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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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fossero i suoi libri sul comodino e i suoi abiti dentro i cassetti.

Nonostante lui passasse la maggior parte del suo tempo tra quelle mura…

No.

Deglutii.

Quella era la sua stanza.

Rigel dormiva lì, studiava lì, si vestiva lì. Era di Rigel la maglietta sullo

schienale della sedia, era di Rigel l’asciugamano che spuntava dall’armadio,

erano suoi anche quei quaderni sulla scrivania fitti della sua scrittura

elegante.

Era di Rigel il profumo che sentivo nell’aria.

Un disagio strano mi pervase. Le spine sembrarono appuntirsi attraverso

cerotti, ricordandomi di fare in fretta.

Avanzai cauta, avvicinandomi alla scrivania. Setacciai tra i fogli impilati,

spostai alcuni libri, poi guardai nell’armadio, sulla cassettiera, persino

dentro le tasche delle giacche.

Rovistai dappertutto, premurandomi di rimettere le cose esattamente al

loro posto. Cercai in ogni cassetto del comodino, trovandoli quasi tutti

mezzi vuoti, ma la foto non c’era.

Non c’era…

Mi fermai al centro della stanza passandomi il polso sulla fronte.

Ormai avevo guardato ovunque.

Un momento, no. Non ovunque…

Mi voltai verso il letto.

Osservai il cuscino, l’orlo del lenzuolo perfettamente sistemato; gli

angoli imboccati, senza una piega fuori posto. E poi il materasso.

E mi ricordai delle volte in cui nascondevo sotto le molle i pezzi di

cioccolato che ci servivano durante le visite, per mangiarli senza che

qualcuno mi vedesse; ricordai i bastoncini dei ghiaccioli che mettevo lì per

fare in modo che la tutrice non li trovasse.

Avrei dovuto sentirlo.

Forse, se non avessi allungato una mano verso il materasso per

sollevarlo, e trovarlo vuoto, me ne sarei accorta prima.

Forse, se non avessi stretto così forte quella rosa tra le dita, avrei almeno

sentito il gelo che preannunciò quelle parole.

«Ti avevo detto…» fu il sibilo alle mie spalle, «di non entrare nella mia

stanza.»

Ghiacciai.

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