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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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11. Farfalla bianca

“Noi siamo l’enigma che nessuno decifra.

Siamo la favola racchiusa nella propria immagine.

Siamo ciò che continua ad andare avanti

senza arrivare mai a capire.”

Jostein Gaarder

Avevo sempre pensato che Rigel fosse come la luna.

Una luna nera che celava il suo lato nascosto agli occhi di tutti,

risplendendo nella sua oscurità fino ad adombrare anche le stelle.

Ma mi sbagliavo.

Rigel era come il sole.

Sconfinato, bruciante e inavvicinabile.

Ustionava la pelle.

Marchiava lo sguardo.

Scioglieva a nudo i pensieri e dentro mi gettava ombre che oscuravano

tutto il resto.

Quando tornavo a casa, il suo giubbotto era sempre lì. Avrei voluto dire

che la cosa mi era indifferente, ma sarebbe stato come mentire a me stessa.

Era diverso quando lui era intorno.

I miei occhi lo cercavano.

Il cuore si inabissava.

La mente non mi dava tregua, e l’unico modo per non incrociare quello

sguardo conturbante era rimanere chiusa in camera per tutto il tempo, fin

quando la sera Anna e Norman non rincasavano.

Mi nascondevo da lui, ma la verità era che c’era qualcosa che mi

intimoriva molto di più del taglio crudo dei suoi occhi o del suo

temperamento scostante e imprevedibile.

Qualcosa che si agitava dentro il mio petto, anche quando lui era a muri e

mattoni di distanza da me.

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