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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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aveva ribaltato le scarpe, cercando questo decantato amore, ma aveva capito

solo dopo che era qualcosa di più di un soldo o un fischietto.

Glielo avevano detto i ragazzi più grandi, quelli che per primi lo avevano

provato sulla pelle. I più sconsiderati o forse solo i più matti.

Ne parlavano come ebbri di qualcosa che non poteva essere visto o

toccato, e Rigel non aveva potuto fare a meno di pensare che sembrassero

ancora più smarriti con quell’aria persa, eppure felici del loro smarrimento.

Naufraghi alla deriva, ma cullati dal canto delle sirene.

Gli avevano detto che l’amore vero non finisce.

Avevano detto la verità.

Era stato inutile provare a scollarselo di dosso. Gli si era appiccicato

contro le pareti dell’anima come polline di un miele che lui non aveva mai

chiesto, lo aveva invischiato e impiastricciato senza più lasciargli via di

scampo; una condanna che grondava nettare e veleno, che gocciolava

pensieri, respiri e parole incollandogli le palpebre, la lingua, le dita una ad

una.

Lei gli aveva scavato il petto con un’occhiata, lo aveva lacerato con un

battito di ciglia. Gli aveva marchiato a crudo il cuore con quegli occhi da

fabbricante di lacrime, e Rigel se lo era visto strappare via senza nemmeno

il tempo di tenerselo stretto.

Nica lo aveva depredato nel tempo di un respiro, lasciandogli niente di

meno di un tarlo, un pizzicore bruciante al centro del petto. Lo aveva

lasciato sanguinante sul ciglio della porta, senza nemmeno toccarlo, con

quella grazia spietata che piegava la terra e quei colori spenti da falena, scie

di sorrisi delicati.

Gli avevano detto che l’amore vero non finisce.

Non gli avevano detto però che ti dilania fino alle ossa, l’amore vero,

quando ti si radica dentro senza più lasciarti andare.

Più la guardava più non riusciva a smettere di guardarla.

C’era qualcosa di soave nella leggerezza con cui si muoveva, qualcosa di

infantile e piccolo e vero nella sua indole genuina. Lei fissava il mondo

dalle inferriate dei cancelli, le mani appese alle sbarre, e sperava,

desiderava, come lui non aveva mai fatto.

La guardava scorrazzare a piedi nudi nell’erba incolta; cullare tra le

braccia uova di passero, strofinarsi fiori sui vestiti perché sembrassero

meno grigi.

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