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Libro Castelnuovo

Il libro Castelnuovo racconta le vicende di un antico possedimento di Villa Veneta del 1.700 costruito dai Della Torre di Valsassina sul Carso sopra Sagrado. L'introduzione magistrale del libro è di Vittorio Sgarbi che curò anche la presentazione con il prof. Fulvio Salimbeni docente di Storia Contemporanea all'Università di Udine. Si narra di una grande famiglia che fece grande il Friuli V.G. e diede ben 4 Patriarchi ad Aquileia. Ci sono dei riferimenti alla Grande Guerra combattuta dal 1915 al 1917 durante le prime 6 Battaglie dell'Isonzo. Inoltre viene ricordata la figura del più grande poeta del 1900...Giuseppe Ungaretti che sul Carso di Castelnuovo combattè e trovò ispirazione per scrivere le poesie del Porto Sepolto. Al Poeta, è stato dedicato un Parco che riporta alcune Poesie dentro un circuito simile ad una Via Crucis Laica. Se il Libro saràdi vostro gradimento, contattatemi.

Il libro Castelnuovo racconta le vicende di un antico possedimento di Villa Veneta del 1.700 costruito dai Della Torre di Valsassina sul Carso sopra Sagrado. L'introduzione magistrale del libro è di Vittorio Sgarbi che curò anche la presentazione con il prof. Fulvio Salimbeni docente di Storia Contemporanea all'Università di Udine. Si narra di una grande famiglia che fece grande il Friuli V.G. e diede ben 4 Patriarchi ad Aquileia. Ci sono dei riferimenti alla Grande Guerra combattuta dal 1915 al 1917 durante le prime 6 Battaglie dell'Isonzo. Inoltre viene ricordata la figura del più grande poeta del 1900...Giuseppe Ungaretti che sul Carso di Castelnuovo combattè e trovò ispirazione per scrivere le poesie del Porto Sepolto. Al Poeta, è stato dedicato un Parco che riporta alcune Poesie dentro un circuito simile ad una Via Crucis Laica. Se il Libro saràdi vostro gradimento, contattatemi.

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A Lorenzo, Benedetta e Isabella,

a Maddalena

e alle generazioni future.



PASSATO PRESENTE FUTURO



A cura di

Mirella Della Valle

Ricerca storica

Miriam Dellasorte

Mirella Della Valle

Miriam Dellasorte

Con le fotografie di

Mario Pierro

Progetto grafico

Miriam Dellasorte

PASSATO PRESENTE FUTURO

Edizioni della Laguna

Direttore editoriale

Marino De Grassi

Tutti i diritti di riproduzione, anche parziale,

del testo e delle illustrazioni sono riservati.

All rights of reproduction, in whole or in part,

of the text or the illustration, are reserved.

Con le fotografie di Mario Pierro



O! Te beatam, Dextera praepotens!

Quae prima pulsis hic tenebris loci

aulam Deorum fascinantem

surgere praecipis in Sagrado!

ante.

Oh, te felice, Destra potentissima,

che qui comandi sorga in Sagrado

l’incantevole dimora degli Dei, dopo

che per prima cacciasti le tenebre.

Remigio Nordek, Ode, 1793



And yet, when I close my eyes, I can

still see it, dazzlingly white in the

sunlight, the green shutters closed, the

tall pillars of the peristyle supporting

the terrace of the first floor. And

then I imagine that I can smell the

characteristic smell of Sagrado. It was

the smell of fresh flowers mingled with

a slight odour of dust, almost mould,

a trace of the beeswax which was used

for the mosaic pavement, and the smell

of closed, cool, shady rooms. No scent

could have delighted me more.

Eppure, quando chiudo gli occhi

riesco ancora a vederla, in un bianco

abbagliante alla luce del sole, le

imposte verdi chiuse, le alte colonne

del peristilio che sorreggono la terrazza

del primo piano. E poi immagino di

poter sentire il caratteristico odore di

Sagrado. Era l’odore dei fiori freschi

misto ad un lieve odore di polvere,

quasi muffa, l’odore della cera vergine

che veniva usata per il pavimento di

mosaico e l’odore delle stanze chiuse,

fredde, ombrose. Nessun profumo mi

ha mai reso più felice.

Marie Hohenlohe Thurn und Taxis

Memoirs of a Princess, 1959 (postumo)



And in all the rooms and closets,

the vestibules and corridors, the halls

and staircases I could hear the soft

steps of an invisible guest, whose

presence I always felt in the enchanted

house - Joy!

E in tutte le stanze e gli stanzini,

nei vestiboli e nei corridoi, nei saloni

e sulle scale sentii i lievi passi di un

ospite invisibile, la cui presenza ho

sempre percepito nella

casa incantata - la Felicità!

Marie Hohenlohe Thurn und Taxis

Memoirs of a Princess, 1959 (postumo)



Spesso m’accadde d’indugiar svagato

da questa fantasia,

al balcone lassù della mia casa

tranquilla e solatìa.

quivi per l’ondeggiante ispida chioma

del bosco secolare

di quando in quando mi giungea col vento

il rumor di quel mare.

Spartaco Muratti

Per la mia casa, 1916



Come questa pietra

del San Michele

così fredda

così dura

così prosciugata

così refrattaria

così totalmente

disanimata.

Come questa pietra

è il mio pianto

che non si vede.

La morte

si sconta

vivendo.

Giuseppe Ungaretti

Sono una creatura, 1916



Tutto vive a Castelnuovo

La tenuta di Castelnuovo è luogo del cuore. Qui il tempo, come mai in

altri dove, è contemporaneo, anzi simultaneo nelle sue tre scansioni di

fasi: il passato è presente, il presente è attuale, il futuro è presente. Tutto

è qui ed ora ogni volta per la prima volta, anche per chi ha già bagnato

lo sguardo nell’immensità di questo panorama.

Se ci rivolgiamo all’esterno della villa, appena arriviamo, sentiamo

la presenza della natura sapientemente guidata dalla mano dell’uomo,

di ciò che l’uomo può e il divino dispone. Sembra che ci sia un tacito

accordo tra umano e divino in queste vigne, in questi ulivi, in questi

fiori utili prima al bello e poi al buono. Non si respira alcuna invidia

degli dei per quegli uomini che si prendono cura di ciò che gli dei stessi

godono in massimo grado.

Qui è l’uomo che diventa divino. Nella cura di ciò che gli è affidato

in dono e nella cura di se stesso. Non sono riuscite nemmeno le guerre,

che pure hanno toccato profondamente queste mura e questi suoli, a

mutare l’accordo tra dei e uomini, che oggi, come un tempo, camminano

insieme. Infatti, tu cammini per le stanze della villa e non ti senti solo:

“Attraverso il buio e il silenzio, altre ombre mute svolazzavano dietro

di me e io sapevo che loro, come me, stavano cercando la Felicità.” Ha

ragione la principessa Marie Hohenlohe ad annotare questa esperienza

nei suoi diari di Sagrado.

La riscoperta, poi, degli affreschi nascosti dalle disinfestazioni della

Prima guerra mondiale ci lascia un’ulteriore ombra dell’ombra delle

energie vitali che hanno camminato e dimorato in questa casa. L’arte è

compagna silenziosa, opera come un organismo vivente più che come

un oggetto.

Qui tutto vive. Anche ciò che è morto. Vive il passato, vive il presente,

vive il futuro. Vive come la nostalgia di un abbraccio che non possiamo

dare a un nostro caro defunto. Ma che pure sentiamo ci accompagna.

Vive così, Castelnuovo, nella malinconica lontananza di sapere che le

cose belle non sono mai del tutto nostre.

Vittorio Sgarbi



23

Prefazione

30

32

54

142

184

236

Dal XV al XX secolo

PASSATO

di Miriam Dellasorte

Castelvecchio e Castelnuovo tra documenti e tradizione

Uno scrigno di storia e storie

Il giardino di Alcinoo

L’incantevole dimora degli dei

Il vino: vocazione di un territorio

256

258

Dal 2006

PRESENTE E FUTURO

di Mirella Della Valle

Castelnuovo: sede pacifica di poesia, cioè fede e amore

292

294

298

Note bibliografiche

Biografia degli autori

Referenze fotografiche e abbreviazioni



Il presente va considerato un dono, noi non sempre lo viviamo

giornalmente come tale. Siamo una generazione che ha fretta, che

ha l’ansia del “fare’’. Vivere il presente come un dono è considerato

un lusso che ancora non possiamo permetterci, abbiamo troppi

stimoli e speranze da realizzare il più velocemente possibile. Ogni

giorno ci arrivano sempre nuovi spunti e nuovi messaggi che non

sono mai casuali, ma ciò lo si scoprirà nel tempo, e ci indicano

qual è la strada su cui procedere per la realizzazione delle nostre

speranze. Possediamo una spinta biologica, un’intelligenza, una

curiosità che ci inducono alla ricerca, alla conoscenza, che non

sempre è fine a se stessa.

A volte ci si accorge, magari a distanza di tempo, che la propria

personale ricerca innescata dalla curiosità può soddisfare anche

quella di un pubblico più vasto, diventa di interesse generale,

diventa un valore per la collettività e per le generazioni future, sia

in termini di conoscenza che di nuove attività produttive. Anche

chi è destinato per nascita ad una vita semplice, quasi idilliaca tra

i verdi campi della Brianza e le grandi aie delle numerose cascine

di piccoli paesi, può essere chiamato dal destino ad occuparsi di

recuperi storici e di memorie di grandi eventi del passato.

CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO 23



Chi si trova a dover operare, per esigenze imprescindibili, in

un settore che gli è completamente estraneo, che non ha nulla

a che vedere con le proprie origini, deve armarsi di coraggio, di

abnegazione e di costanza e avanzare credendo fino in fondo nei

propri ideali e sopportando con spirito di sacrificio ogni tipo di

difficoltà e avversità. Ogni azione intrapresa per elevare la propria

conoscenza si trasmette come un’onda a lambire la consapevolezza

di chi gli sta vicino. Si diventa responsabili anche della crescita

delle persone che si rapportano con noi e si crea un futuro migliore

anche per chi è pronto al cambiamento e ad accogliere nuove sfide.

Con la pubblicazione di questo libro, Castelvecchio e Castelnuovo

tra passato e futuro, ci sentiamo di avere adempiuto ad un nostro

preciso dovere, quello di raccogliere insieme i vari documenti che

si riferiscono alla proprietà sparse entro i confini del Veneto e del

Friuli Venezia Giulia. Il dovere di consegnare nelle mani delle future

generazioni le informazioni riguardanti gli affreschi del pittore

Mattia Furlanetto che li realizzò. Questa ricerca è nata da una serie

di combinazioni, mai casuali, che non potevamo ignorare e che si

sono ossessivamente e ripetutamente alternate negli ultimi sei anni.

Quando nel 1987 si decise di acquistare un’Azienda Agricola, non

avremmo mai immaginato che saremmo diventati, per necessità

e per destino, dei ricercatori storici e nemmeno immaginavamo

che saremmo ritornati per consapevolezza a fare i contadini.

Di Castelvecchio, ci innamorammo a prima vista. Non ci era

mai capitato per nessun’altra azienda agricola. La località, il

panorama, le vedute, la misteriosa magia che aleggiava sopra

le grandi chiome del bosco di querce secolari che circondano la

proprietà a perdita d’occhio fino a raggiungere con lo sguardo in

lontananza il mare e tutta la laguna dell’Alto Adriatico ci avevano

completamente catturato! A soli cinque minuti di macchina dal

centro abitato di Sagrado, sulla cima della collina in località

Castelnuovo, si apre al visitatore uno sguardo grandioso sulla

catena delle Dolomiti, delle Alpi Carniche, delle Alpi Giulie.

Fu impossibile resistere alla bellezza di un luogo simile, noi ne

fummo stregati. Oggi sappiamo che l’incantamento non era dovuto

unicamente a queste reali bellezze, ma anche ad un sottile richiamo

delle anime che qui abitarono, vissero e morirono per la conquista

di questo “sperone di roccia”, così lo definì ai suoi tempi Raimondo

IX Della Torre Valsassina, prima di circondarlo di terrapieni

digradanti verso il bosco e verso l’uliveto.

Eravamo inconsapevolmente, per nascita, dei contadini, abbiamo

voluto vivere e sperimentare, negli ultimi cento anni, la rivoluzione

industriale, elettronica ed ora informatica perché quella sembrava

la direzione che ci portava verso una nuova forma di civiltà.

Oggi non siamo più sicuri che la rivoluzione degli ultimi anni la si

possa definire “civiltà”. Ha mostrato ampiamente i suoi limiti e la

sua incapacità a salvaguardare le esigenze primarie della specie

umana, la salvaguardia della Terra, del cibo, dell’aria e dell’ acqua.

Oggi, e non nell’1987, torniamo per scelta consapevole a fare i

contadini, per difendere il nostro pane, il nostro olio ed il nostro vino

quotidiano. Il cibo italiano, nostro nutrimento da millenni che ha

permeato le nostre cellule, rischia, a causa della standardizzazione

e della globalizzazione, di perdere la sua energia, il suo valore

biologico, indispensabili per stimolare la nostra forza vitale!

Oltre al recupero della memoria, alla conservazione delle strutture

architettoniche, attraverso un restauro minimo e rispettoso,

dobbiamo preoccuparci di salvaguardare il cibo di cui si nutriranno

anche le future generazioni. Se nei documenti e nelle mappe

d’archivio si trova scritto che da queste terre fin dal lontano XVI

24 Prefazione CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

25



secolo si traeva sostentamento coltivando la vite e l’ulivo, una

ragione forte ci deve pur essere, perciò va difesa. Bisogna rispettare

quindi non solo la storia e la memoria, ma anche la vocazione

agricola delle terre. La terra carsica dona all’uomo, da secoli,

vino e olio delle caratteristiche olfattive e gustative uniche, rare e

preziose. Mantenere quindi intatto questo territorio e rispettarne

la vocazione agricola, è un altro preciso impegno che ci siamo

assunti con tutti i nostri collaboratori. Essere proprietari oggi di

Castelvecchio, è una grande responsabilità.

Noi l’abbiamo assunta sulle nostre spalle e l’abbiamo

compenetrata fino in fondo, man mano che ci inoltravamo nelle

nostre ricerche. Abbiamo incontrato in questo percorso persone

consapevoli le quali apprezzavano lo sforzo ed il lavoro di recupero

che abbiamo intrapreso e portato a termine finora. Persone

meravigliose e prodighe di suggerimenti che ci incoraggiavano a

proseguire. A volte erano dei cittadini privati innamorati del luogo,

a volte professionisti esperti di storia, arte e memoria, e a volte

sensibili rappresentanti della pubblica amministrazione, impegnati

a raggiungere una migliore conoscenza della realtà territoriale che

si trovano ad amministrare. Abbiamo maturato in questo quarto di

secolo una precisa opinione.

Questo meraviglioso territorio, fortemente amato dai Della

Torre di Valsassina, e da tutte le persone che qui vi abitarono o

che lo hanno visitato, così ricco di bellezze naturali, di paesaggi,

di tramonti, di aurore, così ricco di storia, che nemmeno la Grande

Guerra è riuscita a scalfire nella sua infinita bellezza, questo

meraviglioso territorio è passato indenne anche attraverso il

degrado di questo secolo che poteva essere pari o peggiore di una

distruzione bellica. Ora che tutto il valore è stato portato alla

conoscenza, siamo convinti che Castelnuovo riceverà maggiori e

più precise attenzioni per la sua valorizzazione e conservazione.

Il fato ci aveva messo nelle mani questa splendida tenuta, e noi

nell’adempimento del nostro dovere l’abbiamo resa fruibile in tutta

la sua bellezza e magia al pubblico contemporaneo ed alle future

generazioni.

A conclusione di questo nostro excursus, per certi aspetti

sentimentale, sulle vicende che hanno determinato la nuova vita

della villa e delle sue verdi pertinenze, vogliamo soffermarci anche

sulla genesi della parte storica del presente volume, che riguarda il

Passato.

Una genesi che affonda le radici a qualche anno fa, quando i primi

risultati delle ricerche archivistiche di Miriam sottoponevano via

via alla nostra curiosità una messe di informazioni sugli originari

proprietari della villa, ricavabili da lettere, inventari, urbari, libri di

conti, componimenti, diari, disegni, mappe, elaborati catastali.

Chi abbia una qualche dimestichezza con le ricerche nei fondi

archivistici sa che non sono facili e che, soprattutto, richiedono

competenza, pazienza e tempo, un trinomio di “armi” tanto

formidabile quanto poco disponibile: è necessario maneggiare

montagne di vecchie e fragili carte, in cui le grafie spesso troppo

corsive e personali impediscono di comprenderne chiaramente o

totalmente il contenuto, con l’aggravio degli inchiostri scoloriti

e l’uso di una lingua fin troppo datata e perciò non sempre del

tutto comprensibile. Con l’aggravio ulteriore di ignorare del tutto

se l’informazione cercata con tanta ansiosa perseveranza esiste

ancora in quelle carte, o se invece è mai esistita, o se va ricercata

altrove. Si è costretti a passare da un fondo all’altro, da un archivio

all’altro, talvolta delusi e scoraggiati per l’esiguità o l’assenza dei

documenti utili. Nella ricerca, si è eccitati e spronati a continuare

dal ritrovamento fortuito di un’informazione del tutto inaspettata

26 Prefazione CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

27



che di colpo apre nuovi orizzonti allo studio intrapreso. Sono

questi i momenti più gratificanti per il ricercatore, ma sono, come

sottolineato sopra, fortuiti, dovuti cioè alla fortuna.

