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WineCouture 5-6/2022

WineCouture è la testata giornalistica che offre approfondimenti e informazione di qualità sul vino e quanto gli ruota attorno. È una narrazione di terroir, aziende ed etichette. Storytelling confezionato su misura e che passa sempre dalla viva voce dei protagonisti, dalle riflessioni attorno a un calice o dalle analisi di un mercato in costante fermento. WineCouture è il racconto di un mondo che da anni ci entusiasma e di cui, con semplicità, vogliamo continuare a indagare ogni specifica e peculiare sfumatura, condividendo poi scoperte e storie con appassionati, neofiti e operatori del comparto.

WineCouture è la testata giornalistica che offre approfondimenti e informazione di qualità sul vino e quanto gli ruota attorno. È una narrazione di terroir, aziende ed etichette. Storytelling confezionato su misura e che passa sempre dalla viva voce dei protagonisti, dalle riflessioni attorno a un calice o dalle analisi di un mercato in costante fermento. WineCouture è il racconto di un mondo che da anni ci entusiasma e di cui, con semplicità, vogliamo continuare a indagare ogni specifica e peculiare sfumatura, condividendo poi scoperte e storie con appassionati, neofiti e operatori del comparto.

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NUMERO 5/6<br />

Anno 3 | Giugno - Luglio <strong>2022</strong><br />

Poste Italiane SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI - In caso di mancato recapito inviare al CMP di Milano Roserio per la restituzione al mittente previo pagamento resi.<br />

