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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Un pomeriggio, però, decisi di accantonare le reticenze e scendere in

giardino per apprezzare un po’ il sole.

Il nostro febbraio era gentile, pallido e fresco - non avevamo mai avuto

inverni troppo rigidi da quelle parti.

Per chi come me era nato e vissuto a sud dell’Alabama non era difficile

immaginare stagioni così miti: alberi nudi e strade bagnate, nuvole bianche

su un cielo che all’alba odorava già di primavera.

Amai sentire di nuovo l’erba sotto i piedi scalzi.

Il sole disegnava sul prato un pizzo di luci e io studiai all’ombra

dell’albicocco, ritrovando un briciolo di serenità.

Ad un certo punto un rumore attirò la mia attenzione.

Mi alzai in piedi e avvicinai incuriosita, ma persi ogni rosea aspettativa

quando scoprii cosa fosse a fare tutto quel rumore.

Era un calabrone. Aveva una zampetta incastrata nel fango, e quando

cercava di volare via le ali producevano un suono roboante.

In tutta la mia delicatezza, mi ritrovai mio malgrado a fissarlo con occhi

terrorizzati, per la prima volta esitante ad aiutare una bestiola in difficoltà.

Trovavo le api tremendamente carine, con le loro zampette grassocce e il

collare peloso, ma i calabroni mi avevano sempre fatto una discreta paura.

Mi ero beccata una brutta puntura qualche anno prima: avevo avuto male

per giorni, e non avevo molta voglia di rivivere quel dolore.

Però lui continuava a dimenarsi in modo così inutile e disperato che la

parte più tenera di me prese il sopravvento: mi avvicinai un po’ incerta,

divisa tra paura e pietà.

Cercai di aiutarlo con un bastoncino, tesa, ma scappai via in un urletto

acuto quando proruppe di nuovo in quel ronzio cavernoso. Poi tornai

indietro con la coda tra le gambe, afflitta, cercando di nuovo di aiutarlo.

«Non pungermi, ti prego,» lo implorai mentre il legnetto mi si spezzava

nel fango, «non pungermi…»

Nel momento in cui riuscii a liberarlo sentii il sollievo fiorirmi nel petto.

Per un istante mi venne quasi da sorridere.

Poi lui si librò in volo.

E io sbiancai.

Lanciai via il legnetto e corsi come una matta: mi nascosi la faccia tra le

mani, strillando in modo vergognosamente infantile. Inciampai nei miei

stessi passi e sulle mattonelle del vialetto persi l’equilibrio. Sarei caduta se

delle mani non mi avessero sostenuta all’ultimo momento.

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