Ben consapevole di ciò, Miriam ci confidò una volta di essere

certa che il conte Raimondo (che per lei è il IX di questo nome, per

antonomasia) la seguisse benevolo da lassù, “contagiato” dalla

simpatia che lei provava nei confronti di un uomo nobile per stirpe,

agire e sentimenti, intelligente, colto, arguto, bonario e severo al

tempo stesso, aderente con tutto se stesso ad un mondo di segreti

iniziatici tanto da “creare dal nulla” la sua splendida dimora. Sì,

perché a Miriam capitò più di una volta di trovare per caso una

carta davvero importante per le sue ricerche, talmente per caso

che per forza, a suo avviso, in ciò doveva esserci lo zampino di

Raimondo…

Un esempio per tutti. Un giorno, in Archivio di Stato a Gorizia, un

poco delusa per il modestissimo raccolto della giornata, incontrò

un amico a sua volta impegnato in ricerche di tutt’altro argomento.

L’amico si disse contento di vederla perché aveva qualcosa da

consegnarle: la fotocopia di due paginette stampate a Gorizia, con

versi in latino, in cui aveva letto il nome di Raimondo IX. Le aveva

trovate nel fondo Coronini e, essendo a conoscenza degli studi di

Miriam, aveva pensato di fotocopiarle per lei con la previdenza del

“non si sa mai”. Miriam ne rimase commossa: mai avrebbe pensato

di cercare in quel fondo, in cui, tra l’altro, quelle due paginette se

ne stavano peregrine ed ignorate. Si trattava dell’Ode di Remigio

Nordeck, il cui oscuro contenuto doveva illuminarsi alla luce

affascinante del ciclo di affreschi e del giardino iniziatici.

Merita che si riporti ancora un altro aneddoto. Miriam, proprio

lei e non un altro esperto di cui era stato avanzato il nome, ebbe

l’incarico da parte della Fondazione Cassa di Risparmio di redigere

la scheda del dipinto con il Ritratto di Raimondo IX, proprietà

della stessa, in vista della mostra del 2011. Ebbene, Miriam fece

una scoperta del tutto inaspettata che, tra l’altro, aumentò il valore

venale del quadro. Confrontando i due ritratti del conte, quello della

Fondazione e quello pubblicato in questo volume, Miriam ebbe

subito dei forti dubbi che si trattasse della stessa persona; e così era,

infatti. Il ritratto non raffigurava il suo Raimondo bensì un ignoto

nobile di Bolzano; era come se il conte stesso l’avesse indirizzata

verso la strada giusta per correggere un madornale errore di cui era

piuttosto seccato…

Le ricerche di Miriam furono davvero fruttuose, perché hanno

portato ad acquisizioni molto importanti dal punto di vista storico –

artistico.

Oggi possiamo essere certi della paternità del ciclo di affreschi

del salone, opera di Matteo Furlanetto, pittore della cui attività non

si conosceva più nulla dopo il 1815. Oggi noi conosciamo funzioni

e significati del giardino e dei piccoli edifici in esso sparsi di cui

nemmeno la principessa Marie era a conoscenza.

Raccolta la messe di tutti i dati storici, Miriam si accinse ad

elaborarli per la ricostruzione corretta, fedele, della storia della villa

e del suo giardino, operazione questa che richiedeva una preventiva

cernita del materiale documentario in vista della stesura di un testo

di agevole e gradevole lettura anche per i profani. Se l’agevolezza

riguarda il metodo espositivo, la gradevolezza riguarda

l’impostazione grafica a cui Miriam ha dedicato ulteriore tempo. A

noi sembra che il libro sia riuscito bene, senza falsa modestia: ma il

giudizio, che non ci attendiamo certo concorde, spetta, come giusto,

ai lettori.

Mirella e Leopoldo

28 Prefazione CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

29



Dal XV al XX secolo

Miriam Dellasorte

PASSATO



Castelvecchio

e Castelnuovo tra

documenti e tradizione

A fronte

Dettaglio della mappa

Disegno in pianta

del principal contado

di Gradisca con la

separatione delle città,

terre, villaggi a questo

sottoposti. Sagrado,

nell’area campita di

rosso, fa parte del

territorio sotto Gorizia

al confine con lo Stato

Veneto (Biblioteca

Statale di Gorizia, carta

a mano della fine del

secolo XVII, Carte

geografiche Mz 4,

n.inventario: 197.129).

1

M. Malabotta

attribuisce la costruzione

di Castelnuovo a

Francesco Ulderico

Della Torre; C. Bozzi

la attribuisce ai Della

Torre, ma non ne precisa

il periodo; A. Geat la

attribuisce a Raimondo

Tradizione e toponomastica legano indissolubilmente

Castelvecchio, l’antico palazzo padronale un tempo situato ai piedi

dell’altopiano carsico di Sagrado, e Castelnuovo, la villa dalle linee

neoclassiche edificata in cima al colle.

I suffissi vecchio e nuovo suggeriscono un arco temporale che

determina un prima e un dopo, ma di fatto non escludono una

contemporaneità. A che epoca risaliva dunque Castelvecchio e a

che datazione può essere riferito Castelnuovo? L’uno sostituì l’altro?

Perché e per volontà di chi furono edificati? Che relazione ebbero

entrambi con i potenti esponenti della dinastia comitale dei Della

Torre, feudatari prima e proprietari poi di gran parte del territorio

di Sagrado?

Poiché le fonti bibliografiche riguardo alla storia di Castelvecchio

e Castelnuovo erano discordanti si è scelto di intraprendere un

percorso di ricerca d’archivio che portasse a risolvere l’intricata

questione 1 . Passo dopo passo, tra mappe, disegni, relazioni, urbari,

catasti, rendiconti, note di pagamento, lettere e ventilazioni

di morte, è stato possibile ricostruire in buona parte la storia

CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO 33



VI Della Torre Hofer

Valsassina; la stessa

ipotesi è accettata e

ripresa dalla maggior

parte degli studiosi,

tra cui L. Foscan e

E. Vecchiet e da G.

Geromet e R. Alberti.

2

ACM, Omnia acta

agitata tempore

spectabilis et

generosi viri domini

Andreae Contareno

honorabilis potestatis

Montisfalchonis 1447

- 1448. Cfr. S. Domini

1980, pp.48-50.

3

Un documento

datato 1375, trascritto

da Vincenzo Joppi e

numerato 298, cita

espressamente la

chiesa di Sagrado

(BCUD, Fondo Joppi,

Capsula II, Documenti

e notizie su vari luoghi

del Friuli). Anche un

altro documento datato

1422 riporta l’elenco

delle villae sotto la

giurisdizione della Pieve

di San Pier d’Isonzo,

tra cui Sagrado (cfr.

PUNTIN 2003).

4

ASVE, Atti del

Luogotenente, b. 114,

notaio Disfapissibus. Cfr.

S. DOMINI 1980, p. 50.

di Castelvecchio e Castelnuovo, presentata in questa sezione

attraverso il confronto di numerosi documenti spesso inediti.

Per trovare le prime risposte dobbiamo tornare indietro nel

tempo di diversi secoli, almeno fino alla seconda metà del Trecento.

Silvio Domini osserva che negli Acta del podestà Contarini, cioè

nell’anno tra il 1447 e il 1448, Sagrado «non viene mai nominato

come villa, cioè paese, ma solo come località di guado e traghetto

infeudato agli Strassoldo» 2 . Anche altri storici locali, come Carlo

Luigi Bozzi, Glauco Vittori e don Onorio Fasiolo, riferiscono

appena al XVI secolo l’esistenza del villaggio di Sagrado, sulla

scorta dei documenti attestanti la cessione del feudo di Sagrado

da parte dei conti di Strassoldo ai conti Della Torre. Da ciò si

dovrebbe poter desumere che prima della metà del Quattrocento

non esisteva la villa, ma soltanto la fortificazione. La villa, invece,

contrariamente a quanto supposto dai suddetti storici, esisteva

già alla fine del Trecento ed è probabile che avesse una sua chiesa,

come confermano alcuni documenti a partire dal 1375 3 . Il nome

Sagrado, se interpretato come toponimo di etimo slavo za grad / za

gradom, cioè dietro o presso il castello, potrebbe far riferimento a un

castelliere preistorico o a un fortilizio longobardo esistito sui rilevi

carsici tra Sagrado e Fogliano.

Nella seconda metà del Quattrocento il valore strategico

di Sagrado, grazie al passo della barca sull’Isonzo, aumentò

notevolmente, poiché, sotto la minaccia turca, Venezia fece

costruire una linea di difesa lungo il fiume ed edificò la fortezza di

Gradisca. Fu così che l’11 ottobre 1500, data l’importanza militare

del luogo, i beni di Sagrado furono ceduti a due fedelissimi capitani

di ventura dei Veneziani: Teodoro e Franco Del Borgo 4 . I Del Borgo

mantennero la proprietà di Sagrado per undici anni, finché durante

la Guerra della Lega di Cambrai le truppe dell’arciduca d’Austria

5

ABCGO, pergamena

n. 126. Cfr. S. DOMINI

1980, p. 50.

6

R. PICHLER 1882

cita un contratto di

compera di Sagrado da

parte di Francesco III

nel 1556. La versione

del provveditore di

parte veneta, datata

1559, è la seguente:

«[...] il luogo di Sagrato

nel quale già molto

tempo dalla Repubblica

Serenissima furono

investiti per benemerenza

certi Del Borgo con

carico di annuo censo,

li quali apparentati con

la casa Torriana, ed

estinta essa linea Del

Borgo, si devolse il

detto luoco in Casa della

Torre, et dall’hora sino

al presente, fu ridotto

a pretesa di ragione

Imperiale con affissione

di termini et insegna di

Cesare l’anno 1559 [...]»

(ASVE, Provveditori alla

Camera dei Confini,

Friuli A, Generali, b. 49;

cfr. S. DOMINI 1980,

p.52).

7

AST, Fondo Della Torre

e Tasso, b. 242.3.1,

Piano del tracciato di

confine tra l’Isonzo e il

lago di Pietrarossa.

Massimiliano I assediarono e infine conquistarono Gradisca,

che divenne un capitanato imperiale. Anche Sagrado, insieme a

Gradisca, passò sotto il dominio asburgico e il 26 settembre 1511,

con disposizione ufficiale di Massimiliano, tutti i beni di Teodoro

Del Borgo furono confiscati e consegnati a Giorgio, Nicola e Febo

fratelli Della Torre, in riconoscimento dei loro giornalieri fedeli

meriti 5 . Fu dunque nel 1511 che ebbe inizio il legame tra la dinastia

dei Della Torre e il territorio di Sagrado, sebbene Rodolfo Pichler,

biografo ufficiale del casato, basandosi sui documenti in suo

posesso, l’abbia fatto risalire a ben cinquantacinque anni dopo 6 .

Il trattato di Worms del 1521 ribaltò ancora una volta la situazione,

perché mentre Gradisca rimaneva all’Austria, Sagrado tornava in

mano alla Serenissima e ripassava dalle mani dei Della Torre a

quelle dei Del Borgo. Ma, quando nel 1556 Francesco Del Borgo

morì senza discendenza, avendo egli sposato una Della Torre

Sagrado rimbalzò nuovamente in mano torriana, ad eccezione

del passo della barca che ritornò agli Strassoldo. Diventando

feudo del casato torriano sotto Francesco III Della Torre, fedele

alla casa d’Austria, il territorio di Sagrado fu nuovamente unito

politicamente all’asburgica Gradisca.

Se dunque fino alla fine del Cinquecento i documenti esaminati

che citano Sagrado non riportano esplicitamente notizia di un

palazzo o di un castello, ecco che la situazione cambia a cavallo

tra Cinquecento e Seicento, sotto l’amministrazione del conte

Raimondo VI Della Torre Hofer Valsassina, figlio ed erede

universale di Francesco III. Una mappa senza data, ma certamente

precedente al 1639, redatta per questioni di confine tra Stato Veneto

e Stato Arciducale, ci regala una preziosa vista a volo d’uccello del

Pallazzo di Sagrado 7 . Ai piedi dello sperone carsico, in località oggi

denominata Castelvecchio, spicca un palazzo padronale collocato

34 Castelvecchio e Castelnuovo tra documenti e tradizione CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

35



Dettaglio del Pallazzo di

Sagrado tratto dal Piano

del tracciato di confine

tra l’Isonzo e il lago di

Pietrarossa (AST, Fondo

Della Torre Tasso, b.

241.3.1, s. d.).

8

R. PICHLER 1882, pp.

354-355.

9

Raimondo VI chiese

il permesso di celebrar

messa all’interno di

una cappella fatta

edificare per sua volontà

a Sagrado, con ogni

probabilità all’interno

di Castelvecchio. Il

permesso fu accordato il

3 settembre 1613 (AAU,

Fondo dei Notai, b. 65,

p. 29 dell’ultimo libro

Actus).

a est della strada per Gorizia e Monfalcone. Il palazzo si trovava

al centro di una verdeggiante area quadrangolare definita da

possenti mura lungo le quali erano collocati due edifici più bassi

e allungati, probabilmente adibiti a uso rustico. È fondamentale

notare come sotto Raimondo VI il feudo di Sagrado acquistò

notevole importanza per la linea torriana, poiché diventò centrale

rispetto ai possedimenti ereditati e acquisiti dal casato, estesi

dall’Alto Adriatico al Collio 8 . Fu dunque il conte Raimondo VI, data

la centralità del feudo di Sagrado rispetto ai suoi possedimenti, a

far costruire il palazzo che compare sulla mappa? Ampliò forse una

struttura già esistente 9 ? Non è dato saperlo, ma di certo possiamo

affermare che non fu Raimondo VI a far costruire Castelnuovo

come vuole la tradizione fino ad ora largamente accettata

dagli storici; in cima al colle infatti la mappa non mostra alcun

edificio, bensì localizza l’antico bosco che copriva una vasta area

rettangolare anch’essa recintata con solide mura.

Piano del tracciato di

confine tra l’Isonzo e il

lago di Pietrarossa (AST,

Fondo Della Torre Tasso,

b. 241.3.1, s. d.).

La mappa è posteriore

al 1521 perché compare

la chiesa di Santa Maria

in Monte di Fogliano

(Madonna del Rosario)

ed è antecedente al

1639 per confronto

con la mappa Territorio

a nord di Fogliano

al confine con la

Repubblica di Venezia e

l’Austria (ASVE, Senato,

Dispacci Rettori Udine, b.

F30, disegno 14).

36 Castelvecchio e Castelnuovo tra documenti e tradizione



Castelvecchio nel 1641

(ASVE, Senato, Dispacci

Rettori Udine, b. F30,

disegno 14).

10

Anno 1634 (AST,

Fondo Della Torre Tasso,

b. 212.2-2).

11

ASVE, Senato,

Dispacci Rettori Udine,

b. F30, relazione del

luogotenente allegata

al disegno: «[...] go

incaricato a persona

mia confidentissima, e

discreta, che da niuno

è stata osservata, né

può aver generato

imaginabile sospicione

di portarsi [...] al luogo

di Sagrà [...] dal Conte

Giovanni Filippo della

Torre, è stato fabbricato

quel muro, con intacco

delle ragioni della

Serenissima Repubblica

et questo mi riporta

relazione sicura, che il

muro sudetto, che fu

principiato già due anni,

come scrissi, in questi

ultimi giorni sia stato

ridotto a tutta perfezione,

nella forma, altezza,

quantità, et qualità,

che dal disegno qui

imaginato distintamente

appare; il qual dissegno

da questi medesimo

mio confidente, che

però non ga cognizione,

né perizia esquisita di

questa ofissione, è fato

al meglio, che ga potuto,

[...]. Udine lì 5 Maggio

1641».

Nel 1623, anno in cui morì Raimondo VI, il palazzo di Sagrado

divenne sede vedovile della seconda moglie Chiara Orsa Hofer e

l’eredità fu spartita tra i quattro figli di primo letto Francesco Febo,

Raimondo VII, Giovanni Mattia e Giovanni Filippo. Il testamento

di Raimondo VI e la donazione di Chiara Orsa, che lasciò tutto il

proprio salvo l’usufrutto in vita a Giovanni Filippo, furono origine

di gravi dissensi tra i quattro fratelli; Sagrado e Duino toccarono

infine a Giovanni Filippo, cui si deve l’acquisto del passo della

barca sull’Isonzo dagli Strassoldo 10 e lo sviluppo delle mura

difensive del palazzo. I lavori iniziarono nel 1639 e terminarono

nel 1641; ne riporta notizia una cronaca redatta dal luogotenente

veneto dell’epoca che affidò a persona fidata l’incarico di rilevare in

incognito il nuovo tracciato delle mura 11 . Dal disegno allegato alla

relazione si nota come la casa dominicale del Conte della Torre in

Sagrà, corrispondente al Pallazzo di Sagrado rappresentato nella

mappa precedentemente descritta, si trovi all’interno di una vera e

propria cortina difensiva poligonale dotata di due torrioni e torrette

che dominavano il forte di Fogliano, ossia la Chiesa della Madonna.

