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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Come era buono…

Mi guardai intorno, incapace di realizzare che avessi quello spazio tutto

per me. Poggiai la scatola sul comodino, la aprii e raschiai sul fondo. Presi

il pupazzino a forma di bruco, un po’ ingrigito e rovinato - l’unico ricordo

che mi restava di mamma e papà - e lo appoggiai al centro del cuscino.

Fissai il guanciale con occhi lucenti.

Mio…

Passai il tempo a sistemare le poche cose che avevo. Appesi sulle grucce

una ad una le magliette, il mio maglione bitorzoluto, i pantaloni; controllai i

calzini e spinsi quelli più bucati in fondo al cassetto, sperando che così non

si notassero.

Mentre scendevo, dopo aver lanciato un’ultima occhiata alla porta della

mia camera, mi chiesi con aspettativa se quell’odore che c’era nell’aria

presto lo avrei avuto addosso anche io.

«Siete sicuri che non volete niente da mangiare?» chiese Anna più tardi,

guardandoci con apprensione. «Anche qualcosa di veloce…»

Declinai, ringraziandola. Durante il viaggio avevamo fatto tappa in un

fast food e in quel momento mi sentivo ancora sazia.

Lei però non parve molto sicura; mi guardò un momento, poi spostò lo

sguardo alle mie spalle.

«E tu, Rigel?»

Non mi voltai, ma lo sentii rifiutare allo stesso modo.

«Okay…» acconsentì lei. «Ci sono dei biscotti, in ogni caso, e il latte è in

frigo… Ora se volete andare a riposare… Oh, la nostra è l’ultima camera in

fondo, dall’altra parte del corridoio. Per qualsiasi cosa…»

Si preoccupava.

Si preoccupava, realizzai, con il petto che vibrava leggero, si

preoccupava per me, se mangiavo, se non mangiavo, se mi mancava

qualcosa…

A lei… interessava davvero, e non per superare i controlli saltuari dei

Servizi Sociali come faceva Miss Fridge, quando dovevamo farci trovare

tutti puliti e con le pance piene davanti agli ispettori.

No. A lei importava sul serio…

Mentre tornavo di sopra, scorrendo le dita lungo tutto il corrimano, mi

sfiorò l’idea di scendere nel cuore della notte e mangiare biscotti al bancone

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