PATRIMONIO SOSTENIBILITÀ<br />

Storie, imprenditori, declinazioni, progetti<br />

P hilippe<br />

Schaus


2<br />

Al giro di boa <strong>2022</strong>, come esimersi da tirare un<br />

primo bilancio di un anno che ha preso il via carico<br />

di aspettative. Per il mondo del vino, il calice<br />

è mezzo pieno o mezzo vuoto? I primi 6 mesi dicono<br />

di un settore mai stato vivo quanto lo è oggi,<br />

benché sia funestato da mille difficoltà che le cantine<br />

sono quotidianamente chiamate ad affrontare<br />

e che tutti ben conosciamo. Lo dimostrano le<br />

fiere degli ultimi mesi, da Vinitaly a ProWein, in<br />

cui l’Italia del vino è stata assoluta protagonista.<br />

Lo dimostra la vitalità di incontri e progetti che<br />

Le possibilità nascoste in un benché<br />

si moltiplicano, ribadendo la voglia delle aziende<br />

di raccontarsi ed evolvere. Lo sottolinea un mercato<br />

che sta offrendo segnali e spunti di un futuro<br />

“diverso”. Il vino, infatti, sta mutando pelle. Si<br />

beve meno, ma molto meglio, come certificano i<br />

dati Istat. E come conferma l’annuale studio Mediobanca,<br />

i trend in consolidamento parlano di<br />

premiumizzazione e maggiore attenzione alla sostenibilità.<br />

Già, proprio quella “sostenibilità” che<br />

è filo conduttore di questo numero di <strong>WineCouture</strong>.<br />

Una parola di cui si è spesso abusato negli<br />

ultimi anni, ma soprattutto che è stata ingabbiata,<br />

confinandola impropriamente alla sola sfera di<br />

pratiche che ricercano un minor impatto sull’ambiente.<br />

Ma sostenibilità significa tanto di più, per<br />

questo abbiamo voluto ridonarle forma e contenuto:<br />

quelli dell’esempio di chi non aspetta, ma<br />

guida. A dimostrare che il calice è mezzo pieno<br />

per il mondo del vino, “benché sia”. Perché, come<br />

insegna lo scrittore Alessandro D’Avenia nel suo<br />

Ciò che inferno non è: “Che meraviglia, il mondo<br />

delle possibilità nascoste in un benché”.<br />

06 Focus on. Viaggio nell’Italia del vino<br />

sostenibile del portfolio Sagna<br />

12 Experience. Contadi Castaldi presenta la<br />

novità Blànc<br />

13 Collection. Da Vinitaly a tavole e scaffali,<br />

una selezione di grandi novità <strong>2022</strong><br />

SOMMARIO<br />

23 Protagonisti. La prima edizione del<br />

Concorso “Miglior Enotecario d’Italia”<br />

25 Champagne. Intervista a Manuel Reman,<br />

nuovo presidente di Maison Krug<br />

29 Champagne. A tu per tu con la Chef de<br />

Cave di Perrier-Jouët, Séverine Frerson<br />

WINECOUTURE - winecouture.it<br />

Direttore responsabile Riccardo Colletti<br />

Direttore editoriale Luca Figini<br />

Cover editor Alice Realini<br />

Coordinamento Matteo Borré<br />

Marketing & Operations Roberta Rancati<br />

Contributors Francesca Mortaro, Andrea Silvello<br />

(founder Topchampagne), Irene Forni<br />

Art direction Inventium s.r.l.<br />

Stampa La Terra Promessa Società Cooperativa<br />

Sociale Onlus (Novara)<br />

Editore Nelson Srl<br />

Viale Murillo, 3 - 20149 Milano<br />

Telefono 02.84076127<br />

info@nelsonsrl.com<br />

www.nelsonsrl.com<br />

Registrazione al Tribunale di Milano n. 12<br />

del 21 Gennaio 2020 - Nelson Srl -<br />

Iscrizione ROC n° 33940 del 12 Febbraio 2020<br />

Periodico bimestrale<br />

Anno 3 - Numero 5-6 - Giugno/Luglio <strong>2022</strong><br />

Abbonamento Italia per 6 numeri: Euro 30,00<br />

L’editore garantisce la massima riservatezza<br />

dei dati personali in suo possesso.<br />

Tali dati saranno utilizzati per la gestione degli<br />

abbonamenti e per l’invio di informazioni<br />

commerciali. In base all’art. 13 della Legge<br />

n° 196/2003, i dati potranno essere rettificati<br />

o cancellati in qualsiasi momento scrivendo a:<br />

Nelson Srl<br />

Responsabile dati Riccardo Colletti<br />

Viale Murillo, 3<br />

20149 Milano<br />

Photo cover sopra: Margot Mchn


OPERE UNICHE<br />

DELLE TERRE<br />

DI VALDOBBIADENE<br />

PRENDONO CORPO<br />

NEL LABOR ATORIO<br />

DELL’ECCELLENZA,<br />

ESPRIMENDO VALORI<br />

SEMPRE OLTRE<br />

IL PRESENTE.<br />

www.valdo.com


4<br />

ON AIR<br />

L’<br />

appuntamento è di quelli da non mancare quando giunge<br />

l’invito. Almeno se si vuole realmente andare in profondità<br />

e comprendere cosa, in maniera fattuale, si stia facendo – e<br />

quanto si possa fare di più ancora – per offrire un futuro al<br />

Pianeta. E quel che stupisce è come l’importante confronto<br />

con alcuni dei più grandi esperti a livello internazionale<br />

in tema di conservazione della biodiversità, preservazione<br />

dei suoli e contrasto al cambiamento climatico, non sia<br />

figlia di un ente pubblico o di un’istituzione governativa,<br />

ma di un gigante privato del lusso. Anzi, più giusto dire: il<br />

gigante del lusso per eccellenza. L’1 e il 2 giugno, ad Arles,<br />

è andata in scena la prima edizione del World Living Soils<br />

Forum organizzato da Moët Hennessy. Al centro della due<br />

giorni di workshop e speech, un nuovo modello di sviluppo<br />

sostenibile da individuare grazie al contributo di tutti,<br />

ma soprattutto senza più attendere “interventi dall’alto”. È,<br />

infatti, una mobilitazione quella cui il gruppo LVMH oggi<br />

chiama il settore wine & spirits, che parte da chi, un privato,<br />

ha deciso di fare della sostenibilità non una, ma “la” sua<br />

priorità. Un tema affrontato scardinando pregiudizi e falsi<br />

miti. A spiegare a <strong>WineCouture</strong> perché quelle ascoltate<br />

ad Arles sono parole importanti e non “di circostanza”, è<br />

Philippe Schaus, ceo e presidente di Moët Hennessy.<br />

Lei è l’uomo che in Moët Hennessy indica la<br />

strada, ma che è anche chiamato a guardare<br />

i numeri: le molte parole spese sul tema della<br />

sostenibilità, oggi riescono poi a trovare anche<br />

un riscontro effettivo in termini di business?<br />

Ogni singola azione che prendiamo in termini di sostenibilità<br />

non si può affermare che abbia un immediato ROI.<br />

Lo scorso anno abbiamo investito 30 milioni di euro nel<br />

nuovo centro di ricerca e sviluppo Robert-Jean De Vogüé<br />

in Champagne, ma non è dato sapere oggi quale sarà<br />

il ritorno di quell’investimento. Una cosa, però, so per<br />

certo: all’interno del più generale sforzo nel realizzare<br />

prodotti ancora migliori degli attuali e che si posizioneranno<br />

sul mercato a un prezzo ancor superiore, costruire<br />

l’immagine di una azienda responsabile, tanto che sia<br />

verso i propri partner, i consumatori o, non meno importante,<br />

i propri dipendenti, credo fermamente conduca a<br />

un ritorno. Ed è un ritorno d’investimento che si misura<br />

in reputazione, in risultati legati alla preservazione sul<br />

lungo periodo delle nostre terre, in lealtà e fiducia di chi<br />

lavora con noi e in una crescita della qualità di posizionamento<br />

dei nostri brand e dei prodotti. Questi, per me,<br />

sono tutti ritorni soddisfacenti se parliamo di business.<br />

Nel suo speech al World Living Soils Forum, lei<br />

ha sottolineato come nel mondo wine & spirits<br />

il tema della sostenibilità ambientale sia particolarmente<br />

avvertito: ma come fare affinché i<br />

diversi player trovino un’intesa per collaborare<br />

concretamente a riguardo?<br />

La collaborazione può nascere in tanti modi. Un’occasione<br />

di confronto come il nostro World Living Soils<br />

Forum è una di quelle, senza dubbio. Poi ci sono le associazioni<br />

di settore in ciascun Paese, che possono contribuire<br />

a elevare gli standard: così, ad esempio, tutti<br />

insieme possiamo stabilire che si limiti il più possibile<br />

l’uso della chimica o di fermare il ricorso agli erbicidi.<br />

Con questa spinta collettiva a livello internazionale da<br />

parte delle associazioni di settore, tutti nel mondo del<br />

vino e degli spirits si troverebbero in una situazione<br />

in cui sarebbero chiamati ad adeguarsi. E questo forzerebbe<br />

a sedersi attorno a un tavolo per individuare<br />

le modalità per raggiungere obiettivi comuni e identificare<br />

come fare le cose in maniera differente rispetto<br />

a quanto fatto finora. Oggi, però, è l’industria a dover<br />

compiere, a mio avviso, il primo passo e guidare il cambiamento:<br />

non possiamo aspettare che qualcuno faccia<br />

leggi cui doversi poi uniformare. Noi privati, in veste di<br />

protagonisti, dovremmo muoverci con soluzioni all’avanguardia<br />

fin da subito e procedere più velocemente<br />

anche degli stessi interventi legislativi.<br />

Uno sviluppo sostenibile implica non solo un<br />

modo diverso di produrre, ma anche una rivoluzione<br />

nelle modalità di consumo: il mondo<br />

del vino e i consumatori sono pronti a questo<br />

cambiamento?<br />

Quel che nel mondo del vino abbiamo osservato in<br />

questi ultimi anni, a livello globale, è una tendenza da<br />

parte dei consumatori a bere meno, ma più di qualità. E<br />

ricordiamo che anche a noi, in quanto industria, è stata<br />

affidata la responsabilità di promuovere un consumo più<br />

responsabile quando si parla di alcool. C’è dunque una<br />

sostanziale coerenza che lega lo sforzo d’incrementare il<br />

valore dei prodotti – in termini di qualità, di responsabilità<br />

ambientale e anche di prezzi – all’impegno nel favorire<br />

un consumo responsabile. E noi desideriamo che la<br />

gente sia sempre più “epicurea”, si goda le piccole grandi<br />

cose della vita in maniera ragionevole.<br />

Le nuove modalità d’acquisto che stanno<br />

prendendo piede, a iniziare dall’online, quanto<br />

possono contribuire nel mutare i paradigmi<br />

dei consumi?<br />

Il mondo dell’e-commerce, come dimostra perfettamente<br />

il caso di Tannico in Italia, possono giocare un ruolo decisivo<br />

nell’educare il consumatore. Se non sai cosa significhi<br />

vino di qualità o quale sia meglio acquistare, un sito come<br />

Tannico può offrire consigli oggettivi e presentare una panoramica<br />

di quel che il mercato propone. E così si aiuta a<br />

rendere il consumatore sempre più consapevole, in modo<br />

che capisca le differenze tra i prodotti e, nel tempo, elevi<br />

anche il valore dei propri acquisti.<br />

Da sempre, l’immaginario legato alla lotta per la<br />

preservazione dell’ambiente e a sostegno di uno<br />

sviluppo sostenibile vede una sostanziale contrapposizione<br />

tra piccole realtà e grandi società:<br />

ma è realmente così?<br />

C’è da sempre questo falso mito secondo cui le grandi società<br />

sono meno rispettose dell’ambiente rispetto ai piccoli<br />

produttori. Quel che posso dire, dal nostro punto di<br />

vista, è che noi siamo molto focalizzati sul tema. Aggiungo<br />

un’ulteriore considerazione, ma – attenzione – senza volere<br />

“fare a gara” su chi fa di più, perché ogni contributo<br />

aiuta una causa superiore. Mi domando: se non una grande<br />

società, quanti potrebbero organizzare un forum dove<br />

potersi concretamente confrontare sul tema della preservazione<br />

dei suoli? Se non una grande società, quanti potrebbero<br />

investire 30 milioni di euro in un nuovo centro<br />

di ricerca e sviluppo dedicato a incrementare le pratiche<br />

sostenibili? Chi può destinare risorse per l’acquisto d’innovativi<br />

trattori elettrici così da eliminare l’uso di erbicidi?<br />

E chi ha i mezzi per sviluppare pratiche sostenibili su<br />

larga scala? Si pensi che solo Ruinart ha creato un progetto<br />

di agroforestazione su 40 ettari di vigneto: se non si è una<br />

grande società, come si può dare vita a un’iniziativa così?<br />

E non parlo solo di Moët Hennessy: le grandi società, tutte<br />

quante, possono realmente guidare il cambiamento. E<br />

devono dimostrarlo con esempi concreti. Penso al progetto<br />

che stiamo portando avanti in Provenza con Château<br />

Galoupet, una piccola proprietà in cui stiamo investendo<br />

enormi quantità di risorse per trasformarlo in un paradigma<br />

di sviluppo sostenibile: non solo se si guarda la vigna,<br />

ma anche se si parla di forestazione, agricoltura biologica,<br />

preservazione della biodiversità, difesa delle api e tanto<br />

altro ancora. Una piccola azienda non ha i mezzi per fare<br />

tutto questo: noi grandi società possiamo – e dobbiamo<br />

– essere in prima linea. Ma il nostro impegno a guidare il<br />

cambiamento nulla toglie all’enorme sforzo che i business<br />

familiari portano avanti sul fronte della sostenibilità. Poi,<br />

faccio notare come noi grandi società, più di qualunque<br />

altra realtà, siamo costantemente posti sotto una lente<br />

d’ingrandimento: se facciamo qualcosa di sbagliato, immediatamente<br />

ci viene fatto notare. E anche per questa ragione<br />

non abbiamo scelta se non quella di essere esemplari<br />

nel nostro cammino per contribuire alla preservazione<br />

dell’ambiente. Ci sono davvero tanti quesiti che sul tema<br />

ancora non hanno trovato una risposta: così, non dobbiamo<br />

aver paura di dire che tanto c’è ancora da fare e che il<br />

nostro viaggio è solo all’inizio, come dimostra proprio il<br />

confronto al World Living Soils Forum, che ci ha aiutato a<br />

identificare quali siano le giuste domande da porci prima<br />

di poter individuare le migliori soluzioni.<br />

www.winecouture.it<br />

Tutte le sessioni della prima edizione di World<br />

Living Soils Forum organizzato da Moët Hennessy<br />

sono state rese disponibili online. È sufficiente<br />

registrarsi sul sito dell’evento per poter vedere le<br />

registrazioni on demand.<br />

Photo: Gatean Luci


5<br />

“L'INDUSTRIA DEVE<br />

GUIDARE IL CAMBIAMENTO”<br />

Philippe<br />

Schaus<br />

ON AIR<br />

Il gruppo LVMH chiama<br />

il settore wine & spirits<br />

alla mobilitazione, senza più<br />

attendere “interventi dall’alto”.<br />

Intervista a Philippe Schaus,<br />

Ceo e presidente di Moët Hennessy<br />

DI MATTEO BORRÈ


6<br />

FOCUS ON<br />

Viaggio nell’Italia<br />

del vino sostenibile<br />

Dalla Valtellina all’Etna, un percorso tra cantine<br />

e produzioni green del portfolio Sagna<br />

È<br />

un vino sempre più green quello che oggi trova<br />

spazio sulle tavole. Nel corso degli ultimi anni,<br />

infatti, le pratiche di tanti protagonisti del settore,<br />

dai big ai volti emergenti, si sono orientate<br />

verso approcci che ricercano la qualità in bottiglia<br />

attraverso un sempre più consapevole agire in vigna e<br />

cantina. E anche nei consumi, evidente è il trend verso la<br />

ricerca di un vino realmente sostenibile,<br />

in ogni aspetto del suo proporsi.<br />

Tanto che oggi gli studi indicano<br />

come ormai 1 italiano su 2 beva bio,<br />

categoria che vola anche a livello di<br />

vendite online. La sostenibilità si<br />

conferma elemento imprescindibile<br />

tra i valori che supportano gli acquisti,<br />

con specifico riferimento alla<br />

presenza del marchio bio. Ma sostenibilità<br />

è molto più della sola scelta<br />

produttiva incentrata sul biologico o<br />

il biodinamico. Sono tanti i suoi volti<br />

ed è importante comunicarli e condividerli<br />

con proposte capaci di delineare percorsi chiari.<br />

Questa la strategia impostata da Sagna nella sua risposta<br />

ai consumi che mutano e da interpretare: esattamente<br />

quanto fa, fin dalla sua fondazione nel 1928 da parte del<br />

Barone Amerigo Sagna, la società specializzata nell’importazione<br />

e distribuzione di Champagne, vini e distillati<br />

di pregio. Negli ultimi anni, con la quarta generazione<br />

DI MATTEO BORRÈ<br />

della famiglia, la filosofia aziendale di ricercare aziende<br />

familiari in grado di garantire con i loro prodotti qualità,<br />

serietà e continuità nel tempo, ha posto in evidenza la<br />

centralità del fondamentale tema della sostenibilità, che<br />

in fondo è riassunto perfettamente da questa costante<br />

aspirazione all’eccellenza. E così, nel tempo, hanno fatto<br />

il loro ingresso nel portfolio della realtà distributiva di Revigliasco<br />

Torinese cantine che offrono<br />

la possibilità di effettuare un vero<br />

e proprio viaggio nel calice, da Nord<br />

a Sud, nell’Italia del vino sostenibile.<br />

Mamete Prevostini, in Valtellina, si<br />

erge a simbolo della viticoltura eroica<br />

praticata lungo i muretti a secco della<br />

più ampia zona terrazzata d’Europa.<br />

Un territorio unico, dove il Nebbiolo<br />

assume profili caratteristici a seconda<br />

delle differenti aree in cui cresce, oggi<br />

più che mai all’avanguardia. A Postalesio,<br />

sorge la prima cantina certificata<br />

CasaClima Wine di Lombardia,<br />

progettata per lavorare l’uva a caduta naturale su 3 piani,<br />

per una superficie totale di 3000 mq. “È così efficiente<br />

che si può raffreddare con un cubetto di ghiaccio e riscaldare<br />

con un fiammifero”, spiega Mamete Prevostini (in<br />

foto). Parliamo infatti di una cantina a bassissimo consumo<br />

energetico, dove è garantita coibentazione e l’assenza<br />

di ponti termici: la temperatura e l’umidità sono così<br />

mantenute costanti per lo più in modo naturale, condizioni<br />

ideali per la maturazione e la conservazione del vino.<br />

Sono da sempre coltivati a vigna anche i versanti soleggiati<br />

della piccola valle di Cialla. Tanto che quest’isola<br />

felice nella zona Doc Colli Orientali del Friuli ha dato<br />

origine all’omonimo Cru. Un habitat naturale per Verduzzo,<br />

Picolit, Ribolla Gialla, Refosco dal Peduncolo<br />

Rosso e Schioppettino, vitigni della tradizione ancora<br />

oggi custoditi e valorizzati dall’Azienda Agricola Ronchi<br />

di Cialla. Proprio alla famiglia Rapuzzi si deve la rinascita<br />

di Schioppettino e Refosco, tanto che oggi, a conferma<br />

dell’importanza del lavoro compiuto, in uno dei più<br />

importanti vivai vitivinicoli, Rauscedo, si registra la presenza<br />

di una varietà che porta il loro nome. Tra le prime<br />

realtà ad adottare un’agricoltura integrata a bassissimo<br />

impatto ambientale, dal 2015 Ronchi di Cialla è certificata<br />

Biodiversity Friend sul 100% della superficie condotta<br />

e su tutta la produzione. “La stessa filosofia che adottiamo<br />

in vigna ci guida anche durante la vinificazione”, sottolinea<br />

la famiglia Rapuzzi. “È nostra convinzione che il<br />

vino è un prodotto della terra, figlio diretto di una trasformazione<br />

naturale. Pertanto, il nostro ruolo di vinificatori<br />

è quello di seguirlo nel suo preciso percorso di trasformazione<br />

ed affinamento, senza forzarlo e cercando di<br />

privilegiare ed esaltare la tipicità che ci è donata dal Cru”.<br />

Da un unico vigneto, un vino unico: queste le coordinate<br />

che definiscono il progetto di Rodolfo Migliorini<br />

per il Barolo Bussia Pianpolvere Soprano, proposto nella<br />

storica Riserva e dal 2020 in una variante “più giovane”.<br />

La fotografia irripetibile di 9 ettari di vigna che<br />

rappresentano una delle massime espressioni esistenti<br />

del Nebbiolo. E per esaltare ancor più l’impronta del<br />

territorio, la scelta di aderire al progetto Green Experience,<br />

che ha tra gli obiettivi lotta integrata, eliminazione<br />

totale dell’uso di diserbanti, inerbimento dei<br />

vigneti, sovescio, confusione sessuale del vigneto, utilizzo<br />

esclusivo di concimi organici. Tutte pratiche che<br />

contribuiscono a rispettare la terra e il suo ecosistema,<br />

conservando una produzione esclusiva rimasta nei secoli<br />

fedele a quel terroir di cui mostra le migliori virtù.<br />

Ha inizio nel 1974, quando Giuseppe Castiglioni acquisisce<br />

una piccola tenuta dismessa tra le colline di Greve<br />

in Chianti, la storia di Querciabella. Dal primo ettaro<br />

nella soleggiata campagna di Ruffoli, nel tempo l’azienda<br />

si è arricchita di vigneti selezionati in Chianti Classico<br />

e in Maremma, fino a raggiungere gli oltre 100 attuali<br />

a certificazione biologica e condotti secondo i dettami<br />

dell’agricoltura biodinamica al 100% vegana. “Siamo la<br />

prova che garantire l’equilibrio naturale non solo è del<br />

tutto possibile”, evidenzia Sebastiano Cossia Castiglioni,<br />

proprietario della realtà toscana, “ma anche necessario<br />

per produrre vini pregiati che veramente rispettino<br />

il territorio”. Il principio fondamentale alla base della<br />

filosofia di Querciabella è l’equilibrio. “Solo così si possono<br />

produrre vini di alta qualità e dal marcato carattere<br />

territoriale”. E questo per la cantina si traduce nel preservare<br />

la diversità ecologica dell’ecosistema del vigneto<br />

e di ciò che lo circonda, ma soprattutto nel consentire a<br />

ogni vigna di esprimere il suo naturale e pieno potenziale.<br />

Un racconto di biodiversità che sul versante nord dell’Etna,<br />

in contrada Santo Spirito, frazione Passopisciaro,<br />

scrivono coi loro vini anche Mimmo e Valeria Costanzo.<br />

All’interno del Parco Naturale dell’Etna, un palmento<br />

ottocentesco in pietra lavica ha ripreso vita attraverso un<br />

restauro conservativo. Le etichette che vi prendono forma<br />

sono incontro di antiche tecniche di vinificazione e le moderne<br />

tecnologie, tra vasche termoregolate in acciaio inox,<br />

Ovum, botti Stockinger e anfore. Intorno alla cantina, circa<br />

14 ettari di vigneto, con piante condotte in regime biologico<br />

e preparati biodinamici. Viti prefillosseriche, approccio<br />

parcellare, rispetto per il terroir, nessun vitigno internazionale,<br />

ma spazio solo agli autoctoni che hanno reso l’Etna<br />

celebre: questi i pilastri su cui si fonda la produzione di<br />

Palmento Costanzo. Un altro esempio di un vino green,<br />

ma soprattutto radicato nel territorio: perché solo così il<br />

termine sostenibilità si riempie davvero di significato.<br />

Photo: Lidio Vannucchi


8<br />

ZOOM<br />

L’anima autoctona<br />

di Albino Armani<br />

Saper “conservare”, trasmettendo valore al vino.<br />

Due progetti, la salvaguardia di un patrimonio<br />

tra Valle dell’Adige e Alta Grave Friulana<br />

DI MATTEO BORRÈ<br />

re della Terra dei Forti. La salvaguardia dell’identità di<br />

questa terra, collegamento tra il mondo mediterraneo<br />

e quello alpino ed europeo, dagli anni ’80 passa anche<br />

dal progetto con cui Albino Armani ha investito su alcune<br />

varietà reliquia: la “Conservatoria”, eredità della<br />

memoria di una viticoltura antica capace di superare<br />

mode e tendenze. Vitigni antichissimi – 13 sono quelli<br />

ospitati nello speciale vigneto che costeggia la cantina<br />

di Dolcè e lambisce le rive dell’Adige – che riportano in<br />

calice gusti dimenticati, riconducendo al mondo ancestrale<br />

della tradizione del Foja Tonda, vino dal potenziale<br />

immenso, e della uva autoctona Nera dei Baisi. Un<br />

ritorno alle origini del patrimonio ampelografico locale.<br />

Un racconto della Vallagarina trentina cui è restituita<br />

la propria unicità, preservandola dall’estinzione. “Il<br />

Foja Tonda Casetta Valdadige Terradeiforti Doc presenta<br />

una spiccata personalità, a tratti indomita, proprio<br />

come la gente della Vallagarina”, sottolinea Albino<br />

Armani. “Inizialmente si presenta ruvido, ma basta<br />

lasciargli un attimo che si ammorbidisce, restituendo<br />

tutta la bontà e la genuinità del proprio animo”. Discorso<br />

parallelo per la Nera dei Baisi, altro vino antico ma<br />

estremamente moderno nell’animo. “Con il suo colore<br />

rosso rubino brillante ammalia il degustatore”, riprende<br />

il produttore, “andando ad anticipare la freschezza<br />

che si andrà a percepire con tutti i sensi. In bocca, infatti,<br />

è fragrante e regala un perfetto intreccio di acidità e<br />

morbidezza, senza traccia di trama tannica. Un vino di<br />

Sono diverse le sfumature di significato del<br />

termine “conservare”. Si lega al concetto<br />

di “salvaguardare, non fare venire meno”,<br />

ma anche all’atto di “non aver perso, avere<br />

ancora”. E, poi, sempre in scia all’idea del<br />

“durare”, richiama a qualcosa da “preservare, custodire”.<br />

Molteplici sfaccettature del medesimo principio:<br />

lasciare in eredità un patrimonio che non va disperso.<br />

Una ricchezza che può assumere più volti: per<br />

l’universo del vino, sono quelli di un vitigno, di una<br />

tradizione produttiva o della vocazione di un territorio.<br />

“Conservare” è una parola che Albino Armani ha<br />

saputo declinare in numerose azioni, scelte, intuizioni<br />

nel corso degli anni. Lui, che proviene da una famiglia<br />

che da 15 generazioni (dal 1607, per la precisione) è impegnata<br />

a tramandare una delle più antiche storie del<br />

vino tricolore. Una narrazione che affonda le radici in<br />

oltre 400 anni di vigna e di passione di chi, sceso dal<br />

Monte Baldo in Trentino, ha saputo portare la propria<br />

filosofia produttiva prima in Veneto e, poi, in Friuli-Venezia<br />

Giulia. Una girandola di territori, dove mai è venuto<br />

meno lo spirito originario di una realtà che, oggi,<br />

è mosaico variegato che conta 5 tenute di proprietà e un<br />

totale di 370 ettari di vigneto. Terroir che non ammettono<br />

compromessi, dove il principio del “conservare” si<br />

è tramutato in investimenti specifici, dando forma ad<br />

altrettanti interventi nel segno della vera sostenibilità,<br />

quella del fare. A iniziare dal vigneto di “casa”, al cuogrande<br />

beva, con alcolicità misurata”. Una riscoperta,<br />

in un tempo in cui la specificità è l’elemento che eleva.<br />

Un’idea “replicata” con Terre di Plovia nell’Alta Grave<br />

Friulana. Una coppia di vini, cimeli dell’enologia che<br />

conducono alla scoperta della genetica viticola nel suo<br />

inscindibile legame col territorio. A Valeriano, Albino<br />

Armani ha portato il suo modo di lavorare – o meglio,<br />

di guardare – il vitigno, valorizzandone l’identità, sia<br />

genetica sia geografica. Non uno strumento di produzione,<br />

non un pozzo da esaurire, ma un elemento capace<br />

di “conservare” storia, cultura e varietà di un territorio.<br />

“Cosa rende un vino grande con la G maiuscola?”,<br />

il quesito che ha dato il via al progetto realizzato con<br />

Walter Filiputti. “Non il prezzo, non la fama, non i punteggi<br />

della critica, ma la sua capacità di portare il peso<br />

di un’identità e di comunicare il territorio che lo rende<br />

unico, perché nessun posto, nessuna cultura, nessuna<br />

tradizione è replicabile altrove”. E così le varietà internazionali<br />

“best seller” sono state chiamate, in un bianco<br />

e un rosso, a convivere con autoctoni “abbandonati”<br />

della tradizione. Flum Terre di Plovia è omaggio, in lingua<br />

friulana, al fiume: quel Tagliamento che influenza<br />

l’aria e tratteggia la terra della Grave. Un vino dove<br />

predomina lo Chardonnay, reso ancor più elegante<br />

dalla presenza di Friulano e di Sciaglin. Piligrin Terre<br />

di Plovia, invece, è richiamo alla storia di una terra di<br />

passaggio per i pellegrini diretti in Terra Santa. Il Piculit<br />

Neri, lungo il Cammino del Tagliamento, spartisce<br />

il palcoscenico con il Merlot, dando forma a un rosso,<br />

fresco connubio dove il frutto emerge con vitalità. Due<br />

etichette che tutelano la biodiversità di un territorio<br />

aspro come quello dell’Alta Grave Friulana, ridonando<br />

valore a un’intera zona, come ha poi ribadito anche il felice<br />

esperimento del Sauvignon Superiore Tenuta di Sequals<br />

Doc Friuli Grave 2020, così condotta nell’Olimpo<br />

di un universo del vino che è realmente sostenibile.


