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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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sempre quella scintilla intimidente che avrebbe messo in soggezione

chiunque.

«Beh… sarebbe carino.»

Il modo in cui lo sussurrò mi fece un effetto strano: mi disturbò. Rigel

chiuse la cerniera del suo zaino e poi si alzò dalla sedia.

«Io non sono carino.»

La superò e si avviò verso il corridoio, ma lei allungò la mano e lo

trattenne per la bretella dello zaino.

«E allora come sei?» chiese, cercando la sua attenzione; la stessa che lui,

voltato di spalle, non le stava rivolgendo. Azzardò un passo avanti,

avvicinandosi alla sua schiena ampia.

«Vorrei conoscerti. Lo voglio da quando ti ho visto il primo giorno,

seduto a quel pianoforte», modulò con voce morbida, e vidi Rigel voltarsi

lentamente. «Mi piacerebbe approfondire la nostra conoscenza…»

Lei sollevò la rosa incatenando lo sguardo al suo.

«Potresti prendere questa… e dirmi qualcosa di te. Ci sono così tante

cose che ancora non so, Rigel Wilde», insinuò con tono seducente. «Ad

esempio… che tipo sei?»

Rigel non era più voltato verso la porta.

Le sue pupille erano abbassate sulla rosa.

Rimase a fissare il fiore da sotto le ciglia, con i capelli scuri a

incorniciargli il volto perfetto e i lineamenti fermi, e io mi accorsi che nei

suoi occhi… non brillava nulla.

Erano impassibili. Insensibili. Due muri di diamante privi di qualunque

emozione.

Erano vuoti, freddi, remoti, come stelle morte.

Alzò lo sguardo su di lei.

E io capii che stava per mostrare la sua maschera.

Rigel sollevò un angolo della bocca… e sorrise. Sorrise in quel suo modo

suadente, da bestia maliarda.

Toglieva il fiato, quel sorriso traverso, ti avvelenava con la sua cattiveria

e ti ammaliava con la sua seduzione. Era il sorriso di chi non si lascia

avvicinare da nessuno.

Sollevò la mano e la chiuse sul bocciolo, lo sguardo inchiodato a quello

di lei.

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