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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Rigel continuò a dormire, perso in un sonno profondo, e io mossi appena

i polpastrelli. Sentii il cuore pulsare delicato in gola quando sfiorai i ciuffi

alla base del suo collo.

Erano… erano…

Li tastai piano, tremula e misurata. E quando vidi che lui non si

muoveva… ci immersi lentamente le mani. Erano incredibilmente soffici,

morbidi e piacevoli.

Mi ritrovai a studiarlo per la prima volta con il cuore che tremava. Ogni

respiro, ogni contatto era nuovo e allo stesso tempo destabilizzante da

morire. Quel momento mi si impresse per sempre nella memoria.

Mentre lo sfioravo con tutta la prudenza di cui ero capace, mi sembrò di

sentirlo sospirare piano.

Il suo fiato fu come un’onda invisibile e calda sulla mia pelle. Mi

trasmise tranquillità.

Lentamente, la realtà scivolò via e si ridusse a semplice cornice del

battito di Rigel.

Pulsava piano, cullante e delicato.

Cosa c’era in quel cuore?

Perché lo teneva rinchiuso come una belva se poi batteva così

dolcemente?

Con un moto disperato, desiderai poterlo sfiorare come stavo facendo con

lui. Il suo battito mi riecheggiò nello stomaco con gentilezza disarmante e

io mi ritrovai ad appoggiargli la guancia sul capo, sconfitta.

Mi arresi… perché non avevo la forza di combattere qualcosa di tanto

delicato.

Socchiusi le palpebre e con un sospiro stremato mi abbandonai tra le

braccia dell’unico ragazzo da cui avrei dovuto tenermi lontana. Mi lasciai

cullare dal suo cuore. E per un momento… Per un momento, lì stretta a lui,

lontani dal mondo, da ciò che eravamo sempre stati… per un attimo

soltanto, sì, cuore contro cuore, mi chiesi perché non potessimo restare così

per sempre…

La vibrazione del telefono mi riscosse.

Sbattei le palpebre intontita e la stanza traballò dentro i miei occhi.

Mi torsi all’indietro tra le braccia di Rigel e tentai di allungare la mano.

Non ci arrivavo.

«Rigel», sussurrai piano, senza sapere bene cosa dire. «Il telefono…

Potrebbe essere Anna…»

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