9<br />

C'è chi diventa sostenibile. E chi della sostenibilità, in ogni sua forma,<br />

ha fatto la propria bandiera fin dalla nascita. Un impegno coltivato,<br />

passo dopo passo, crescendo come azienda e comunità. Un impegno<br />

ora portato anche oltre i confini di “casa”, fin sui Colli Senesi del<br />

Chianti, a seguito dell’acquisizione di Casale III, tenuta in Val d’Elsa,<br />

in questo <strong>2022</strong>. Ma a Treviso rimangono le radici. Se Cantina Pizzolato ha festeggiato 12<br />

mesi fa il traguardo dei primi 40 anni di esperienza nel bio, la sua è storia di 5 generazioni<br />

di una famiglia da sempre legata alla terra e ai suoi frutti. Azienda agricola oggi trasformatasi<br />

in una moderna e strutturata holding, sono solo biologiche e Vegan le bottiglie che<br />

produce, avendo scelto fin da principio di seguire la via del bio, certificata dal 1991, agli<br />

albori dei primi regolamenti. Una strada che paga: lo dimostrano i numeri, che parlano di<br />

un fatturato 2021 record oltre i 20 milioni di euro, a evidenza che sostenibilità non è solo<br />

tema di vigna, ma della più ampia buona gestione di una quotidianità che genera il valore.<br />

“Questi numeri”, sottolinea Settimo Pizzolato, co-titolare della società, oggi composta dalla<br />

moglie Sabrina Rodelli e da Federico e Stefania Pizzolato, figli di Settimo, “sono il frutto<br />

di una precisa scelta valoriale: fare della sostenibilità l’asset di riferimento della nostra<br />

intera filiera. Proprio la nostra coerenza su questo fondamentale aspetto sta premiando<br />

un’azienda in continua evoluzione, che asseconda con progettualità le richieste di un mercato<br />

che sembra non seguire più dinamiche stabili e stabilite. Il 2021 è stato l’anno d’inizio<br />

per diventare società benefit e stiamo lavorando per ottenere la certificazione B-Corp<br />

con il nostro team di sostenibilità”. Già, perché l’impegno si coltiva, aggiungendo nuovi<br />

mattoni a una costruzione di cui i vini sono ambasciatori, in ogni dettaglio, di qualcosa “di<br />

più”. Diventare una Società Benefit, infatti, significa, oltre allo scopo di lucro, perseguire<br />

annualmente una o più finalità di beneficio comune, ossia degli obiettivi che abbiano un<br />

effetto positivo (o che ne riducano uno negativo) sulla collettività, sugli stakeholder che<br />

lavorano con l’azienda, sull’ambiente e sui territori. Questi sono passi che, ripercorrendo<br />

le orme nel cammino di Cantina Pizzolato in questi oltre 40 anni, già definiscono filosofia<br />

e progetti della realtà trevigiana. A renderlo ancor più evidente le iniziative che oggi si collocano<br />

al centro del proscenio, per originalità e capacità di trasformare in azioni concrete<br />

proprio quella parola “sostenibilità” da cui si è partiti. La prima è M-Use, racconto di un<br />

nuovo approccio alle forme, con una bottiglia preziosa quanto il suo contenuto. “M-Use”,<br />

infatti, è nome che racchiude in sé svariati significati, spaziando dalla musa, ispiratrice per<br />

eccellenza, al multiuso, risposta a una domanda che l’universo del vino poche volte fino ad<br />

oggi si è posto. Nata nel 2019 come bottiglia in cui design e tradizione vinicola hanno trovato<br />

la sintesi, rappresenta un’evoluzione del concetto stesso della filosofia bio perseguita<br />

da Cantina Pizzolato, che individua così una declinazione sostenibile anche nella “veste”,<br />

uscendo dalla concezione del “vuoto a perdere” ed inaugurando quella di un “vuoto a<br />

guadagnare”, inteso come occasione di nuova vita in forme legate alla quotidianità della<br />

casa o di un locale (la si pensi trasformata in abat-jour o elegante porta candele, ma anche<br />

bottiglia dell’acqua in tavola, per fare qualche esempio). Ma proseguendo oltre l’orizzonte<br />

marcato dalla linea M-Use, il traguardo dei primi 40 anni è stato celebrato nel 2021 con<br />

un ritorno alle origini in un impegno condiviso con i fornitori della cantina. Si tratta del<br />

progetto Back to Basic, gamma di vini capaci di ridurre al minimo l’impatto della filiera<br />

sull’ambiente. Questo significa concretamente: uve, vetro, tappo, capsula, etichetta e cartone<br />

d’imballaggio sostenibili per davvero. Il vino, in primis: biologico e Vegan, frutto di<br />

15 ettari dedicati in cui trovano dimora Raboso Piave, Pinot Nero, Pinot Grigio, Manzoni<br />

Bianco e Chardonnay, i vitigni che definiscono la linea. Il vetro, poi, Wild Glass brevetto<br />

di Estal, la cui miscela è composta per il 94% da materiale riciclato: 100% certificato Pcr<br />

(Post consumer recycled), consente una produzione a impatto ecologico estremamente<br />

ridotto. E ancora, il tappo scelto è il Twin Top Evo di Amorim Cork, in sughero, che permette<br />

di compensare un livello di CO2 pari a 297 grammi. Infine, etichetta e imballo: con<br />

la prima in carta Sabrage 100% riciclata, ottenuta dallo scarto della lavorazione dell’industria<br />

del cotone, e che sfrutta la tecnica del debossing per ridurre al minimo l’uso d’inchiostri,<br />

col colore inciso con lavorazione offset, ossia la meno impattante; mentre il cartone,<br />

stampato con colori a basso impatto ambientale, presenta il 79% di carte riciclate. Perché<br />

sostenibilità è oggi tema di contenuti, ma mai dimenticare l’importanza della forma.<br />

DI MATTEO BORRÈ<br />

L’economia circolare<br />

di Cantina Pizzolato<br />

M-Use, Back to Basic e certificazione benefit: un modello di business<br />

che guarda la forma e non solo il contenuto della parola sostenibilità<br />

INTERNI D’AUTORE


10<br />

NUOVI CODICI<br />

Il coraggio<br />

della concretezza<br />

Da Télos ai Single Vineyard di Tenuta Sant’Antonio,<br />

l’innovazione sostenibile secondo Famiglia Castagnedi<br />

DI MATTEO BORRÈ<br />

Il coraggio di puntare sull’innovazione sostenibile. Da sempre, questo l’imperativo a<br />

guidare Famiglia Castagnedi, realtà vitivinicola veronese d’eccellenza titolare della<br />

storica Tenuta Sant’Antonio. Un coraggio che l’ha condotta a imboccare, fin dalla<br />

nascita, la strada della concretezza, non quella dei proclami. Atti che si tramutano in<br />

pratiche, e soprattutto vini, sostenibili: il frutto di scelte strategiche, messe in opera<br />

nel tempo attraverso investimenti all’insegna dell’efficientamento che, dal vigneto alla<br />

logistica passando per la cantina, non hanno tralasciato alcun passaggio. Perché dietro a<br />

un’etichetta c’è un universo intero. Ci sono azioni che nel quotidiano raccontano di nuovi<br />

sistemi gestionali in comunicazione coi magazzini, dell’attuazione di nuove pratiche sostenibili<br />

figlie di ricerca e innovazione, di macchinari da Industria 4.0, con oltre 3 milioni<br />

di euro investiti per il triennio 2021/2023, in larga parte volti a rendere le operazioni sempre<br />

meno impattanti. Il coraggio della concretezza, infatti, ha i suoi costi, ma altrettanto<br />

importanti sono i ritorni, che si devono misurare. Perché il nuovo impianto di pigiatura,<br />

ad esempio, cambia profondamente la gestione dell’acqua all’interno della cantina, recuperando<br />

gran parte di quanto necessario al suo utilizzo fino ad arrivare a stimare una riduzione<br />

del 60% dell’acqua stessa utilizzata. Oppure, è da citare l’impegno per l’utilizzo di<br />

bottiglie esclusivamente da 500 e 600 grammi, con una riduzione stimata di circa il 30%<br />

del vetro: 3 Kg risparmiati ogni 10 rispetto ai precedenti formati. E, ancora, nel lavoro di<br />

ogni giorno, grazie al nuovo sistema gestionale a essere ridotto notevolmente è il margine<br />

di errore nelle operazioni che scandiscono il quotidiano dell’azienda, permettendo di<br />

concentrarsi sulle attività a maggior valore aggiunto. “Concepiamo la sostenibilità non<br />

solo dal punto di vista ambientale, ma anche sociale ed economico, abbracciando il benessere<br />

del consumatore e il rispetto dell’ambiente e delle persone che lavorano con noi: una<br />

responsabilità sociale verso il territorio e le comunità che vi abitano”, sottolinea Armando<br />

Castagnedi, titolare insieme ai fratelli di Tenuta Sant’Antonio. “Per questo abbiamo avviato<br />

un profondo percorso di evoluzione che ci sta portando verso un approccio sempre<br />

più sostenibile, e lo stiamo facendo in maniera estremamente concreta: abbiamo, infatti,<br />

allocato investimenti che ci porteranno ad avere nuove strutture, un’organizzazione della<br />

logistica più efficiente e delle pratiche in vigneto all’avanguardia, perché senza il coraggio<br />

d’innovare ogni sfida rimarrebbe irrealizzabile”. Così, i prossimi anni per Famiglia Castagnedi<br />

saranno dedicati ad abbracciare sempre più pratiche compatibili con l’ambiente e la<br />

comunità. “Crediamo che solo in questo modo saremo in grado di rispettare e valorizzare<br />

al meglio il territorio”. Quello stesso principio riproposto nel calice, anche in questo caso<br />

grazie a visioni strategiche dalla chiara impostazione. “Il percorso che stiamo portando<br />

avanti incarna i valori che da sempre ci contraddistinguono”, riprende Armando Castagnedi.<br />

“Dalla costante ricerca dell’innovazione e dell’eccellenza al coraggio di investire<br />

per rendere la nostra realtà sostenibile per noi e per il territorio. Tenuta Sant’Antonio,<br />

Télos e Scaia sono 3 espressioni autentiche della nostra visione enologica, accomunati<br />

dalla passione, dall’amore verso la nostra terra e dal profondo rispetto verso il benessere<br />

delle persone. Il successo che stiamo raccogliendo in tutto il mondo ci riempie d’orgoglio<br />

perché ad essere apprezzati non sono solo i nostri vini, ma sono il nostro lavoro quotidiano,<br />

le idee e la forza dei nostri collaboratori”. E l’innovazione paga, come dimostra<br />

in particolare l’avveniristico progetto di sostenibilità Télos, il vino senza solfiti aggiunti,<br />

in conversione biologica e anche certificato Vegan, che si pone l’ambizioso obiettivo di<br />

unire il pieno rispetto dell’ambiente con il benessere delle persone. La linea sta, infatti, vivendo<br />

un <strong>2022</strong> molto positivo, con una crescita in doppia cifra (+10,2%) nei primi 4 mesi<br />

dell’anno sullo stesso periodo 2021 e un aumento marcato per Télos L’Amarone (+69%).<br />

E se il successo passa dalla qualità, non meno decisiva è l’individuazione dell’eccellenza<br />

all’interno di ciascun terroir, come evidenziato dai Single Vineyard di Tenuta Sant’Antonio,<br />

ambasciatori del vino veronese nelle sue due anime simbolo: Valpolicella e Soave.<br />

Anch’essi protagonisti di un importante inizio <strong>2022</strong>, parlano del connubio tra impronta<br />

unica dei terreni e savoir-faire. “Puntiamo sempre più all’eccellenza e alla purezza dei nostri<br />

vini, capaci di esprimere con sempre maggior forza l’identità intima di Valpolicella e<br />

Soave”, chiosa Armando Castagnedi. “Siamo infatti convinti che prendersi cura del territorio<br />

ed esprimerne al massimo le caratteristiche siano aspetti fondamentali per uno sviluppo<br />

sostenibile delle comunità”. Perché dietro a un’etichetta c’è un universo intero.


