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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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«Un giorno capiranno chi sei veramente», aveva sussurrato con quella

voce che tormentava i suoi pensieri da quando ne aveva memoria. E lui non

era stato in grado di frenare la curiosità, la trepidazione, non con lei così

vicina.

«Ah sì?» l’aveva incalzata. «E chi sono?»

Si era accorto di non riuscire a staccare gli occhi dai suoi. Si era reso

conto di respirare solo per quel momento in cui Nica stava per pronunciare

il verdetto finale, perché pure in quella penombra lei risplendeva di un

riflesso diverso, vero, limpido da far impazzire.

«Sei il fabbricante di lacrime», lo aveva accusato.

E Rigel lo aveva sentito il maremoto ingrossarsi: un tremore profondo e

il tarlo aveva spalancato le fauci, una risata così forte che gli era scoppiata

dalle labbra come sangue di un cuore che pompa petrolio.

Gli aveva stretto il petto, e aveva fatto così male che in quel dolore tanto

amaro lui non era riuscito che a trovare sollievo. Ingannando la sofferenza

con un ghigno, come faceva sempre, inghiottendola con la spavalda

rassegnazione dei vinti.

Lui… il fabbricante di lacrime?

Oh, se solo avesse saputo.

Se lei avesse saputo… di quanto, quanto lo faceva tremare, e tribolare, e

disperare… Se lei solo ne avesse avuto il minimo dubbio… ed era stato

forse un briciolo di sollievo, una scintilla calda che si era accesa tra umidità

e pece, e che però si era spenta l’istante dopo in un soffio di gelida paura.

Si era ritratto da quella speranza come scottato, perché la verità era che

Rigel non sapeva immaginare terrore più grande di vedere i suoi occhi puliti

macchiarsi di quei sentimenti così torbidi, spinosi ed estremi.

Si era accorto troppo tardi di amarla di un amore nero, infame, che uccide

lentamente e logora fino all’ultimo respiro; e lo sentiva il tarlo che

spingeva, che gli sussurrava parole da dire, gesti da osare; a volte a stento

riusciva a tenerlo indietro.

Lei era troppo preziosa per poter esserne rovinata.

L’aveva guardata andare via, e nel silenzio che si era trascinata dietro lui

aveva sentito un altro buco, la voragine di un ultimo sguardo che lei non gli

aveva nemmeno concesso.

«Sei stato tu?»

Spine. Rovi e spine.

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