10.10.2022 Views

Domm Erin - Fabbricante di lacrime

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

Non era uno stelo liscio e innocuo come gli altri. No, era un gambo

crivellato di spine che si impigliò tra i miei cerotti morsicandone la

protezione.

La fissai come se non fosse nemmeno reale.

E questa volta non fu un dubbio. Ma una consapevolezza.

Il cuore mi batté forte, un meccanismo scattò in fondo al mio cervello.

Realizzai qualcosa che avrei dovuto capire da tempo, e i libri caddero a

terra mentre indietreggiavo, le dita strette tra quelle spine.

Io quella foto non l’avevo persa.

Non l’avrei mai persa.

E più quella diventava una certezza assoluta dentro di me, più quella rosa

si aggrappava alle mie dita, spazzando via ogni mio tentennamento.

Mi voltai e cominciai a correre.

Il mondo divenne sfocato mentre attraversavo il corridoio, e poi il cortile

e i cancelli, spinta da un istinto irrefrenabile.

Sguardi sconvolti caddero sul fiore che stringevo in mano, e bisbigli si

levarono al mio passaggio: «È nera…» vociferarono. «Non s’è mai vista

una rosa nera…» E le ragazze, trepidanti: «Come è bella!»

Ma è nera, nera, nera mi rimbombò nella testa mentre correvo fino a

casa senza voltarmi indietro.

Infilai frettolosamente la chiave nella toppa e mollai lo zaino lungo le

scale, la giacca sull’ultimo gradino. Il mio assalto si fermò lì, davanti a

quell’unica porta.

La rosa mi graffiava la carne delle mani come se non riuscissi a lasciarla

andare, con tutte quelle spine conficcate nelle cuciture dei cerotti.

Come se fosse la prova. Il concretizzarsi di quel dubbio che ora urlava il

suo nome.

Per quanto fosse folle. Insensato. Illogico e assurdo…

Era stato lui? Era stato lui a prendere la fotografia?

«Non entrare nella mia stanza», mi aveva detto.

In un impeto abbassai la maniglia ed entrai.

Sapevo che lui non c’era perché il pomeriggio aveva la punizione. Mi

chiusi la porta alle spalle e mi guardai intorno.

Osservai quell’ambiente sconosciuto.

Tutto era precisamente al suo posto; le tende ben stirate, il letto fatto.

Non riuscii a non notare l’ordine quasi sintetico che c’era in quella

camera. Sembrava che Rigel non ci avesse mai dormito, nonostante ci

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!