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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Ero così tesa che mi sembrò lui stesse stringendo nel palmo me. Aspettai

e aspettai e… e…

Rigel schiuse le dita.

E la farfalla era lì. Si arrampicò lungo la sua mano, innocente e

spensierata, e lui rimase a osservarla con il tramonto negli occhi e il vento

che gli smuoveva i capelli.

La guardò volare via. Il suo sguardo salì verso il cielo e il sole mi

disegnò davanti agli occhi uno spettacolo mai visto.

Lo fissai, avvolto da quella luce calda, purissima, che non credevo

sarebbe mai stata bene su di lui… Lui, a cui si erano sempre acclimatati

perfettamente solo ombre e buchi neri, lividi e tenebre. Avevo creduto

persino che fosse quasi perfetto così, un angelo dannato che non può far

altro che essere tale, un bellissimo Lucifero condannato a maledire il

paradiso per sempre.

Ma in quel momento…

Guardandolo alla luce di quel gesto, in quei colori tanto vividi, morbidi e

caldi, mi resi conto di non averlo mai visto più splendido di così.

Lo stai guardando troppo, sussurrò il mio cuore. Lo hai sempre guardato

troppo, lui che rovina e graffia e s’impiglia, lui che è il fabbricante di

lacrime, l’inchiostro che tesse la favola. Non devi, non devi, e io strinsi le

mani, strinsi le braccia. Mi strinsi, prima di spezzarmi a guardarlo.

«Rigel.»

Lo vidi abbassare le palpebre. Girò il capo e le sue iridi profonde mi

fissarono da sopra spalla.

E io le sentii volarmi dentro, scavarmi abissi senza che nemmeno gli

avessi dato il permesso.

Mi incendiarono la pelle e mi pentii di tutto quel tempo speso a

guardarlo, mi pentii di non riuscire a sostenere i suoi occhi senza sentirli

appropriarsi di qualcosa.

«Anna ti cerca.»

Lo hai sempre guardato troppo.

Mi allontanai in fretta, fuggendo da quella visione. Eppure ebbi

l’impressione che qualcosa di me fosse rimasto lì, intrappolato per sempre

dentro quell’istante.

«Arriva», riferii ad Anna, prima di lasciare la cucina.

Ero vittima di emozioni indefinite, che non sapevo togliermi di dosso.

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