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STORIA VINO SUL CARSO DI SAGRADO

I primi documenti storici sull'acquisto di " Vitis Vitifera" da impiantare a Sagrado nelle terre di proprietà dei Della Torre Valsassina, risalgono al 1578...quindi circa 500 anni fa. Lo storico dei Della Torre, l'Abbè Rudolf Pikler, citando il vino Pucinum dell'imperatrice Livia, in Historie Naturalis, diceva che anche Lui beveva di quel "nettare" alla tavola della Serenissima Teresa Della Torre Valsassina-Hofer, che proveniva da un loro vigneto da un "trar d'arco di là nascosto". Deduciamo che di queste terre vocate per vino ed olio, si parlava già dal 70 d.c. con Plinio il Vecchio.

I primi documenti storici sull'acquisto di " Vitis Vitifera" da impiantare a Sagrado nelle terre di proprietà dei Della Torre Valsassina, risalgono al 1578...quindi circa 500 anni fa.
Lo storico dei Della Torre, l'Abbè Rudolf Pikler, citando il vino Pucinum dell'imperatrice Livia, in Historie Naturalis, diceva che anche Lui beveva di quel "nettare" alla tavola della Serenissima Teresa Della Torre Valsassina-Hofer, che proveniva da un loro vigneto da un "trar d'arco di là nascosto". Deduciamo che di queste terre vocate per vino ed olio, si parlava già dal 70 d.c. con Plinio il Vecchio.

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Miriam Dellasorte

Note sulla viticoltura

e la produzione vinicola a Sagrado

tra il XVI e il XIX secolo

Vigneti in Sagrado dal 1750



Bioflavonoidi, Antociani, Peptine, Resveratrolo!

Oggi la scienza, attraverso studi e pubblicazioni ci informa sugli effetti

benefici: antiradicali, antinvecchiamento, chemioterapici e cardioprotettivi del

vino, soprattutto quello rosso.

Un tempo, anche se non si sapeva nulla di tutto ciò, pur tuttavia il vino non

mancava mai, nemmeno sulla tavola delle famiglie più povere. Tutt’al più lo si

diluiva e si disinfettava anche l’acqua.

Un bicchiere a pranzo ed uno a cena, giornalmente, è quanto ci viene suggerito

anche dalla medicina, per garantire un giusto apporto di microalimenti in una

dieta equilibrata e sana.

Ciò nonostante, non sempre c’è costanza nel consumo del vino, considerato

sempre più bevanda che accompagna feste ed eventi e non più bevanda

quotidiana!

Il buon vino fa bene quando se ne fa un uso moderato, quotidiano, proprio

come facevano nell’antichità; viceversa fa male quando c’è abuso anche se

saltuario, proprio come avviene oggi con lo “sballo’’ del sabato sera.

Questa breve ma significativa ricerca ha lo scopo di documentare quanto

profonde siano le radici delle nostre viti e dei nostri ulivi, che nascono e crescono

nella terra rossa di dolina carsica.

Inoltre è interessante rilevare la passione dei Della Torre per la cultura della

vite e dell’olivo considerati fin dall’antichità portatori di forza vitale e di salute.

Dedichiamo questa ricerca ai nostri collaboratori e a tutti coloro che lavorano

con passione la nostra “Madre Terra”.

Mirella Terraneo



A pagina 4

Filari di una delle vigne della

tenuta Castelvecchio.

A fronte

Veduta aerea di Castelnuovo;

alle spalle della villa i vigneti

della tenuta agricola.

La coltivazione della vite e la produzione del vino a Sagrado hanno

origini molto antiche e una tradizione che perdura, documentata,

almeno dal XVI secolo.

Il territorio coltivato è oggi adagiato sul declivio carsico salubre e

soleggiato che scende alla pianura alluvionale della sponda sinistra

dell’Isonzo. Su un’altura rivolta ad occidente si erge solitaria, ben

visibile da lontano per l’elegante candore che spicca nel verde intenso, la

bella villa settecentesca edificata dai conti Della Torre. Un luogo ricco di

storia, ancora riconoscibilmente legato alla dinastia comitale, una delle

più influenti nel Friuli orientale e nelle terre carsiche limitrofe, dapprima

fedele al Patriarcato di Aquileia e in seguito alla Contea di Gorizia e alla

Casa imperiale d’Austria.

I documenti amministrativi del casato, oggi conservati in gran parte

nel fondo Della Torre e Tasso presso l’Archivio di Stato di Trieste, e

gli elaborati catastali del XIX secolo, conservati presso l’Archivio di

Stato di Gorizia 1 , sono preziosi strumenti per ricostruire la storia della

coltivazione della vite e della produzione del vino nel territorio.

Questo breve saggio si propone di offrire una rapida panoramica di

quanto è possibile scoprire e documentare, in relazione all’appassionante

tema, a partire dalla seconda metà del XVI secolo e più precisamente

dal 1556, anno in cui Francesco III Della Torre acquistò il feudo di

Sagrado dai nobili Strassoldo 2 . L’iniziativa del conte fu decisamente

lungimirante, infatti trent’anni dopo essa si rivelò di fondamentale

importanza: Francesco, ambasciatore cesareo alle corti di Venezia e di

7


Roma, con tale acquisto pose le basi per quell’unità territoriale che il

figlio Raimondo VI nel 1587 riuscì a realizzare, trasformando i beni

del casato da “possedimenti territoriali” a “dominio territoriale”. Tale

dominio si estendeva dal Capitanato di Duino 3 a tutto il Collio 4 .

Per avere un’idea di come si presentava il territorio di Sagrado

all’epoca dell’amministrazione di Raimondo VI, tra la fine del

Cinquecento e il primo ventennio del Seicento, possiamo far riferimento

ad una mappa del XVII secolo 5 , senza data ma certamente antecedente

al 1636. L’acquerello rappresenta i caratteri salienti del territorio.

Ai piedi del monte spicca il Pallazzo dominicale, una massiccia casa

fortezza collocata a est della strada per Monfalcone che costeggiava,

oltrepassandola con due ponti, la roia del mollino; questo era un antico

corso d’acqua che si staccava dal letto dell’Isonzo in prossimità della

chiesa di Sagrado e raggiungeva il territorio di Fogliano. Il palazzo era

circondato da possenti mura, lungo le quali erano collocati due edifici

più bassi ed allungati, probabilmente adibiti a stalla, granaio, cantina

e “foladôr”, cioè il vasto ambiente dove si effettuava la pigiatura delle

uve. Tra la strada e l’Isonzo si estendevano i campi; in cima al monte

invece si trovava il bosco, recintato dalle mura del palazzo 6 .

La mappa non fornisce indicazioni relative alla tipologia di coltura

adottata, ma lo studio di alcune note tratte dai libri contabili e dagli

urbari dei conti permette di ricavare diverse interessanti informazioni.

Il documento più antico finora trovato, riguardante la produzione del

vino, risale alla seconda metà del XVI secolo e si riferisce alle rendite

In alto e a fronte

Il territorio di Sagrado nel XVII

secolo. Immagine intera e

dettaglio della mappa Piano

del tracciato di confine

tra l’Isonzo e il Lago di

Pietrarossa (A.S.T., Fondo

Della Torre Tasso, b. 242.3.1).