11<br />

Accompagnare la vocazione di una terra, salvaguardandone l’identità,<br />

anche con prese di posizione radicali. Scegliere una strada che punta<br />

sempre in alto, tanto che si parli di qualità del vino, ma ancor prima di<br />

vigna. Già, perché quella di Col Vetoraz è stata fin dalla sua fondazione<br />

una storia intimamente legata a un territorio speciale: le colline di<br />

Valdobbiadene oggi Patrimonio Unesco. Al suo cuore, sul punto più alto del Cartizze,<br />

i 108 ettari più pregiati di vigneto compresi tra San Pietro di Barbozza, Santo<br />

Stefano e Saccol, sorge a quasi 400 metri la cantina. È qui<br />

che nel 1838 si è insediata la famiglia Miotto, votandosi<br />

alla coltivazione della vite. La storia “moderna” di Col Vetoraz<br />

prende però il via nel 1993, quando Francesco Miotto,<br />

assieme all’agronomo Paolo De Bortoli e all’enologo<br />

Loris Dall’Acqua, decide di dare vita all’attuale azienda<br />

vitivinicola, una realtà che ha saputo raggiungere, in pochi<br />

decenni, il vertice della Valdobbiadene Docg con una<br />

selezionata produzione di 1 milione e 250mila bottiglie.<br />

“Seguire scrupolosamente un metodo che preservi l’integrità<br />

espressiva del frutto di partenza è l’unico modo per<br />

riuscire ad ottenere gli equilibri e le armonie naturali che<br />

la vite ci ha donato”: questa è la visione sostenibile che da<br />

sempre anima le scelte di Col Vetoraz, come spiega Loris<br />

Dall’Acqua, amministratore delegato ed enologo dell’azienda trevigiana. Con la<br />

natura che viene accompagnata, di vendemmia in vendemmia, nella sua evoluzione,<br />

senza strappi o forzature, grazie a una filosofia di produzione che sceglie di non<br />

togliere né aggiungere nulla a quanto il grappolo trasmette. Una narrazione rigorosamente<br />

Valdobbiadene Docg, sviluppato per il 20% grazie a uve da vigneti di proprietà<br />

e per la parte restante coi frutti di 72 viticoltori di fiducia, scelti nel corso degli<br />

anni tra coloro che rispettano i precisi criteri qualitativi della cantina e ai quali è<br />

offerta una consulenza agronomica diretta. “Raccogliamo una quantità d’uva nettamente<br />

superiore ai nostri fabbisogni: tra il 30 e il 35% in più”, racconta Dall’Acqua.<br />

“Ed esigiamo che i nostri viticoltori sposino i principi produttivi dell’azienda per<br />

evitare, in fase di imbottigliamento, ogni tipo di addizione al vino. Lavoriamo esclusivamente<br />

con pulizie fisico-meccaniche fin dalla pigiatura e non facciamo ricorso<br />

ad alcun trattamento che possa alterare l’armonia naturale del vino. Sono infatti<br />

convinto che eleganza, armonia ed equilibrio siano la chiave della piacevolezza dei<br />

nostri spumanti”. Principi che nel calice si declinano in interpretazioni<br />

Valdobbiadene Docg che spaziano dal Superiore<br />

di Cartizze al Dry Millesimato, passando per Extra<br />

Brut Ø, Brut ed Extra Dry, fino alle Cuvée 5 Extra Brut e<br />

Cuvée 13 Extra Dry. Etichette che indicano della simbiosi<br />

col territorio d’origine e di un suo scrupoloso ascolto. È<br />

l’orgoglio di un’identità da preservare e valorizzare ciò che<br />

Col Vetoraz mira, infatti, a comunicare. La peculiarità di<br />

una Denominazione: un territorio in cui da 8 secoli si coltiva<br />

la vite e all’interno del quale è nata, nel 1876, la prima<br />

Scuola Enologica italiana. Un anfiteatro naturale dove la<br />

Glera ha trovato il suo habitat ideale. Poi è la comprensione<br />

delle reali potenzialità di ogni singola partita delle uve raccolte<br />

manualmente, a garanzia dell’integrità del frutto e<br />

nel rispetto della pianta, a fare la differenza. E proprio nella selezione per zonazione<br />

passa il messaggio che ha condotto, dalla vendemmia 2017, alla rinuncia definitiva<br />

da parte della cantina trevigiana del termine Prosecco, preferendogli la sola indicazione<br />

Valdobbiadene Docg. “Noi produciamo ciò che siamo”, chiosa Dall’Acqua, “e<br />

in ogni calice dei nostri spumanti ci sono le nostre radici, quelle di una terra che ci<br />

ha visto nascere ed evolvere”. È la storia di un vino con un orizzonte ben preciso: il<br />

traguardo di puntare sempre più in alto.<br />

DI MATTEO BORRÈ<br />

La scelta di puntare in alto<br />

Alla sommità del Cartizze, dove Col Vetoraz ha deciso<br />

di non togliere né aggiungere nulla<br />

a quanto il grappolo trasmette<br />

VISIONI


12<br />

EXPERIENCE<br />

Uno studio in Blànc<br />

Contadi Castaldi firma una nuova cuvée,<br />

figlia di 20 anni di ricerche sul Pinot Bianco. Per<br />

un’interpretazione contemporanea della Franciacorta<br />

DI MATTEO BORRÈ<br />

terreni molto freschi e minerali che conferiscono particolare<br />

energia al vino. Non solo acidità, quindi, ma anche<br />

tempra e carattere. Vigne vecchie, in grado di esprimersi<br />

in maniera chiara, nitida e limpida. Blànc 2018 è attenzione<br />

estrema al dettaglio. “Abbiamo lavorato su tecniche di<br />

natura fisica e non chimica, dalla vigna alla cantina”, spiega<br />

Gian Luca Uccelli. “Abbiamo osservato come il peso specifico,<br />

la densità, il ph, cambiassero anno dopo anno e ci<br />

siamo adeguati ai cambiamenti dell’uva, che sono figli dei<br />

cambiamenti climatici di questi 20 anni. Abbiamo ascoltato<br />

la natura e ci siamo piegati ad essa, cercando di ottenere<br />

il meglio dalle nostre vigne, che hanno un’età media<br />

di 35 anni, radici profonde e forti che scavano nel cuore<br />

della terra, per catturare tutta la mineralità necessaria per<br />

questa cuvée”. Ma cosa rappresenta questo nuovo stadio<br />

nell’evoluzione dell’azienda franciacortina? “Contadi è<br />

una cantina da sempre all’avanguardia, capace di interpretare<br />

i cambiamenti climatici, introdurre nuovi paradigmi<br />

stilistici e anticipare le tendenze legate al mondo food”,<br />

sottolinea l’enologo. “Il nostro Blànc oggi è esattamente la<br />

sintesi di questi fattori: l’interpretazione contemporanea<br />

della Franciacorta. Abbiamo studiato e approfondito, abbiamo<br />

osato e ricercato nelle annate più difficili la chiave<br />

di volta per capire meglio lo Chardonnay, il Pinot Nero e<br />

oggi il Pinot Bianco. Il Blànc è l’evoluzione che si fa vino.<br />

Un vino delicato e raffinato, che riporti ad un’eleganza<br />

moderna, minimale, geometrica e che rappresenti un ragionamento,<br />

un percorso, un viaggio. Nessuna forzatura,<br />

nessuna interpretazione, solo la verità di un vino e del suo<br />

territorio”. È nata una nuova icona in Franciacorta.<br />

C’<br />

è un nuovo nato in casa Contadi Castaldi. Si chiama Blànc<br />

ed è figlio della vendemmia 2018. Ma dietro a nome ed<br />

etichetta si nasconde molto di più, in questa bollicina che<br />

ha fatto il suo esordio in occasione di Vinitaly dopo anni<br />

di studiata “incubazione”. Già, perché quando si parla di<br />

Metodo Classico nulla nasce mai per caso. E la cantina<br />

franciacortina del Gruppo Terra Moretti Vino lo ha voluto<br />

dimostrare una volta di più con questa nuova interpretazione<br />

frutto di un lungo percorso di ricerca e di studio.<br />

Un progetto che nasce da lontano, evoluzione del Soul<br />

Satèn, per un Extra Brut che si distingue per il suo carattere<br />

graffiante e deciso. Ci sono, infatti, voluti 20 anni di<br />

approfondimenti sul Pinot Bianco, a iniziare dal 2002, per<br />

trasformare in realtà questa nuova cuvée, asciutta, pulita e<br />

lineare. “Lo studio effettuato, in 20 anni, con il Soul Satèn,<br />

ci ha dato le indicazioni in merito agli Chardonnay da usare<br />

per un Blànc de Blancs capace di invecchiare ed evolvere<br />

nel tempo”, spiega a <strong>WineCouture</strong> Gian Luca Uccelli,<br />

storico enologo di Contadi Castaldi. “Una seleziona accurata<br />

di Chardonnay con capacità fuori dal comune uniti al<br />

Pinot Bianco, un vitigno dal carattere complicato, soprattutto<br />

in Franciacorta, ci hanno dato la possibilità di creare<br />

un vino molto teso, che nella vendemmia del 2021 si è rivelato<br />

in tutta la sua bellezza”. Cosa ha ricercato la cantina<br />

franciacortina è presto spiegato. “Il pensiero costante che<br />

ci ha mosso è stata la ricerca della pulizia e della naturalità<br />

estreme, che non potevano essere ottenute con il solo<br />

Chardonnay, ma ci siamo arrivati impiegando il Pinot<br />

Bianco”, riprende Uccelli. “E il Pinot Bianco è un vitigno<br />

dal carattere difficile, che va guardato a vista e studiato a<br />

fondo, ma che se utilizzato nella giusta misura, è in grado<br />

di conferire al vino un’acidità tagliente, che mai avremmo<br />

ottenuto con il solo Chardonnay”. Ed ecco che la trasformazione<br />

prende corpo. “Siamo passati così dall’estrema<br />

morbidezza e complessità del Soul Satèn”, evidenzia l’enologo,<br />

“al cuneo tagliente e alla freschezza del Blànc, un<br />

vino nuovo, accattivante senza essere banale, una bella<br />

soddisfazione”. È una vera e propria selezione quella da<br />

cui Blànc prende vita: “20/37” il moderno geroglifico e<br />

sintesi di questa cuvée. Un calcolo numerico dove il primo<br />

valore sta per il numero minimo di selezioni di vendemmia,<br />

segno distintivo di una scelta lineare, indirizzata a<br />

specifici appezzamenti, mentre la seconda cifra indica un<br />

mosaico di vigne di almeno 35 anni. E si tratta di una ricerca<br />

minuziosa, capillare e mirata, che ogni anno può cambiare<br />

– perché una vendemmia non è uguale ad un’altra<br />

– con un algoritmo deciso dall’azienda, pescando da un<br />

patrimonio di vigne che crescono in ambiti differenti, con


13<br />

Un Vinitaly “Restart”: così è stato definito l’appuntamento andato in scena<br />

dal 10 al 13 aprile scorsi tra i padiglioni di Veronafiere, a sancire il ritorno<br />

ufficiale della manifestazione al suo format originale. Ed è stato un<br />

evidente successo di pubblico e di business quello dell’edizione numero<br />

54, che ha segnato il record storico d’incidenza di buyer esteri in rapporto<br />

al totale ingressi: i 25.000 operatori stranieri (da 139 Paesi) hanno rappresentato<br />

infatti il 28% del totale degli operatori arrivati in fiera, pari a<br />

88.000. Ma è stato un Vinitaly “Restart” non solo per la riapertura delle<br />

porte di stand e padiglioni. Dopo due anni di “incubazione silente”, il reale<br />

ritorno è stato sancito anche dalla passerella di novità che hanno fatto il<br />

loro debutto proprio a Verona. Nelle pagine che seguono ne abbiamo selezionate<br />

alcune destinate al mondo Horeca, in un viaggio tra innovazione<br />

e tradizione, mix di spumeggianti esordi e di colorate interpretazioni di<br />

uvaggi classici o riscoperti. Ecco a voi la Collection di <strong>WineCouture</strong> dedicata<br />

alle novità più curiose viste a Vinitaly <strong>2022</strong>.<br />

COLLECTION


14<br />

Un Sangiovese dalla veste candida. Inusuale<br />

alternativa, che oggi si rinnova, in terra di Gallo<br />

Nero. Sangiò Rinascimento Igt Bianco<br />

Lecci e Brocchi rappresenta una nuova visione<br />

aziendale di un vino dedicato a Giovanni,<br />

dove il nome del vitigno vinificato in bianco si<br />

fonde a quello del figlio dei titolari, terza generazione<br />

in cantina: San-Giò. Un simbolo della<br />

realtà di Castelnuovo Berardenga, biologica<br />

dal 2019, nata nel 1970 per volere di Vasco<br />

Lastrucci – detto “il Chiorba” – quando decise<br />

di comprare, dal parroco di Villa a Sesta, il<br />

podere adiacente al Paese, denominato Lecci<br />

e Brocchi. Intenso, complesso e fine al naso,<br />

in bocca il sorso, freschissimo e sapido, regala<br />

una lunga persistenza. Per un vino dall’ampio<br />

margine d’invecchiamento in bottiglia,<br />

cavallo di razza che trova facilmente abbinamenti<br />

a tavola con tutti i tipi di pesce,<br />

formaggi freschi e carni bianche.<br />

COLLECTION<br />

Un simbolo del Brunello e di Montalcino<br />

plasma una nuova storia. E nel calice porta<br />

il risultato di 9 anni di sperimentazione in<br />

collaborazione con l’Università di Pisa. Senza<br />

Solfiti Igt Toscana Rosso 2021 Fattoria<br />

dei Barbi è Sangiovese in purezza, frutto<br />

di un progetto di ricerca che esclude l’uso<br />

dell’anidride solforosa e l’aggiunta di ogni<br />

prodotto chimico. Un volto di Toscana differente<br />

e vino “sola tecnologia aggiunta”. Il<br />

capostipite di una nuova tipicità montalcinese?<br />

Solo il tempo potrà dirlo. Oggi parla<br />

la lingua di una polpa carnosa, con l’aspetto<br />

fruttato a riempire la bocca accompagnato<br />

da una piacevole e balsamica acidità. Ideale<br />

come aperitivo, anche leggermente fresco, ad<br />

accompagnare formaggi freschi a pasta filata<br />

e salumi o verdure grigliate.


15<br />

Un’interpretazione più agile e scattante di<br />

quel Vulture che storicamente è patria<br />

di grandi rossi da affinamento. Vino<br />

per tutti i giorni da accompagnare<br />

a primi piatti ricchi, il Bariliott<br />

Aglianico del Vulture Doc<br />

Paternoster è novità che porta<br />

in tavola un omaggio “diverso”<br />

all’agro di Barile, luogo di<br />

nascita della cantina lucana.<br />

Un ritorno alle origini con una<br />

nuova veste per questo 100%<br />

Aglianico, vitigno che si esprime<br />

nelle sue peculiarità fin dal<br />

primo sorso, con la presenza<br />

di un tannino morbido e giovane<br />

a regalare piacevolezza e<br />

bevibilità. Giovane, gioviale,<br />

immediato, dalla buona freschezza<br />

e sapidità al palato che<br />

lo rendono particolarmente<br />

piacevole e succoso, per un primo<br />

incontro con il Vulture e lo<br />

stile Paternoster.<br />

COLLECTION<br />

Autentico, autoctono, biologico, ma soprattutto pronto a sfidare ogni stereotipo:<br />

nasce tra Mazara del Vallo e Trapani, “al sole” come recita – richiamo al dialetto<br />

del luogo – il nome della cantina, il Fiordispina Perricone Rosato Sicilia Doc<br />

Biologico Assuli. Dal cuore di Contrada Carcitella, un’espressione fuori dagli<br />

schemi, innovativa interpretazione in rosa di quel Perricone che è vitigno versatile<br />

tutto da riscoprire, ma soprattutto espressione reale di una Sicilia del vino<br />

nuova e diversa. Gradevole, piacevolmente ambiguo, come il personaggio del<br />

celebre poema cavalleresco Orlando Furioso cui si rifà, Fiordispina è racconto<br />

moderno di una lunga tradizione. Con il suo palato piacevolmente fresco e sapido<br />

è la neonata alternativa di tendenza al “classico” calice, adattandosi a molteplici<br />

abbinamenti e rivolgendosi a chi si dimostra aperto a nuove esperienze di gusto.


