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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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2. Favola perduta

“In ogni istante della nostra vita abbiamo

un piede nella favola e l’altro nell’abisso.”

Paulo Coelho

Il nome del mio istituto era Sunnycreek Home.

Sorgeva alla fine di una strada rovinata e senza uscita, nella periferia

dimenticata di una piccola cittadina a sud dello Stato. Accoglieva bambini

sfortunati come me, ma non avevo mai sentito gli altri ragazzi usare il suo

vero nome.

Tutti lo chiamavano volgarmente Grave, tomba, e non ci era voluto molto

prima che capissi perché: chiunque finisse lì sembrava condannato a essere

rovinato e senza uscita proprio come quella strada.

Nel Grave avevo sentito le sbarre di una prigione.

Nel corso di quegli anni avevo passato ogni giorno a desiderare che

qualcuno venisse a prendermi. Che mi guardasse negli occhi e scegliesse

me, proprio me, tra tutti i bambini che c’erano. Che mi volesse così come

ero, anche se non ero granché. Ma nessuno mi aveva mai scelta. Nessuno

mi aveva mai voluta o notata… Ero sempre stata invisibile.

Non come Rigel.

Lui non aveva perso i genitori, come molti di noi. Nessuna sventura si era

abbattuta sulla sua famiglia quando era piccolo.

Lo avevano trovato davanti al cancello dell’istituto in un cesto di vimini,

senza un biglietto e senza un nome, abbandonato nella notte con solo le

stelle a fare da veglia, grandi giganti dormienti. Non aveva che una

settimana.

Lo avevano chiamato Rigel, come la stella più luminosa della

costellazione di Orione, che quella sera brillava come una ragnatela di

diamanti su un letto di velluto nero. Con il cognome Wilde avevano

completato il vuoto delle sue generalità.

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