8


9


di Raimondo VI. Si tratta del libro dei Conti de me Bernardino Adecanis

del anno 1578 7 in cui, tra le entrate della Camera Fiscalle per Sagrado e

Gradisca, viene citato l’ammontare della produzione vinicola, oltre a

quello del frumento, dell’avena, del miglio, del sorgo, delle uova e degli

animali da cortile, quali capponi, galline e pernici. Una nota compilata

dal fattore di Sagrado al servizio di Giovanni Filippo, figlio ed erede di

Raimondo VI, datata 20 settembre 1640, riporta anche la distinta delle

spese per far accomodar le bote e tinazzi nel pallazzo di Sagrado 8 .

Erede di Giovanni Filippo fu il figlio Francesco Ulderico, illustre

capitano di Gradisca, che nacque nel 1629 proprio a Sagrado. A lui si deve

il primo prezioso documento che permette di valutare con precisione

l’incidenza della vite nelle colture del territorio nella seconda metà del

Seicento. Si tratta di un rilievo mappale fatto redigere dal conte nel 1677 9 ,

per definire con accuratezza il valore delle rendite delle terre di Sagrado

e delle pertinenze. La serie di undici mappe è relativa ad altrettanti

appezzamenti coltivati da coloni; per ogni appezzamento l’agrimensore

disegna la pianta, ne dà le dimensioni in pertiche di Gradisca, riporta il

nome del colono affittuario, i confini e il genere delle coltivazioni; riguardo

alle viti, specifica il numero di piante. Confrontando il documento con

la mappa del XVII secolo e considerando i toponimi citati, è possibile

stabilire che gli appezzamenti erano collocati ai piedi del monte, nei

pressi del palazzo dominicale. I lotti rappresentati confinavano infatti

con il Boscho e il Monte (situati a nord del palazzo), con il Broglio (l’area

recintata attorno al palazzo, che comprendeva cortili, orto e frutteto), la

In basso

Dettaglio di una pagina dei

Conti de me Bernardino

Adecanis del anno 1578 (AST,

Fondo Della Torre e Tasso,

b.220.4 f.5)

A fronte

Due pagine del rendiconto

dell’amministrazione di

Giovanni Filippo Della

Torre tenuta da Francesco

Franceschinis datate 1640

(AST, Fondo della Torre e

Tasso, b.220.4 f.7).

10


11


12


A fronte

Pagine con il rilievo dei beni

di Sagrado fatto eseguire nel

1677 da Francesco Ulderico

Della Torre (AST, Fondo Della

Torre e Tasso, b.241.3.2).

Roglia (la roggia che scorreva ai piedi del monte), la strada del Pallazzo

(che collegava l’edificio con la strada principale Gorizia – Monfalcone),

le mura del Pallazzo, la stradella, il Molin, la Comugna (i terreni destinati

a pascoli e boschi, a disposizione della comunità) e il monte delli

Olivari, notazione, questa, molto significativa in quanto documenta la

coltivazione dell’ulivo nel territorio considerato durante il XVII secolo 10 .

Al riguardo pare interessante sottolineare che la coltivazione dell’ulivo è

documentata anche in un altro documento secentesco, una relazione del

1611 stilata da un luogotenente veneto in merito ad una controversia nata

tra Raimondo VI e gli abitanti di Fogliano, a cui il conte aveva proibito

con la forza di piantare ulivi nelle vicinanze della chiesa parrocchiale

del paese posta sul monte, l’attuale chiesa di Santa Maria in Monte 11 .

Dalla serie di mappe emerge che il sistema colturale adottato era

misto, ovvero le viti crescevano nei campi coltivati principalmente

a frumento, probabilmente lungo i confini e aggrappate ad alberi da

frutto. L’uso di far sostenere la pianta di vite da un albero da frutto

o da un gelso (sostegno vivo) era di antichissima tradizione (ne parla

anche Virgilio nel II libro delle Georgiche); rimase in auge a Sagrado

almeno fino al XIX secolo. In dieci degli undici appezzamenti rilevati

dall’agrimensore di Francesco Ulderico era presente la vite; ad esempio,

la frazione di 8 campi e 171 tavole (circa 3 ettari 12 ) condotta (come si

diceva allora) da Zuane Vittor, confinante a est con il Broglio e a nord con

la Roglia del Molin, contava 43 piante; la Braida chiamata Trezzo di mezo, di

6 campi, 3 quarti e 201 tavole (2, 5 ettari) confinante a nord e a ovest con

13


14


A fronte

Alcune altre pagine del rilievo

dei beni di Sagrado del 1677.

la Roglia, a est con la strada del Pallazzo e a sud con il Broglio, condotta

da Batta Furlano, contava 10 piante ed era coltivata anche a stropari, cioè

a vimini, tradizionalmente usati dai contadini per la legatura dei tralci

di vite, nonché dai cestai il cui artigianato era diffuso ed apprezzato;

lo stesso colono conduceva anche la braida chiamata Dietro al molin che

contava 14 piante e confinava a nord con la strada e la Roglia, a est con

la strada, a sud con la strada del Pallazzo e a nord con il molin; la braida

sotto il monte condotta dagli eredi di Gioseffo Furlani, confinante con le mura

del Pallazzo a sud, a ovest con la stradella, a est con il monte delli Olivar,

contava 24 piante, posizionate a sud est; la braida presso la casa dove abita

Antonio Vittor condotta da lui medesimo, confinante a ovest con la strada

e a est con la Roglia, era piantata a mezodì con piante vinifere n.7; Antonio

Vittor conduceva anche la Comugna che confinava a sud con la strada e

che contava 11 piante. Non è chiaro, però, se il Vittor avesse usurpato

parte del bene comunale per conto del padrone o se il Della Torre avesse

acquistato parte di tale comugna (o tutta) in occasione di vendite da parte

dell’ente pubblico. In totale, su una superficie di 141 campi, 1 quarto e 117

tavole (circa 50 ettari) si contavano 195 piante di vite.

Sebbene la serie mappale analizzata sia ricca di informazioni, non

fornisce indicazioni però sulla quantità di vino prodotta annualmente;

per questo si è ritenuto interessante confrontarla con le note riportate in

un libro dei conti relativo agli anni 1669 - 1688 13 . Queste le annotazioni

significative: le vendemmie di Sagrado del 1670 produssero 24 orne,

vendute nel 1671; nel 1671 non si produsse nulla (verosimilmente a causa

15


di una grandinata o di prolungata siccità); nel 1672 si produssero 28

orne, vendute nel 1673, anno in cui si ottennero 27 conzi venduti nel 1674.

Come appare da un ulteriore libro dei conti 14 , nel 1691 si produssero 6

orne di vino. Il conzo era un sottomultiplo dell’orna, unità di misura di

capacità per liquidi comunemente usata in Friuli; il valore dell’orna però

(e quindi del conzo) non era uniforme, variava da una località all’altra.