16<br />

COLLECTION<br />

Una tra le realtà più dinamiche nel panorama<br />

enologico del Conegliano Valdobbiadene conferma<br />

la sua fama con un vino della tradizione,<br />

che unisce alle più moderne conoscenze enoiche<br />

i segreti tramandati da nonno Osvaldo.<br />

Springo Green Conegliano Prosecco Superiore<br />

Docg Brut Nature Sui Lieviti 2021<br />

Le Manzane è spumante sostenibile, con un<br />

basso residuo zuccherino, ma soprattutto richiamo<br />

alla prima versione, “col fondo”, delle<br />

bollicine nate tra le colline Patrimonio Unesco.<br />

Poco più di 4000 le bottiglie realizzate<br />

dalla famiglia Balbinot con le uve provenienti<br />

da un vigneto certificato Sqnpi<br />

nel borgo di San Michele, frazione del<br />

Comune di San Pietro di Feletto.<br />

Filari che poggiano su un terreno<br />

rossastro, ricco di ferro, dalle<br />

caratteristiche uniche capaci<br />

di lasciare un’impronta<br />

nel calice che si traduce in<br />

profumi floreali e delicati.<br />

Mentre le uve raccolte<br />

a settembre inoltrato, in<br />

leggera surmaturazione,<br />

offrono a Springo Green<br />

spessore e intensità. Per<br />

un ritorno al passato, ma<br />

con il sapere di oggi, a<br />

regalare la versione la più<br />

integra possibile del Prosecco<br />

Superiore.<br />

Arriva da Farra di Soligo il nuovo Valdobbiadene Prosecco Superiore<br />

Docg Sui Lieviti Brut Nature 2020 La Farra. Rifermentato in bottiglia,<br />

senza sboccatura, è spumante che rappresenta un ritorno alle origini: alla<br />

forma tradizionale di produzione del vino più bevuto al mondo, qui nella<br />

peculiare interpretazione che le ha voluto dare la cantina dei fratelli Innocente,<br />

Adamaria e Guido Nardi. Armonioso, gradevole e longevo, “Sui lieviti”<br />

è frutto, prodotto in sole 4500 bottiglie, di passione e dedizione, ma<br />

soprattutto del desiderio di mostrare un’altra interessante sfaccettatura del<br />

Valdobbiadene Prosecco Superiore. Una bollicina da maneggiare con cura<br />

prima del servizio, a seconda che la si desideri velata o limpida nel calice, e<br />

che esprime al meglio le sue caratteristiche entro 3 anni dalla vendemmia.


17<br />

Una delle più iconiche interpretazioni del savoir-faire enologico di Valdo<br />

nella sua versione originale, edizione speciale che ritorna in occasione delle<br />

celebrazioni per la 40esima vendemmia. Nato nel 1982, il Cuvée di Boj<br />

Valdobbiadene Docg ha rappresentato una delle prime bollicine con dosaggio<br />

Brut sulle colline del Prosecco Superiore. Oggi, questo best-seller capostipite<br />

della rinnovata collezione Atelier, gamma che regala ai segreti del<br />

passato un nuovo futuro, si presenta senza vincoli nella variante omaggio<br />

Cuvée di Boj Vintage Valdo, millesimato dedicato al suo ideatore: Bruno<br />

Bolla. Ed è proprio la ricetta originale a essere riproposta: blend di 75%<br />

Glera e 25% Chardonnay che racconta com’è cambiata stilisticamente nel<br />

corso dei decenni quella che si sarebbe dimostrata un’intuizione di grande<br />

successo. Un ritorno al futuro, grazie al recupero dell’uvaggio degli inizi,<br />

per uno spumante Brut che si spinge oltre il tempo stesso e le convenzioni<br />

attraverso l’unione tra l’eleganza dello Chardonnay e la fresca dinamicità<br />

della Glera. Edizione limitata di poco meno di 12.000 bottiglie, a riaccendere<br />

i riflettori sulla tipicità e l’eccellenza delle uve dell’antica località “valle<br />

dei buoi”, zona vocata dalle straordinarie caratteristiche territoriali situata<br />

nella frazione San Pietro di Barbozza.<br />

COLLECTION


18<br />

COLLECTION<br />

Dopo le bollicine, un fermo, per proseguire nel cammino innovativo<br />

intrapreso. L’eclettico e poliedrico Martin Foradori Hofstätter rilancia<br />

con la sua linea di prodotti senza alcol. Il nuovo Steinbock Alcohol Free<br />

Selection Dr. Fischer nasce da un’attenta selezione, in vigna e in cantina,<br />

di uve Riesling Kabinett della Mosella. Poi, a intervenire è l’innovativo<br />

processo di distillazione sottovuoto, che preserva i delicati aromi della<br />

materia prima, eliminando l’alcol contenuto. Non provocazione, bensì<br />

avanguardia. Questo bianco fermo dealcolizzato, infatti, è figlio di un<br />

obiettivo ben preciso: offrire un’alternativa a chi non può o non vuole bere<br />

alcolici. Per non rinunciare alla qualità, in nessun caso.<br />

Una nuova etichetta che colora le “Collezioni” di un delicato rosa provenzale. Un vino elegante<br />

e fresco, ottenuto da uve Schiava e Lagrein, parzialmente dealcolato con un processo naturale<br />

indotto attraverso la tecnica a membrana per osmosi. Rosa Rosé Partially Dealcoholized Cantina<br />

Bolzano è l’ultima novità firmata dall’azienda delle famiglie conferitrici bolzanine. Un nuovo<br />

ambasciatore di Cantina Bolzano, pronto a regalare emozioni primaverili fin dal primo sguardo.<br />

Prodotto in 20.000 bottiglie, con i suoi apprezzabili 9 gradi alcolici, è sintesi perfetta di aromaticità e<br />

moderna eleganza nel bere. Al palato, risulta decisamente equilibrato, per un vino contemporaneo e<br />

gentile, dove l’acidità ben integrata a una buona mineralità dona freschezza al sorso, mentre le note<br />

morbide dell’ottimo connubio tra fiore e frutto gli regalano una bella bevibilità.


19<br />

COLLECTION<br />

Storia di 2 territori, limitrofi ma diversi, complementari ma separati: mondi a sé nonostante l’esigua lontananza che li divide, come dimostrano le recenti novità.<br />

È una duplice anima quella di Castello di Luzzano, realtà un po’ lombarda e un po’ emiliana, con l’orizzonte delle colline che delinea e delimita confini, anche<br />

vinicoli. Un racconto di 2 province che oggi si fa più ricco: arrivano, da una parte, la Barbera Oltrepò Pavese Doc 2019 Luzzano 270, dove il numero racconta<br />

dell’altitudine dove trovano dimora le selezionate vigne da cui prende vita, dall’altra il Gutturnio Colli Piacentini Doc Riserva 2017 Romeo, 60% Barbera e<br />

40% Bonarda, classico reinterpretato per una Riserva speciale e dal nome romantico e appassionato, com’era quel contadino cui è stato dedicato. Vini con quel<br />

qualcosa in più, come evidenziano a prima vista anche le loro etichette, sfacciatamente impattanti ed energiche nei colori, firmate dall’eclettico Fabrizio Sclavi.


20<br />

COLLECTION<br />

La chiave d’accesso, come immediatamente<br />

evidenzia l’iconica bottiglia, per<br />

comprendere un’idea: di vino e d’impresa.<br />

Three Dreamers Appassimento by Fantini<br />

racchiude in sé la storia stessa di un’azienda<br />

e di tre sognatori: Valentino Sciotti,<br />

Filippo Baccalaro e Camillo De Iuliis. È<br />

da uve Montepulciano d’Abruzzo biologiche<br />

appassite, selezionate nel Vigneto<br />

di Cantalupo, che nasce questo rosso<br />

che “mutua” la tecnica produttiva<br />

dell’Amarone. Nuova ammiraglia<br />

del Gruppo Fantini,<br />

massima espressione della<br />

sua enologia, è vino<br />

carnoso, pieno e ricco,<br />

ben vivacizzato dalla<br />

sapidità e dal perfetto<br />

bilanciamento tra tannini<br />

vellutati e acidità.<br />

Il compagno ideale per<br />

lunghe conversazioni.<br />

Il Virdis Igt Vino Biologico 2021 Pighin è racconto di vitigni resistenti. Nuova avanguardia<br />

di un orizzonte del vino che si amplia. Bianco 100% biologico da un protagonista<br />

della tradizione vinicola friulana, fin nel nome rimanda alla sua anima “green”.<br />

Una produzione dall’elevata sostenibilità ambientale che si fonda sulle varietà Furtai<br />

(base Friulano), Nepis e Ritos (base Sauvignon Blanc), vitigni capaci di resistere a peronospora<br />

e oidio, le due malattie della vite più temute dai viticoltori, non necessitando<br />

di trattamenti. Fresco, minerale, delicato, equilibrato con una leggera sapidità al palato,<br />

al naso Virdis regala note primaverili con un bouquet floreale e leggermente fruttato.<br />

Ideale accompagnamento ad antipasti e primi a base di pesce, uova e formaggi<br />

non stagionati, aumenta di personalità, se ben conservato, in un arco tra i 2 e i 3 anni.


22<br />

Cosa ti porti dietro dall’esperienza maturata in<br />

6 anni alla guida di Vivino Italia?<br />

Senza dubbio, l’aver vissuto da protagonista tutto quel<br />

che sta dietro l’avvio di una start-up. E mi riferisco al<br />

più banale senso dell’affermazione: dall’aprire la partita<br />

Iva al conto in banca di una nuova azienda, ma anche<br />

impostare da zero una nuova realtà adattando le linee<br />

guida del format al contesto italiano. Gli anni in Vivino,<br />

per me, hanno rappresentato fin dall’inizio più che le<br />

semplici responsabilità di un country manager: è stato<br />

un vero grande amore per una creatura che ho contribuito<br />

a far crescere. E ancora oggi sono il primo sostenitoa<br />

sottolineare che, proprio in conseguenza dei rapporti<br />

che si sono rinsaldati con le aziende in questo periodo,<br />

mai abbiamo anche solo pensato di approfittare del<br />

momento per domandare più sconti: questo è qualcosa<br />

che ancora ora mi viene riconosciuto e di cui sono fiero.<br />

Archiviato il capitolo Vivino, qual è la nuova<br />

avventura che ti attende?<br />

Torno a vestire i panni dell’imprenditore. Sotto tanti punti<br />

di vista, non vedevo l’ora. Sono entrato in società con<br />

Gilberto Maggi, creatore di Italyorg Sales Management<br />

Srl (in foto, a destra), una delle agenzie di riferimento a<br />

livello nazionale quando si parla di direzione canale e<br />

consulenza nella distribuzione di vino all’interno della<br />

Gdo. Ma la società è anche proprietaria di un’altra realtà,<br />

Centoterre Srl, che detiene suoi brand e di cui mi occuperò<br />

più direttamente. Con questa azienda, siamo noi che<br />

produciamo vini, proponendo nostre etichette e dando<br />

vita anche a progetti di private label. Ma non solo: Centoterre<br />

Srl offre anche quel servizio di direzione canale e<br />

consulenza nella distribuzione che caratterizza Italyorg<br />

Sales Management, ma al mondo dell’online. E così metto<br />

a frutto l’esperienza di questi ultimi 6 anni, cercando al<br />

contempo di far crescere la familiarità dell’universo vino<br />

italiano con il digitale. E questa avventura nasce da un’intuizione<br />

di qualche tempo fa da parte di Gilberto Maggi.<br />

NEW BUSINESS<br />

“L’omnicanalità non<br />

deve far paura”<br />

La sfida dopo Vivino Italia di Mauro Bricolo:<br />

aiutare le cantine ad affrontare le insidie<br />

della gestione di diversi canali, iniziando dall’online<br />

Quale?<br />

Poco più di 5 anni fa, Gilberto Maggi mi ha fatto notare<br />

dinamiche che vedeva in Gdo simili, se non uguali, a quelle<br />

che cominciavano a svilupparsi al tempo nell’online.<br />

Parliamo di pricing, sviluppo commerciale dei prodotti e<br />

margini. Così abbiamo cominciato a collaborare, riproponendo<br />

lo stesso schema della Gdo sull’online. E nel tempo,<br />

questo esperimento ha avuto un successo incredibile,<br />

tanto che alcune delle etichette inserite hanno rappresentato<br />

dei veri e propri best-seller su Vivino. Oggi, la dinamica<br />

funziona anche al contrario: la Grande distribuzione<br />

domanda novità al di fuori dei nomi altisonanti e guarda ai<br />

brand che hanno avuto successo online, dove si può ritrovare<br />

una marginalità corretta per tutti. Infine, Centoterre<br />

svilupperà anche una sua distribuzione, con consegne<br />

al dettaglio sui singoli punti vendita della Gdo: al momento<br />

abbiamo già siglato un’intesa con 2 grandi catene.<br />

D<br />

al 2016, Mauro Bricolo ha guidato l’ingresso di Vivino sul<br />

mercato italiano, plasmando una delle realtà di maggiore<br />

successo in campo digitale nel settore. Oggi, svestiti i panni<br />

del manager, ha scelto d’indossare quelli dell’imprenditore,<br />

dando il via a un progetto che punta a coniugare<br />

l’ambito digitale a quello fisico, il mondo dell’e-commerce<br />

con il retail, il vendere con il produrre e il distribuire.<br />

DI MATTEO BORRÈ<br />

re di quella che ritengo un’invenzione pazzesca, che ha<br />

realmente ampliato gli orizzonti di tanti appassionati.<br />

In termini di risultati, sei soddisfatto di quanto<br />

avete raggiunto con Vivino Italia?<br />

Assolutamente sì. Partendo da zero siamo arrivati tra i<br />

primi 5 player in termini di fatturato annuo, pur avendo<br />

un format totalmente diverso dagli altri e-commerce<br />

presenti sul mercato. Abbiamo sempre lavorato con<br />

flash sale, quindi senza la possibilità di sfruttare i benefici<br />

dell’avere un magazzino. Questa modalità regala<br />

il bello dell’immediato smercio del prodotto, ma preclude<br />

d’intercettare una fetta importante di mercato.<br />

Cosa presuppone operare con le flash sale?<br />

Perdi in termini di fidelizzazione tra consumatore e<br />

prodotto, ma guadagni in ottica di rapporto tra cliente<br />

e azienda: perché l’utente si fida delle tue scelte.<br />

La pandemia che effetto ha avuto sull’online<br />

nel mondo del vino?<br />

Ha portato a un vero e proprio boom, per tutti. Sono<br />

stati anni frenetici. Personalmente li ho vissuti davvero<br />

in prima linea, con le aziende che chiamavano e noi<br />

in Vivino Italia sempre pronti a rispondere alle loro esigenze,<br />

che poi si riassumeva in una: vendere. Così abbiamo<br />

creato occasioni realmente interessanti di business,<br />

tanto per le cantine, quanto per Vivino Italia. E ci tengo<br />

Siete attivi anche nel mondo dello Champagne,<br />

giusto?<br />

Esatto. Abbiamo preso un mandato d’importazione con<br />

un altro best-seller di Vivino. Si tratta del via di un progetto<br />

che abbiamo in mente per portare in Italia, sul canale<br />

online, nuovi brand di Champagne a un costo più<br />

contenuto rispetto a quelli attualmente sul mercato.<br />

Dopo l’online e la Gdo, quando arriverà<br />

il momento di un servizio dedicato al canale<br />

Horeca?<br />

Ci stiamo lavorando, per capire come aiutare in una distribuzione<br />

quelle realtà che sono prive di una rete vendite<br />

sul canale o la vorrebbero ampliare. Ma ci prenderemo<br />

il tempo per fare le cose come si deve. Oggi, davanti alla<br />

scoperta dell’omnicanalità da parte del mondo vino, serve<br />

professionalità per approcciare ogni canale. Noi proprio<br />

questo offriamo: la certezza dei posizionamenti e<br />

di essere ascoltati nei diversi ambiti in cui operiamo.


