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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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risaltavano nella luce del pomeriggio, folti e disordinati, e gli occhi erano

puntati su di me.

Il cuore fece retromarcia e si fermò un po’ sotto la gola.

«Io… Oh», mi morsi la lingua, impacciata; abbassai lo sguardo sulla

scatolina che tenevo in mano. «Anna mi aveva detto di portarti le

medicine…» spiegai come se non sapessi in che altro modo riempire quel

silenzio. «Ero… ecco… venuta a prendere l’acqua.» Notai il bicchiere che

stringeva nella mano e pressai le labbra. «Immagino non serva più…»

Alzai piano lo sguardo, incerta, e le guance mi formicolarono quando

vidi che gli occhi di Rigel non si erano mossi di un millimetro dal mio viso.

Erano incredibilmente vividi e lucenti, nemmeno la stanchezza sembrava

impoverire la profondità del suo sguardo. Le iridi risaltavano sulla

carnagione come diamanti neri.

«Come… ti senti?» soffiai dopo un po’.

Rigel puntò gli occhi di lato, increspando un sopracciglio scuro, e

atteggiò le labbra in una smorfia ironica e un po’ amara.

«Una meraviglia…» declamò lentamente.

Rigirai la confezione tra i polpastrelli, imbarazzata, e anche il mio

sguardo sfuggì nella stessa direzione del suo.

«Tu… ti ricordi qualcosa di questa notte?»

Fu più forte di me.

Ma avevo bisogno di saperlo.

Avevo bisogno di sapere che lui qualcosa se la ricordava. Un dettaglio

minuscolo, anche irrilevante…

All’istante, frammenti della mia anima si ritrovarono a pregare che fosse

così. Mi sentii tutta avviluppata attorno a quella domanda come se ne

dipendessero le sorti del mondo.

Perché… per me qualcosa era cambiato.

Avevo visto Rigel fragile per la prima volta, lo avevo toccato, sfiorato,

avvicinato. Mi ero presa cura di lui. Lo avevo trovato umano e disarmato,

inerme e indifeso, e persino la bambina dentro di me aveva dovuto

abbandonare l’idea invincibile del fabbricante di lacrime e vederlo per ciò

che era.

Un ragazzo che respingeva il mondo.

Un ragazzo solitario, ruvido e complicato che non permetteva a nessuno

di toccargli il cuore.

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