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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Per tutti noi lui era nato lì. Persino il suo aspetto non sembrava poterlo

nascondere: di quella notte conservava la pelle pallida come la luna, e gli

occhi cupi, sicuri, di chi del buio non ha mai avuto paura.

Fin da bambino, Rigel era stato il fiore all’occhiello del Grave.

Figlio delle stelle, lo chiamava la tutrice prima di Miss Fridge; lo adorava

così tanto che gli aveva insegnato a suonare il pianoforte. Restava con lui

per ore, mostrando la pazienza che non aveva mai avuto con noi, e nota

dopo nota lo trasformava nel ragazzo impeccabile che spiccava tra le pareti

grigie dell’istituto.

Buono e bravo, Rigel, con i suoi denti perfetti, i suoi voti sempre alti,

quelle caramelle date di nascosto che la tutrice gli allungava prima di cena.

Il bambino che tutti avrebbero desiderato.

Ma io sapevo che non era così. Avevo imparato a vedere al di sotto, sotto

i sorrisi, la bocca bianca, quella maschera di perfezione che indossava con

tutti.

Lui, che la notte se la portava dentro, nascondeva nelle pieghe della sua

anima il buio da cui lo avevano strappato.

Rigel si era sempre comportato in modo… strano, con me.

Un modo che non ero mai riuscita a giustificare.

Come se avessi fatto qualcosa per meritarmi quei comportamenti, o i

silenzi con cui da bambino lo avevo trovato a osservarmi da lontano. Era

iniziato tutto un giorno come gli altri, senza che nemmeno mi ricordassi

precisamente quando. Mi era passato accanto e mi aveva fatta cadere,

procurandomi delle sbucciature alle ginocchia. Mi ero portata le gambe al

petto, spazzando via l’erba, ma alzando gli occhi non avevo visto tracce di

scuse sul suo volto. Lui era rimasto lì, in piedi, lo sguardo inchiodato al mio

all’ombra di un muro di crepe.

Rigel mi strattonava bruscamente i vestiti che indossavo, mi tirava le

punte dei capelli, scioglieva i fiocchi delle mie trecce; i nastri si

accasciavano ai suoi piedi come farfalle morte, e tra le ciglia umide vedevo

un sorriso crudele tagliargli le labbra prima che scappassi via.

Eppure non mi toccava mai.

In tutti quegli anni mai una volta mi aveva sfiorata con mano. Gli orli, la

stoffa, i capelli… Mi spingeva e strattonava, e io finivo per avere le

maniche slargate, ma mai un segno sulla mia pelle, come se non volesse

lasciarmi addosso le prove della sua colpa. O forse erano le mie lentiggini a

creargli repulsione. Forse mi disprezzava tanto da non volermi toccare.

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