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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Lentamente puntai lo sguardo nel riflesso del vetro davanti. Accanto al

posto di guida, occupato dal signor Milligan, una chioma di capelli neri

sfiorava il poggiatesta.

Lui guardava fuori senza interesse, il gomito contro la portiera e la

tempia appoggiata alle nocche.

«Là in fondo c’è il fiume», disse la signora Milligan, ma quegli occhi

neri non seguirono ciò che stava indicando. Sotto le ciglia scure, le iridi

fissavano in maniera blanda il paesaggio.

Poi… di netto, come se mi avesse sentita, le sue pupille trovarono le mie.

Mi incrociò nel riflesso del vetro, gli occhi penetranti, e io mi affrettai ad

abbassare il viso.

Tornai ad ascoltare Anna sbattendo le palpebre e annuendo con un

sorriso, ma sentii quello sguardo bucare l’aria attraverso l’abitacolo senza

più lasciarmi andare.

Dopo qualche ora la macchina rallentò fino a svoltare in un quartiere

ombreggiato dagli alberi.

Casa Milligan era un villino in mattoni uguale a molti altri. Aveva uno

steccato bianco, corredato da una cassetta per la posta, e una girandola per il

vento incastrata tra le gardenie.

Intravidi un albero di albicocche nel piccolo giardino sul retro, e allungai

il collo per sbirciarlo, osservando quell’angolo di verde con un interesse

genuino.

«Pesa?» chiese il signor Milligan, quando presi la scatola di cartone con

dentro le poche cose che avevo. «Avete… bisogno di una mano?»

Scossi la testa, lieta di quella sua gentilezza, e lui ci fece strada.

«Venite, da questa parte… Oh, il vialetto è un po’ dissestato… attenti a

quella mattonella, sporge… Avete fame? Volete mangiare qualcosa?»

«Lascia che prima sistemino le loro cose», disse Anna, serena, e lui si

aggiustò gli occhiali sul naso.

«Oh, certo, certo… sarete stanchi… eh? Venite…»

Aprì la porta di casa. Io osservai il tappetino sulla soglia con su scritto

“Home”, e per un momento sentii il cuore accelerare i battiti.

Anna inclinò il viso, docile. «Vieni pure, Nica.»

Allungai un passo e mi trovai nell’ingresso stretto.

La prima cosa che mi colpì fu l’odore.

Non era l’odore di muffa delle camere del Grave, né quello delle

infiltrazioni di umidità che macchiavano l’intonaco dei nostri soffitti.

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