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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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18. Eclissi di luna

“La vidi che mi guardava, con quegli occhi un poco obliqui,

occhi fermi, trasparenti, grandi dentro.

Io non lo sapevo allora, ma ero già cosa sua.”

Cesare Pavese

Dopo quel pomeriggio nel bagno, Rigel fece di tutto per non incrociarmi.

Non che i momenti che condividevamo fossero così tanti, in realtà, ma i

restanti si ridussero all’osso in quel modo così tipico di Rigel, in quel modo

che aveva lui di invadere e allontanarsi, in silenzio, con discrezione e

distacco.

Durante il giorno mi evitava. La mattina, invece, usciva prima di me.

Percorrendo la strada fino a scuola per conto mio, ricordai tutte le volte in

cui camminando con lui mi ero tenuta più indietro senza mai osare stargli

accanto.

Non riuscivo a capire che sensazioni mi generava.

Non era quello che avevo sempre voluto fin da piccola? Che lui mi stesse

lontano?

Anche quando ero arrivata lì, avevo desiderato soltanto di vederlo

scomparire.

Avrei dovuto sentirmi sollevata, eppure…

Più i suoi occhi mi evitavano più i miei non riuscivano a smettere di

cercarlo.

Più lui mi ignorava, più io non riuscivo a non domandarmi

continuamente il perché.

Più Rigel restava lontano… più io sentivo il filo che mi legava a lui

torcersi come fosse estensione di me.

Come in quel momento: camminavo lungo il corridoio, smarrita in

riflessioni che portavano a lui; ero appena tornata da scuola, ma come

sempre mi ero persa tra pensieri che mi estraniavano dal mondo, perciò non

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