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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Rimase così, ammaliata, a fissare la fonte di quella meraviglia invisibile:

il vecchio pianoforte a muro, obsoleto e un po’ scordato, che nonostante

tutto cantava ancora.

E più di ogni altra cosa… quelle mani… Quelle mani bianche, dai polsi

definiti, che scivolavano fluide e sinuose lungo la dentatura di tasti.

«Chi è…» esalò la signora Milligan dopo un momento, «chi è quel

ragazzo?»

Strinsi le dita tra le pieghe del vestito; tentennai, e lui là in fondo si

fermò.

Le braccia si arrestarono lentamente; le spalle dritte, composte, stagliate

sul muro.

Poi… senza fretta, come se lo avesse previsto, come se già sapesse, si

voltò.

A girarsi indietro fu una aureola di capelli folti e neri come ali di corvo.

Un volto pallido, dalla mandibola tagliente, su cui spiccarono affusolati due

occhi più scuri del carbone.

Ed eccolo, quel fascino letale. La bellezza maliarda dei suoi tratti, con

quelle labbra bianche e i lineamenti finemente cesellati, fece tacere accanto

a me la signora Milligan.

Ci fissò da sopra la spalla, con ciocche a sfiorargli gli zigomi alti e lo

sguardo basso, brillante. E in un tremito fui certa di vederlo sorridere.

«È Rigel.»

Avevo sempre desiderato una famiglia più di ogni altra cosa. Avevo

pregato che ci fosse qualcuno per me, là fuori, disposto a prendermi con sé,

a darmi la possibilità che non avevo mai avuto.

Era troppo bello per essere vero.

Se mi soffermavo a pensarci, ancora non riuscivo a realizzarlo… o

forse… non volevo realizzarlo…

«Tutto bene?» mi chiese la signora Milligan.

Era seduta accanto a me nei sedili posteriori.

«Sì…» mi sforzai, atteggiando un sorriso. «Tutto… benissimo.»

Strinsi le dita in grembo, ma lei non se ne accorse. Tornò a voltarsi,

indicandomi di tanto in tanto qualcosa fuori dal finestrino mentre il

paesaggio scorreva attorno a noi.

Eppure… la ascoltai appena.

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