Per esempio, l’orna nuova di Vienna, usata nei territori dell’Impero, era

equivalente a 56,589 litri; un conzo, che corrispondeva alla sesta parte

dell’orna, equivaleva a 9,4 litri 15 . Si può quindi dedurre che mediamente

con il frutto di buone vendemmie si producevano annualmente dalle 24

alle 28 orne di vino, in alcuni anni a causa delle condizioni meteorologiche

sfavorevoli si produceva invece poco o addirittura nulla. Con un conto

approssimativo basato sul numero delle piante contate nel 1677, cioè 195,

e la produttività pari a 28 orne del 1672, è possibile calcolare che in quel

torno di tempo (1672-77) ogni pianta di vite produceva pressappoco 8

litri di vino. Questo dato, confrontato con la produttività attuale, appare

modesto, ma bisogna tener conto del metodo di coltivazione. Le viti

crescevano in terreni sfruttati al massimo, in consociazione con altre

piante (frumento, sorgo, miglio…), aggrappate a “legno vivo” (alberi da

frutto), in carenza di concime, in assenza di anticrittogamici.

Nel corso del Settecento la coltivazione della vite venne incentivata

ed aumentata, tanto che le terre di Sagrado risultano essere in questo

periodo notevolmente produttive ed ambite. Al 1702 risale una

singolare descrizione delle proprietà, narrata dalla cronista della Vera

A fronte

Dettaglio di una pagina

del libro dei Conti con

messer Angelo Cecchin per

l’amministrazione havutta

della robba del conte

Raimondo (AST, Fondo Della

Torre e Tasso, b.220.4 f.9,

1669 - 1688).

16


17


relatione di quanto seguì alle nostre monache di San Cipriano al tempo della

bombardatione fatta dalli Francesi in questa città di Trieste, nel anno 1702 16 .

Allora badessa di San Cipriano era madre Eleonora, al secolo Laura

Della Torre sorella di Filippo Giacomo 17 , che fu ospitata dal conte per tre

mesi insieme alle consorelle nel palazzo di Sagrado, poiché il convento

in quel periodo non era sicuro a causa dei bombardamenti francesi sulla

città. La cronaca racconta: «Essendo luoccho molto delizioso per esser situato

il palazo in un spacioso ameno et verdeggiante pratto che riusciva di solievo alle

monache che sempre desiderose di far ritorno al proprio monastero havevano

qualche divertimento […] permise anco la reverendissima madre abbadessa alle

monache libertà di estendersi in tutti li spazi che erano nel recinto di muraglie

dove sono il boscho, horto e campi, che servì per loro solievo et ricreazione, non

uscendo punto da quello». La rigogliosità descritta dalle monache doveva

corrispondere al vero, perché nel 1723 le terre di Sagrado risultano

essere le più redditizie tra i Beni sotto il Principal Contado di Gorizia e

Gradisca, ovvero rispetto a Bruma, Mariano, Romans, Moraro, San

Nicolò di Levata, Ruda, Tapogliano, Fauglis, Carlins, Beligna (Aquileia)

e San Giorgio di Nogaro 18 . In un documento del 1753, la Specifica di tutti

li beni fra li quattro figliuoli del fu conte Luigi Della Torre e Valsasina (figlio

ed erede di Filippo Giacomo I, nipote di Francesco Ulderico I), divisibili

cioè fra il fu conte Giovanni Filippo (II) ora conte Francesco Ulderico (II) suo

figlio, il conte Francesco Annibale, il conte Turrismondo Ignazio ed il conte

Federico Luigi […] 19 , vengono confrontate le rendite di questi territori

tra il 1723, anno in cui morì il conte Luigi Antonio, e il 1753, anno in cui

In alto e a fronte

Copertina e pagine

dell’urbario del 1745 di

Giovanni Filippo Della Torre

(AST, Fondo Della Torre e

Tasso, b.230.1)

18


evidentemente i quattro eredi si contendevano ancora i possedimenti.

Il calcolo tiene conto delle rendite in formento, avena, fava, fagiuoli, vino,

capponi, pollastri, galli d’India, galline, quaglie della stanga, anguilla fresca,

formaggio, agnelli, animal porcino, legna, fieno, carreggi e denaro in natura;

Sagrado si classifica al primo posto per la produzione di frumento,

staccando di parecchio le altre terre, e al terzo posto per la produzione

di vino. La terra che produceva più vino era quella della commenda di

San Nicolò di Levata che rendeva al casato 188 conzi, seguivano Ruda

con 133 conzi e appunto Sagrado con 105 conzi; venivano poi Moraro con

81 conzi, Bruma e Farra con 43 conzi, Tapogliano con 20 conzi, Mariano

con 18 conzi, Fiumicello con 9 conzi e Romans con 7 conzi. I conzi vanno

moltiplicati per due per ottenere all’incirca il quantitativo totale di vino

prodotto nel 1723; i coloni infatti pagavano al conte per l’affitto dei

terreni la metà del vino prodotto.

Nel 1723, dunque, a Sagrado furono prodotti pressapoco 210 conzi,

pari a circa 19,80 ettolitri: è evidente che rispetto a cinquant’anni

prima 20 la coltivazione della vite era stata incentivata, probabilmente

migliorando i sistemi di coltivazione, incrementando il numero delle

piante e degli spazi ad esse dedicati.

Se nel 1723, sommando tutte le rendite, Sagrado si classificava al

primo posto come villa più redditizia del contado di Gorizia e Gradisca,

nel 1753 la rendita totale sembrava essere pari a zero per i quattro eredi

in contesa fra loro. Nel 1741, infatti, il conte Giovanni Filippo II aveva

già iniziato a vendere per le sue ocorenze parte dei possedimenti al nipote

19


20


A fronte

Le copertine dei quattro

volumi del Libro confessore

di Raimondo IX pervenuti

fino ai nostri giorni. Si tratta

di quattro quaderni rilegati in

cui il conte annotava spese,

entrate, contratti, viaggi.

Coprono il periodo tra il 1777

e il 1802. (A.S.T., Fondo Della

Torre Tasso, b. 247.1).

Giovanni Battista II, figlio del fratello Raimondo Bonifacio. Il 19 marzo

1745 il conte completò l’opera vendendo a Giovanni Battista tutto il

residuo dell’urbario con la giurisdizione della villa e l’uso del palazzo 21 .

Da quel momento in poi, considerato il valore delle terre e la loro relativa

appetibilità, dovette sorgere un contenzioso tra gli eredi di Giovanni

Filippo e Giovanni Battista, tanto che nel Catasto Teresiano 22 , redatto

nei primi anni Cinquanta del Settecento, la giurisdizione del villaggio

è attribuita agli eredi di Giovanni Filippo e non a Giovanni Battista,

mentre i beni risultano essere in parte di proprietà di quest’ultimo e

in parte dei primi. È interessante sottolineare anche come nello stesso

catasto il palazzo dominicale venga descritto inabitato e di proprietà per

metà degli eredi di Giovanni Filippo e per metà di Giovanni Battista II.

I contenziosi, durati diversi decenni, videro anche la partecipazione

di Giuseppe I, fratello di Giovanni Battista; si risolsero quando, negli

anni Settanta del Settecento, i beni della linea di Francesco Ulderico,

a cui appartenevano i discendenti di Giovanni Filippo II, e i beni della

linea di Raimondo Bonifacio, a cui appartenevano Giuseppe I e Giovanni

Battista II, confluirono tutti nel patrimonio del figlio di quest’ultimo, il

conte Raimondo IX Della Torre.