La cortina difensiva, costituita da muro grosso, fatto di pietra di

monti et collina, si estendeva fino in cima al colle inglobando

anche il bosco. A valle, in prossimità del palazzo, si trovavano due

edifici oblunghi che costituivano parte integrane delle mura e

delimitavano l’accesso all’area protetta. Intorno alla metà del XVII

secolo non compare alcuna traccia di Castelnuovo: la cima del colle

era ancora interamente occupata dal bosco.

Alla morte di Giovanni Filippo il palazzo divenne sede vedovile

della moglie Eleonora Gonzaga e l’eredità passò al figlio Francesco

Ulderico, celebre capitano di Gradisca, che ebbe i natali nel 1629

proprio a Sagrado. A Francesco Ulderico si deve il rilievo mappale

redatto nel 1677 per definire con accuratezza il valore delle rendite

delle terre di Sagrado.

CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO 39



A fronte

e alle pagine seguenti

Alcune pagine del

rilievo fatto eseguire da

Francesco Ulderico Della

Torre nel 1677 (AST,

Fondo Della Torre Tasso,

b.241.3.2, Piano dei

terreni di Sagrado).

12

Fascicolo di piani

con descrizioni dei

terreni di Francesco

Ulderico Della Torre siti

in territorio di Sagrado,

1677 (AST, Fondo Della

Torre Tasso, b.241.3.2).

13

Archivio della

Fondazione Scaramangà

di Trieste, A52-n.2260.

La serie di undici mappe 12 è relativa ad altrettanti appezzamenti

coltivati dai coloni. Per ogni appezzamento l’agrimensore disegnò

la pianta, ne diede le dimensioni in pertiche di Gradisca, riportò il

nome del colono affittuario, i confini e il genere delle coltivazioni.

Confrontando il documento con la mappa del 1641 e considerando

i toponimi citati, è possibile stabilire che le aree rilevate erano

collocate ai piedi del monte, nei pressi del palazzo dominicale.

I lotti rappresentati confinavano con il boscho e il monte, con il

broglio (l’area all’interno delle mura che comprendeva cortili e

orti), la roglia (la roggia che scorreva ai piedi del monte), la strada

del pallazzo (che collegava l’edificio con la strada principale

Gorizia – Monfalcone), le mura del pallazzo, la stradella, il Molin

(l’antico mulino), la Comugna (i terreni destinati a pascoli e

boschi, a disposizione della comunità) e il monte delli Olivari. Non

compaiono mai riferimenti a un nuovo edificio fatto costruire in

cima al colle.

Poiché Francesco Ulderico non ebbe discendenti diretti, la

proprietà dei beni di Sagrado passò per testamento al fratello

Filippo Giacomo e al nipote Luigi Antonio, con la condizione che

qualora la linea di successione si fosse estinta tutti i beni sarebbero

dovuti andare alla linea dell’altro fratello Raimondo Bonifacio.

Una descrizione della proprietà di Sagrado in questo periodo

ci è giunta per vie davvero singolari, ovvero attraverso la Vera

relatione di quanto seguì alle nostre monache di San Cipriano al

tempo della bombardatione fatta dalli Francesi in questa città di

Trieste, nel anno 1702 13 . Allora badessa di San Cipriano era madre

Eleonora, al secolo Laura Della Torre, sorella di Francesco Ulderico

e Filippo Giacomo. La badessa fu ospitata per tre mesi insieme

alle consorelle nel palazzo di Sagrado, poiché il convento in quel

periodo non era sicuro a causa dei bombardamenti francesi sulla

città. La cronaca narra di un palazzo che affacciava su uno spazioso,

40 Castelvecchio e Castelnuovo tra documenti e tradizione





14

AST, Fondo Della

Torre Tasso, b. 230.1.6,

1723.

15

ASGO, Catasto

Teresiano, Sagrado,

b. 113. Maria Teresa,

spinta da necessità

finanziarie, intraprese

a metà del XVIII secolo

una revisione delle

contribuzioni fondiarie

e a tale scopo fece

redigere un catasto.

Nelle contee di Gorizia

e Gradisca l’impresa

fu attuata con la

misurazione effettiva,

iniziata nel luglio 1751

e condotta a termine in

tempi brevi.

16

ASPGO, Atti degli Stati

provinciali, b. 492.

ameno e verdeggiante prato, inserito all’interno di una grande area

recintata dove si trovavano il bosco, orti e campi.

La rigogliosità descritta dalle monache doveva corrispondere

al vero, perché nel 1723 le terre di Sagrado risultano essere le

più redditizie tra i Beni sotto il Principal Contado di Gorizia e

Gradisca 14 . Nel 1741 il conte Giovanni Filippo II aveva già iniziato a

vendere parte dei possedimenti al nipote Giovanni Battista II, figlio

del fratello Raimondo Bonifacio. Il 19 marzo 1745 il conte completò

l’opera vendendo a Giovanni Battista tutto il residuo dell’urbario

con la giurisdizione della villa e l’uso del palazzo. Da quel momento

in poi, considerato il valore delle terre e la loro appetibilità, dovette

sorgere un contenzioso tra gli eredi di Giovanni Filippo e Giovanni

Battista, tanto che nel Catasto Teresiano, redatto nei primi anni

Cinquanta del Settecento, la giurisdizione del villaggio è attribuita

agli eredi di Giovanni Filippo e non a Giovanni Battista, mentre i

beni risultano essere in parte di proprietà di quest’ultimo e in parte

dei primi. Il palazzo dominicale viene descritto come inabitato, di

proprietà per metà degli eredi di Giovanni Filippo e per metà di

Giovanni Battista II 15 . Il Catasto Teresiano ancora una volta nomina

un solo palazzo di Sagrado, identificabile con Castelvecchio, e non

fa alcun cenno ad altri palazzi o edifici di rilievo. Del fatto che in

cima al monte, all’interno delle mura, non esistesse ancora alcun

edificio, è prova anche un acquerello del 1763, allegato ad una

relazione inviata da Giovanni Battista al Capitanato di Gorizia in

risposta al provvedimento che impediva ai proprietari di tagliare

per proprio uso gli alberi di rovere 16 . L’acquerello, sebbene di fattura

molto elementare, fornisce una rappresentazione del Parco di

Sagrado, osia Boscheto di daini rinchiuso di muro parte arrativo,

prativo e boschivo scolgioso e con cespugli di campi 54 secondo la

misura della ratificazione, formato da alquanti rovori giovani, e

vecchi da brugiare. È riconoscibile il muro irregolare che richiama

Il bosco di Sagrado nel

1763 (ASPGO, Atti degli

Stati provinciali, b. 492).

17

Ferdinando Giuseppe

de Flammio, Mappa

delle due Unite

Principate Contee di

Gorizia e di Gradisca

e suoi confini come

segue..., carta a

mano del 1760 circa

(Biblioteca Statale

di Gorizia, Carte

geografiche Mz 8,

n.inventario: 186.744).

la funzione della cortina difensiva della mappa veneziana del 1641.

Intorno alla metà del XVIII secolo Castelvecchio doveva essere

ancora in buone condizioni. Una carta del 1760, che rappresenta le

Unite Principate Contee di Gorizia e Gradisca, lo segnala accanto

alla Roggia del molino indicandolo con il simbolo arces (palazzi),

contrapposto in legenda al simbolo areces dirutae (palazzi

diroccati) 17 .

Negli anni Settanta del Settecento, i beni della linea di Francesco

Ulderico, a cui appartenevano i discendenti di Giovanni Filippo

II, e i beni della linea di Raimondo Bonifacio, a cui appartenevano

Giuseppe I e Giovanni Battista II, confluirono in larga parte nel

44 Castelvecchio e Castelnuovo tra documenti e tradizione CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

45



A fronte

Catasto Giuseppino,

mappa 186 (tratta da V.

Rajsp e D. Trpin).

18

Catasto Giuseppino,

mappa 186 (cfr. V.

Rajsp e D. Trpin).

19

ASGO, Catasto

Giuseppino, b. 198,

Registri particellari,

particella n. 72. Nel

1785 Giuseppe II

ordinò la revisione dei

catasti, imponendo

nuovi sistemi di

accertamento e di

esazione dell’imposta

fondiaria. Nelle contee

di Gorizia e di Gradisca,

dov’era in vigore il

sistema prescritto nel

1751 da Maria Teresa, i

nuovi elaborati, affidati

alla direzione di Carlo

Morelli, furono condotti

a termine nel 1789.

20

Ibidem, particella n. 19.

patrimonio del figlio di quest’ultimo, il conte Raimondo IX Della

Torre. È sotto l’amministrazione di Raimondo IX che le cose

iniziarono a cambiare radicalmente. La mappa 186 del rilievo che

l’imperatore Giuseppe II fece eseguire a scopo militare tra il 1763

e il 1787 ci regala un primo assaggio dei cambiamenti in atto 18 . A

Sagrado è segnalato un castello, Schloss, chiaramente identificabile

con Castelvecchio, costruito solidamente in pietra come pure gli

edifici pertinenti; è localizzato ai piedi del colle, affacciato sulla

Roggia del Mulino, al centro di un’area quadrangolare delimitata

da mura. Lungo le mura sono raffigurati tre edifici di grande

dimensione ed uno minore. Dietro al castello si estende il Thier

Garten, letteralmente “giardino con animali”, ovvero la riserva

di caccia recintata e lasciata a bosco identificabile con il Bosco

di Sagrado rappresentato nell’acquerello del 1763. Ecco che però,

in cima al colle, all’interno dell’area Thier Garden, è rilevato un

significativo fabbricato a pianta rettangolare. La prima fase della

villa di Castelnuovo? L’ipotesi sembra molto verosimile, tanto

che nei registri particellari del catasto Giuseppino (1785 – 1790) 19

si legge al n. 72: «Bosco, confinante a Levante con il Prato dietro

al bosco al seguente 73, a Mezzodì con la Valle al n. 79, a Ponente

con li Campi della valle n. 82 e a Tramontana con la Strada Reggia

di Doberdò. Al fine di sudetto Bosco verso Tramontana esiste la

Palazina del medesimo [Conte Raimondo], ed uscendo fuori del

portone del cortivo di detto si trova il seguente Prato dietro il

Bosco». Possiamo dunque affermare che è a Raimondo IX Della

Torre che va il merito di aver fatto edificare quello che la tradizione

ha chiamato Castelnuovo. Castelvecchio, indicato nei registri

particellari come Palazzo (n.19) appartenente al conte Raimondo,

fu solo per alcuni anni contemporaneo a Castelnuovo 20 . Le note

contrattuali redatte dal conte dimostrano che già nel 1781 era in

atto lo smantellamento dell’antico edificio: «Oggi feci contratto

46 Castelvecchio e Castelnuovo tra documenti e tradizione



A fronte

Mappa censuaria 2816

del catasto di Sagrado

(ASGO, Catasti XIX e XX

secolo, Sagrado, senza

data).

21

AST, Fondo Della

Torre Tasso, b. 153.1.

22

ASGO, Catasti secoli

XIX e XX, Sagrado,

mappa 2810.

23

ASGO, Catasti XIX e

XX secolo, Sagrado,

mappa 2816, senza

data.

col Torroj per disfare la torre della casa vecchia di Sagrado»;

«Il di 11 Febbraio 1788 Zuane e Francesco Visintini di Polazzo e

compagnia di andrea Zimolo si obbligano di condurre li sassi

grezzi per fabbrica del palazzo vecchio di Sagrado nel così detto

Broilo lungo il muro da farsi di chiusura della nova vigna [...] il di

17 detto li tre qui sopra notati fecero accordo di scavare li sassi che

sono nelli materiali del vecchio mio palazzo [...]» e ancora «Il di 29

ottobre 1788 fu fatto accordo col Perco e Titta Furlan per condurre li

materiali del palazzo vecchio ove gli fu mostrata la linea per serrare

la vigna e riparare con quelli lo stradone dalla roja e il portone

[...] Il di 21 novembre colli stessi per condurre come sopra tutto il

rimanente del materiale e nettare affatto il cortile sino alle mura

dell’attuale granaro e cantina a volta da terminarsi detto lavoro per

tutto Gennaro 1789» 21 .

Nel 1818 del castello costruito solidamente in pietra non rimane

che la memoria nel toponimo Castel vecchio 22 ; la mappa del catasto

pertinente a qell’anno rileva a valle l’antico slargo quadrangolare

delimitato da edifici rustici al centro del quale però non compare

più alcun edificio. Pochi anni più tardi, la mappa censuaria 2816

del catasto di Sagrado segnala al posto di Castelvecchio la rotonda

dello stradone che attraverso il bosco portava alla villa edificata in

cima al colle 23 .

Inizia la storia di Castelnuovo.

CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO 49



Castelvecchio nella cronaca delle monache di San Cipriano (1702) Castelvecchio nella ventilazione di Giuseppe I Della Torre (1775)

Cronaca del 1702 tratta dalla

Vera relatione di quanto

seguì alle nostre monache

di San Cipriano al tempo

della bombardatione fatta

dalli Francesi in questa città

di Trieste (Archivio della

Fondazione Scaramangà di

Trieste, A52-n.2260).

[…] Arivate al Palazo di

Sagrado; concorse a favorirci

anco Sua eccellenza il Signor

Conte Raimondo Della Torre

affezionatissimo fratello

della Reverenda Madre

Abbadessa concedendo alla

detta ogni libertà di servirsi

del suo appartamento in detto

palazzo; si che in quello si

fece dimora lo spazio di mesi

tre; ma essendo luoccho molto

delizioso per esser situato

il palazo in un spacioso

ameno et verdeggiante

pratto che riusciva di

solievo alle monache

che sempre desiderose

di far ritorno al proprio

monastero ne havevano

qualche divertimento. La

Reverendissima Madre

Abbadessa poi con singolar

prudenza dispose et ordinò

le stanze tante monache

per ciascuna e che ognuna

esercitasse l’offizio suo

nella maniera che vi fu

posibile. […] Permise anco

la Reverendissima Madre

Abbadessa alle monache

libertà di estendersi in tutti li

spazi che erano nel recinto di

muraglie dove sono il boscho,

horto e campi, che servì per

loro solievo et ricreazione,

non uscendo punto da quello.

Le assistì il Molto reverendo

Signor Capellanno alcuni

giorni celebrando la Santa

Messa nella Capella dove

intervenivano le monache

per udirla […] Sapendosi

in quelle vicinanze la

dimora delle Monache in

Sagrado si portarono molti

cavalieri e donne parenti

della reverendissima Madre

abbadessa e suoi nipotti e

pronippoti a visitarla con

segni di singolar affetto verso

lei e di tutte le monache […].

I contenziosi per la proprietà

di Sagrado videro anche la

partecipazione di Giuseppe

I Della Torre, cui nel 1775

risultava appartenere un quarto

del palazzo di Sagrado, ovvero

Castelvecchio. Egli morì in

età molto avanzata proprio

a Sagrado il 18 ottobre 1775.

Lasciò erede universale il nipote

Franco, ma, come si deduce

dalla ventilazione di morte,

il fratello Giovanni Battista

avanzò il diritto di proprietà

sui beni mobili presenti nel

palazzo. La ventilazione di

morte di Giuseppe I, in cui

come di prassi furono registrate

le informazioni sul defunto,

sui suoi beni, sul numero degli

eredi e sui creditori, ci offre così

la possibilità di immaginare,

almeno in parte, com’era

disposto e arredato il palazzo.

Questo l’elenco dei beni su cui

Giovanni Battista intendeva

vantare diritti di proprietà.

In mobili

1 specchio con vernize d’orata

2 tavolini di pez coperti di tella

vecchia

6 faborè fodrati di Sarda rossa

spinata di lana

1 specchio con vernize d’orata

1 specchio con vernize d’orata

2 tavolini uno di rovoro, l’altro di pez

1 canapè, 6 sedie, 4 faborè coperti di

lana

1 secchio per acqua Santa rotto

1 specchio

1 specchio con cornice d’orata

Nella Salletta e Salla Grande

16 lumiere con cornice d’orata

4 canapè d’albedo coloriti

1 tavola d’albedo

1 cadregha vecchia fodrata di pelle

3 cadreghe di nogaro

3 cadreghe di peraro

3 cadreghe fodrate di bulgaro vecchie

10 cadreghe d’appoggio vecchie

fodrate di pelle colorita

Nella Salla a piè piano

3 tavolini di nogaro

6 cadreghe vecchie coperte di pelle

3 cadreghini vecchi coperti ut supra

1 cadregone d’appoggio coperto di

pelle vecchio

1 armaro d’albedo colorito con due

portelle

spalliere

1 specchio con suaza d’orata

1 scrigno a rimesso

1 armaro d’albedo colorito

1 canapè coperto di pelle

4 cadreghe coperte di pelle

2 gallarie

2 armari d’albedo coloriti con 4

cassettini cadauno

1 baulo coperto di pelle

2 casse d’albedo

1 specchietto con suaza negra d’orata

1 scanzia d’albedo e scrittoio con 4

cassettini

1 canochiale

1 tavolino d’albedo vecchio

1 cadrega vecchia di nogaro

1 armaro d’albedo

Sotto il portico vicino la cucina a pie

piano

2 cassone d’albedo

1 portantina vecchia rotta

1 cadrega fodrata di pelle

In pitture

Nella camera a pie piano

17 quadri di varia sorte

15 quadri rapresentanti diverse figure

11 quadri rapresentanti diverse figure

11 quadri rapresentanti diverse figure

12 quadri di pittura rapresentanti

diverse figure

11 quadri di pittura rapresentanti

diverse figure

Nella Saletta e Salla grande

4 quadri di diverse pitture

50 51



A fronte

Dettaglio di pagina 18

dell’Inventario della

facoltà relitta dal conte

Giuseppe Della Torre

(ASGO, Tribunale Civico

di Gorizia, b. 113 f.289

st366, anno 1775).

