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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Mi sforzai di ricordare come aveva distrutto la rosa, come mi aveva

scacciato dalla sua stanza, come mi aveva sempre ammonito di stargli fuori

dai piedi. Ricordai la derisione, la durezza e il disprezzo che tante volte gli

avevano intriso gli occhi e mi spaventai delle sensazioni che nonostante

tutto non ne volevano sapere di lasciarmi in pace.

Avrei dovuto disprezzarlo. Desiderare di vederlo sparire. Eppure…

Eppure…

Non smettevo di cercare la luce.

Non riuscivo ad arrendermi.

Rigel era enigmatico, cinico e ingannevole come un diavolo. Quanto

ancora doveva dimostrarmelo prima che rinunciassi?

Passai il resto della giornata in camera, tormentata dai miei pensieri.

Dopo cena, Anna e Norman proposero una passeggiata nel quartiere, ma

io declinai. Non sarei riuscita a godermi la loro compagnia, né a mostrarmi

sorridente e spensierata come avrei voluto, così li guardai uscire con una

punta di malinconia.

Mi dondolai sui gradini, prima di decidere a tornare di sopra.

Stavo salendo le scale quando d’improvviso degli accordi angelici si

diffusero nell’aria.

Le gambe si bloccarono, così come il mio respiro.

Una melodia incantevole prese vita alle mie spalle e tutto il resto divenne

carta su cui quelle note dipinsero i battiti un po’ frenetici del mio cuore.

Mi voltai verso dove c’era il pianoforte.

Fu come se ragnatele invisibili mi legassero le ossa; sarei dovuta

tornarmene di sopra, seguire il buon senso, invece… i miei piedi mi

portarono sul ciglio di quella stanza.

Lo trovai di spalle, i capelli neri che risaltavano alla luce della lampada.

Sul pianoforte c’era un bel vaso di cristallo in cui Anna aveva sistemato un

mazzo di fiori. Riuscii a intravedere le mani candide che si muovevano sui

tasti con gesti fluidi ed esperti, sorgente di quella magia invisibile. Mi

incantai a guardarle, consapevole che non si fosse accorto di me.

Avevo sempre avuto l’impressione che volesse dire qualcosa con ciò che

suonava.

Che per quanto silenzioso Rigel sapesse essere, quello era un po’ il suo

modo di parlare. C’era un linguaggio muto nelle note che io non avevo mai

saputo interpretare, ma per la prima volta… desiderai poter capire ciò che

sussurravano.

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