Raimondo amò profondamente Sagrado, nel suo Libro Confessore 23

chiamava questa terra la mia Sagrado e fu qui che volle costruire la

sua dimora, preferendola alle altre pur belle e suggestive sedi quali il

castello di Duino, il palazzo di San Giovanni al Timavo, la villa Studeniz

di Gorizia, il castello di Vipulzano e il palazzo di Gradisca. Egli, a

21


partire dagli ultimi anni Settanta del XVIII secolo, attuò una vera e

propria rivoluzione del paesaggio di Sagrado; trasformò i possedimenti

terrieri del casato in una vera e propria tenuta agricola che si estendeva

dalla piana isontina alle alture carsiche, fino a raggiungere Doberdò.

La trasformazione culminò con l’edificazione di Castelnuovo, la

splendida villa che ancora oggi, affacciata su un meraviglioso giardino

a terrazzamenti inserito nel verde del bosco, dall’alto del monte serena

domina il panorama.

La mappa 186 24 che l’Imperatore Giuseppe II fece eseguire a scopo

militare tra il 1763 e il 1787, riferibile verosimilmente agli anni Settanta

del secolo, immortala un momento di transizione tra il vecchio paesaggio

e la situazione nuova che andava delineandosi. Il rilievo segnala Sagrado

riferendolo ancora all’antico palazzo ai piedi del monte, definito

negli elaborati come Schloss (castello), costruito solidamente in pietra

come pure gli edifici pertinenti. L’edificio, raffigurato con pianta ad L, si

trova al centro di un’area quadrangolare delimitata da mura difensive

che rimandano alla situazione riscontrata nelle mappe seicentesche;

lungo le mura sono raffigurati tre edifici di grande dimensione ed uno

minore, verosimilmente ampliamenti dei preesistenti granaio, cantina,

“foladôr” e stalla. Alle spalle del palazzo si estende il bosco, delimitato

lungo tutto il perimetro da mura che arrivano ad abbracciare quasi la

cima del monte; quest’area è indicata sulla mappa come Thier Garten,

traducibile come “giardino recintato con animali”. Ciò che colpisce

rispetto alla situazione del XVII secolo è la presenza, all’interno del Thier

A fronte

Catasto Giuseppino, mappa

186 (tratto da Slovenija

na vojaskem zemljevidu

1763-1787 - Josephinische

Landesaufnahme 1763-1797

fur das Gebiet der Republik

Slowenien di Vincenc Rajsp -

Drago Trpin).

22


23


24


A fronte

Rilievo di Sagrado del 1818

(ASGO, Catasti XIX - XX sec.,

Mappe di Sagrado. In senso

orario dall’alto a sinistra:

mappa n. 2810 -cm

70,7x58,2-; mappa n. 2811

-cm 71x58-; mappa n. 2812

-cm70,5x58-;

mappa n. 2813 -cm71x58-.

Supporto cartaceo, anni

1818 -1825. Su concessione

dell’ASGO, prot. n.

2649/28.34.01.10 (3.6)

dell’8 settembre 2010.

Divieto di riproduzione).

Garten, di una costruzione mai segnalata in precedenza. Si tratta con

tutta probabilità del primo stadio della villa di Castelnuovo, che in questo

periodo il catasto morelliano 25 descrive così: «Al fine del sudeto bosco, verso

tramontana, esiste la palazina del medesimo (conte Raimondo)». All’epoca

della stesura del catasto morelliano (1785 – 1789) i lavori stavano

procedendo a pieno regime, seguiti in prima persona dal conte, come

documentano il suo Libro Confessore, numerose carte d’amministrazione

e lettere.

Come ricorda l’orazione in lode a Raimondo IX 26 citata anche dal

Pichler, sembra che, per poter iniziare i lavori su un terreno adeguato, il

conte avesse adoperato un metodo del tutto singolare: infatti smantellò

la cima del monte a suon di cannonate. «Quanta polvere di canone, quante

braccia, quanti martelli, quante stanghe di ferro, quante zappe non furono

impiegate nello smantellare per dir così il calcareo monte, onde rendere quei

macigni altrettanti fondi ameni insieme e fecondi. Egli parlando ultimamente

col principe Raniero, il quale viaggiando per queste strade postali si fermò da

lui per vedere quelle fabbriche alpine ebbe con tutta ragione a dire il conte che

se altri prendonsi a diletto di consumare la polvere sui campi di battaglia, egli

se lo prendeva nel consumarla a domar questi monti a vantaggio della umanità,

per far guerra come dissi all’ozio e ai vizi». Queste parole, tristemente

presaghe se si pensa a come la villa e la tenuta furono bombardate

durante la Grande Guerra, rendono bene l’atmosfera di fervore edilizio

ed agricolo che si doveva respirare a Sagrado negli anni a cavallo fra

Sette e Ottocento. Ma per capire appieno la trasformazione paesaggistica

25



A fronte

Rilievo di Sagrado del 1818,

dettaglio con Castelvecchio

(ASGO, Catasti XIX - XX sec.,

Mappa di Sagrado n.2810

-cm 70,7x58,2-. Supporto

cartaceo, anni 1818 -1825.

Su concessione dell’ASGO,

prot. n. 2649/28.34.01.10

(3.6) dell’8 settembre 2010.

Divieto di riproduzione).

Alla pagina

Rilievo di Sagrado del 1818,

dettaglio con Castelnuovo

(ASGO, Catasti XIX - XX sec.,

Mappe di Sagrado. Dettaglio

mappa n. 2811 -cm 71x58-

e dettaglio mappa n. 2813

-cm71x58-. Supporto

cartaceo, anni 1818 -1825.

Su concessione dell’ASGO,

prot. n. 2649/28.34.01.10

(3.6) dell’8 settembre 2010.

Divieto di riproduzione).



A fronte

Facciata della villa di

Castelnuovo fatta edificare

negli anni Settanta del

Settecento dal conte

Raimondo IX Della Torre.

voluta e attuata da Raimondo IX è indispensabile far riferimento alle

mappe del catasto ottocentesco, risalenti al 1818, un anno dopo la morte

del conte 27 . I documenti catastali mettono in luce per la prima volta la

contrapposizione tra il Castello Nuovo e il Castel Vecchio. Il Castello nuovo è

una grande villa con pianta ad H affiancata da fabbricati rustici, ubicata

nel punto in cui il rilievo giuseppino segnalava un edificio in cima al

colle. La villa, censita come casa di villeggiatura con cortile, rimessa e stalla

per dodici cavalli, affaccia su orti-giardino progettati ad aiuole. Una serie

di terrazzamenti artificiali censiti come campi arativi vitati con frutti

(solo un terrazzamento è censito come campo arativo con frutti) scende

gradualmente verso il bosco duro d’alto fusto (roveri) che arriva alla piana.