20 quadri rapresentanti diverse

famiglie

In letti

Nella camera a pie piano

2 letti di lana vecchi con sopra

coperta di raso giallo frusto, testiera

con il sopra cielo con baldacchino

2 letti forniti con sopra ciello di raso

cremise vecchio

1 letto fornito coperto di tella

stampata

2 stramazzi con due materazzi, 2

capezzali vecchi, 4 cavalletti con sue

tavole

5 coltre ordenarie imbotite

2 coltre di setta

1 coltre di bombaggio

3 coltre imbotite di setta, nuove

3 coltre vecchie imbotite di setta

2 coltre di bombaggio imbotite,

vecchie

5 coltre ordinarie coperte di tella

stampata

7 sfilzate vecchie fruste

3 schiavine vecchie fruste

2 sopracoperte di setta, una rossa

e l’altra gialla, vecchie con fodra di

tella

4 coperte di lana e bavella di diversi

colori

In maiolica

27 tondi

15 piatti

3 tenfi

3 sotto cope

1 scodella

2 tondi per le confetture

In biancheria

25 camicie di tella fina

5 camicie di tella ordinaria fruste

1 paro lenzioli di 3 telli, di tella

cragniza ordinaria

1 paro lenzioli di 3 telli vecchi

1 paro lenzioli di 2 ½ telli di canope

3 para linzioli ordinari di 2 telli

17 para linzioli vecchi

11 dozene di tovaglioli vecchi

12 mantili vecchi di doppio

6 tavaglie vecchie di doppio

4 [?] vecchie

In rame

1 caldera

1 ramina

1 pignata

1 scaldalletto

In stagno

6 piatelli picoli

24 tondi

Nella cappella

1 calice con pattera d’argento

3 paramenti di setta

2 quadri vecchi

2 candellieri d’ottone

1 crocefisso di mett[?]

6 fiori postici

1 baldachino rosso di setta

1 presepio in casseta di nogaro

1 lampada d’ottone

2 banchi d’albedo vecchi

1 campanella di bronzo

2 armaretti d’albedo coloriti

2 missali

1 sechieto di stagno per acqua santa

1 camice e s. facioletti

1 mantile d’altare

2 cussini di ricamo di lana vecchi

1 cusino di setta giallo vecchio

53



Uno scrigno

di storia e storie

A fronte

Una delle decorazioni

in stucco presenti nelle

sale della villa.

Le pareti di Castelnuovo sono uno scrigno che custodisce

silenziosamente tante storie, a cominciare da quelle di chi nel corso

del tempo l’ha costruita, abitata e il più delle volte profondamente

amata. È per questo motivo che la storia della villa tra Settecento

e Ottocento segue le fila delle vite del conte Raimondo IX Della

Torre, del figlio Giovanni Battista III e della nuora Polissena

Brigido, della nipote Teresa e della figlia di quest’ultima, la

pronipote di Raimondo principessa Marie Hohenlohe. Attorno ai

discendenti dei Della Torre orbitarono uomini politici di spicco,

nobili e artisti noti, come ad esempio i pittori Matteo Furlanetto

e Giuseppe Lorenzo Gatteri o il celebre compositore Franz Liszt,

insieme a personaggi che la storia “ufficiale” abbandonò ben presto

nel limbo del tempo.

All’interno dei numerosi fondi archivistici consultati sono state

rinvenute solo rare testimonianze iconografiche relative alla villa e

al parco; è stato però possibile ricostruirne le vicende storiche

attraverso documenti di altra natura, quali ad esempio protocolli di

corrispondenza, note contrattuali, rendiconti giornalieri e diari, fino

ad arrivare ai componimenti poetici. Il capitolo è dedicato alla

CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO 55



1

Il passo fa riferimento

a Ranieri Giuseppe

d’Asburgo Lorena.

2

AST, Fondo Della

Torre e Tasso, Orazione

funebre in lode del conte

Raimondo Della Torre

del fu Giovan Battista,

1817, b. 150.1.3.

3

è pervenuto solo il

cognome dell’architetto,

citato insieme al

capomastro nel Libro

Confessore e nel

Manuale. Galletti

compare anche nel

documento In scritture,

registri ed altre carte

della famiglia compreso

nella Ventilazione di

morte di Raimondo

IX: «Conto Galletti

del 1802 della nova

fabrica e scuderia di

Sagrado» (cfr. scheda

Fonti documentarie per

lo studio della storia di

Castelnuovo).

storia architettonica della villa e alla vita che in essa si svolgeva,

mentre, vista l’importanza e la complessità dei temi, alla storia

degli affreschi del salone del primo piano, del parco e della tenuta

agricola sono riservate apposite sezioni.

Ma riallacciamo il racconto alla fine degli anni Settanta del

Settecento, quando i lavori per il nuovo assetto paesistico del colle

di Sagrado erano appena iniziati e procedevano a pieno regime

sotto la vigile sovrintendenza di Raimondo IX.

L’opera di costruzione ebbe inizio in un modo del tutto singolare

che rimase indubbiamente impresso nella memoria dei

contemporanei, tanto da essere citato nell’orazione in morte del

conte ben quarant’anni dopo. La calcarea cima del monte fu

“dissodata” a suon di cannonate: «Quanta polvere di canone,

quante braccia, quanti martelli, quante stanghe di ferro, quante

zappe non furono impiegate nello smantellare per dir così il

calcareo monte, onde rendere quei macigni altrettanti fondi ameni

insieme e fecondi. Egli parlando ultimamente col principe Raniero 1 ,

il quale viaggiando per queste strade postali si fermò da lui per

vedere quelle fabbriche alpine ebbe con tutta ragione a dire il conte

che se altri prendonsi a diletto di consumare la polvere sui campi di

battaglia, egli se lo prendeva nel consumarla a domar questi monti

a vantaggio della umanità, per far guerra come dissi all’ozio e ai

vizi» 2 . Queste parole rendono bene l’atmosfera di fervore edilizio e

agricolo che si doveva respirare a Sagrado in quegl’anni e danno

anche un’idea di quello che doveva essere il temperamento di

Raimondo, di certo pratico e ironico.

Com’era comune all’epoca, la paternità del progetto va

probabilmente attribuita al conte stesso, coadiuvato dall’architetto

Galletti e dal capomastro Giuseppe Crisati, che compaiono insieme

alle numerose maestranze locali nelle note di pagamento

accuratamente compilate da Raimondo 3 . Sebbene egli vantasse nel

In alto

Veduta del castello di

Duino (fotografia di Neva

Gasparo).

In basso

Facciata della villa

Studeniz di Gorizia.

4

La tomba della famiglia

Della Torre era un tempo

inserita nella cappella

lauretana fatta costruire

da Raimondo IX nella

chiesa di San Nicolò in

sostituzione di quella

demolita a San Giovanni

di Duino. Sopra la

porta della cappella

mortuaria compariva

l’iscrizione CONSTRVXIT

SVPPLEX RAIMVNDVS

TVRRIANVS GLORIOSAE

VIRGINI LAVRETANAE.

suo patrimonio prestigiose residenze signorili degne del casato

torriano (basti pensare al castello di Duino, alla villa di Sistiana,

alla villa Studeniz di Gorizia, al castello di Vipulzano, al palazzo

Torriani di Gradisca e al palazzo di San Giovanni di Duino) tra tutte

elesse a sua dimora prediletta Castelnuovo. A Castelnuovo dedicò

risorse e passione, a Castelnuovo trascorse gli ultimi anni della sua

vita, nella chiesa di San Nicolò di Sagrado volle essere sepolto

insieme alla moglie Valburga 4 . Egli non si limitò a far costruire in

cima allo sperone carsico una dimora alternativa all’antico palazzo

dominicale che si trovava a valle, Castelvecchio; ispirandosi

all’antica cultura delle ville venete volle che il nuovo edificio fosse

circondato da un rigoglioso giardino e da una moderna tenuta

agricola.

L’opera di costruzione della villa, dei grandi edifici ad uso

rustico, dei casini e tempietti disseminati all’interno del parco subì

arresti e riprese dovuti alle lunghe assenze del conte, influente

uomo di stato fedele agli Asburgo a cui furono affidati delicati

impegni politici e diplomatici. Va considerato anche che gli anni

a cavallo tra Settecento e Ottocento furono politicamente instabili

e tumultuosi; nel 1797 si assistette alla caduta della Repubblica

di Venezia e lo stesso Raimondo dovette più volte sottrarsi alle

successive incursioni francesi che misero a sacco le proprietà di

Duino, Sistiana e Sagrado finché nel 1813 gli Asburgo recuperarono

le Provincie Illiriche.

Una delle numerose note appuntate sul Libro Confessore, diario

contabile puntualmente aggiornato da Raimondo IX, ci dà un

indizio riguardo l’andamento dei lavori, recitando in modo secco e

contrariato: «16 settembre 1780. Sono stato a Sagrado a vedere la

mia fabbrica, ma non ritrovai né il Fattore né Capomistro».

Certamente Raimondo, tanto ironico e generoso quanto

intransigente e autoritario, redarguì bene i due assenti e fece in

56 Uno scrigno di storia e storie CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

57



A fronte

Dettaglio della mappa

censuaria del 1818

(ASGO, Catasti secoli

XIX-XX, Sagrado, mappa

2818).

5

ASGO, Catasti secoli

XIX-XX, Sagrado, mappa

2818, anno 1818.

modo che i lavori riprendessero in modo spedito, tanto che un’altra

nota del Confessore datata 11 marzo 1782 comunica: «Venni a

pernottare p[er] la prima volta nel mio nevo Casino di Sagrado».

Nel 1782, dunque, la nuova dimora fu inaugurata dal conte. La nota

ci dà anche un’indicazione sul tipo di fabbricato, poiché in passato

con la parola casino si alludeva a una signorile casa di campagna e,

in particolare, all’edificio che nelle ville principesche serviva da

residenza padronale.

La più antica rappresentazione di Castelnuovo fino ad oggi

reperita e datata risale al 1818; si tratta della mappa censuaria 2818

del catasto di Sagrado 5 , in cui compare al centro della tenuta una

grande costruzione con insolita pianta ad H, inscrivibile in un

quadrato, censita nei relativi elaborati come casa di villeggiatura

con cortile, rimessa e stalla per dodici cavalli.

Le facciate dei due bracci paralleli erano orientate una verso

nord - ovest e una verso sud - est; è possibile ipotizzare che la

planimetria davvero singolare sia stata progettata per dominare

l’intera tenuta, spaziando all’orizzonte dalle Alpi all’Adriatico. Il

braccio nordoccidentale si affacciava sull’esteso parco che, a partire

dal cortile d’onore, degradava sino a valle; l’altro braccio si apriva

verso l’ampia tenuta agricola perfettamente organizzata in cima al

colle e attraversata dalla strada che collegava Sagrado con Doberdò

e San Giovanni di Duino. L’abate e storico Rodolfo Pichler, che

soggiornò a Castelnuovo nella seconda metà dell’Ottocento, ben

descrisse il paesaggio che si godeva dalle terrazze della villa: «Il

bel fiume che lambe il piede di quella collina e s’affatica indefesso

intorno ai mulini della signoria; il mare al meriggio che ancora una

volta da lontano saluta i signori di Duino e Sagrado; le carniche

Alpi biancheggianti, a settentrione, che si confondono colle nubi,

e finalmente l’immensa veneta pianura che si stende dinanzi colle

58 Uno scrigno di storia e storie



La facciata della villa

nell’acquerello dei primi

dell’Ottocento (AST,

Fondo Della Torre Tasso,

b. 241.2, cm 24 x 38,

s.d.).

sue mille torri e villaggi e città, offrono certamente all’occhio di

chi si affaccia ai veroni del castello di Sagrado un quadro dei più

pittoreschi.» 6

Raimondo scelse per la sua dimora prediletta uno stile sobrio

ed elegante, coerente con le linee neoclassiche in voga all’epoca.

In un acquerello ottocentesco conservato nel Fondo Della Torre

Tasso 7 è rappresentata la facciata principale della villa, ovvero

6

R. PICHLER 1882, p.36.

7

AST, Fondo Della Torre

Tasso, b. 241.2, Prospetto

del palazzo di Sagrado,

disegno a penna e

acquerello, cm 24 x 38, s.

d. (inizi sec. XIX).

quella nordoccidentale, molto simile al prospetto che ancora oggi

si presenta ai nostri occhi.

La facciata è divisa in tre corpi: un risalto centrale e due volumi

laterali simmetrici più bassi. Il risalto centrale, articolato in tre

piani e coronato da un frontone triangolare, è caratterizzato da un

portico colonnato poggiante sulla breve scalinata affiancata da due

rampe. Le quattro colonne di ordine dorico inquadrano tre portoni

d’accesso a tutto sesto e reggono la balconata su cui si affacciano

le grandi porte finestre del primo piano, anche’esse a tutto sesto,

a differenza delle tre dell’ultimo piano. Le porte finestre del primo

e del secondo piano, inquadrate da cornici, cadono sui medesimi

assi, gli stessi dei portoni d’accesso, e sono separate da lesene. Agli

angoli del frontone sono posti acroteri decorativi; al centro del

triangolo compare un’apertura circolare che nell’Ottocento doveva

essere sormontata dallo stemma del casato torriano, presente anche

nella chiave di volta del portone d’accesso centrale.

I volumi laterali, articolati in due piani poggianti su un

basamento, sono suddivisi orizzontalmente da una cornice

marcapiano e verticalmente da lesene; presentano ciascuno due

assi di finestre con cornice dotata di semplice cimasa, rettangolari

al piano terra e a tutto sesto al primo piano.

Del braccio sudorientale, completamente distrutto dai

bombardamenti della Grande Guerra, non è rimasta che un’unica

parziale rappresentazione novecentesca in un dipinto realizzato

da Spartaco Muratti, proprietario della villa tra il 1904 e il 1920;

dall’opera si deduce che il corpo era articolato in tre piani, con

un’altezza pari al risalto centrale dell’altro braccio. Il braccio di

connessione si sviluppava, come ai nostri gironi, su due piani.

Sullo sfondo dell’acquerello ottocentesco si intravede il prospetto

della barchessa, edificio rustico andato completamente distrutto

insieme al braccio sudorientale.

60 Uno scrigno di storia e storie CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

61



8

ASGO, Ventilazione di

Raimondo IX, Inventario

della facoltà relitta dal

deffonto conte Raimondo

Thurn Hoffer e Valsasina,

10 luglio 1817.

Qualche informazione in più sullo sviluppo planimetrico

della villa e sulla destinazione d’uso delle stanze si può dedurre

dall’inventario dei beni di Sagrado del 1817, redatto subito dopo

la morte di Raimondo IX 8 . Sembra che la lista elenchi le stanze

partendo dal piano terra del braccio nordoccidentale. Guardando la

facciata, nel settore di sinistra dovevano dunque trovarsi la galleria

verso settentrione e la camera annesa alla galleria, nel risalto

centrale la salla terrena a cui si accedeva dai tre portali d’ingresso;

nel settore di destra la galleria a ponente, la camera annesa

alla galleria, la camera della donna di chiave e la camera della

cuoca. Al piano superiore dello stesso braccio dovevano trovarsi

l’appartamento della contessa Valburga e l’appartamento del conte;

più precisamente nel settore di sinistra si trovavano la camera

della conversazione della defunta contessa, la camera di dormire

della contessa e l’anticamera della contessa; nel corpo centrale,

con affaccio sulla terrazza, si trovava la camera denominata picola

salla, mentre nel settore di destra si sviluppavano l’appartamento

vecchio di sua eccellenza, la seconda camera di sua eccellenza, la

camera di dormire, la quarta camera del servitore, il belvedere e la

camera dei frutti attaco al belvedere. L’elenco passa poi alla gran

salla, cioè il salone al primo piano che corre lungo tutto il braccio

mediano, le cui pareti furono affrescate da Matteo Furlanetto nel

1802 insieme alle camere della contessa e alla cappella; il salone

era in comunicazione con l’andito della salla grande. Al primo

piano del braccio sudorientale si trovavano la camera prima

avente le scalle in primo piano, la camera dell’Imperator, il tinello,

il gabinetto, la camera denominata di sua eccellenza, l’annessa

camera e la camera della biancheria. Al secondo piano si trovavano

la camera presso le scale in secondo piano, la camera dei forestieri,

la terza camera del signor abate, la quarta camera della signora

Maria. Al piano terra del braccio con affaccio verso il monte si

9

Italianizzazione del

termine tedesco die

Speise, dispensa.

