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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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«Sei stato tu a regalarmi questa?»

Rovi e denti, e denti, e denti - e lui aveva abbassato lo sguardo, aveva

fissato la prova della sua debolezza, una rosa che non era riuscito a non

farle avere, e che ora urlava la sua colpa in maniera assordante.

Aveva scoperto che quella nera era il colore della fine.

Dell’angoscia e della tristezza, degli amori destinati a non vedere la luce.

Un simbolo così tristemente calzante che Rigel si era chiesto se non fosse

un roseto nero quello che era cresciuto nel terreno martoriato del suo cuore.

Ma era stato uno slancio stupido, una crepa nell’ostinazione con cui

tentava sempre di tenerla lontana, e se ne era pentito all’istante, nell’esatto

momento in cui l’aveva trovata nella sua stanza con in mano quell’accusa di

foglie e seta.

Si era affrettato a indossare la sua maschera, l’aveva tenuta in bilico su

un sorriso talmente artefatto che minacciava di cadere.

«Io?» Aveva sperato che lei non si accorgesse della tensione evidente dei

suoi polsi. «Regalare un fiore a te?»

Lo aveva detto con quanto più disgusto possibile; lo aveva spinto fuori

con sarcasmo e sfrontatezza, e aveva pregato che lei ci credesse.

Nica aveva abbassato lo sguardo e non aveva potuto vedere il terrore con

cui l’avevano guardata i suoi occhi: per un attimo Rigel aveva temuto che

lei avesse capito, per un attimo soltanto il dubbio gli aveva morsicato

l’anima, e lui si era visto cadere rovinosamente in pezzi una vita di tremori

e bugie.

Così aveva fatto l’unica cosa che sapeva fare, l’unico rimedio alla paura

che conosceva: mordere e attaccare, disintegrare ogni sospetto prima che

potesse attecchire.

E si era visto un po’ morire nei suoi occhi, Rigel, quando le aveva

strappato la rosa di mano.

L’aveva fatta a pezzi davanti a lei, e nella frustrazione con cui aveva

estirpato ogni singolo petalo aveva desiderato di poter far lo stesso con lui,

con quel fiore crivellato di sentimenti che si portava dentro.

Ma solo quando erano caduti sul letto tutto si era ghiacciato.

Le vene avevano urlato nella carne e il suo battito aveva tuonato con tale

violenza che Rigel lo aveva sentito sfondare germogli e radici.

Si era guardato riflesso nei suoi occhi per la prima volta.

E il terrore gli aveva annebbiato la vista con un desiderio talmente

sfibrante che a invaderlo era stato un moto di speranza nuda e cieca:

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