapeva che non avrebbe dovuto entrare e permetterle di avvicinarsi

così.

E ora era troppo tardi: Nica lo aveva guardato, gli aveva sorriso e gli

aveva strappato via un altro brandello d’anima.

La mano sulla scrivania stava stritolando la penna; quei tremiti furiosi gli

venivano da dentro, da anfratti nascosti che lei, così vicina e luminosa,

aveva risvegliato.

Lei si ritrasse, e ogni istante di quel movimento fu un sollievo tanto forte

da risultare doloroso.

«Rigel…» mormorò quasi con timore. «C’è una cosa che vorrei

chiederti.»

Abbassò lo sguardo. Nica tolse luce al mondo solo per un attimo, le dita

sottili che si stringevano in grembo.

«È una cosa… che mi domando da un po’ di tempo.»

Tornò a guardarlo e Rigel implorò che lei non vedesse il tremito della sua

mano proprio al centro del tavolo. Lo fissò in quel modo così suo, con

quello sguardo grande e le ciglia ricurve come petali di margherita.

*

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