10

Alcuni esempi tratti

dal Confessore: 25

marzo 1782: la sera

venni a Sagrado al

mio eremitaggio; 6

aprile 1782: mi portai

all’eremitaggio di Sagrado;

12 maggio 1783: venni la

sera al mio Sagrado; 27

giugno 1783: venni la sera

per abitare il mio Sagrado

in compagnia della

Contessa; 15 luglio: venne

la sera qui a Sagrado la

sorella e cognato Brigido

con cui parlai per diversi

affari; 27 luglio 1783: la

sera venni a Sagrado da

Duino con la Contessa;

15 luglio 1783: la mattina

fumo di rientro tutti al mio

Sagrado; 5 agosto 1783:

la sera venni a Sagrado

con mia moglie e Peppo

l’amico.

11

AST, Fondo Torre Tasso,

b.221.1, Quadro dei miei

salariati di Duino, Sagrado

e Gorizia in moneta fina

dal 1 aprile 1810 in poi.

Nel 1790 tra i salariati

di Sagrado figuravano

il cameriere Carlo, i

cacciatori Johannes e

Degrandi, il palafreniere,

il mandriano, il pastore

e la donna di chiave che

però restava a Gorizia

(AST, Fondo Torre Tasso,

Sistema pel anno 1790 o

sia lo stato del fisso attivo

e passivo).

trovavano gli ambienti di servizio, come la cucina, lo spais 9 , il

tinello terreno, la cancelleria, la camera del caciatore, il sotto

portico e la camera dell’uccellatore.

In principio Raimondo IX volle mantenere Castelnuovo come

luogo di eremitaggio, lontano dagli affari politici, ma in breve

la tenuta diventò la sua Sagrado, epicentro degli affari che lo

impegnavano costantemente tra Gorizia e Duino. Iniziarono

a frequentare sempre più spesso Castelnuovo anche la moglie

Valburga, che soggiornava stabilmente a Gorizia, il fratello

Giuseppe II, i figli e gli amici. Ospiti frequenti erano Teresa Della

Torre, sorella di Raimondo, e il marito Pompeo Brigido, governatore

di Trieste 10 . Castelnuovo fu frequentata anche dalla figlia di Teresa

e Pompeo, Polissena, promessa in sposa al figlio prediletto di

Raimondo, il secondogenito Giovanni Battista III.

Anche l’entourage dei servitori era ben nutrito; tra i documenti

di Raimondo IX sono periodicamente annotate le uscite per gli

stipendi del segretario, del servo personale e della relativa famiglia,

del cappellano, della cuoca, della serva di cucina, del giardiniere,

del cacciatore, di due lavoranti in scuderia, dell’ortolano con la

famiglia e del pastore 11 . Quando il conte era assente il complesso

era affidato al fattore, incaricato di tenere un’impeccabile e accurata

contabilità, di sorvegliare la casa padronale e gli edifici rustici

attinenti con tutto ciò che vi era custodito, stando però ben attento

a non atteggiarsi mai a padrone, prerogativa che spettava al solo

Raimondo.

I lavori andarono avanti fino alla morte del conte; egli si impegnò

fino all’ultimo giorno per arredare e abbellire la villa, sistemare il

meraviglioso parco che la circondava e rendere sempre più fiorente

l’annessa tenuta agricola.

62 Uno scrigno di storia e storie CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

63



12

AST, Fondo Della

Torre Tasso, b. 170.2,

Carte d’amministrazione

di Giovanni Battista III.

13

AST, Fondo Della

Torre Tasso, b. 170.2,

Memoria per eseguir

i lavori in stuccho nel

palazzo di sua eccelenza

il conte in Sagrado.

14

M. MALABOTTA, p.

371 – 372; G. CAPRIN,

1892 pp. 292: «Sui

muri di una sala della

residenza dei conti

Torriani a Sagrado c’è

un quadro a tempera,

fatto a nove anni da

Beppino Gatteri, per

ricordare il 18 marzo

1797 quando Bonaparte

affrontò il passaggio

del ponte ed investì le

trincee gradiscane. Il

fanciullo prodigio colse

il momento in cui la

divisione Serreurier

riesce a guadare,

sotto la pioggia della

mitraglia».

Nel 1817 la proprietà di Castelnuovo passò in eredità al figlio

Giovanni Battista III, che secondo la volontà dei genitori aveva

sposato la cugina Polissena Brigido. La coppia, che durante

l’inverno risiedeva a Venezia nella prestigiosa sede di palazzo

Corner per attendere agli impegni di Giovanni Battista, trascorreva

ogni estate a Castelnuovo. Preferirono Castelnuovo anche al

castello di Duino, che consideravano luogo troppo solitario e

troppo esposto alla fredda bora.

Giovanni Battista si impegnò in una serie di interventi di

ampliamento e restauro della villa. È giunto ad esempio fino a noi,

conservato tra le carte d’amministrazione del conte, il progetto

per l’ampliamento del settore destro del braccio nordoccidentale

che volle portato tutto a due piani 12 . Fece rinforzare la travatura

del soffitto del salone al primo piano e fece rifare gli stucchi del

salone, di quattro stanze al primo piano e del salone a piano terra

che aveva trasformato in sala da bigliardo 13 . La stanza da bigliardo

fu decorata con eleganti fregi da Giuseppe Gatteri nell’estate del

1840. In quell’occasione il pittore portò con sé il figlio Giuseppe

Lorenzo; il bambino, enfant prodige noto già all’epoca, si divertì

ad abbozzare sulla parete dell’atrio opposta all’ingresso della villa

due scene di guerra: l’Assalto al castello di Duino e la Divisione

Serreurier guadante l’Isonzo nel 1797. Manlio Malabotta, nel

saggio dedicato alle memorie di Gatteri, riporta anche notizia che

Spartaco Muratti, togliendo la carta da parati in una stanza della

villa contigua all’atrio, rinvenne numerosi schizzi e improvvisazioni

di armati, di cavalli, di teste e figure che «per i caratteristici

aggruppamenti, per il movimento, per l’esecuzione, si rivelavano

senza possibilità di equivoci, di mano di Beppino» 14 . I fregi di

Giuseppe Gatteri subirono probabilmente la stessa sorte degli

affreschi di Matteo Furlanetto, furono cioè coperti da uno strato di

calce durante gli anni della Grande Guerra.

Progetto per

l’ampliamento del

braccio nordoccidentale

della villa (AST, Fondo

Della Torre Tasso, b.

170.2).

64 Uno scrigno di storia e storie CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

65



Alcuni esempi di

decorazioni in stucco

presenti nelle sale della

villa.

Anche alla morte di Giovanni Battista III, avvenuta nel 1848, fu

stilato un elenco dei beni di Sagrado 15 , dal quale si deducono la

disposizione e la destinazione d’uso delle stanze, che erano così

dislocate: a pian terreno, iniziando dal braccio nordoccidentale, si

trovavano la camera del cantone verso rimessa, la camera seconda

dopo cantone, la saletta della entratta nel pallazzo, la camera

alla destra dell’entratta, la camera di cantone verso conserva, la

camera di dietro verso conserva, la camera alla scalla grande, la

camera del bagno, il camerino della rettirata, la camera vicino al

pozzo per servitù. Nel braccio di connessione al piano terra, in

corrispondenza del salone al primo piano denominato salla grande

pranzo, si trovava la sala da bigliardo. Al piano terra del braccio

sudorientale troviamo collocata la cappella intitolata a San Michele

e le stanze dedicate alla servitù e alle faccende domestiche, come

la camera del caciatore, la camera di sopresione, il tinello della

servitù, la cucina grande, un coridojo e un salvaroba. Al primo

piano, nella faciata con altana di terrazza, cioè al primo piano del

braccio nordoccidentale, troviamo la camera da scrivere di sua

eccellenza padrone, la camera seconda, la salla e la camera dopo

la salla, la camera del cantone verso conserva, la camera delle

quattro stagioni, la camera della scalla grande, la camera verde del

cameriere di sua eccellenza padrone, la camera di cantone annessa

a quella alla scalla. Al primo piano nel braccio sudorientale

troviamo la camera di cantone sopra cappella, la camera della

contessina, la camera delle figlie, il tinello da pranzo d’inverno,

la camera della cameriera, la camera da letto di sua eccellenza

contessa padrona, un corridojo; al secondo sono annoverate la

camera di cantone pei foresti (gli ospiti), la camera seconda del

cantone, la camera delle cameriere, la camera del fattore, la camera

della cameriera, un coridojo, la saletta del belvedere, il camerino

annesso al belvedere. Interessante notare come nel novero

15

AST, Fondo Della

Torre Tasso, b.154.1,

Specifica delle mobilie

esistenti nel pallazzo

di Sua Eccellenza

Nobil Signore Giovanni

Battista Conte di Thurn in

Sagrado, 1848.

16

AST, Fondo Della

Torre Tasso, b.176.1,

La festa di compleanno

del papà festeggiata

a Sagrado lunedì 12

ottobre 1829 dai suoi

amati figli.

17

AST, Fondo Moderno

Della Torre Tasso, b.

D1 (diari autografi) e

Memoirs of a Princess.

The reminiscences

of Princess Marie

von Thurn und Taxis

(memorie tradotte dal

francese all’inglese

da Nora Wydenbruck e

pubblicate nel 1959).

delle stanze compaia la dicitura stanza delle quattro stagioni,

probabilmente così appellata perché decorata a tema.

Delle abitudini di Giovanni Battista e Polissena Brigido durante

i soggiorni a Castelnuovo non è rimasto quasi nulla; possiamo

però immaginare che i saloni fossero aperti a ricevimenti,

feste e celebrazioni di anniversari. Un documento del 1829

rende testimonianza di una tenera riunione di famiglia in cui

protagoniste furono le figlie Teresa, Polissena e Raimondina

mentre recitavano i versi di un testo fatto comporre in onore del

padre nel giorno del suo compleanno 16 .

Giovanni Battista III fu l’ultimo discendente della linea torriana

duinate, poiché la figlia Teresa, innamorata del principe Egon

Hohenlohe Waldenburg Schillingsfurst conosciuto a Trieste, non

volle saperne di sposare un Della Torre. Sebbene Giovanni Battista

vedesse di buon grado il matrimonio tra la figlia e il principe, le

resistenze maggiori vennero dalla madre Polissena, donna dal

carattere non facile che a detta della nipote Marie “tormentava

tutti”. Marie riporta notizia che la nonna Polissena, la notte prima

delle nozze tra Teresa e il principe Hohenlohe, ridusse in lacrime la

figlia profetizzando i più terribili disastri matrimoniali.

Forse è proprio per il difficile rapporto con la madre che Teresa

non amò particolarmente Castelnuovo e investì tutte le sue energie

nel restaurare il castello di Duino. Donna colta e raffinata, decise di

vivere tra Venezia e Duino, trascorrendo a Castelnuovo solo alcuni

brevi periodi dell’anno, principalmente in primavera. In queste

occasioni la villa si animava e tornava allo splendore di un tempo.

È Marie Hohenlohe, nei suoi diari di adolescente ripresi nelle

memorie di donna adulta, a narrare dei periodi di villeggiatura

a Castelnuovo negli anni Sessanta e Settanta dell’Ottocento 17 .

Ella rammenta poeticamente la spensieratezza di quei giorni, i

66 Uno scrigno di storia e storie CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

67



18

Liszt fa riferimento

al maestoso castello

fortezza di Krzyzanowitz

in Slesia.

19

P. BIDOLI, 1998.

Liszt and the Birth

of Modern Europe:

Music as a Mirror of

Religious, Political,

Cultural, and Aesthetic

Transformations:

Proceedings of

the International

Conference Held at

the Villa Serbelloni,

Bellagio (Como) 14-18

December 1998.

20

Contratto di

compravendita, 28

giugno 1902, n.o.

d’affari p. 64.98/129.

ricevimenti, i pomeriggi e le cene in compagnia degli illustri ospiti

amici della madre, l’incomparabile profumo del giardino un po’

trascurato e per questo ancora più affascinante, l’odore lieve delle

rose e della polvere che si depositava nelle stanze chiuse tutto

l’anno, la gioia di trascorrere con i fratelli e le sorelle un periodo

di vacanza in libertà. Tra tutti i ricordi della principessa legati a

Sagrado spicca la visita del celebre pianista Franz Liszt, che nel

maggio del 1869, in viaggio da Vienna a Roma, sostò per qualche

giorno a Castelnuovo su invito della contessa Teresa. Riguardo

al soggiorno a Sagrado Liszt scrisse una lettera a Caroline Sayn -

Wittgenstein che così dice: «Sagrado, 6 maggio, mattino. Eccomi

qui, già quasi a Roma! Sagrado è una dimora di piacere, del genere

di Krzyzanowitz 18 , ma meno signorile, senza alcuna pretesa, con

un bellissimo bosco ceduo ed un vasto panorama. La principessa

mi ha riservato l’accoglienza più cortese al mio arrivo, ieri mattina.

Prima di cena, con i suoi due figli siamo andati a Duino, che

voi conoscete grazie a descrizioni migliori delle mie. Abbiamo

impiegato due orette per compiere il tragitto in vettura. C’è chi mi

ha parlato bene e gentilmente di voi, c’è chi l’ha fatto con molto

affetto!» 19 .

Con l’avvicinarsi del nuovo secolo la tenuta di Sagrado, sempre

meno frequentata dai proprietari, passò in eredità a Marie, che nel

frattempo aveva sposato il lontano cugino principe Alexander von

Thurn und Taxis. Marie, che fin da bambina amò profondamente

Castelnuovo, si impegnò nel far fiorire la tenuta agricola, in

particolare per ciò che concerne la produzione vinicola, ma i venti

poco propizi che stavano per sconvolgere l’Europa e il mondo

intero fecero sì che la principessa, il 28 giugno 1902, vendesse

la Fattoria di Sagrado ai signori Giuseppe Naglos e Riccardo

Chiaradia 20 , che acquistarono tutti i beni immobili e realtà,

A destra

Interno di una delle sale

della villa.

Alle pagine seguenti

Veduta del salone al

piano terra.

68 Uno scrigno di storia e storie





21

I fatti relativi alla

Grande Guerra a

Castelnuovo sono

puntualmente descritti

nel saggio di di E. e S.

VITTORI 2010.

case, castello e parco rivendendoli nel 1904 al poeta triestino

irredentista Spartaco Muratti. Alcune fotografie e cartoline d’epoca

che inquadrano la facciata e il giardino della villa a quell’epoca

mostrano come questo fu l’ultimo breve periodo del XX secolo in

cui la villa godette nuovamente di cure e lustro.

Il Novecento non fu affatto generoso con Castelnuovo, a

iniziare dagli anni della Grande Guerra che segnarono un

incolmabile squarcio, non solo materiale. La tenuta venne investita

violentemente dal primo conflitto mondiale 21 . A Castelnuovo toccò

lo stesso cupo destino di diverse dimore storiche del territorio:

da residenza di villeggiatura venne trasformata in postazione di

comando e ospedale militare.

La villa, gli edifici rustici ed il parco con l’antico bosco divennero

una delle sedi del comando della Terza Armata del generale

Cadorna e del Re Vittorio Emanuele III. La tenuta, al riparo

della quota 143, fu adibita a punto di smistamento, ricovero e

ammassamento truppe; da questo nodo del fronte carsico i soldati

italiani provenienti da Sagrado venivano indirizzati verso Bosco

Cappuccio e le trincee. All’interno della villa, dove era stato

allestito un posto di medicazione per gli intrasportabili, è ancora

vivo il segno del passaggio dei soldati, inciso sulle pareti del

salone al piano terra. Nel 2007, durante lavori di manutenzione

della villa, furono scoperti e successivamente censiti ben 204

graffiti lasciati da giovani crudamente coscienti del destino che

sarebbe loro toccato e che desiderarono essere ricordati attraverso

un messaggio, o più semplicemente attraverso il loro nome, il

luogo di provenienza o il battaglione di appartenenza; ragazzi,

che riuscirono a trovare anche parole scherzose per esorcizzare

l’atrocità e la ferocia di quei momenti. Da Castelnuovo passò anche

il soldato Giuseppe Ungaretti che, ispirato dalla nuda terra del

Carso, scrisse i versi toccanti del Porto Sepolto.

Quando il colle fu bombardato andò completamente perduto

l’intero braccio sudorientale della villa e furono danneggiate la

facciata e la copertura del braccio nordoccidentale. La barchessa

fu ridotta in macerie e fu gravemente danneggiata anche la

copertura del tempietto del cortile d’onore. Molti dei piccoli edifici

che adornavano il giardino, alcuni dei quali dovevano versare già

in cattivo stato di conservazione, furono definitivamente distrutti.

Nell’agosto del 1916 il sistema difensivo austroungarico cedette e

la linea di combattimento si spostò al di là del vallone del Carso; la

villa rimase in retrovia per essere abbandonata precipitosamente

dopo la rotta di Caporetto del 1917.

