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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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«Ti ricordi qualcosa di quello che è successo?» domandai ancora, e lo

trovai intento a restituirmi lo sguardo.

Qualunque cosa… Sarebbe andata bene qualunque cosa… Tutto pur di

non vederlo tornare il lupo che mi aveva sempre tenuta lontana…

Rigel mi scrutò restio, con una sfumatura di confusione. Non capivo cosa

mi spingesse in quel modo verso di lui, era come una forza inspiegabile,

silenziosa e potente. Lui si abbandonò contro lo schienale della sedia e la

sua aura di prevaricazione tornò a prevalere.

«Oh, beh… Qualcuno deve avermi portato in camera», il suo sguardo

viaggiò brevemente nella stanza prima di posarsi di nuovo su di me,

insolente. «Immagino di dover ringraziare te per il livido che ho sulla

spalla.»

Il ricordo della nostra caduta lampeggiò nella mia testa. Mi sentii punta

sul vivo e il senso di colpa mi ammutolì.

Tuttavia non mi mossi. Rigel mi aveva appena fatto intendere che quel

confine tra noi esisteva ancora, eppure non cedetti.

Non indietreggiai, non mi nascosi dietro i capelli; restai sulla soglia della

cucina con gli occhi puntati sulla scatola di medicinali, perché dentro di me

pulsava qualcosa di scarno ma lucente: la speranza.

Quella limpida e incrollabile che mi portavo dentro fin da bambina. La

stessa che ora puntava verso di lui, senza intenzione di arrendersi.

Invece che tirarmi via, una forza sconosciuta mi spinse a entrare.

Attraversai la cucina e mi avvicinai al tavolo dov’era seduto; poi aprii la

scatolina ed estrassi una pillola dalla confezione.

«Devi prenderne due», modulai soffice. «Una adesso e una stasera.»

Rigel fissò la compressa bianca. Poi, lentamente, il suo sguardo tornò a

posarsi su di me.

Nei suoi occhi intravidi qualcosa di inafferrabile. Forse la

consapevolezza che mi fossi avvicinata nonostante il sarcasmo che mi

aveva servito. O forse il fatto che non avessi timore di lui…

Per un momento pensai che mi avrebbe cacciata via.

Per un momento, credetti di vederlo deridermi e servirmi un altro morso.

Invece, Rigel inclinò il viso e i suoi occhi scivolarono di nuovo in basso.

In silenzio, senza dire una parola, allungò la mano e prese la pillola.

Provai un soffio caldo al petto quando lui sollevò il bicchiere. Una

felicità smodata mi pervase e io mi sporsi in avanti: «Aspetta, ci vuole più

acqua…»

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