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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Caddi e precipitai nella realtà più nera.

Ero in trappola.

Come pietrificati, i miei occhi scivolarono indietro fino a posarsi su di

lui.

E Rigel era lì, davanti alla porta aperta, cupo e invalicabile come solo lui

sapeva essere.

Tremendo. Non avrei saputo definirlo in altro modo.

Le sue pupille erano chiodi piantati su di me. Affusolati e felini, i suoi

occhi neri brillavano come voragini pronte a risucchiarmi.

Non riuscii a muovermi. Mi si era congelato anche il cuore.

Mi sentii come una mosca invischiata nella tela del ragno, incapace di

scappare.

Rigel mi apparve così alto e terribile da fare paura. La sua presenza

imperava nella stanza, le spalle tese e gli occhi implacabili erano quelli di

un guardiano di incubi.

E io avevo appena infranto i suoi confini…

Stavo ancora cercando di reagire quando, lentamente, senza che lui

muovesse un solo passo… il suo braccio si sollevò dal fianco.

Rigel alzò la mano, l’appoggiò sul battente aperto. Poi lo spinse dietro di

sé.

Il lungo click della serratura mi rese di pietra.

Aveva appena chiuso la porta alle sue spalle.

«Io…» deglutii. «Stavo solo…»

«Solo?» graffiò il suo tono minaccioso.

«…Solo cercando una cosa.»

Il suo sguardo emanava una durezza spaventosa. Strinsi la rosa senza

sapere a che altro aggrapparmi. La pulsione malata che quegli occhi

esercitavano su di me mi confuse e spaventò.

«Una cosa… in camera mia?»

Perché la stanza sembrava d’improvviso minuscola?

«Cercavo una fotografia.»

«E l’hai trovata?»

Esitai, con queste mie labbra tremule.

«No.»

«No», soffiò definitivo, facendomi l’eco. Le sopracciglia si

assottigliarono sugli occhi neri quando spinse fuori quelle parole. L’aura

temibile che emanava mi suggeriva di fuggire il più lontano possibile da lì.

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