I danni furono di tale entità che nel 1920 Spartaco Muratti

decise di vendere la tenuta, acquistata dalla ditta commerciale

Agliarolo. Dal 1923 al 1937 la proprietà passò alla Banca d’Italia,

per poi essere trasferita a Sebastiano Montuori che vi abitò tra il

1938 e il 1940. Tra il 1940 e il 1970 furono proprietari della tenuta

prima Guerrino Pelliccetti, poi Giuseppe Baldi e infine gli armatori

triestini Martinolich e Tarabocchia. Tra il 1970 e il 1975 Castelnuovo

fu proprietà della famiglia Orlando, tra il 1975 e il 1978 dei conti De

Asarta, tra il ’78 e l’87 di Sarti. Nel 1987 fu acquistata dalla famiglia

Terraneo, attuale proprietaria.

72 Uno scrigno di storia e storie CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

73



A fronte

Veduta aerea della villa immersa nel verde del

parco e della tenuta agricola.

In alto

Veduta aerea della villa. Sul retro si nota la torretta

postbellica che sostituì il braccio sudorientale

distrutto dai bombardamenti della Grande Guerra.



Veduta aerea del parco e della

tenuta con vigne e uliveti.



Fonti documentarie

per lo studio della storia di Castelnuovo

Le fonti documentarie più

preziose per ricostruire le

prime tappe della storia

di Castelnuovo sono

principalmente di natura

amministrativa. Raimondo

IX tenne personalmente

una contabilità quotidiana e

minuziosa. Uno dei precetti

che seguiva e pretendeva

fosse seguito dai fattori era

infatti Quodcumque tradis,

numera et appende; datum

vero ed acceptum omne

describe, ovvero «Qualsiasi

prodotto consegni o vendi,

contalo e pesalo; annota

accuratamente ogni uscita ed

entrata».

Tra le fonti più significative

vanno annoverati il Libro

Confessore (AST, Fondo della

Torre Tasso, Amministrazione

di Duino, b. 247.1. 1-4), il

Manuale (AST, Fondo Della

Torre Tasso, b. 246.1. 1-4), il

Libro della nota del ricevuto e

dato alla mia cassa di Duino

(AST, Fondo Della Torre

Tasso, b. 245.1.6) e il ciclopico

protocollo di corrispondenza

personale del conte in cui tra

migliaia di lettere di natura

personale e amministrativa

figurano anche numerose

note contrattuali (AST, Fondo

della Torre Tasso, protocolli

di corrispondenza e lettere). Il

Libro Confessore è un diario

contabile con note di vita

privata tenuto con costanza

quasi giornaliera da Raimondo

IX; era diviso in otto volumi

di cui sono pervenuti fino

a noi solo quattro, a coprire

il periodo 1777 – 1802.

All’interno del Manuale, che

copre il periodo 1778 - 1817, a

partire dal 1780 compare la

voce Fabbriche, sotto cui sono

brevemente annotate le uscite

sostenute per la costruzione,

la manutenzione e l’arredo

delle tenute del conte. Nel

Libro della Nota del ricevuto e

dato alla mia cassa di Duino

dal 1780 compare la voce per i

lavori di Sagrado.

Altre notizie rilevanti sono

state tratte dalla Ventilazione

di morte di Raimondo Della

Torre (ASGO, Tribunale

Civico di Gorizia, b. 166 f.

357 s.1817-5-9), in particolare

dai fascicoli Inventario della

facoltà relitta dal deffonto

conte Raimondo Thurn Hoffer

e Valsasina e Registri e altre

carte della famiglia), nonché

dall’orazione di morte in onore

di Raimondo IX (AST, Fondo

Della Torre Tasso, b. 150.1.3)

e dalle mappe censuarie

di Sagrado del 1818 – 1836

(ASGO, Catasti secoli XIX -

XX e relativi elaborati).

A fronte

I quattro volumi del Libro Confessore, il

frontespizio dell’inventario dei beni di Sagrado e

una delle numerose lettere.

78 79



Un esempio. Dal Manuale

risulta che Raimondo IX, il

28 settembre 1798, comprò

a Vienna per Sagrado

undici quadri, due lampade

antiche con bronzo dorato

e otto candelabri con vetri.

Dal Confessore, cui spesso

rimanda il Manuale, si evince

qualche particolare in più;

il conte comperò questi

quadri: La creazione dei

animali (1), pezzi fiamenoghi

(2), Flagellazione (1), Maria

Teresa in miniatura (1),

Paisages con cavalli (2),

Fortune di mare (2), Gesù

con San G[iovanni] bambini

(1), Lepri (1). Una postilla

aggiunge: Comprai dal

Hoffgloser sul Graben due

lampade pel mio Sagrado una

alabastrina per f. 42 e l’altra

turchina per f. 26:30.

A sinistra

I quattro volumi del Manuale.

A fronte

Due pagine della contabilità tenuta da Raimondo

IX nel Manuale.

80



Il conte Raimondo IX Della Torre Hofer Valsassina

È difficile sintetizzare in

poche righe la biografia di

Raimondo IX Della Torre Hofer

Valsassina, uno dei più illustri

discendenti del ramo duinate

del casato. Figlio del conte

Giovanni Battista II e della

seconda moglie contessa Cecilia

Strassoldo, nacque a Gorizia nel

1749. Primogenito degli unici

tre figli maschi superstiti della

numerosa prole paterna, ereditò

la signoria di Duino, Sistiana,

Sagrado, Vipulzano, Barbana e i

beni del Friuli.

Iniziò gli studi a Gorizia,

li proseguì all’Università di

Bologna e all’Accademia

Teresiana di Vienna. Viaggiò

in Austria, Baviera, Sassonia,

Prussia, Germania, Italia,

Francia e Inghilterra. Durante

il soggiorno in Baviera presso

lo zio materno fu presentato

alla corte palatina e conobbe la

damigella d’onore baronessa

Valburga Gumppemberg di

Pötmes che divenne la prima

moglie. Intimo consigliere

dell’imperatore, ciambellano

della Chiave d’oro e cavaliere

del Leon bianco, Raimondo

fu influente uomo di stato

fedelissimo alla casa d’Austria.

Nel 1791 fu designato capitano

supremo della Contea di

Gorizia; fu incaricato di

accompagnare il comandante

supremo del corpo di

spedizione avviato in Italia in

qualità di commissario generale

dell’esercito e di ad latus per gli

affari civili, venne poi chiamato

a prendere provvedimenti per

la sicurezza del litorale e per la

difesa della linea dell’Isonzo.

L’imperatore Francesco scelse

Raimondo per ricoprire la carica

di commissario imperiale in

Istria al fine di rendere ben

accetto il nuovo governo

austriaco; riuscendo molto bene

nel compito, nel 1797 Raimondo

partì con lo stesso incarico

alla volta della Dalmazia. Nel

1799 gli fu offerto il governo

di Trieste che rifiutò pregando

l’imperatore di poter tornare

alla vita privata per motivi di

cattiva salute, in particolare

per l’infermità contratta ad un

occhio. Nel 1801 l’imperatore

accondiscese al desiderio del

conte.

Fu personaggio di spicco

anche nella vita culturale del

Goriziano e dell’Altoadriatico.

Come ricorda Rodolfo Pichler

Raimondo recitava quasi

per gioco centinaia di versi

in tutte le lingue, squarci di

prosa, sentenze ed epigrammi.

Si trovò tra le dispute delle

Accademie e tra gli spettacoli

dei più rinomati teatri; fu ad

esempio uno dei fondatori

dell’Accademia degli Arcadi

romano sonziaci di Gorizia.

Rimasto vedovo nel 1812 si

risposò con Teresa Pollak nel

1813. Morì nel 1817.

A fronte

Dettaglio del ritratto di Raimondo IX Della Torre

Hofer Valsassina (1794 circa). Proprietà della

Biblioteca Civica “Attilio Hortis” di Trieste, su

gentile concessione.

83



Memorie per il Fattore di Sagrado

da restargli ben impresse nella memoria!

Dai servitori Raimondo IX

pretendeva puntualità, onore

e religione; ad alcuni di loro

si affezionò molto, tanto da

mantenerli in vecchiaia e

ricordarli nel testamento.

All’interno del Fondo Della

Torre Tasso, tra le carte

contabili e amministrative

del conte, è conservato il

documento Memorie per il

Fattore di Sagrado da restargli

ben impresse nella memoria

e da porle in opera ogni qual

volta gli prema d’ubbidire

agl’ordini del Padrone e

restare al di Lui Servizio! (AST,

b. 251.3); ecco le dodici incisive

note redatte da Raimondo

nel 1782, anno in cui iniziò

ad abitare saltuariamente

Castelnuovo.

1mo

Non lasciarsi dare due volte o

più lo stesso ordine ma subito

eseguirlo, essendo di natura

a farsi subito e non potendo

eseguirsi subito lo dovrà notare in

scritto per eseguirlo quando sarà

il suo tempo.

2do

Ricordarsi delle opposizioni

fattegli nelli [?] sopra i Giornali e

soprattutto di quelli dello scorso

Settembre per non cadere di

nuovo nelli stessi errori.

3zo

Non arbitrare di spendere più di

£:5: senza espressa mia licenza in

scritto, ed assegno, e qualunque

spesa oltrepassi detta somma

dovrà provarla con la originale

quietanza, altrimenti non li verrà

passata.

4to

Ogni mese dovrà produrre in

Giornale li conti e polize di quello

si avesse comprato annessa

alla mia licenza di poter fare

detta spesa, giacché da un mese

all’altro non li verrà passata

alcuna spesa o poliza.

5to

Così pure ne’ lavori, ne’ opera

osarà pigliare né intraprendere

senza mia precisa licenza. Non

permettendogli per ora di far

lavorare altro che il Profetta ed il

Boschin invece del Marega.

6to

Non oserà appropriarsi la

menoma delle mie cose o oggetti

senza la mia licenza e tanto meno

fare comunella colle cose che mi

appartengono.

7mo

Così pure non oserà fare veruna

novità ne darsi certe licenze che

abbino aria di Padrone, il quale

voglio essere solo io sinoché così

mi piacerà.

8vo

Se gli passa un onesto bisogno

di legna per un solo camino però,

dovendo anche questo egli a sue

spese farle tagliare e portare dove

li occorrono. Perciò le legna per

me tagliate e per me destinate

dovranno da lui essere custodite

come se fossero denaro.

9no

Se gli permette di brucciare

alcune trappe (come mi [?]) ma

con due condizioni: 1° che questo

non abbia da brucciare della

mia legna, cioè di quelle che li

passo per suo bisogno ma che se

la deva comprare. 2° che questo

non abbia d’apportare menomo

danno né perdita di tempo per

le mie faccende, cioè che per

assister il proprio interesse non

abbia negliger i miei affari ed il

suo dovere.

10mo

Dovrà tenere tutto serrato sotto

chiave, tanto cantine, folladore,

magazeni che le scuderie e

rimessa quando io non sono non

dando a chi che sia la chiave

acciò non venghi rubato il fieno

ne altra roba che si lascia in

stalla, per ritrovare il tutto pronto

ad ogni mio arivo. Così pure non

lasciarà sotto verun pretesto

andare chi che sia a dormire

in stalla o sul fienile, giacché

contrafacendo a questo mio

ordine ne sarà egli responsabile.

Così pure della casa ove egli

abbita voglio siano serrate tutte

le porte eccetto quella sola della

Salla grande.

11mo

Dovrà essere più diligente nelle

scossioni e studiare i libri che se

gli danno per esemplare, volendo

che cominci ad applicarsi e

mostri cogli fatti la premura di

fare il suo dovere.

12mo

Si raccomanda la nitidezza

ed esattezza ne’ suoi registri, i

quali deve sempre averli a mano

senza tenere altre sue donnesche

note, volendo che faccia solo uso

de libri prescrittigli, ed avendo

la menoma difficoltà dimandi

come debba contenersi, che li

verrà insegnato, non soffrendo

certamente che alla fine dell’anno

abbia da porre all’ordine i conti

dell’entrata, col ricavarla da

confusi e puerili fogli, ma voglio

che ogni, e tutto l’introito, ed

esito abbia di volta in volta a

registrarsi nel Libro Fattoria: così

si intenda del Giornale e del Libro

conti colonici.

Questi dodici punti li

serviranno d’avviso annessa

alla raccomandazione di stare

a casa a vegliare agl’interessi e

vantaggio del Padrone, e sopra

tutto facendo frequenti visite alle

Terre de colloni per obbligarli

a ben lavorarle assistendo alle

seminazioni del primo grano,

all’accomodar delle vite ed al

darli la terra, non meno che alla

piantagione de novi rasoli, ciò

tutto in una parola quando li

prema d’incontrare e meritare il

genio e servizio del Padrone.

Sagrado 16 Ottobre 1782

84 85



L’ultima lettera di Raimondo IX

Raimondo IX allegò al

testamento una lettera riservata

esclusivamente al figlio

Giovanni Battista (AST, Fondo

Della Torre Tasso, b. 154.1 e b.

170.2).

La lettera, oltre al toccante

ultimo addio al figlio, svela un

inedito particolare della vita

del conte che, rimasto vedovo

nel 1812, si risposò in segreto

nel 1813 con Agnese Teresa

Pollak, allora ventunenne. La

giovane, figlia di Andrea e

Margherita Pollak, nativa di

Krainburgo in Cragno, non

aveva origini nobili e viveva a

Castelnuovo dove le era stata

riservata una delle camere di

cantone. Nella ventilazione di

morte di Raimondo compare

in qualità di donna di chiave

della villa, non di moglie,

perché il matrimonio rimase

sempre segreto. Ciò nonostante

Raimondo IX dovette nutrire

un sincero affetto nei confronti

della seconda moglie che

chiamava Teresina o la mia

Teresa. Dalla lettera e dagli

allegati si apprende che le

destinò una casa a Sagrado

e una a Gorizia, oltre a un

vitalizio che le permettesse di

vivere dignitosamente. La affidò

al figlio Giovanni Battista con

queste parole: «Gli lascio poi

soprattutto la benevolenza di

mio figlio Giambattista a cui la

raccomando con tutto il calore

ed impegno che mai possa

fare; il quale certamente non

m’ingannerà nella confidenza

che io per detta Teresa Pollak in

lui totalmente ripongo».

L’unico documento dove

la giovane compare in veste

ufficiale di contessa Della Torre

moglie di Raimondo IX è la sua

ventilazione di morte del 1824,

Teresa infatti morì a Gorizia

il 4 febbraio 1824 appena

trentaduenne (ASGO, Tribunale

Civico Provinciale di Gorizia, b.

176 f. 370 s. 1824-5-15).

Amatissimo figlio!

Questo è l’ultimo foglio che

voi riceverete da me, giacché

quando l’aprirete io non sarò

più.

L’annessa qui mia minuta – di

cui l’originale tiene a sue mani

la fu mia Teresa, e che potrete

da lei farvela produrre – vi dirà

cosa io voglia da voi.

Aggiungo pure la dispensa

vescovile, onde legittimare in

Foro Poli il passo da me fatto,

onde non abbiate motivo di

scandalizzarvi.

Il resto ve l’ho già detto a

bocca il dì 9 dicembre 1815

pel di lei vitalizio di f. 400:

avverrà dall’esborso una volta

di fiorini tremila, quando

essa li preferisca ai annui

fiorini quattrocento sino

che vive; e questo aggravio

del vitalizio o dello sborso

del capitale viene risarcito

dal capitale di f. 6666:40:

investiti il 26 novembre 1814

a mani del sig. Giorgio De

Locatelli, di maniera che o vi

resterà tutto il capitale dopo

la morte della Teresa, ovvero

facendogli l’esborso – se Lei

vorrà – di f.3000: sennò da

quell’epoca in poi 3666:40 di

vostra proprietà come mio

erede universale. Se io dunque

v’ho distinto fra i vostri fratelli,

voi vi distinguerete col fare del

bene alla persona che tanto vi

raccomando.

Per supplire ai legati di mio

suffragio coi S. Sacrificj e

limosine, non che a quelli delle

vostre sorelle, degli impiegati

e domestici, voi conoscete il

ripostiglio d’onde ricavare

l’equivalente in caso che non

bastasse il denaro che potessi

avere per cassa.

Il fascio delle obbligazioni

attive – se ne avrò – voi

troverete nel mio portafoglio,

ossia grande tacuino rosso

usato con fibbia d’acciaio

situato nel tiratojo di mezzo del

mio scrittoio nella camera di

dormire.

Ai miei due cacciatori Boemi

ed al bracchiere vorrei che loro

daste a ciascuno uno dei miei

schioppi e spartiste tra loro i

miei attrecci di caccia, come

pure i miei abiti, e cappotti di

caccia e cappelli di caccia.

Al cacciatore Mattia

lascio l’altra metà della mia

biancheria di corpo, giacché

d’una metà disposi a favore

della Teresa, a detto cacciatore

lascio ancora i miei vestiti

ordinarj, cioè corpetti, frach.

Al bracchiere poi, e ai due

di scuderia carrozziere e

palafreniere, lascio tutti i miei

calzoni di pelle e stivalli ed i

cappelli.

Tutto il resto del mio

guardaroba lascio a vostra

disposizione, raccomandandovi

la prole del cacciatore Alberto,

e del portiere di Duino Nicolò

Godina ed altri poveri.