Sul lato sud della villa, adiacenti ai terrazzamenti che costeggiano il

bosco, si trovano alcuni orti. Alle spalle della villa si estende una fascia

di campi arativi vitati con frutti, dietro alla quale si trovano campi arativi e

pascoli, punteggiati da piccole aree circoscritte censite come bosco di rubini

d’alto fusto. Al confine con Sdraussina (Poggio Terza Armata) si trova un

campo arativo con gelsi. Al termine del bosco, in basso, contrapposto al

Castello nuovo si ritrova l’area denominata Castel vecchio, completamente

modificata nel suo assetto, tento che dell’antico palazzo non è rimasto

nulla fuorché il toponimo. Ai bordi dell’area quadrangolare ancora

evidente campeggiano due edifici allungati e altri tre minori. Tutta la

pianura è rappresentata come una distesa di campi arativi vitati con frutti

(appezzamenti piccoli) e campi arativi vitati con moroni (appezzamenti

molto estesi) 28 .

29


Certamente, data la vasta estensione, la produzione del vino era

considerata di primaria importanza. Non esistevano ancora a Sagrado

delle vigne in senso moderno; infatti l’antico, tradizionale metodo

promiscuo che vedeva le viti coltivate in campi arativi mai lasciati riposare

persisteva ancora. Rispetto ai campi del Distretto di Monfalcone, però,

quelli della Comune di Sagrado erano concimati più spesso (ogni due

anni) e proprio al conte Raimondo va il merito di aver incentivato

l’uso dei pali “morti” per sostenere le viti 29 . La fertilità delle viti

durava ordinariamente vent’anni e il numero di piante presenti in ogni

appezzamento, come si può notare dalla tabella sotto riportata, risulta

essere esponenzialmente maggiore rispetto a quelle rilevate nel 1677.

Estensione Piana

Gruppi di viti

per ogni particella

Iugeri Clafter 100 Numero

- 1068 20 95

- 1068 55 46

2 372 13 325

2 87 85 299

Esempio di dati tratti da una

tabella dall’Operato d’estimo

catastale della comune di

Sagrado, allegato 5 (ASGO,

Catasti XIX - XX sec., Elaborati,

b. 63 - Sagrado, 1823).

30


In alto

Su un foglietto conservato

tra le pagine dello

Scartafazzo d’alcuni miei

crediti di Raimondo IX è

appuntata la vendita di sei

botti di vino nero di Sagrado

(A.S.T., Fondo Della Torre

Tasso, b. 220.1 f.3).

Raimondo IX sovrintendeva personalmente alle vendemmie; una

nota tratta dal Libro Confessore, datata 1 ottobre 1781, recita: «Mi portai a

Sagrado ad accudire alle vendemie per istruire il novo fattore, e delucidare varie

cose col vecchio» 30 . Raimondo era intransigente in merito alla condotta del

fattore e dei coloni; con le Memorie per il fattore di Sagrado da restargli ben

imprese nella memoria e da porle in opera ogni qual volta gli prema d’ubbidire

agli’ordini del padrone e restare al di lui servizio! 31 , datate 16 ottobre 1783,

oltre a pretendere che ogni ordine dato fosse eseguito tempestivamente

e che i libri contabili fossero tenuti con massima cura e diligenza,

ricordava al fattore che doveva tenere tutto serrato a chiave, tanto cantine,

folladore, magazeni che scuderia e rimessa e soprattutto che era chiamato a

fare frequenti visite alle terre de colloni per obbligarli a ben lavorarle assistendo

alla seminazione del primo grano, all’accomodo delle viti, ed a darli la terra non

meno che alla piantagione di novi rasoli. I coloni firmavano un contratto

d’affitto delle terre 32 che prevedeva un canone in frumento e vino, cioè

un quantitativo fisso da specificarsi e la giusta metà di tutto il rimanente

vino racolto nelle affittate terre, nonché una serie di obblighi: l’uva doveva

essere condotta nel folladore padronale, senza osar vindemiare ne tutta,

ne in parte, prima del positivo ordine ed intervento o assistenza del fattore;

[…] non far danno col taglio agl’alberi delle viti, ma pigliare il puro superfluo,

cercando anzi di mantenere il legname, e custodirlo […]; dare ogni anno la terra

alle viti ed aver cura nel tagliarle, procurando anzi di moltiplicarle, dovendosi

perciò provedere delli occorrevoli e sufficienti pali per sostenerle.

Raimondo provvide a far impiantare nuove vigne, come viene ad

31



A fronte

Cantina della tenuta agricola

Castelvecchio ricavata sotto

terra all’interno della cavità

della cisterna settecentesca

costruita per la raccolta

dell’acqua piovana.

In basso

I muri perimetrali della

cisterna settecentesca di

Castelnuovo recentemente

convertita in cantina per

l’invecchiamento dei vini.

esempio documentato anche da un contratto del febbraio 1788, Condotta

delli sassi per il muro della nova vigna Reffosco e loro scavatione: «Zuane e

Francesco Visintin di Pollazzo e Compagnia (Andrea Zimulo) si obbligano di

condurre li sassi grezzi per fabbrica del palazzo vecchio di Sagrado nel così detto

Broilo lungo il muro da farsi di misura della nova vigna per il prezzo accordato

di lire cinque al clafter e con un regalo di zecchino uno in proporzione di clafter

cento, da cominciarsi subito il lavoro almeno con (?) tre al giorno e seguitare

sino al termine dell’impreso lavoro» 33 . Si occupò inoltre di far scavare

diverse cisterne per la raccolta dell’acqua piovana da cui partivano dei

condotti per l’irrigazione della terra; ne è riprova ad esempio l’accordo

del 26 aprile 1784 fatto per l’escavazione del buco della cisterna del Casino di

Sagrado 34 ; con ogni probabilità il contratto si riferisce alla cisterna fatta

scavare alle spalle della villa, recentemente convertita in cantina della

tenuta Castelvecchio.

L’attenzione e la cura che Raimondo pretendeva per le sue coltivazioni

di vite non rimasero senza frutto, perché, come si evince dall’Operato

d’estimo catastale della Comune di Sagrado 35 , davano un vino rosso di gran

pregio, paragonabile quasi col migliore prodotto delle Comuni del Distretto

medesimo (Distretto di Duino). Si produceva quasi esclusivamente Vino

Nero, mentre il Vino Bianco e il Vino Rossiccio (chiamato anche Rossare)

erano prodotti in quantità decisamente minore e con risultati medi; la

loro qualità era paragonabile a quella dei corrispondenti del Distretto.