23<br />

I primi ambasciatori<br />

del vino<br />

Un vero successo il debutto del Concorso<br />

“Miglior Enotecario d’Italia”<br />

organizzato da Aepi in collaborazione con Vinarius<br />

RICCARDO COLLETTI<br />

darsi i partecipanti su varie prove, la collaborazione<br />

dei Consorzi che hanno deciso di aderire e diventare<br />

sponsor della competizione: Consorzio Tutela Vini<br />

dei Colli Orientali del Friuli Ramandolo, Consorzio<br />

Vini Doc delle Venezie, Consorzio Vini Alto Adige,<br />

Consorzio Vino Chianti Classico, Consorzio di Tutela<br />

Vini Cirò e Melissa, Consorzio Vino Toscana, Consorzio<br />

di Tutela Vini del Trentino, Consorzio Tutela<br />

Vini Colli Euganei, Consorzio Tutela Vini Valpolicella<br />

ed Enoteca Regionale del Barolo. E nella finalissima,<br />

Una “prima” di successo. Come testimonia<br />

anche il lungo elenco di padrini<br />

che hanno scelto di tenere a battesimo<br />

questa nuova competizione finalizzata<br />

ad accendere i riflettori sulla figura e la<br />

professionalità dell’enotecario. Ed è il migliore della<br />

categoria quello che ha voluto andare a scovare il<br />

Concorso “Miglior Enotecario d’Italia”. Un contest<br />

organizzato da Aepi (Associazione Enotecari Professionisti<br />

Italiani), in collaborazione con Vinarius (Associazione<br />

Enoteche Italiane) e con il patrocinio del<br />

Mipaaf. Un momento non solo di “sfida”, ma soprattutto<br />

di confronto, nato con l’obiettivo di dare un vero<br />

e proprio palcoscenico alla categoria ambasciatrice<br />

del mondo del vino e dei prodotti alcolici in generale.<br />

“Il concorso punta ad essere un’occasione di dialogo<br />

all’interno della categoria”, aveva sottolineato Francesco<br />

Bonfio, presidente di Aepi, nel lanciare l’iniziativa.<br />

“Un’occasione ad hoc per dare forma ed espressione<br />

di quali sono le reali e molteplici capacità che gli<br />

enotecari professionisti possono mettere in campo”.<br />

E questo si è dimostrato: un’occasione “per celebrare<br />

l’esperienza quotidianamente introdotta da ogni singolo<br />

professionista nella scelta del prodotto, nella capacità<br />

di proposta, nell’attitudine a comunicare con<br />

competenza e disponibilità di dialogo, dimostrando<br />

serietà e grande attenzione alle esigenze del consumatore”.<br />

Fondamentale, nel percorso che ha visto sfiseguita<br />

a momenti di alta formazione possibili grazie<br />

alla partnership con il Comité Champagne e il Consorzio<br />

del vino Brunello di Montalcino, a competere<br />

sono stati 3 finalisti per la categoria bottiglierie classiche<br />

(Filippo Carraretto, Padova, La mia Cantina;<br />

Andrea Lauducci, Ferrara, Enoteca Botrytis; Mattia<br />

Manganaro, Brescia, Biessewine) e altrettanti sfidanti<br />

per la categoria dei pubblici esercizi specializzati nella<br />

mescita di vino e distillati (Luca Civerchia, Jesi Ancona,<br />

Enoteca Rossointenso; Pietro Palma, Prato, To<br />

Wine; Luca Sarais, Milano, Cantine Isola). A emergere<br />

vincitori Luca Sarais dell’enoteca con mescita Cantine<br />

Isola di Milano e Filippo Carraretto della bottiglieria<br />

La Mia Cantina di Padova, incoronati dalla giuria capeggiata<br />

dal giornalista Stefano Caffarri e composta<br />

da Chiara Giovoni, Leila Salimbeni, Cristian Deflorian<br />

e Giuseppe Vaccarini. “Siamo orgogliosi di aver<br />

premiato le competenze, le conoscenze e le capacità di<br />

questi professionisti”, evidenzia Bonfio. “Questo non<br />

è stato solamente un concorso, ma anche un momento<br />

d’incontro per l’intera categoria, un momento di formazione<br />

e miglioramento. Luca e Filippo sono bandiera<br />

di questo mestiere per le loro competenze e per il<br />

loro saper confrontarsi con il cliente, per la loro capacità<br />

di interfacciarsi con i produttori dando precedenza<br />

alla cura del dettaglio e all’ascolto”. Sotto l’egida del<br />

Consorzio della Valpolicella, poi, nominato anche il<br />

Miglior Enotecario d’Italia all’estero, con il premio<br />

andato a Daniele Leopardi dell’Enoteca Tentazioni a<br />

Parigi. “Parigi, dove sei in cima al mondo con gli onori<br />

e gli oneri che ne derivano, è da sempre uno zoccolo<br />

duro per il consumo dei vini francesi: sapere di avere<br />

un professionista capace di rappresentare così bene<br />

l’Italia e i suoi vini all’estero ci fa sicuramente onore”,<br />

riprende Bonfio. Il riconoscimento speciale, promosso<br />

dal Consorzio Chianti Classico, come miglior Under<br />

30 è andato infine a Filippo Carraretto, per un prestigioso<br />

double. Ma tanti sono gli astri nascenti della<br />

categoria che si sono messi in luce, come ribadisce il<br />

presidente Aepi: “Nelle varie fasi del concorso abbiamo<br />

potuto scoprire come le nuove generazioni stiano<br />

dando un approccio nuovo, moderno e dinamico alla<br />

professione e come stiano sempre più diventando dei<br />

veri ambasciatori del vino italiano con grande professionalità.<br />

Abbiamo visto giovani formati, capaci di relazionarsi<br />

con il cliente valorizzando le caratteristiche<br />

di ogni prodotto. I giovani enotecari italiani ci stupiranno<br />

sempre di più, ne sono sicuro”. In alto i calici,<br />

allora, e un brindisi ai primi ambasciatori del vino.<br />

PROTAGONISTI


24<br />

GIRAMONDO<br />

La Provenza in<br />

bottiglia (di plastica)<br />

Château Galoupet lancia un Rosé in PET che mette<br />

in discussione lo status quo nel mondo del vino<br />

DI MATTEO BORRÈ<br />

te percepibile, che sarà confermata appena decideremo<br />

di riporre la bottiglia in frigo, dove occuperà in maniera<br />

ancor più razionale metà dello spazio di una dalla forma<br />

tradizionale. Infine, la curiosità, di comprendere i perché<br />

ci sia spinti così “oltre”: sono pronti il consumatore e chi<br />

vende il vino a una proposta di questo tipo? Su questo<br />

abbiamo interrogato Jessica Julmy, managing director di<br />

Château Galoupet (in foto), che ci ha spiegato gli orizzonti<br />

di un progetto nato in un santuario per la biodiversità<br />

che si pone l’obiettivo rappresentare un modello<br />

per la viticoltura biologica e un faro per la sostenibilità<br />

secondo Moët Hennessy. Château Galoupet, infatti, è<br />

Cru Classé de Provence in transizione verso una gestione<br />

bio dal 2020, che a maggio di quest’anno ha presentato<br />

le sue prime due etichette: Galoupet Nomade 2021,<br />

per l’appunto, e Château Galoupet Cru Classé Rosé<br />

2021. “Château Galoupet è stato acquisito da LVMH 3<br />

anni fa”, spiega a <strong>WineCouture</strong> Jessica Julmy. “E prima<br />

dell’arrivo di Moët Hennessy è sempre stato un progetto<br />

che ha subito una mancanza d’amore”. Fin da principio,<br />

l’attuale proprietà si è resa conto che i 69 ettari di vigneti<br />

e i 77 ettari di aree boschive protette che si affacciano<br />

sulle isole d’Oro della Costa Azzurra rappresentano un<br />

ecosistema davvero unico nel suo genere. Gli investimenti<br />

per preservare la biodiversità della tenuta rappresentano,<br />

così, parte integrante nel lavoro di creazione del<br />

portfolio vini. “Con Château Galoupet abbiamo scelto<br />

di andare a costruire la nostra propria storia. Non ab-<br />

Parliamo di Rosé. Anzi, di un Rosé ben preciso,<br />

diverso da tutti gli altri. Parliamo di<br />

un Rosé che è specchio di un progetto ben<br />

preciso, rinascita di un Domaine, e anche<br />

di un più generale nuovo corso di Gruppo<br />

nel mondo del vino. Un mondo, però, che non è chiaro<br />

se oggi è pronto ad accogliere questo Rosé che ha scelto<br />

di mettere in discussione lo status quo, presentandosi in<br />

una bottiglia di plastica. Ma c’è di più: una bottiglia diversa<br />

dalle altre anche nell’aspetto, con la sua inusuale<br />

forma piatta. Stiamo parlando di Galoupet Nomade, che<br />

con l’annata 2021 oggi debutta sul mercato. Una novità<br />

sbarcata in Italia grazie a Tannico, dove è in vendita da<br />

inizio giugno a un prezzo al pubblico di 25 euro, e firmata<br />

da quel Château Galoupet che rappresenta una delle<br />

ultime acquisizioni di Moët Hennessy in Provenza, terra<br />

promessa per i Rosé. L’incontro “ravvicinato” tra questa<br />

rivoluzione in rosa e chi scrive avviene in occasione della<br />

prima edizione del World Living Soils Forum, organizzato<br />

dal gruppo LVMH l’1 e il 2 giugno ad Arles (ne potete<br />

leggere alle pagine 4 e 5 su questo numero di <strong>WineCouture</strong>).<br />

E il primo approccio a Galoupet Nomade non ha<br />

potuto che generare sensazione contrastati. Lo stupore,<br />

immediato, davanti a un prodotto firmato da un brand<br />

del lusso che sceglie un packaging distante da quello che<br />

ne rappresenta il normale percepito e posizionamento. Il<br />

fascino, a fronte di qualcosa di davvero diverso, col suo<br />

design distintivo che attrae e la praticità immediatamenbiamo<br />

dei codici prestabiliti da seguire: siamo partiti da<br />

zero in ogni tappa del percorso, dalla terra al calice”. Un<br />

cammino fondato sull’idea di realizzare un grande vino<br />

di Provenza rispettoso al massimo dell’ambiente. “La<br />

scoperta fatta nell’interrogarci sul come, è stata che possiamo<br />

essere bio o diminuire il nostro utilizzo d’acqua,<br />

ma ciò che resta è che il 40% dell’impronta carbonica di<br />

un vino è rappresentata dal packaging”, sottolinea Jessica<br />

Julmy. “Di conseguenza, se non s’interviene in quest’area<br />

con soluzioni all’avanguardia, si distrugge quanto<br />

fatto in precedenza lungo la filiera”. Così il packaging<br />

ha assunto un ruolo centrale nell’ideazione delle novità<br />

all’esordio. “Per il nostro Cru Classé Rosé abbiamo voluto<br />

fare un grande vino capace di evolvere nel tempo: in<br />

questo caso, il vetro rimane il più nobile e giusto dei materiali<br />

per la conservazione del prodotto. Ma attenzione:<br />

abbiamo lavorato per alleggerire il peso della bottiglia e<br />

abbiamo scelto un vetro ambrato di 499 grammi, che integra<br />

naturalmente il 70% di materia prima riciclata. Ma<br />

se è stupendo proporre un Cru Classé realizzato interamente<br />

con uve di proprietà, l’impatto di una cantina in<br />

termini di sostenibilità rimane trascurabile se non tende<br />

la mano ai vigneron. E questo principio ha dato forma<br />

a Galoupet Nomade, un secondo vino che nasce innanzitutto<br />

da uve conferite. Con questo Rosé non abbiamo<br />

cercato un vino che si prestasse alla lunga conservazione.<br />

Da qui la riflessione su quale, tra le tante opzioni a<br />

disposizione, potesse essere la migliore soluzione in termini<br />

di packaging per diminuire l’impatto ambientale.<br />

Perché utilizzare il vetro, che pesa 10 volte di più, quando<br />

abbiamo a disposizione una bottiglia brevettata di solo<br />

63 grammi, la prima di forma piatta realizzata in PET da<br />

materia prima riciclata Prevented Ocean Plastic raccolta<br />

nelle zone costiere a rischio di inquinamento plastico.<br />

Anche a livello di pallettizzazione si tratta di un’idea sensazionale”.<br />

All’interno della bottiglia troviamo un Côtes<br />

de Provence Aoc, “un blend di Grenache con Cinsaul,<br />

Mourvèdre e Rolle”, spiega Jessica Julmy. “Nel Cru Classé,<br />

con cui non arriveremo a pieno regime produttivo se<br />

non attorno al 2034 per svilupparne la qualità in maniera<br />

adeguata, ritroviamo ancora le uve Grenache, ma poi<br />

abbiamo lavorato molto con il Tibouren, un vitigno della<br />

Provenza che abbiamo deciso di valorizzare, Syrah e<br />

Rolle, vinificati in maniera differente rispetto a quanto<br />

fatto in Galoupet Nomade”. Resta, però, il grand tema:<br />

il consumatore è pronto a una proposta così estrema in<br />

termini di packaging? “Se la soluzione che abbiamo scelto<br />

per Galoupet Nomade è la migliore? Non abbiamo<br />

sufficienti elementi per rispondere oggi. Può esserci una<br />

soluzione migliore? Chi ha un’idea a riguardo, si faccia<br />

avanti. La bottiglia di plastica può risultare culturalmente<br />

una scelta inconsueta in Paesi dalla tradizione vitivinicola<br />

molto forte alle spalle, come la Francia e l’Italia,<br />

ma non lo è assolutamente in altri contesti di mercato,<br />

come il Regno Unito o la Scandinavia, che neanche si<br />

pongono il problema se parliamo di un formato diverso<br />

dal vetro nel vino. Ma è necessario che il mondo del vino<br />

s’interroghi sull’argomento. E lo stesso vale per un altro<br />

tema scottante: il tappo a vite. È ora che il settore affronti<br />

questa conversazione e, poi, il tempo ci dirà”. Château<br />

Galoupet la sua scelta sostenibile l’ha già fatta.