Vivete felice, ricordatevi di

me, e vivendo da buon crisiano

preparatevi con delle buone

opere e generose limosine la

strada onde raggiungermi –

come spero solo per la Divina

Misericordia – in Paradiso.

Così sia. Vi do la paterna mia

benedizione sino all’estrema

ora vostra che dovrà unirci

in ciclo. Addio, e perciò vi

lascio l’ultimo ricordo, che

come si vive così si muore, e

da quel punto dipende la sorte

nostra eterna; torno a darvi

quell’amato Addio, che tanto

mi costa, ma che pure fare lo

devo come Voi lo farete, e come

mi giova sperare in grazia di

Dio.

Vostro affezionatissimo

Padre Raimondo

Alle pagine seguenti

L’ultima lettera di Raimondo IX. AST, Fondo Della

Torre Tasso, b. 154.1 e b. 170.2.

86 87





L’inventario dei beni di Sagrado del 1817

Tra i documenti conservati

nella ventilazione di morte

di Raimondo IX è presente

l’Inventario della facoltà

relitta dal deffonto conte

Raimondo Thurn Hoffer e

Valsasina diviso in sedici

rubriche (ASGO, Tribunale

Civico di Gorizia, b. 166 f. 357

s1817-5-9).

In alto

Due pagine tratte dall’inventario dei beni di

Sagrado (ASGO, Tribunale Civico di Gorizia, b.

166 f. 357 s1817-5-9).

Rubrica I

In denaro [...]

Rubrica II

In argenteria ed oro

Sei candellieri grandi, dedicati dal

defunto Raimondo Conte di Thurn

per uso della Chiesa di S. Loretto in

Segrado del peso di 150 Lotti

Sei canedellieri per uso domestico con

quatro mocatoi col manico d’Argento

del peso di Lotti 84

Una Coccoma grande d’Argento del

peso di Lotti 96

Un’altra detta più picola del peso di

Lotti 60

Una zucheriera d’Argento del peso di

Lotti 38

Una Busta di Possate con 18 Coltelli

e 18 Cuchiari con doppia forchetta

d’Argento del peso di Lotti 126

Una Busta con 6 Cuchiari 6 Coltelli, e

6 forchette tutto di argento del peso di

Lotti 60

Altra detta contenente altre simile sei

possate come sopra del peso di Lotti 60

Due Cuchiari d’argento per la suppa del

peso di Lotti 20

Altre dette più picole per la menestra

del peso di Lotti 14

[manca 1 riga]

Dodeci cuchiari di caffè d’Argento del

peso di Lotti 13

Un fornimento picolo per l’oglio ed

accetto con le cape d’Argento del peso

di Lotti 14

Un Calice d’Argento col suo pedestale

di legno colorito negro per uso della

Chiesa di Lotti 16

Una Scatola con foglio d’oro col ritrato

di Maria Teresia

Una scatola d’oro quadrata del peso di

Zechini 15

Due Scatole di Verde antico col

mosaico, con cerchi d’oro

Un Orologio d’oro con due cattene

d’oro

Un medaglione d’argento del peso di

Lotti 7

Quatro Spedi per uccelli del peso di

Lotti 5

Sei stanghette e mezza d’Argento del

peso di Lotti 294

Due para Spironi del peso di Lotti 18

Un Sigillo d’Argento del peso di Lotti 2

Due medaglioni d’oro della Dalmazia

del peso l’uno di Zechini 58, e l’altro

dell’istesso peso di zechini 58, assieme

zechini 116

Rubrica III

In obbligazioni [...]

Rubrica IV

In crediti [...]

Rubrica V

In Orologgi da Tavolino e di Muro

Un orologgio con un pedestale grande

tutto indorato

Due detti di Tavolino con cassa indorata

Due detti più picoli pure di tavolino

Uno detto assai più picolo

Un Orologgio con la Cassa di legno da

muro

Un detto con Cassa pure da muro

Un detto a uso Villico

Un detto con la cassa di legno

Rubrica VI

In Biancheria da Tavola e di Letto

16 Dozine tavajoli rigati con suoi

mantelli, roba logara

5 Dozine detti damascate con suoi

mantelli più logari

21 Para lenzioli per una persona lagori

7 detti detti più ordenarj

7 detti detti più ordenarj

4 Dozine tavaglioli con i suoi mantelli

10 Dozine tavaglioli con i suoi mantelli

frusti

1 Tovaglia e 5 tavajoli

28 Sciugamani di diverse qualità frusti

21 Tavajoli senza mantelle di diverse

qualità tutti logari

68 Braccia di tella

40 detta circa di tella

12 Intimelle

Rubrica VII

In Mobili esistenti nelle rispettive

Camere

Galleria verso Settentrione

3 Letti forniti con lettiera di legno duro

2 Sechiette di legno duro

1 Canapè con cuscino

1 Armajo di legno duro

1 Scrittoio detto

2 Tavolini di legno duro

4 Careghe paludate

Camera annesa alla galleria

1 Letto fornito con cocieta di legno duro

1 Sechietta di legno duro

2 Tavolini di detto

1 Armajo Detto

5 Sedie di legno duro

1 Petinera detta

Nella Salla terrena

4 canapè di paglia

3 Sedie di detto

2 tavolini di legno duro

Galleria a Ponente

2 Letti forniti con Lettiera di ferro

2 Sechiette di legno duro

2 Scrigni di detto

1 Tavolino di legno duro

9 Sedie di paglia

1 Petinera di legno duro

1 Canapè di legno duro

Camera annessa alla Galleria

1 Letto fornito con lettiera in ferro

1 Canapè di legno duro con cuscino

1 Armajo di legno duro

2 Tavolini

1 Petenera

3 Sedie

Nella Camera della donna di Chiave

1 Letto fornito con cociera

3 Armaj d’albedo

1 Tavola d’albedo

6 sedie di legno duro

1 Sechietta di detto

1 Scabello detto

Nella camera della Cuoca

1 Letto fornito con Cociera

1 Scrigno di legno duro

1 detto d’Albedo

1 Tavola d’Albedo

3 Sedie ordinarie

1 Rocca

La Camera della conversazione della

defunta contessa

1 Canapè con cusini

6 Careghe compagne

2 Poltrone

1 Scrigno

2 Armajetti con tavole di Marmo

3 Tavole di legno duro

1 Tavola con coperchio di Marmo

Nella Camera di dormire della Contessa

1 Cochieta con due letti, e un capezale

2 Armaretti di legno duro

1 Sechietto

1 Petenera

1 Tavolino

4 Careghe

1 Poltrona

Nell’anticamera della Contesa

4 Cantonali in forma di tavolino

8 Sedie

Nella Picola Salla

4 tavole di legno duro

12 Sedie di paglia

Nell’appartamento vecchio di Sua

Eccellenza

1 Canapè con cusini

2 Tavole

1 Armajo grande

1 Detto picolo

5 Sedie

1 Spechio con suaza

La Seconda Camera di Sua Eccellenza

1 Poltrona di legno duro

4 Careghe compagne

1 Tavolino di legno duro

2 Scrittori

Nella Camera di Dormire

1 letto fornito di due cussini

1 armajo

1 detto picolo

1 Sechieta di legno duro

2 Sedie

Nella quarta Camera del Servitore

1 Letto con due capezzali e cocieta

1 Tavola di legno duro

5 Sedie

Nel Bel vedere

3 lampade

90 91



18 Cuscini

2 Tavolini coperti di marmo

Nella camera dei frutti attaco al

Belvedere

2 Tavole logore

1 Tavolino per pogiar le pippe

Nella gran Salla

4 Canapè di paglia

12 sedie

4 tavolini di legno duro con coperchio

in marmo

1 Tavola per pranzare con tapetto di

panno verde

3 Lustri

Nell’andito della Sala grande

2 Scrigni che serve per le credenze

1 [Ramina?] di rame

1 Scrigno di legno dolce

1 Sopressa per li tovaglioli

1 Scrigno attacco al muro

Nella Camera prima avente le scalle in

primo piano

1 Letto con due cusini e sopra coperta

1 Sechieta

3 Tavolini

1 Scrigno

7 Sedie

Nella Camera dell’Imperator

2 Letti con cuscini e sopra coperte

1 Sechietta di legno duro

4 Sedie

1 Canapè con 5 cussini

1 Carregon

2 Tavolini

In Tinello

1 Tavola per il pranzo con tapetto verde

4 scrigni di legno duro

8 Careghe con sopra coperta di pelle

rossa

Nel Gabinetto

1 Canapè con sopra coperto rosso di

pelle

4 Sedie di detto

4 Scrigni di legno duro

1 Tavolino detto

Nella Camera denominata di Sua

Eccellenza

2 Schiopi con due canne

1 Canapè con 4 sedie di bulgaro

1 Scrittorio di legno duro

2 Cantonelli

1 Armajo con suazza d’ottone

2 Altri armaj ossia scrignetti

1 Pettinera di legno duro

4 Schioppi d’una canna

1 Letto con due materazzi e la Cochietta

1 Scabello presso il letto

3 Para pistolle

Nell’annessa Camera

1 [Schatul?] per le medicine

2 Armaretti di legno duro

1 Schatul

4 Schippi ordinarj

3 Borse per le Lettere

10 Pippe di diverse qualità

1 Orologgio di sole

Nella Camera della Biancheria

3 Armari grandi

2 Tavole di legno duro

Nella Camera presso le scale in secondo

piano

1 Letto fornito con cochieta

1 Sechieta di legno duro

4 Sedie detto

1 Scrigno di legno duro

1 Tavolino

Nella Camera dei Forestieri

1 Letto fornito con cociera di legno

dolce

1 Sechieta di legno duro

4 Sedie di paglia

1 Scrigno di legno duro

4 Sedie

1 Poltrona

Nella Quarta Camera della Signora

Maria

1 Letto fornito con cociera

1 Sechieta di legno dolce

4 Sedie

1 Scrigno di legno duro

1 Scrittorio

1 Tavolino detto rotto

Piano Terreno

In cucina

1 Secchio di rame

3 Tavole d’Albedo ed una di nogaro

vecchia

1 Sedile d’albedo

1 Cassa con segature

5 Sedie ordinarie coperte di paglia

1 Menarosto

7 Pezzi di rame

4 Cazarelle di efrro

1 Caldaja mezzana ed una picola

1 Sostiene legna di ferro

8 Tondi grandi di peltre

25 Detti picoli

2 Mortalli di bronzo

2 Scaldaletti di rame

1 Stadiera di ramre

1 Mesenino di caffè

2 Stadere per pesare

1 ferro per sopresare con due anime

2 Foghere per sprofumare

1 Cocoma di caffè grande

1 Detta per fare la Chiocolata

1 [Spitstrauben?]

3 Passadori

Diversi stampi di carta per le paste

In Spais

1 Tavola d’Albedo

3 Vasi per la conserva

1 Vaso per buttiro

Nel Tinello terreno

3 Armarj di legno dolce per tenere la

terraglia

1 Detto per le fiasche e gotti

8 Sedie ordinarie con sedile in paglia

1 Tavolo d’albedo

1 darpo per la filatura

1 tavola di albedo per le paste

In Cancelleria

2 Armaj di legno duro

1 Tavola con scanzie per scritture

d’albedo

1 Putto d’Albedo

4 Sedie fodrate di pelle

Nella Camera del Caciatore

1 Tavola d’albedo

2 Armaj di detto

3 Sedie ordinarie

2 Letti forniti frusti

Sotto Portico

2 Cassoni per sedere entrovi segature e

farina per i cani

1 Moscaio

2 tavola di nogaro vecchia

1 mangano

1 gabia di lepri

3 Orne di capuzzi e rappi garbi

1 Caratello di cenere

Nella Camera dell’Uccellatore

1 Letto fornito

1 Sechieta d’albedo con vaso

1 Baule picolo vecchio

14 Gabbie

Nella salvarobba

1 Tavolo d’albedo

3 Cassoni per le minestre e farine

2 Pille per l’oglio

1 Caratello per l’accetto

2 Caratelli ed una cassa per divesri usi

1 Cerchio con rampini di ferro

Nella Lissiera

1 Mastella grande

2 Dette piccole

2 Crociere di legno

Nella Legnara

1 Cassone vecchio per l’avvena

1 palonico per la meda

1 Manaja

Nella Rimessa

1 Carro inferato

1 Caretta detta

1 [Scalkone?] per il vino

2 Scale vicentine

1 Scalone

1 Burello per l’asinello

2 zaja

Nella Stala dei Bovi

9 [?] con cattena e 1 cariola

2 Forche di ferro con un badile

vechissimo

Nell’orto superiore

3 Badilli grandi e uno picolo

1 Zappone

2 Zappette

Nel tempio della Pace nella sala terrena

4 Cantonalli d’albedo

2 Scrittorio

2 Canapè e 4 sedie

Nel Gabinetto

4 Sedie di legno con paglia

2 Scrigni coperti con indiana

Nella Sala Superiore

2 Tavolini con marmo rosso

2 Detti dette bianco

2 Canapè e 12 sedie di paglia

Nell’annessa Camera

4 sedie col sedere di paglia

2 sechiete di legno duro

1 Scrittorio

Nella Scalla

1 Sechieta d’albedo ord.a con vaso

Nel Casino della Venere

2 Canapè con tre Cussini per cadauno

2 Tavolini con coperchio di marmo

Nel Casino d’Apollo

2 Canapè con tre cussini per cadauno

2 Tavolini con coperchio di pietra

Nella Casa Rossa

1 Canapè con letto e tre cussini di pelle

verde

1 Scrittorio di legno duro

1 Detto di legno dolce

2 Armai ataco il muro di legno dolce

1 Cnapè con 10 careghe

4 Cantoni di tavolino atacco col

coperchio di marmo

2 Tavolini grandi col coperchio di

marmo

5 Figure di giesso

1 Lampida

1 Canapè con 4 cuscini

2 Sedie

2 Lumi

1 sechietta

Nella Cedrera

In [?] Padile, forche e diversi utensili

per lavorare nel giardino ed orto n. 31

pezzi

Nei Bagni nuovi

1 Tavola di legno duro

8 Sedie con coperta di paglia

2 Cantonelli d’albedo

1 Sechieta da letto

Nella camera del bagno in piedi

1 Canapè con 5 cuscini

4 Sedie con il sedere di paglia

1 Tavolino di legno duro

Nella camera da bagno seduto

1 Canapè con 6 cussini

2 Sedie col coperchio di paglia

Nel foladore e Cantina i [?] anessi

appartamenti

12 Taglie con senti di pieytra

20 Tinazzi

4 Sottospine

1 Caldajo di rame

1 Accettaro con entro Co 1 ½ accetto

circa

1 Piria di lata

92 93



2 dette di legno

1 Conzo con cerchio di ferro

1 Torchio pel Picolit

1 Trepiedi di ferro vecchio

42 botti

13 Caratelli

2 Scaloni di legno duro

Nella rimessa abasso

1 Wurst grande

2 Cavaletti di rosta

1 Versore, 1 sfalzador e 1 grappa con

denti di ferro con carro e vangolino

Nella legnara

2 Segari, uno con tellaro

1 Manaja

1 Cugno di ferro

Nela stalla di fattoria

1 Cavallo con fornimenti da tiro e sella

Nel Stallone Abasso

7 Gone vecchie tutte carolatte

1 Travo di piopo

Nel Fenille

[369?] fieno

1 Forca di legno

1 Scala a mano lunga

La machina per pesar il fieno

Nel Granajo

1 Buratto

1 Polonico

¼ detto

½ Pesinale di misura vecchia

4 pallotte

Nalla salvarobba del Fattore

1 Trivella grossa per rosto

32 [tti?] ferro baston

2 Stanghe di ferro

2 Maj di detto

Rubrica VIII

In Abiti e Biancheria del defunto

3 Para braghe di pelle di cervo

1 Lenziolo di detto logaro

1 Para braghe di casimier biancheria

1 Coperta di bombaggio

Altre Braghe di Camozzo

1 Camisolino di flanella

1 Frak di Pano Blu

1 Detto scuro con righe

1 Giachetta di panno verde

1 Velata di panno scuro

1 Detta detta color nosella

Altro abito celeste con bottoni in

smalto

1 Capotto di panno scuro

20 Gillè diverse qualità

9 Fazioletti di bombaggio

25 Detti quadrelati di diverse qualità

20 Camicie

12 Para mutande

3 Camisolini, 1 mantellino e 1 lenziolo

28 Fazioletti bianchi

7 Carette di bombaggio

1 Peches blu ed 1 verde

2 Frack negri

1 Rechel Generino

1 Para di braghe celeste

1 Frak di casimier mischio color

chiocolata

1 Detto d’anchen

1 Detto detto color oliva

1 Detto con righe di setta tarlatto

6 Para braghe di pano negro

3 Para braghe d’anchen

12 Gillè

L’uniforme dei Cittadini di Gorizia

Abito e braghe ricamato color verde

buttiglia

1 Abito di veluto stampato con fiori

Altro abito di seta verde con braghe

Abito ricamato con braghe color

perlino

Detto detto detto color viola

1 Abito di manto negro

Abito scarlato ricamato con braghe

Abito e camisiola con ricamo d’oro

2 Velladini curti di pano blu

1 Giachetta di pellon verde

2 Capelli in guarnito d’oro e l’altro verde

3 Spade

1 Palosso

10 Para stivali

1 Capotto verdon

30 Para calze

Rubrica IX

In porcellana

12 Dozine di tondi fiorati

28 Piati di diverse forme

6 Supiere per il brodo

2 Sorbetiere

2 Porta bottiglia

1 Trionfo da tavola

2 Guantiere verniciate negre

22 Chiechere

13 Vasetti per il consumè e 18 per il

Craitelvain

50 Fondi di porcellana

2 Supiere

12 Piatelli per [?]

3 Salarini e 2 per il peppe

Rubrica X

In Cavalli, Carrozze ed altra animalia

Due cavalli da timon

due detti da Belloncini

una cavalla castagna

un cavallo cleper

altro detto

Due bovi

altri detti + piccoli

due manzetti

un tauretto

una chimenta

due carri

una graba con l’aratro

8 selle da cavaliere ..