Sembra pertinente questa osservazione. Il Vino Nero e il Vino Bianco

dovevano essere uvaggi ricavati dagli antichi vitigni che andarono

33


irrimediabilmente distrutti alla fine dell’Ottocento a causa della

comparsa e diffusione della peronospora. Le fonti ricordano i nomi di

tali vitigni: pignòla, rossara, corvìn, zividìn, glera, slancamenea e perfino

pagadebiti… La microtoponomastica documenta parzialmente le località

in cui tali vitigni venivano coltivati 36 . Il Vino Rossiccio (Rossare) invece

doveva essere prodotto solo con uve di rossara; stessa cosa è desumibile

dalla citazione della Vigna Refosco. Un passo del 1784 del Libro Confessore

di Raimondo IX 37 riporta un appunto significativo che permette di

affermare che a Sagrado era coltivato anche il prezioso Picolit: «Venni

la mattina al mio Sagrado ove ritrovai impiantati i (?) di Picolit e Refosco nelli

giardini, come avevo alla mia partenza ordinato». Il Picolit veniva torchiato

in un torchio speciale, di cui esisteva un esemplare nella cantina del

conte 38 . Da questo Picolit, Giovanni Battista III, figlio prediletto ed erede

universale di Raimondo IX, otteneva anche un liquore 39 , certamente

una grappa come avviene anche oggi. Giovanni Battista, pur risiedendo

spesso a Venezia 40 , trascorse ogni primavera a Sagrado insieme alla

famiglia 41 . Anch’egli, come il padre, si impegnò affinché la tenuta

continuasse ad essere produttiva e fu promotore di diversi lavori di

sistemazione della villa e dei giardini 42 .

Giovanni Battista morì nel 1849 e fu l’ultimo discendente maschile

della stirpe duinate dei Della Torre. Il patrimonio, comprese le proprietà

di Sagrado, fu ereditato dalla figlia Teresa che, innamorata del principe

Egone Hohenlohe Waldenburg Schillingsfürst, non volle saperne

di sposare un membro di un’altra linea torriana. Così, attraverso il

A fronte

Una pagina dell’Operato

d’estimo catastale della comune

di Sagrado, dettaglio

del paragrafo 9 (ASGO, Catasti

XIX - XX sec., Elaborati,

b. 63 f.190/23- Sagrado;

supporto cartaceo, cm

36,5x23,3, anno1823. Su

concessione dell’ASGO,

prot. n. 2649/28.34.01.10

(3.6) dell’8 settembre 2010.

Divieto di riproduzione).

34


35


vincolo matrimoniale tra Teresa ed Egone, la tenuta di Sagrado venne

incamerata nel patrimonio degli Hohenlohe. Teresa, a differenza di

suo padre e di suo nonno, preferì soggiornare tra Duino e Venezia; a

Sagrado veniva con la famiglia solo per trascorrere brevi periodi di

villeggiatura, in primavera o in autunno. Nelle memorie di una delle

figlie di Teresa, la principessa Marie Hohenlohe von Thurn und Taxis,

si trova una suggestiva descrizione della villa negli anni Sessanta

dell’Ottocento; nelle pagine dedicate a Sagrado Marie ricorda i periodi

di villeggiatura qui trascorsi come i momenti più belli e felici della

sua infanzia. In Memoirs of a Princess 43 scrive ad esempio «Quando

socchiudo gli occhi riesco ancora a vederla, di un bianco abbagliante

alla luce del sole, gli scuri verdi chiusi, le alte colonne del peristilio che

sorreggono la terrazza al primo piano. E poi immagino di poter sentire

il caratteristico odore di Sagrado. Era l’odore di fiori freschi misto ad

un lieve odore di polvere, quasi di muffa, l’odore della cera vergine che

veniva usata per il pavimento a mosaico, e l’odore delle stanze chiuse,

fredde, ombrose. Nessun profumo mi hai mai reso più felice». E ancora:

«Il giardino assomigliava davvero ad un piccolo angolo di paradiso.

Poiché trascorrevamo così poco tempo alla villa e il giardiniere non se

ne occupava troppo, era piuttosto trascurato, ma in qualche modo ciò

lo rendeva ancora più affascinante». La villa dunque rimaneva quasi

sempre chiusa e la gestione della tenuta agricola era affidata alle cure

del fattore. Evidentemente questi fece un ottimo lavoro, dato che nel

1887 i vini di Sagrado ricevettero un prestigioso riconoscimento. Marie,

In alto

Nota della riscossione a

titolo d’indennizzo per il vino

rosso di Sagrado asportato

dalle truppe francesi ed

austriache; amministrazione

di Giovanni Battista III, 1813

(A.S.T., Fondo Della Torre

Tasso, b. 220.1 f.3).

A fronte

Il giardino su cui affaccia la

villa di Castelnuovo.

36


37


in qualità di amministratrice della tenuta ereditata dalla madre, volle

partecipare all’Esposizione - fiera dei Vini organizzata in quell’anno dalla

Società Agraria di Trieste con l’intento di promuovere la conoscenza e lo

smercio dei vini del territorio. L’esposizione, tenutasi in giugno presso

il Politeama Rossetti, ospitò centoventiquattro espositori provenienti

da Trieste, Gorizia, Istria, Dalmazia, Carniola, Tirolo, Stiria, Austria

inferiore, Boemia e Ungheria; furono presentate quattrocento qualità

di vini, assaggiati e giudicati da un’esperta commissione. Marie volle

gareggiare con i bianchi Malvasia e Verdiso e con il rosso Terrano. Il

Malvasia venne giudicato vino buono, mentre il Verdiso e il Terrano vini

molto buoni; ottenne poi anche la Medaglia d’argento dell’esposizione e la

medaglia di bronzo dello Stato 44 . Il Terrano, frutto del vitigno originato

probabilmente dal Refosco d’Istria, è un vino caratteristico del Carso

e racchiude in sé l’antichissima tradizione della viticoltura in queste

terre. Al tempo di Aquileia romana, infatti, era celebre il vino Pucinum

prodotto, come scrive Plinio il Vecchio nella sua Historia Naturalis, nei

pressi di Duino: «Gignitur in sinu Adriatici maris, non procul a Timavo

Fonte, saxeo colle, maritimo afflatu paucas coquente amphoras» 45 (viene

prodotto nel golfo alto adriatico, non lontano dalle Bocche del Timavo,

su di un colle sassoso dove alla brezza marina si matura [uva sufficiente]

per poche anfore). Nel corso dei secoli (e fino a tutt’oggi) gli studiosi

hanno tentato di identificare il vitigno del Pucinum in base a diverse

osservazioni di carattere filologico-naturalistico. Le varie ipotesi sono

rimaste arroccate saldamente su due fronti: da una parte si schierano i

38


A fronte

Una sala di Castelnuovo.

In basso

La terrazza del giardino dalla

quale si gode un meraviglioso

panorama e il salone a piano

terra.


40


A fronte

Suggestiva immagine delle

vigne della tenuta Castelvecchio.

sostenitori dell’identificazione Pucinum – Prosecco, asserendo che l’antico

vino era bianco; dall’altra si contrappongono coloro che identificano il

Pucinum con il Terrano, sostenendo che doveva essere invece un vino

rosso. Al primo gruppo appartengono, per esempio, i due illustri eruditi

del Cinquecento Pietro Andrea Mattioli e Volfango Lazio, a cui si accoda

il conte Pietro Coronelli (1793); al secondo gruppo, lo storico Ireneo

della Croce, l’archeologo Carlo Marchesetti e, per i tempi più vicini,

lo scrittore Silvio Benco 45 . La vexata quaestio rimane aperta. Certo è un

fatto: il Pucinum doveva possedere qualità terapeutiche straordinarie,

dato che Livia, moglie di Augusto, ogni anno si faceva inviare a Roma

alcune anfore del famoso vino, a cui riferiva la sua longevità (morì

ultraottantenne, un gran bel traguardo per quei tempi).

