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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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ogni vena.

Lo aveva nascosto con rancore, represso tra rabbia e ostinazione. E più

diventava grande più si inaspriva, più lui diventava adulto più fiorivano le

spine, perché nessuno gli aveva detto che l’amore divora in quel modo,

nessuno lo aveva avvertito che ha radici di carne e stritola, e vuole e vuole e

vuole senza freno alcuno - un’occhiata, solo un’occhiata ancora, l’orlo di

un sorriso, un battito di cuore.

«Non puoi mentire al fabbricante di lacrime», sussurravano la notte gli

altri bambini. Facevano i bravi per non farsi portare via.

E Rigel lo sapeva, lo sapevano tutti, sarebbe come mentire a te stesso.

Lui sa tutto, conosce ogni emozione che ti fa tremare, ogni respiro corroso

dal sentimento.

«Non puoi mentire al fabbricante di lacrime», serpeggiava come un’eco,

e Rigel celava e tratteneva, a volte aveva il terrore che lei con quegli occhi

potesse vederlo - il modo in cui smaniava per toccarla, il bisogno con cui

voleva sentire il calore della sua pelle. La disperazione con cui desiderava

imprimersi in lei come Nica si era impressa in lui solo con uno sguardo,

anche se la sola idea di toccarla lo faceva impazzire, anche se il pensiero di

sentire quella carne riempire le sue mani faceva fibrillare il tarlo che era in

lui.

E non voleva sapere come l’avrebbe guardato lei, con quel suo animo

così limpido e puro, se avesse saputo del malessere disperato che si portava

dentro.

L’amore per Rigel non era farfalle nello stomaco e mondi di zucchero.

L’amore era sciami voraci di falene e un cancro dilaniante, assenze come

graffi, lacrime che lui beveva direttamente dai suoi occhi, per morire più

lentamente.

E forse avrebbe solo voluto lasciarsi distruggere… Da lei, da quel veleno

brutale che gli aveva iniettato.

A volte pensava di abbandonarsi a quel sentimento e lasciarsi invadere

fino a non sentire più niente. Se non fosse stato quel tremore feroce che

faceva spavento, che piegava le ossa, se non fosse stato così doloroso

immaginare sogni in cui lei invece che scappare gli correva incontro.

«Fa paura, vero?» aveva mormorato un bambino, un giorno che il cielo si

era tinto di un nero crudele.

Anche lui, che mai aveva guardato il cielo, aveva alzato lo sguardo. E

nell’immensità aveva visto nuvole livide e rombi rossastri, da mare in

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