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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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E Rigel si era chiesto come potesse qualcosa di così gracile e insulso

avere la forza di fargli tanto male. Aveva rifiutato quel sentimento con la

prepotenza e l’ostinazione del bambino che era, lo aveva sotterrato sotto

organi e pelle cercando di soffocare sul nascere quel seme da estirpare.

Non poteva accettarlo.

Non voleva accettarlo: lei così anonima e insignificante, lei che non

sapeva niente, non poteva entrargli dentro in quel modo e sfondargli anima

e cuore senza nemmeno chiedere permesso.

Quella voragine non aveva controllo, divorava e lacerava ogni cosa

attorno a sé; disintegrava qualsiasi freno con una aggressività che faceva

spavento, e l’aveva nascosta, Rigel, l’aveva nascosta perché forse in fondo

ne aveva paura, perché ammetterlo a parole significava darle una

ineluttabilità che lui non era pronto ad accettare.

Ma il tarlo aveva attecchito ancora di più, aveva scomodato le vene e

messo le radici. Sembrava spingerlo verso di lei, toccando nervi che lui

nemmeno sapeva di avere, e Rigel aveva sentito le mani fremere quando

l’aveva spinta la prima volta.

L’aveva guardata cadere e non aveva avuto bisogno di vederla graffiarsi

per divorare quella certezza, per berla con avidità. “Le favole non

sanguinano”, si era convinto con urgenza dopo che l’aveva guardata

correre via. “Le favole non si graffiano le ginocchia”, e tanto bastava per

spogliarla di ogni dubbio, brivido e ombra.

Lei non era il fabbricante di lacrime. Lei non lo scioglieva in un pianto a

dirotto, non gli aveva infilato gocce di cristallo sotto le palpebre.

Ma a piangergli era il cuore, ogni volta che la guardava.

E forse gli aveva infilato altro, si era detto, un veleno molto più doloroso

della gioia e della tristezza. Una tossina che bruciava e scorticava e

avvelenava - e il tarlo aveva germogli ora, e petali come denti, e ogni volta

che lei rideva affondava un po’ di più, artigli nel cervello e zanne nello

spirito.

E allora Rigel la spingeva, la strattonava, le tirava i capelli così lei

smetteva di ridere. Trovava soddisfazione solo per un momento, quando lei

lo guardava con iridi spaventate e ricolme di pianto - lo faceva sorridere il

paradosso di veder disperarsi proprio gli occhi che avrebbero dovuto far

piangere il mondo.

Ma durava un attimo, il tempo di vederla correre via, e il dolore tornava

con la ferocia di una bestia, graffiava pregando di vederla tornare indietro.

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