41


42


Note

Sigle e abbreviazioni

ASGO: Archivio di Stato di Gorizia

AST: Archivio di Stato di Trieste

ASVE: Archivio di Stato di Venezia

b.: busta

f.: fascicolo

1

Anche altri importanti

documenti d’amministrazione sono

conservati nello stesso Istituto e

nell’Archivio Storico Provinciale.

2

Cfr. RODOLFO PICHLER,

Il Castello di Duino. Memorie,

Stabilimento tipografico Giovanni

Seiser, Trento 1882.

3

Il capitanato di Duino

comprendeva le tenute di: Vertozza,

Puslizza, Gabria, San Michele, Dol

(Vallone), Iamiano, Brestovizza,

Ceroulia, Mauchigna, Medeazza,

Borgo di Duino, San Giovanni,

Pietrarossa, Nebresina (Aurisina),

Santa Croce, Goreansco, Berian,

Vneigrado, Savanigrado, Scoppa,

Sepuliano, Cragnavas, Tomaj,

Satturiano, Senodalia, Podbres,

Merzana, Seriau, Plessivizza,

Reppen Grande (Rupingrande),

Vogliano, Vescogliano, Sgonico,

Reppen Piccolo (Rupinpiccolo),

Prosecco e Gabrovizza. Cfr.

PICHLER, cit.

4

I possedimenti del ramo

goriziano del casato fino al 1556,

anno dell’acquisto di Sagrado,

erano costituiti dalle terre del Collio

(oggi in parte italiane e in parte

slovene), amministrate dal castello

di Vipulzano. Francesco III in quel

periodo era certamente consapevole

di essere l’erede universale di Nicolò

II Della Torre, celeberrimo Capitano

di Gradisca appartenente alla linea

collaterale gradiscana dei Della

Torre che, privo di discendenza

diretta, gli lasciò effettivamente

tutti i suoi beni, consentendo

la fusione del patrimonio delle

due linee. Nel 1557 Francesco III

incamerò i beni dello zio, tra cui in

particolare la gastaldia e la gabella

di Cormons con la giurisdizione e

le rendite della Camera di Gradisca,

tutte proprietà che Ferdinando I

d’Asburgo aveva concesso agli

eredi per dieci anni e fintanto che

non fosse estinto il debito contratto

dall’Imperatore con Nicolò II (Cfr.

PICHLER, cit.).

Forse Francesco III, al momento

dell’acquisto di Sagrado, aveva

già intuito anche la possibilità di

unire a proprio favore il casato dei

Della Torre con quello degli Hofer,

attraverso il vincolo matrimoniale

43


tra il figlio Raimondo VI e una

delle figlie del Capitano di Duino

Mattia Hofer, suo cognato, il quale

gli doveva diversi favori. L’unione

delle terre avvenne effettivamente

nel 1587, quando Raimondo VI,

in qualità di legittimo erede di

Mattia Hofer, perché marito prima

di Ludovica e poi di Chiara Hofer,

ottenne in pegno il castello e la

Signoria di Duino. Raimondo VI

apriva così il periodo di massima

espansione del casato e il territorio

di Sagrado veniva a configurarsi

come strategica area di cerniera tra

le terre del Carso duinate, appena

incamerate, le terre del Collio

goriziano e quelle di Gradisca.

5

A.S.T., Fondo Della Torre

Tasso, b. 242.3.1, Piano del tracciato

di confine tra l’Isonzo e il Lago di

Pietrarossa. La mappa rappresenta il

territorio compreso tra Monfalcone

(individuato dalla rocca, lettera R),

Doberdò (individuato dalla villa,

lettera M) e Sagrado (individuato

dal Pallazzo, lettera O).

6

Una mappa ed una relazione

conservate presso l’Archivio di

Stato di Venezia (ASVE, Fondo

provveditori ai confini, B 141,

disegno 6, 1636, Mappa del territorio

di Fogliano con la zona del termine

di pietra posto a confinazione tra

il Territorio Arciducale e quello

del conte della Torre) datate 1636,

documentano l’ampliamento

delle mura del palazzo ad opera

di Giovanni Filippo, figlio di

Raimondo VI; le mura costituivano

una vera e propria cortina difensiva

con piccoli torrioni e andavano a

raggiungere, inglobandolo, anche

il bosco.

7

AST, Fondo Della Torre e Tasso,

b.220.4 f.5, 1578.

8

AST, Fondo della Torre e Tasso,

b.220.4 f.7, 1641, Rendiconto

dell’amministrazione di Giovanni

Filippo Della Torre tenuta da

Francesco Franceschinis (1640 –

1644).

9

AST, Fondo Della Torre e Tasso,

b.241.3.2, 1677.

10

La coltivazione dell’ulivo,

insieme a quella della vite, era

presente in tutto il territorio friulano

fin dall’epoca romana, come

testimoniano le fonti latine ed alcuni

significativi reperti archeologici del

Museo di Aquileia. Nel XVIII secolo

una forte gelata distrusse tutti gli

ulivi e la coltivazione plurisecolare

scomparve per molti anni. A

Sagrado fu ripristinata dal conte

Raimondo IX della Torre a partire

dagli ultimi anni del Settecento.

11

Udine, 1 Giugno 1611. Mentre che

alcuni uomini della villa di Fogliano

giurisdizione di Monfalcone […] il

di 6 del passato della terra sopra il

monte della chiesa di detta villa per

riponerla d’intorno di olivari d’essa

chiesa, furono impediti, e fatti cessar

dal lavoro da tre uomini mandati a tale

effetto dal conte Raimondo della Torre

patrone de luoco de Sagrà territorio

arciducale che confina con li suoi campi

al detto monte, quali armati d’arcobugi

facendo […] che senza licenza d’esso

conte l’avessero posto mano in quella

terra li minicciarono d’offenderli si non

desistevano essendo che quel tirreno

fossi del loro padrone. ASVE, Fondo

provveditori ai confini, B 141.

12

Le misure degli appezzamenti

vengono riportate in campi, quarti

44


e tavole. Campo, quarto e tavola

erano misure di superficie venete.

Un campo (C) era equivalente a

840 tavelle, pari a mq 3656,60; un

quarto (q.to), era equivalente a 210

tavelle, pari a mq 914,15; una tavella

(detta anche tavola o pertica), era

pari a mq 4,35. Cfr. G. BRUMAT

DELLASORTE, I beni comunali di

Turriaco in due documenti veneziani del

Settecento, in Turiac, Numar unico del

7° Congres, Associazione Culturale

Bisiaca, Ronchi dei Legionari, 2000,

p. 40, nota 23.

13

AST, Fondo Della Torre e

Tasso, b.220.4 f.9, 1669-1688. Conti

con messer Angelo Cecchin per

l’amministrazione havutta della robba

del conte Raimondo.

14

AST, Fondo Della Torre e Tasso,

b.220.4 f.10, Resa dei conti da Nocente.