25<br />

Dal 1° aprile, Manuel Reman, dal 2005 una lunga carriera in seno a Moët<br />

Hennessy, ha preso il posto di Margareth “Maggie” Henriquez alla guida<br />

di Maison Krug. Un testimone pesante, quello ricevuto. Ma il nuovo<br />

presidente di Krug ha idee chiare, soprattutto su cosa significhi lavorare<br />

per questa storica Maison, che il prossimo anno taglierà il traguardo dei<br />

primi 180 anni. A due mesi dal suo ingresso in azienda, abbiamo avuto occasione d’incontrarlo<br />

per un faccia a faccia in assoluta libertà, in cui col nuovo numero uno di Krug<br />

abbiamo parlato innanzitutto di mercato italiano e di che inizio d’anno sia stato dopo<br />

il boom del 2021 che ha esaurito le scorte per tutto il mondo Champagne. “È stato un<br />

inizio <strong>2022</strong> estremamente complicato, proprio come la fine dello scorso anno. In Krug,<br />

avremmo la capacità di vendere ancora più bottiglie, perché in cantina lo stock copre i<br />

7 anni dell’affinamento: dunque, sappiamo esattamente i quantitativi a nostra disposizione.<br />

Tuttavia, vendere di più oggi presuppone vedere mancare prodotto in futuro<br />

e non voglio assolutamente che questo accada. Neanche siamo tra quelli che decidono<br />

di diminuire i tempi d’affinamento per aver maggiore prodotto a disposizione per<br />

cavalcare l’onda delle vendite. Perciò, la nostra decisione oggi è di spendere le nostre<br />

energie nella scelta di quale Paese, canale e finanche cliente allocare le bottiglie”. Ma<br />

qual è il “segreto” per vedere crescere le proprie assegnazioni? “Nessun segreto, solo un<br />

criterio: a essere favoriti sono quanti meglio comprendono e interpretano la filosofia di<br />

Krug. Più che un problema, quello della carenza di bottiglie è una frustrazione. Ma è<br />

preferibile questo tipo di frustrazione al dovere rincorrere le vendite: perché è in quella<br />

circostanza che poi si commettono gli errori con promozioni che non costruiscono<br />

nulla in termini di posizionamento sul lungo periodo. In termini di sviluppo, una Maison<br />

come la nostra ritengo debba crescere attorno al 2% l’anno. Poi si giungerà a un<br />

livello in cui occorrerà arrestarsi, perché significherebbe andare oltre quelli che sono<br />

lo spirito e la filosofia stessi dell’azienda”. E l’Italia si può aspettare di vedere arrivare<br />

qualche bottiglia in più di Krug? “L’Italia, in parallelo al Giappone, sono i veri mercati<br />

di Krug. Perché ci sono consumatori che comprendono realmente i nostri Champagne.<br />

E soprattutto hanno un gusto sofisticato che riconosce i prodotti di valore. L’Italia è il<br />

Paese che ha creato il lusso e che coglie, valorizzandolo, quel principio d’artigianalità su<br />

cui si fonda tutta la storia e la filosofia di Krug. Tanto che durante la pandemia, quando<br />

abbiamo dirottato sul mercato italiano scorte di prodotto da altri contesti con trend in<br />

ribasso, la ricezione è stata straordinaria: l’Italia è il Paese che ha avuto la crescita maggiore<br />

nell’ultimo periodo. Dunque, proseguiremo nel sostenere il mercato italiano, che<br />

tra l’altro regala quello che, a mio avviso, è il miglior abbinamento con il nostro Champagne:<br />

Krug e Parmigiano Reggiano”. Qual è il bilancio di Manuel Reman dei primi<br />

giorni in Maison Krug? “Sono stati mesi di grande eccitazione e di tante emozioni. Tutti<br />

noi, all’inizio di una nuova avventura, ci immaginiamo come possa essere il debutto,<br />

ma personalmente non me lo aspettavo di tale intensità. Per far capire: il primo giorno<br />

del mio mandato l’ho passato con Julie Cavil, Chef de Cave di Maison Krug, che ha<br />

presentato l’assemblage della 177ma Édition di Krug Grande Cuvée, creata attorno alla<br />

vendemmia 2021, che poi è stata posta a riposare in cantina. Due giorni dopo, partenza<br />

per la Scozia per l’incontro con i referenti di quasi 100 Krug Ambassade. Infine, al termine<br />

della prima settimana, evento in Maison con un centinaio di nostri storici conferitori.<br />

Dunque, in 7 giorni ho assistito alla creazione del nostro Champagne, incontrato<br />

chi lo racconta nel mondo e conosciuto i partner che, da anche più di un secolo, ci forniscono<br />

le uve per dare vita ai nostri vini: in sintesi, l’Alfa e l’Omega”. Ma c’è qualcosa<br />

che pensa di dover cambiare? “Quando si prendono le redini di un’azienda, se si vede<br />

qualcosa che non funziona è bene immediatamente intervenire per cambiare. Non è<br />

però questo il caso di Krug: non vedo nulla che mi preoccupi. Al contrario: al momento<br />

abbiamo una domanda che supera la stessa produzione. Dalla Scandinavia all’Italia,<br />

la richiesta è una volta e mezza quella attuale. E la Corea, il Giappone e gli Stati Uniti<br />

sono tutti mercati in forte ripresa. Tutti sintomi che la Maison performa bene e che<br />

gli Champagne Krug sono grandemente apprezzati. Non ho, quindi, intenzione di fare<br />

cambiamenti in termini di strategia di brand, ma piuttosto batteremo il ferro proprio in<br />

relazione a questi nostri punti di forza per portare il marchio ancora più lontano”.<br />

DI MATTEO BORRÈ<br />

“L’Italia è il vero mercato<br />

di Krug”<br />

Intervista a Manuel Reman, nuovo presidente della Maison,<br />

che svela il “segreto” per vedere crescere le proprie assegnazioni<br />

CHAMPAGNE


26<br />

CHAMPAGNE<br />

Photo: Cecilia Buonagurelli, Première Italia<br />

Maison De Venoge<br />

tra le stelle (Michelin)<br />

Il tour per l’Italia che celebra Louis XV,<br />

il sovrano con cui nasce la storia moderna dello Champagne<br />

DI ANDREA SILVELLO<br />

Tre appuntamenti con le stelle per un anniversario speciale: “Noblesse oblige”.<br />

Così Maison De Venoge ha scelto una selezione dei più iconici tristellati<br />

Michelin d’Italia – Da Vittorio a Brusaporto, Enoteca Pinchiorri a Firenze<br />

e Uliassi a Senigallia – per celebrare una data storica. Ricorre, infatti,<br />

il 300esimo anniversario dell’incoronazione di Luigi XV, “il Beneamato”,<br />

a re di Francia, avvenuta il 25 ottobre del 1722 a Reims. E proprio a Louis XV Maison<br />

De Venoge ha dedicato, a far data dal lancio del 1995, la sua cuvée più prestigiosa. Ma<br />

cosa lega il sovrano allo Champagne? E perché Maison De Venoge gli ha dedicato la sua<br />

etichetta più preziosa? Perché a Luigi XV di Francia si devono i decreti, del 1728 e del<br />

1735, che resero possibile il trasporto e la vendita del neonato Champagne “saute bouchon”,<br />

dando il via a un’epopea che oggi racconta di 9 milioni 225mila bottiglie spedite<br />

solo in Italia. Per celebrare il “bien-aimé”, Maison De Venoge ha messo a confronto i<br />

gioielli della corona, con sorpresa sul primo millesimato della sua iconica cuvée. Se il<br />

copione degli abbinamenti a tavola è cambiato, secondo la creatività di chi era in cucina<br />

a ogni tappa, nel tour stellato la line up ha regalato solo emozioni. Per scaldare i motori,<br />

o meglio “avvinare i palati”, con gli amuse-bouche una delle ultime novità De Venoge,<br />

il Grand Vin des Princes 2014 Blanc de Blancs: elegante, fresco e minerale, Champagne<br />

100% Chardonnay da uve provenienti da villaggi solo Premier e Grand Cru, 7 anni sui<br />

lieviti, dosato 6 g/l. A tavola, poi, le principali annate della cuvée Louis XV, Grand Cru<br />

50/50 Chardonnay e Pinot Noir: Champagne che hanno in eleganza e precisione il filo<br />

conduttore, a caratterizzare nel migliore dei modi lo stile della Maison. Si parte dall’annata<br />

recente che più sta dando soddisfazioni, la mitica 2012, assaggiata sia in bianco sia<br />

in Rosé. La prima ha lasciato il segno al primo sorso: pronta da bere (e si continuerebbe<br />

senza stancarsi per l’intero pasto), saprà stupire negli anni. Il Rosé mostra un corpo più<br />

importante: la freschezza è unita a bella struttura e carattere. Gli amanti dei Rosé freschi<br />

ne apprezzano ora la facilità di beva, chi ha avuto il privilegio di assaggiare le vecchie<br />

annate non può dimenticare quanto oggi sia la 2006 sia la 2002 rappresentino bevute<br />

straordinarie che uniscono l’eleganza alla struttura e alla leggera ossidazione: si crea<br />

così il bilanciamento magico che posiziona queste bottiglie a un livello altissimo nello<br />

scenario dei Rosé. Il 2012 lo aspettiamo alla sfida del tempo e, siamo certi, non deluderà.<br />

Veniamo così alla 2008, annata mitica in Champagne che in molti considerano la migliore<br />

del nuovo millennio. Tra questa e la 2012, oggi la scelta ricade sulla seconda, ma si può<br />

dire che dopo qualche anno di assaggi (la sboccatura è 2018) la strada evolutiva che il<br />

vino ha preso riposando in bottiglia inizia a dare soddisfazioni: con i grandi Champagne<br />

non bisogna aver fretta. Il trittico finale, con le prime annate della cuvée de prestige, ci<br />

ha incollati alle sedie. Si parte dalla 1996, annata definita “estrema” dall’esperto Alberto<br />

Lupetti, perché l’unica in 300 anni di storia a mostrare alla vendemmia livelli di acidità<br />

e di maturità delle uve incredibilmente alti per la regione. Sboccatura 2020 per Louis<br />

XV 1996, 6 g/l il dosaggio: in bocca l’acidità e la lunghezza sul finale di beva la fanno da<br />

padroni. Il vino è complesso e le note evolutive si sentono. Un ottimo 1996, in linea alle<br />

caratteristiche che oggi esprimono i (migliori) 1996. Per chi scrive, però, il 1995 è il vero<br />

millesimo straordinario degli anni ’90 in Champagne. Con quest’ultima annata assaggiata,<br />

side-by-side, in sboccatura originale (2006) e tardiva (2021) in versione Louis d’Or.<br />

Entrambi i calici hanno un bellissimo colore dorato, bollicina fine, eleganza da vendere.<br />

Perfetto bilanciamento di evoluzione e freschezza. Un naso più evoluto verso note di pan<br />

brioche e caramello per la versione in sboccatura originale, note più fresche e vanigliate<br />

per la tardiva. Assaggiati e riassaggiati, entrambi i dégorgement si confermano straordinari,<br />

tra i migliori Champagne da poter bere oggi. Ma quanto ancora potrà dare negli<br />

anni Louis d’Or: dopo 26 anni sui lieviti, sboccato da solo un anno, è ancora un bambino<br />

che ha bisogno di farsi le ossa con la leggera e continua evoluzione in bottiglia. Grande<br />

e inatteso, a chiusura, l’abbinamento finale ai dessert, che ha stupito. Cordon Bleu Demi-Sec,<br />

dosato 34 g/l, vecchio lotto gelosamente custodito nella cave della Maison, base<br />

1990. Più di 25 anni di evoluzione nelle migliori condizioni in bottiglia. Lo zucchero si<br />

è perfettamente integrato al vino, note di caramello, crema e pasticceria. Bollicina fine<br />

e lunga persistenza in bocca. Se lo avessero servito alla cieca domandando il dosaggio,<br />

la risposta sarebbe stata: “Brut”, o poco più. E questa è la magia dello Champagne .


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5 a EDIZIONE


28<br />

vini devono sedurre sia il palato che l’occhio”. Madame<br />

Clicquot, nel 1818, in rottura con la tradizione,<br />

rivoluziona lo Campagne in rosa creando il primo Rosè<br />

per assemblaggio. Con i vini rossi che la celebre Maison<br />

“Inostri<br />

produceva dai vigneti di Bouzy decide di dare vita a un<br />

mix con i bianchi fermi ed ecco nascere un prodotto destinato all’imperituro<br />

successo. Lo scorso aprile, nella cornice di Identità Golose a<br />

Milano, lo Chef de Cave Didier Mariotti ha presentato il nuovo millesimato<br />

firmato Veuve Clicquot: La Grande Dame Rosé 2012.<br />

I vini contenuti in questo Champagne, vetrina dell’eccellenza<br />

Veuve Clicquot, provengono dagli storici Grand<br />

Cru della Maison. In questa produzione, il Pinot Noir<br />

di Ay, Verzenay, Verzy, Ambonnay e Bouzy trova la<br />

massima espressione verticale: rappresenta oltre il<br />

90% dell’assemblaggio, che viene poi arricchito da<br />

un 10% di Chardonnay proveniente da Avize e Mesnil-sur-Oger.<br />

Il 13% di Pinot Noir vinificato in rosso<br />

che fa parte dell’assemblaggio de La Grande Dame Rosé,<br />

invece, proviene esclusivamente dalla Parcelle Clos Colin, situata<br />

a Bouzy.<br />

La Parcelle Clos Colin è un terroir unico nel suo genere. In termini climatici,<br />

trae vantaggio da un livello superiore di energia luminosa, permettendo<br />

al Pinot Noir di maturare in anticipo. Qui, anche il suolo è<br />

molto diverso dal classico terreno gessoso della Champagne, che permette<br />

ai vini di mantenere la loro raffinatezza. Il suolo della Parcelle<br />

Clos Colin è composto da sabbia ed elementi grossolani, come selce e<br />

Burrstone, una roccia silicea. Questi materiali hanno un effetto drenante<br />

e quindi forti vincoli di disponibilità idrica, favorendo nelle uve la<br />

produzione di tannini e pigmenti molto ricercati nella creazione dei vini<br />

rossi più raffinati. Il terroir, così, produce vini rossi corposi e strutturati<br />

che donano forza e raffinatezza agli Champagne Rosé.<br />

In Veuve Clicquot, la vinificazione dei rossi raggiunge un livello particolarmente<br />

elevato, grazie a una lavorazione paragonabile al metodo<br />

tradizionale utilizzato per i vini di Borgogna. Solo un minimo tra i 7 e<br />

i 9 giorni di criomacerazione a 12°C consente l’estrazione dei tannini<br />

dall’uva e, soprattutto, dai vinaccioli. Questi aiutano a fissare il colore in<br />

modo naturale e svolgono un ruolo essenziale nell’invecchiamento<br />

degli Champagne, che acquisiscono complessità<br />

con il tempo. Ma cosa troviamo nel calice in La Grande<br />

Dame Rosé 2012? Si tratta di uno Champagne che<br />

esprime sin da subito una grande eleganza. Il colore è<br />

rosa granato, con bagliori ramati. Al naso, emergono<br />

note floreali che si evolvono verso una qualità più calda<br />

e speziata. Al palato, le note di frutti rossi e agrumi<br />

s’integrano alla perfezione creando profondità di beva,<br />

lunghezza e freschezza. La complessità del Pinot Noir in<br />

questo caso ha una spalla forte ma allo stesso tempo armoniosa<br />

e delicata. La Grande Dame Rosé 2012 si può bere con piacere<br />

anche adesso, ma si tratta di uno Champagne che saprà evolversi e<br />

arricchirsi anche grazie al passare del tempo.<br />

Un’ultima curiosità. La Maison ha scelto di presentare il nuovo millesimato<br />

in un esclusivo coffret, omaggio al savoir-faire e allo spirito innovativo<br />

ereditati da Madame Clicquot. In maniera inedita, La Grande<br />

Dame Rosé 2012 sarà dunque accompagnata dal Coteaux Champenois<br />

in rosso della cuvée Parcelle Clos Colin della stessa annata, per un’esperienza<br />

