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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Rigel se ne stava molto per conto suo e raramente cercava la compagnia

degli altri bambini.

Ma… ricordo una volta, quando avevamo all’incirca quindici anni. Era

venuto un ragazzino nuovo al Grave, un tipetto biondo che nel giro di

qualche settimana sarebbe stato trasferito in una casa d’affido.

Aveva legato quasi subito con Rigel - l’altro ragazzo era se possibile

peggiore di lui. Se ne stavano appoggiati ai muri in decadenza, Rigel a

braccia conserte, le labbra come uno scarabocchio e gli occhi scintillanti di

cupo divertimento. Non li avevo mai visti litigare per nessun motivo.

Ma un giorno come gli altri, a cena, il ragazzo si era presentato con un

livido sotto la palpebra e lo zigomo gonfio.

Miss Fridge gli aveva rivolto un’occhiata truce e con voce tonante gli

aveva chiesto che diavolo fosse successo.

«Niente», aveva mormorato lui senza alzare il viso dal piatto. «Sono

caduto a scuola.»

Ma non era stato niente, e io lo avevo sentito. E quando avevo alzato lo

sguardo avevo visto Rigel abbassare il volto per nasconderlo agli altri.

Aveva sorriso, e quel ghigno sottile era trapelato come una crepa dalla sua

maschera perfetta.

E più cresceva… più la bellezza gli si plasmava addosso in un modo che

non avrei mai voluto ammettere.

Non era niente di dolce, morbido o gentile.

No…

Rigel ustionava gli sguardi, catturava l’attenzione come lo scheletro di

una casa in fiamme o la carcassa di un’automobile distrutta sul ciglio della

strada. Era crudelmente bello, e più cercavi di non guardarlo più quel

fascino tortuoso ti si incastrava dietro agli occhi. Si infilava sotto la pelle, si

allargava come una macchia fin dentro la carne.

Questo lui era: maliardo, solitario, insidioso.

Un incubo vestito dei tuoi sogni più nascosti.

Quel mattino mi svegliai come in una fiaba.

Le lenzuola pulite, l’odore di buono e un materasso in cui non si

sentivano le molle. Non sapevo desiderare niente di più.

Mi tirai su a sedere con gli occhi addolciti dal sonno; il conforto di quella

camera tutta per me mi fece sentire per un momento fortunata come non ero

mai stata.

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