15

M. STANISCI, Appunti di

metrologia, C.D.C. Udine 1984, 2°

ed., p. 87: In Friuli le misure erano

moltissime, né l’influenza veneziana

le aveva molto unificate; piuttosto, dal

secolo XVIII, nel Friuli Orientale s’era

sentita quella austriaca, evidentemente

tesa alla germanizzazione anche in quel

settore. Si avevano, logicamente quasi

sempre con valori diversi, […] il cuinz,

la sele, il bocal, la pinte, l’orne per i

liquidi, e nell’Isontino, di derivazione

austriaca l’èmar[…].

16

Archivio della Fondazione

Scaramangà (Trieste), A52 – n.2260,

1702.

17

La proprietà dei beni di Sagrado

era passata a Filippo Giacomo,

fratello di Francesco Ulderico,

poiché questi, non essendosi mai

sposato, dichiarò eredi universali

il fratello e il figlio di quest’ultimo,

Luigi Antonio, con la condizione

che qualora questa linea si fosse

estinta tutti i beni sarebbero dovuti

passare alla linea dell’altro fratello

Raimondo Bonifacio.

18

AST, Fondo Della Torre e Tasso,

b.230.1 f.6, 1723.

19

AST, Fondo Della Torre e Tasso,

b.154.1.

20

Finora non è stato possibile

appurare se nei documenti degli

anni 1670-1691 è riportato il

quantitativo totale di vino prodotto

o la metà di esso, spettante ai conti

in pagamento dell’affitto dei terreni

da parte dei conduttori. Poichè nei

documenti successivi viene sempre

specificato quando si parla della

metà del vino si ritiene che nei

documenti del 1670-1691 si faccia

riferimento alla produzione totale.

21

AST, Fondo Della Torre e Tasso,

b.154.1.

22

ASGO, Catasto Teresiano,

b. 113. Maria Teresa, spinta da

necessità finanziarie, intraprese a

metà del XVIII secolo una revisione

delle contribuzioni fondiarie

e a tale scopo fece redigere un

catasto. Nelle contee di Gorizia e

Gradisca l’impresa fu attuata con

la misurazione effettiva, iniziata nel

luglio 1751 e condotta a termine in

tempi brevi.

23

A.S.T., Fondo Della Torre

Tasso, b. 247.1. Si tratta di quattro

quaderni rilegati in cui il conte

annotava spese, entrate, contratti,

viaggi. Coprono il periodo tra il

1777 e il 1802.

24

Rilievo Giuseppino, mappa

186, tratto da VINCENC RAJSP

- DRAGO TRPIN, Slovenija na

vojaskem zemljevidu 1763-1787 -

45


Josephinische Landesaufnahme 1763-

1797 fur das Gebiet der Republik

Slowenien, Znanstvenoraziskovalni

center Slovenske akademije

znanosti in umetnosti Ljubljana.

25

ASGO, Catasto giuseppino,

Repertori, b.199 (cfr. anche b.198

Registri particellari). Con patente

20.4.1785, Giuseppe II ordinò la

revisione dei catasti, imponendo

nuovi sistemi di accertamento

e di esazione dell’imposta

fondiaria. Nelle contee di Gorizia

e di Gradisca, dov’era in vigore il

sistema prescritto nel 1751 da Maria

Teresa, i nuovi elaborati, affidati

alla direzione di Carlo Morelli – e

perciò popolarmente detti anche

catastazione morelliana o nuova

perticazione – furono condotti a

termine, nel 1789.

26

A.S.T., Fondo Della Torre Tasso,

b.150.1.3, 1817, Orazione funebre in

lode del conte Raimondo della Torre del

fu Giovan Battista.

27

ASGO, Catasti del XIX-XX

secolo, Mappe n. 2810, 2811, 2812,

2813, Sagrado, 1818 – 1825.

28

ASGO, Catasti del XIX-XX

secolo, Elaborati, b. 63, Protocollo dei

terreni, 1818.

29

A.S.T., Fondo Della Torre Tasso,

b. 251.3, 1783, Libro locazioni della

tenuta di Sagrado.

30

A.S.T., Fondo Della Torre Tasso,

b. 247.1-1, Libro confessore da gennaio

1777 sino tutto ottobre 1781(N°I V).

31

A.S.T., Fondo della Torre Tasso,

b. 251.3.

32

A.S.T., Fondo Della Torre Tasso,

b. 251.3, 1783, Libro locazioni della

tenuta di Sagrado.

33

A.S.T., Fondo Della Torre Tasso,

b. 153.1; il fondo conserva migliaia

di lettere tutte protocollate in

modo certosino da Raimondo IX. Il

clafter equivaleva a mq 3,59 (e allo

0,000985 di campo), cfr. Stanisci, cit.,

p. 87, Tabella di misure di superficie

alla fine del 1700 nel Goriziano.

34

A.S.T., Fondo Della Torre Tasso,

b 247.1-2, Libro confessore da novembre

1781 sino 31 luglio 1786 (N° V).

35

ASGO, Catasti del XIX-XX

secolo, Elaborati, b. 63 f. 190/23.

36

Cfr. M. PUNTIN, Toponomastica

storica del Territorio di Monfalcone

e del comune moderno di Sagrado,

Gradisca d’Isonzo, 2003; C. C.

DESINAN, Agricoltura e vita rurale

nella toponomastica del Friuli Venezia

Giulia, Pordenone 1982-1983.

37

A.S.T., Fondo Della Torre Tasso,

b 247.1-2, Libro confessore da novembre

1781 sino 31 luglio 1786 (N° V).

38

ASGO, Fondo Tribunale civico

provinciale di Gorizia, b. 166, f. 357,

s.1817-5-9, Ventilazione Raimondo

della Torre.

39

A.S.T., Fondo Della Torre Tasso,

b. 170.2, 1817, Promemoria per il nobil

signor conte Giovanni Battista Turn

riguardante la sua Contea di Sagrado.

40

Giovanni Battista fu governatore

delle province di Verona e Venezia.

41

MARIE THURN UND

TAXIS, Memoirs of a Princess. The

reminiscences of Princess Marie

von Thurn und Taxis, translated

and compiled by NORA

WYDENBRUCK, London 1959.

42

A.S.T., Fondo Della Torre

Tasso, b. 170.2. La busta contiene

documenti relativi all’ampliamento

della villa e all’amministrazione

della tenuta, come ad esempio il

Promemoria citato in nota 39.

46


43

MARIE THURN UND TAXIS,

Memoirs, cit.

44

Rivista Amici della Natura, anno

1887.

45

PLINIO IL VECCHIO, Historia

Naturalis, XIV 8,60.

46

Cfr. Terra friulana, anno III,

marzo-aprile 1958, n. 2.

A pagina 40

Facciata della villa di

Castelnuovo.

Alla pagina

Dettaglio degli antichi affreschi del

salone principale della villa di Castelnuovo.

All’interno di una delle dodici

nicchie che raffigurano personaggi mitologici

e allegorie compare Saturno: il

personaggio è riconoscibile per il nome

scritto sul basamento (SATUR[NO])

e per l’attributo della falce. Saturno è

l’allegoria del Tempo.

47


Azienda Agricola Castelvecchio

Via Castelnuovo, 2

34078 Sagrado (Gorizia)

www.castelvecchio.com

Settembre 2010

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