degustativa davvero unica.<br />

DI FRANCESCA MORTARO<br />

CHAMPAGNE<br />

Il ritorno (in rosa)<br />

de La Grande Dame<br />

Veuve Clicquot presenta il Rosé 2012 della sua cuvée simbolo<br />

in un’inedita accoppiata col Coteaux Champenois Parcelle Clos Colin


29<br />

Photo: Jean-François Robert<br />

Quanto ci vorrà per definire un “modello Perrier-<br />

Jouët” di viticoltura rigeneratrice?<br />

Tra 6 e 8 anni riusciremo a completare le prime ricerche<br />

e a individuare il metodo di lavoro che meglio possa<br />

rispondere alle nostre esigenze in termini di stile nella<br />

creazione dei vini. Poi sarà adattato, di contesto in contesto,<br />

in funzione delle vigne, a seconda dei suoli e della<br />

composizione dei terreni. Se parliamo di sostenibilità,<br />

però, personalmente trovo fondamentale mantenere<br />

una sostanziale coerenza anche a livello enologico. Per<br />

via del riscaldamento climatico abbiamo vendemmie<br />

che iniziano sempre prima, anche da agosto. E una delle<br />

mie recenti scelte è di lavorare su vini senza malolattica:<br />

da un paio d’anni, facciamo prove in cui li aggiungiamo<br />

in proporzioni limitate agli assemblaggi per cercare<br />

naturalmente un profilo di freschezza. Infine, c’è il non<br />

meno fondamentale aspetto del packaging.<br />

Un elemento che parla direttamente al consumatore<br />

finale del vostro impegno sostenibile.<br />

Esatto. Abbiamo lanciato il nostro eco-box in fibre naturali,<br />

una scatola riciclata e riciclabile dal peso 30% inferiore<br />

alla precedente versione. Esprime perfettamente il nostro<br />

desiderio di avere quella coerenza in tema di sostenibilità<br />

capace di coinvolgere ogni ambito della filiera. E lo stesso<br />

discorso vale anche quando con lo chef di Maison Belle<br />

Époque, Sébastien Morellon, ci confrontiamo sugli abbinamenti<br />

tra vino e cibo: lavoriamo allora sulla stagionalità,<br />

favorendo circuiti corti che coinvolgano fornitori locali.<br />

L’anima<br />

di Perrier-Jouët<br />

L’abbinamento perfetto, tra sostenibilità e viticoltura<br />

rigeneratrice. A tu per tu con Séverine Frerson<br />

M<br />

etti la possibilità di degustare le migliori bollicine francesi<br />

al cuore dell’Avenue de Champagne a Epernay. E di sorseggiare<br />

quel calice all’interno di un giardino dove la natura<br />

incontra la storia, circondati da opere d’arte che sono<br />

richiamo di un’epopea che si perpetua fin dai tempi della<br />

Belle Époque. Metti un invito a scoprire un’icona di stile<br />

senza tempo accompagnati dalla sua attuale artefice, la<br />

Chef de Cave di Perrier-Jouët, Séverine Frerson. Ed ecco<br />

un brindisi trasformarsi in confronto su cosa significhi oggi<br />

essere sostenibili in Champagne, anche negli abbinamenti.<br />

A distanza di 3 anni e mezzo dall’arrivo in Perrier-<br />

Jouët, qual è il suo personale bilancio?<br />

A ottobre saranno già 4 anni da Chef de Cave di Perrier-Jouët<br />

e lavorare per questa importante Maison, tanto<br />

che si parli di storia e arte, quanto della ricchezza del suo<br />

patrimonio enologico, rappresenta davvero il massimo:<br />

ancor più di quanto potessi immaginare quando ho iniziato.<br />

Perrier-Jouët, infatti, è una Maison con un’anima: lo<br />

percepisco ogni volta che percorro i corridoi, che sia del-<br />

DI MATTEO BORRÈ<br />

le cantine o in Maison Belle Époque. Tutto qui ricorda lo<br />

spirito dei fondatori che hanno costruito questi leggendari<br />

edifici in cui ho la fortuna di lavorare ogni giorno. E non<br />

c’è sfondo migliore che potrebbe ispirarmi per nuove creazioni<br />

capaci di perpetuare lo stile floreale che rappresenta<br />

la cifra stilistica di Perrier-Jouët. Personalmente, poi, mi<br />

ritrovo appieno, anche sul lato umano, nei valori su cui la<br />

Maison è stata costruita: quel sentimento di condivisione<br />

e quella volontà di indirizzare tutti insieme gli sforzi nella<br />

medesima direzione per raggiungere l’armonia capace di<br />

legare arte, natura e vino.<br />

Cosa significa sostenibilità per lei e per Perrier-<br />

Jouët?<br />

Per me è davvero l’essenza del pilastro “natura” che è uno<br />

degli elementi fondamentali su cui poggia tutto il lavoro<br />

che portiamo avanti in Perrier-Jouët quotidianamente. Ed<br />

è importante che questo sviluppo sostenibile sia coltivato<br />

con coerenza ogni giorno, dalla vigna al packaging. Non si<br />

deve parlare, infatti, di sostenibilità solo quando si fa riferimento<br />

all’ambito produttivo, ma è un messaggio che va<br />

condiviso fino al cliente finale. In Perrier-Jouët, questo “pilastro”<br />

ha una sua prima e più evidente espressione nel programma<br />

sperimentale di viticoltura rigeneratrice cui abbiamo<br />

dato il via lo scorso anno. Con questa iniziativa stiamo<br />

lavorando e al contempo studiando il suolo per osservarne<br />

le evoluzioni e comprendere meglio di cosa abbia bisogno<br />

per generare ancor più benefici per la vigna.<br />

Parliamo di abbinamenti: qual è quello con lo<br />

Champagne che ama di più a tavola?<br />

È il Blanc de Blancs, a mio avviso, la cuvée più gastronomica.<br />

E in Perrier-Jouët abbiamo la fortuna di presentare la<br />

versione classica e la Belle Époque. Si tratta di vini davvero<br />

magnifici su cui lavorare in tema di abbinamenti, in particolare<br />

se si parla di pesce. Ma un altro accompagnamento<br />

perfetto è coi formaggi: penso a qualche vecchia sboccatura<br />

o millesimato con del Parmigiano o del Comte affinato<br />

a lungo per avere quel grado di salinità che richiama il lato<br />

iodato del vino. Ma mi piace anche giocare con le diverse<br />

texture di ciascun piatto, da quella croccante a quella più<br />

grassa, per rivelare i diversi volti di uno Champagne.<br />

Ma nella ricerca dell’abbinamento preferisce<br />

partire dal vino o dal piatto?<br />

Parto dal vino. Con Sébastien Morellon passiamo molto<br />

tempo a degustare le differenti cuvée per comprendere<br />

l’ossatura di ciascun Champagne. Sempre insieme, poi,<br />

costruiamo l’abbinamento capace di sposare le caratteristiche<br />

peculiari di ciascuna etichetta in termini di floralità,<br />

struttura e texture.<br />

Trovare la giusta combinazione negli abbinamenti,<br />

oggi, è diventato più difficile in un mondo dove<br />

la cucina è sempre più incontro di culture diverse?<br />

Sono nuove esperienze quelle che si fanno cercando di<br />

adattarsi a ciascun Paese. E così si trovano accostamenti<br />

audaci e sorprendenti, come per il manzo, così diffuso<br />

nella cucina statunitense, associato a un rosé coi suoi frutti<br />

rossi. Ma interessante è anche la sfida che regala lavorare<br />

sugli abbinamenti con i piatti orientali, più speziati.<br />

C’è un vino, fuori dalla Champagne, da cui trae<br />

ispirazione nel suo lavoro di Chef de Cave?<br />

Ci sono degli Chardonnay di Borgogna che ricordano la<br />

floralità dello stile Perrier-Jouët. Vi ritrovo quella caratteristica<br />

tensione in cui spiccano i sentori di caprifoglio<br />

e di fiori di tiglio. Ma poi, attraverso<br />

i viaggi, mi piace sempre<br />

molto confrontarmi con le<br />

diverse produzioni locali,<br />

facendomi ispirare proprio<br />

dai differenti approcci che<br />

caratterizzano le diverse regioni<br />

viticole.<br />

CHAMPAGNE


30<br />

Pizza e vino: tra<br />

Fresco di Masi<br />

e Giolina<br />

l’abbinamento è naturale<br />

Isole e Olena è francese:<br />

Epi sbarca in<br />

Chianti Classico<br />

Da Ca’ di Rajo al Friuli:<br />

i fratelli Cecchetto lanciano<br />

Aganis<br />

I fratelli del Raboso conquistano il Friuli. Dall’acquisizione<br />

di una realtà da tempo dismessa nei pressi di Borgo Salariis<br />

a Treppo Grande, in provincia di Udine, nasce Aganis<br />

il nuovo progetto di Simone, Fabio e Alessio Cecchetto,<br />

i giovani alla guida della trevigiana Ca’ di Rajo. Un investimento<br />

pari a 5 milioni di euro per i prossimi 5 anni è<br />

l’impegno economico preventivato per l’avvio della nuova<br />

cantina che punta su varietà autoctone, come Refosco e<br />

Friulano, enoturismo e sostenibilità.<br />

TITOLI DI CODA<br />

Format vincenti e un abbinamento naturale: nel<br />

vero senso del termine. A dare forma a un connubio<br />

che lega i grandi simboli del made in Italy<br />

a tavola, vino e pizza, sono Masi, riferimento<br />

dell’universo Amarone e tra i produttori tricolore<br />

principe nella categoria delle etichette premium,<br />

e Giolina, locale milanese noto per la sua creatività<br />

gourmet e l’animo rock. Una partnership che<br />

lancia un messaggio al mondo, grazie a un’intesa<br />

business e comunicativa per la prima volta strutturata.<br />

L’Italia nel piatto e quella nel calice si ritrovano<br />

in un progetto che mira ad esprime l’anima<br />

innovativa e la competenza tecnica dei due brand,<br />

rispondendo alle nuove abitudini di consumo.<br />

Non a caso, il protagonista attorno cui tutto ruota<br />

è il rivoluzionario Fresco di Masi, innovativa linea<br />

bio “per sottrazione” per cui è stato studiato un abbinamento<br />

ad hoc con le pizze creative di Giolina.<br />

“L’abbinamento pizza e vino è un ottimo sposalizio<br />

e rappresenta il non plus ultra della convivialità<br />

informale”, sottolinea Raffaele Boscaini, direttore<br />

marketing di Masi. Il più naturale degli incontri,<br />

che si declina in bianco e in rosso con Fresco di<br />

Masi. “Una linea di vini bio, vegani, freschi e fruttati,<br />

prodotti per sottrazione, ovvero minimizzando<br />

l’intervento dell’uomo sulla natura”, spiega il<br />

brand ambassador di Masi Agricola, Giacomo<br />

Boscaini (in foto). “Vini capaci d’intercettare le<br />

esigenze delle nuove generazioni, e non solo, tra<br />

cui il consumo low alcol”. Promosso dall’intesa è<br />

un concetto di naturalità tout-court: un tuffo nel<br />

passato, vero e proprio ritorno alle origini, inno<br />

alla contemporaneità. “Quando è nata Giolina”,<br />

spiega Ilaria Puddu (in foto), founder insieme al<br />

socio Stefano Saturnino, “la nostra idea è stata<br />

quella di puntare solo su vini biologici e naturali.<br />

Devo ammettere che il riscontro è stato molto<br />

positivo, tanto è vero che oggi ai tavoli dei nostri<br />

clienti si vendono molti più calici di vino che bicchieri<br />

di birra. Credo che il vino sia in assoluto il<br />

miglior abbinamento per la pizza ed è sempre un<br />

piacere incontrare aziende<br />

che con i loro prodotti<br />

riescono a sposare la<br />

mia idea. Fresco di<br />

Masi è un prodotto<br />

perfetto per la pizza:<br />

sa di casa, di genuinità,<br />

di convivialità”.<br />

I “francesi” del Brunello Biondi-Santi (e dei volti storici<br />

della Champagne Piper-Heidsieck e Charles Heidsieck)<br />

sbarcano in Chianti Classico. Epi, gruppo familiare<br />

indipendente di proprietà e gestito da Christofer<br />

Descours, ha comunicato di aver acquisito da Paolo De<br />

Marchi e famiglia la tenuta Isole e Olena, una delle più<br />

importanti e storiche cantine nella Toscana del Gallo<br />

Nero. De Marchi manterrà il suo ruolo di enologo della<br />

realtà chiantigiana, mentre Giampiero Bertolini, attuale<br />

amministratore delegato di Biondi-Santi, assumerà la<br />

responsabilità operativa diretta di Isole e Olena in qualità<br />

di nuovo AD, occupandosi di entrambe le proprietà.<br />

Le Famiglie Storiche<br />

ricambio al vertice,<br />

le nomine<br />

Pierangelo Tommasi è il nuovo presidente de Le Famiglie<br />

Storiche. Riceve il testimone alla guida del gruppo<br />

da Alberto Zenato, capofila nell’ultimo triennio<br />

dell’Associazione nata nel 2009 e che oggi riunisce 13<br />

storici produttori di Amarone: Allegrini, Begali, Brigaldara,<br />

Guerrieri Rizzardi, Masi, Musella, Speri, Tedeschi,<br />

Tenuta Sant’Antonio, Tommasi, Torre d’Orti,<br />

Venturini e Zenato. Pierangelo Tommasi avrà come vicepresidenti<br />

Giuseppe Rizzardi, dell’azienda Guerrieri<br />

Rizzardi, e Luca Speri, dell’azienda Speri, con Alberto<br />

Zenato e Marilisa Allegrini a comporre il CdA. E novità<br />

anche per L’Antica Bottega del Vino, dal 2010 proprietà<br />

dei membri dell’associazione, al cui vertice arriva<br />

Sabrina Tedeschi: insieme a lei, Francesco Allegrini<br />

è stato nominato vicepresidente, Giacomo Boscaini e<br />

Antonio Cesari consiglieri.<br />

Confcooperative FedAgriPesca:<br />

Carlo Piccinini<br />

nuovo presidente<br />

È Carlo Piccinini il nuovo presidente di Confcooperative<br />

FedAgriPesca. 49 anni, modenese, è uno dei protagonisti<br />

del mondo del vino nel suo incarico di vicepresidente della<br />

cantina sociale di Carpi Sorbara. Piccinini subentra al<br />

numero uno uscente Giorgio Mercuri. Il quadro delle nomine<br />

di Confcooperative FedAgriPesca è completato con<br />

i 4 vicepresidenti Paolo Tiozzo, Giovanni Guarneri, Vincenzo<br />

Patruno e Davide Vernocchi. Il consiglio nazionale<br />

ha inoltre proceduto ad eleggere i presidenti dei comitati<br />

di settore dell’Area Agricola: Luca Rigotti resta in carica<br />

per l’ambito vitivinicolo.<br />

E ancora...<br />

Champagne Experience <strong>2022</strong> ancora a Modena il 16 e<br />

17 ottobre. Vino bio, lo beve un 1 italiano su 2. Lavico: i<br />

2 nuovi volti dell’Etna di Duca di Salaparuta. Export vino<br />

italiano: Q1 spumeggiante, bollicine a fine <strong>2022</strong> oltre il<br />

miliardo di bottiglie. L’Anello Forte: nasce l’associazione<br />

delle vigneron sostenibili delle Langhe. Primitivo di<br />

Manduria: Docg rimandata per il momento. Nobile di<br />

Montepulciano: confermato presidente Andrea Rossi.<br />

Conegliano Valdobbiadene Docg: passo in avanti nella<br />

sostenibilità. Barbera d’Asti: cambia il disciplinare e arriva<br />

la Riserva. Barbaione Metodo Classico: il Sangiovese<br />

è bollicina con Bacci Wines. Lamberto Frescobaldi<br />

nuovo presidente di Unione Italiana Vini. Pinot Nero:<br />

svelati i migliori 10 d’Italia dell’annata 2019. Serena<br />

Wines 1881: 2 bottiglie speciali<br />

per Obiettivo3, gli atleti di Alex<br />

Zanardi. Cantine Giacomo<br />

Montresor: nuo va Riserva<br />

per celebrare 130 anni in<br />

Valpolicella. Mezzacorona, il<br />

mosaico è completo col nuovo<br />

Teroldego Riserva Musivum.


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