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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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ti scolpiva tra quelle quattro pareti per sempre.

Ma ora… Ora…

«La signora Milligan vuole parlare un po’ con te. È giù che ti aspetta;

falle fare un giro dell’istituto, e vedi di non rovinare tutto. Tieniti per te i

tuoi atteggiamenti da svampita e forse con un briciolo di fortuna riuscirai ad

andartene.»

Mi sentivo frullare.

Mentre scendevo, sentendo il vestito buono sfiorarmi le ginocchia, mi

chiesi ancora se quella non fosse solo una delle mie innumerevoli fantasie.

Era un sogno. Ai piedi delle scale trovai un viso gentile ad accogliermi:

apparteneva a una donna un po’ avanti di età, con un soprabito stretto tra le

braccia.

«Ciao», mi salutò in un sorriso, e mi accorsi che guardava proprio me,

negli occhi, come non mi capitava da tanto tempo.

«Buongiorno…» esalai con voce sottile.

Mi disse che mi aveva vista prima. In giardino, quando era entrata dal

cancello di ferro battuto: mi aveva notata tra l’erba incolta e i nastri di luce

che filtravano dagli alberi.

«Io sono Anna», si presentò quando prendemmo piano a passeggiare.

Aveva una voce vellutata, resa mite dagli anni, e io restai a guardarla con

occhi incantati; mi chiesi se fosse possibile restare folgorati da un suono, o

affezionarsi a qualcosa che si è appena sentito.

«Tu? Come… ti chiami?»

«Nica», risposi, cercando di contenere l’emozione di quel momento. «Mi

chiamo Nica.»

Lei mi osservò incuriosita, e non guardai nemmeno dove stavo mettendo

i piedi tanta era la voglia di ricambiare quello sguardo.

«È un nome davvero particolare. Non l’ho mai sentito prima, sai?»

«Sì…» sentii la timidezza rendere il mio sguardo sfuggente e trepidante.

«Me lo hanno dato i miei genitori. Loro… ecco, erano due biologi. Nica…

è il nome di una farfalla.»

Di mamma e papà ricordavo davvero poco. E vagamente, come se li

sentissi attraverso un vetro troppo appannato. Se chiudevo gli occhi e

restavo in silenzio, potevo rivedere i loro volti sfocati guardarmi dall’alto.

Avevo cinque anni quando morirono.

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