8 fornimenti intieri

Rubrica XI

in Vino

Conzi 60 vino negro a f. 12 il conzo

Rubrica XII

In quadri

Nella camera dell’Imperator

4 ritrati

2 Storie sacre dell’Autore di Grasico

Nell’anticamera di Sua Eccel:

21 Pezzi di quadri di paesi di picola

misura con Cornice dorata

Ritrato di S. M. l’Imperatore Francesco

Nella Camera dormitoria di S. E.

4 Storie sacrev del Dominichini

12 pezzi di paesetti a 10 l’uno

6 altri quadri di cavalli

Nell’Annessa Camera

12 pessi di paesetti

2 Altri pezzi di scrittura sacra

Nella Cappella

1 Cristo che porta la croce

Altro quadro del nostro signore di

Gianbenino

Nella camera del camerire

10 quadri ordinarj

10 detti

Nel Mezzado a Pian Terreno

10 quadri di paesi e porti di mare

9 quadri di storia sacra e paesi

Terzo Mezzado

12 quadri rappresentanti paesi e storie

Nell’annesso

11 pezzi tra storia e vedute di Porti

In Casa Rossa

Ritratto del Conte e della Contessa

Nei Bagni vecchi

6 quadri d’animali

2 detti di battaglie

Rubrica XIII

In censi [...]

Rubrica XIV

In libri

Specificati nel catalogo sub C

Rubrica XVI

In case

Il Palazzo per uso dominicale con le

sue adiacenze, rimessa, stalle, picola

casetta per uso dell’ortolano, 6 case

coloniche, ed 1 fabricato decresciente er

la Legnaia, e stalla per li manzi il tutto

sul Monte di Sagrado

Fabricati situati a Piè del Monte di

Sagrado

Il Molino di Sagrado con 6 case

colonichre, 1 torraza ed 1 stanza

deserviente per la fabraria

Sagrado li 10 luglio 1817

Tra i presenti all’atto di

compilazione dell’inventario:

Gianbattista Conte Thurn Hofer

[figlio ed erede di Raimondo

IX], Francesco Conte Thurn

[fratello di Raimondo IX],

Giuseppe Sedmach in qualità

di amministratore di Duino,

Giuseppe Vittor amministratore

di Sagrado, due cacciatori

di casa del detto conte, il

muratore di casa Francesco,

Teresa Pollach donna di

Chiave, Maria Solmine donna

di biancheria in Sagrado, il

cameriere del conte Mattia,

Giuseppe Collarig il cameriere

del conte Gianbattista; per

l’estimo dell’argenteria e degli

effetti preziosi l’orefice Luigi

Pepenhoffer e per l’estimo dei

quadri Mattia Furlanetto.

94 95



I Gatteri a Castelnuovo

Specifica delle mobilie esistenti nel pallazzo di Sua Eccellenza

Nobil Signore Giovanni Battista Conte di Thurn in Sagrado (1848)

Giuseppe Gatteri, padre del

più celebre Giuseppe Lorenzo,

nacque a Rivolto di Codroipo

nel 1799. Giunse a Trieste nel

1824 dove fu apprezzato come

uno dei migliori decoratori del

primo Ottocento operanti in

città. Oltre che a Castelnuovo

dipinse nella città giuliana

al caffè Tommaso Marcato,

presso palazzo Schwahofer,

casa Popovich, presso il teatro

della Società filarmonica

drammatica e il teatro Grande

(opere perdute); tra gli

affreschi ancor oggi esistenti

vanno annoverati quelli della

rotonda Pancera e della casa

di via S. Lazzaro n. 8 a Trieste.

Giuseppe Lorenzo Gatteri,

nacque a Trieste nel 1829;

deve la sua fortuna soprattutto

alla fama di enfant prodige.

è ricordato come il miglior

pittore triestino uscito

dall’Accademia romantica

di Venezia. Il padre, che fu

sempre orgoglioso e solidale

sostenitore della carriera

del figlio, nel 1780 scrisse le

memorie dei primi quattordici

anni di Giuseppe Lorenzo. Il

racconto di seguito riportato è

tratto appunto dalle memorie

del padre Giuseppe (cfr. M.

MALABOTTA).

Ultimato che ebbe mio figlio

questa incisione e qualche

altro disegnetto, pensai per

non stancheggiarlo, essendo

anche di una complessione

un po’ gracile, di condurlo

meco a cambiar aria e dargli

un poco di riposo, ché allora

per combinazione avevo da

dipingere un appartamento

del Sig. Conte de Turn nella

sua villeggiatura nel palazzo

di Sagrado. Là il figlio stette

con me per circa due mesi,

che gli fu di gran sollievo,

passeggiando spesso per

la campagna, e di quando

in quando mi portava a

far vedere qualche schizzo

disegnato nel suo album, di

qualche albero o di qualche

roccia che a lui gli pareva

utile.

Ma essendo un giorno caduto

vicino ad una roccia, non volli

più lasciarlo andar solo, e di

quando in quando lo faceva

condurre da qualche mio

lavorante, però nelle ore che

non fosse gran caldo; e nelle

altre lo tenevo presso di me;

siccome non poteva star ozioso

pensai di preparargli dei colori

acciò si diverta a far qualcosa,

siccome nell’atrio del palazzo

vi era appeso al muro un

quadro dipinto ad olio, levato

questo e nel medesimo posto

il figlio fece una prova e

abbozzò un fatto d’armi di cui

s’intendeva, cioè l’assalto al

castello di Duino. Vedutolo che

l’ebbe il Conte non vi fece più

porre il quadro e volle che resti

per memoria.

Nel 1848, alla morte di

Giovanni Battista III, fu

stilato un elenco dei beni

mobili presenti nel Pallazzo di

Sagrado, ovvero Castelnuovo.

Il documento, intitolato

Specifica delle mobilie

esistenti nel pallazzo di Sua

Eccellenza Nobil Signore

Giovanni Battista Conte

di Thurn in Sagrado, finì

per un motivo del tutto

sconosciuto tra le carte legali

e amministrative del padre

Raimondo IX dove è tutt’ora

conservato (AST, Fondo Della

Torre Tasso, b. 170.2).

Pian terreno nella faciata della

entratta composto come segue

N° 1:

Camera del cantone verso rimessa

1 soffa di legno noce tappezzato con

cambrik

1 tavolino di noce ovale a due colone

7 sedie di noce tappezzate con

cambrik

N° 2:

Camera seconda dopo cantone

2 soffa tappezati con stoffa celeste,

coperti con musolina bianca

6 sedie di legno di noce a telajo di

canna

N° 3:

Saletta della entratta nel pallazzo

8 soffa tappezzati con cambrik

coperti di musolina bianca

2 lampe con catene a tre lumi l’una

8 quadri nel muro

N° 4:

Camera alla destra dell’entratta

2 soffa tappezzati con cambrik

coperti di musolina bianca

1 tavolino di noce ovale a due colone

N° 5:

Camera alla destra dell’entratta

1 pianoforte di legno noce a tre piedi

1 soffa tappezzato con cambrik

5 sedie di noce tappezate con detto

N° 6:

Camera di dietro verso conserva

1 lettiera

1 paglione

1 matterazzo

1 cappezale

1 soffa di cereser tappezzato con

paglia verde

8 sedie con pelle verde

1 tavolino di noce

1 comodo

1 spechio da tavolino

1 calamajo

N° 7:

Camera della scalla grande

2 armadi d’abette

1 soffa tappezzato con pelle verde

2 cuscini con simile

1 pogia piedi

1 sedia con pelle verde

2 dette ordinarie

2 cavalette con tavole

1 paglione

1 materazzo

1 cappezzale

N° 8:

Camera da bagno

1 vasca di latta per bagno

2 sedie ordinarie

N° 9:

Camera della rettirata

1 armadio d’abete

N° 10:

Camera vicina al pozzo per servitù

4 cavaletti con 5 tavole

2 paglioni

2 materazzi

2 cappezzali

1 tavolino ordinario

96 97



2 sedie

1 armadio

1 spechio

N° 11:

Salla grande del bigliardo

2 piedestali e 4 stattue di marmo

1 bigliardo di noce con piumino

verde

1 coperta di tela verde per coprire del

reparo di polvere

5 palle d’avorio in sortita per giuoco

4 porta stechi con 11 detti stechi

12 sedie fiorentine con paglia fine

2 lumiere di getto a 4 lumi vetri per

reparo d’aria

1 tavolino rotondo fino

Pian terreno verso monte

N° 1:

Cappella di San Michele e sue

mobilie

1 sechieto per acqua

1 confesionale

6 banchi

1 palla in pietra di s. Michele

1 crocifisso

6 candellabri d’argento sull’altare

2 cuscini

Nella sacrestia

1 tabella per preparazio ad messam

1 piato con due ampoline per acqua

1 banchetto con entro 2 cuscini e un

guadrante vecchio indoperabile

1 detto novo

6 pianeti in sortita con altro occorente

3 messali

N° 2:

Camera del caciatore

4 cavaletti con 6 tavole

2 paglioni

2 materazzi

2 cappezzali

2 armadi d’abete vechi

3 sedie ordinarie

1 scanzia con 3 schiopi 1 pistole

1 arco a susta

1 stuffa di terraglia scura

N° 3:

Camera di sopressione

4 armadi d’abete

1 mangani

2 tavole per uso di sopressione di noce

1 tavoletta involta nel panno per uso

di sopressione abiti

N° 4:

Tinello della servitù

3 armadi d’abete

1 tavola di detto

6 sedie ordenarie

1 vintola per fare pane

2 tavole con rotolo per distendere

paste

1 stuffa di terraglia scura

N° 5:

Cucina grande con

6 tavole in sortita ordinarie

1 mortajo di pietra e mazza di legno

1 gratola per piati

1 scola piati

2 taglie di rovore per carne

2 dette per pestare carne

1 cavidone di terra sul focolajo

1 volta arosto di detto

1 sedia ordenaria

4 mastele per acqua

1 detta per sorbetti

N° 6:

Coridojo con

1 Orologio con canto di cucco e la

sua cassa per riparo della polvere

1 detto non adoperabile con simile

N° 7:

Salvaroba

1 scanzia per uso di bottiglie

1 tavolino

1 cassetta con dentro due fiasche

grande per l’olio

Primo piano nella facciata della

altana di terrazza

N° 1:

Camera da scrivere di Sua Eccellenza

Padrone

1 scrittojo con otto cassettini fino

1 orologio sopra indorato

1 tavolino rotondo a tre piedi fino

1 poltrona di noce fina

6 sedie fiorentine fine color nociola

1 crocifisso coperto con vetro

N° 2:

Camera seconda

1 armadio fino di noce

1 orologio indorato fino di tavolino

8 sedie fiorentine fine a nero

N° 3:

Salla

4 soffa di noce fini

10 sedie a nero fine fiorentine

2 tavolini a due colone di noce fini

1 detto a tre piedi rotondo

2 lampe con vetri

4 spechi nel muro

N° 4:

Camera dopo la salla

1 tavolino di noce fino

4 poltrone a nero di noce fine coperte

con cambrik quadrato

2 soffa a nero fini coperti con simile

1 sedia fiorentina a nero fina

N° 5:

Camera del cantone verso conserva

1 soffa di noce fino con cambrik

6 sedie di detta fine con detto

2 poltrone di detta fine con detto

3 tavolini con marmo di cereser

1 detto di noce a due colone fino

1 orologio indorato

1 piedestale con canochiale

2 lampe di bronzo da tavolino con

vetri

N° 6:

Camera delle quattro stagioni

Letto di Sua Eccellenza Padrone

1 lettiera di noce fina

1 tavolino di cereser fino

1 detto ordinario

1 scabello di noce fino

1 poltrona di noce fina

5 sedie fiorentine fine a nocela

2 matterazzi

2 capezzali

1 paglione

N° 7 9 [la numerazione non è chiara]:

Camera alla scalla grande

2 lettiere di noce fine

2 paglioni

4 matterazzi

3 cappezzale

5 sedie fiorentne fine nere

1 armadio di noce fino

1 scabello di detto fino

1 tavolino coperto con marmo

1 comodo

N° 7:

Camera verde

Letto del cameriere di Sua Eccellenza

Padrone

1 lettiera di noce fina

1 tavolino di detta

4 sedie con canna di noce fina

1 pogia manteli d’abete

1 paglione

1 matterazzo

1 capezale

1 cuscino

N° 10:

Camera di cantone annessa a quella

alla scalla

1 lettiera di noce fina

1 armadio di detta

1 specchio con cassa di detta fina

1 tavolino di cereser con marmo sopra

3 sedie di noce fine

1 scabello simile

1 matterazzo

1 paglione

1 capezale

N° 11:

Salla Grande Pranzo

1 tavola grande rotonda di abete

coperta con panno verde

13 sedie di noce fini con canna

4 armadi di cereser

2 tavolini di detto coperti con marmo

1 detto di noce

3 luminieri di cristali

4 [bruzalati?] al muro appesi

1 orologio grande indorato

6 aste con con pomoli indorati

6 coltrine con frangia bianche

4 candellabri di plaque

2 lampe con vetri di detto

2 dette di latta con vetri

Piano verso monte

N° 1:

Camera di cantone sopra capella

2 armadi di noce fini

1 tavolino di detto

2 sedie coperte celesti

2 piramide di marmo

8 quadri in tela

3 coltrine

2 cuscini per uso d’orazione

1 busto di marmo

N° 2:

Camera della Contessina

1 letto di noce fino

2 matterazi

2 capezali

1 soffa coperto e cuscino

2 armadi di noce

2 tavolini coperti con marmo

1 detto di cereser

4 sedie

1 casseta

1 orologio

1 coltrina

3 dette torno letto

1 spechio da tavolino

2 cuscini per uso d’orazione

1 stuffa di majolica

N° 3:

Camera delle figglie

1 lettiera di noce

2 matterazzi

1 paglione

2 capezali

1 poltrona

2 tavolini

2 armadi di noce fini

1 spechio

1 busto sopra un piedestale

1 coltrina

1 casseta

1 scrittojo

1 scabello uso cetindio

6 quadri apesi al muro

N° 4:

Tinello da pranzo d’inverno

3 armadi

1 tavola di noce grande

4 quadri grandi nel muro

6 sedie rotonde con paglia

N° 5:

Camera della cameriera

1 lettiera di noce

2 matterazzi

1 paglione

1 cuscino

capezali

1 tavolino di noce

98 99



1 detto d’abete

3 armadi

1 scabello

4 quadri nel muro

1 stuffa

3 sedie fine

N° 6:

Camera da Letto di Sua Eccellenza

Contessa Padrona

4 armadi di noce fino

1 scrittojo

1 canape di noce con canna

1 poltrona

2 scabelli

1 lettiera

1 paglione

2 matterazzi

2 cappezali

5 sedie di noce tutte fine

N° 7:

Coridojo

2 armadi di noce

2 cantonali

1 tavola

1 scano

1 sedia ordenaria

1 orologio con musica

Secondo piano verso monte

N.1

Camera del cantone pei foresti

2 lettiere di noce fine

2 paglioni

2 matterazzi

4 capezali

4 sedie di noce fine

1 specchio da tavolino

1 canape con cuscino di pelle

1 cassetta

1 scrittojo

1 tavolino di noce

12 quadri al muro

1 armadio

N° 2:

Camera seconda del cantone

2 lettiere di noce fine

2 paglioni

2 matterazzi

3 capezali

2 cuscini

2 scabeli con marmo

1 detto di noce

1 canape con paglia

3 sedie con pelle

1 tavolino rotondo di cereser

1 comodo

1 armadio

1 spechio

6 quadri

1 porta lavamani

N° 3:

Camera delle cameriere

2 lettiere di noce fine

2 paglioni

2 matterazzi

2 cappezali

2 cuscini

1 armadio di noce

1 scrittojo di detta

1 canape con paglia

1 tavolino

3 sedie con pelle

1 scabello

1 barometro

1 spechio da tavolino

1 stuffa

N° 4:

Camera del fattore

2 cavaletti

1 paglione

1 matterazzo

1 cappezzale

1 cuscino

1 scrittojo

3 sedie con pelle

1 spechio da tavolino

1 armadio d’abette

1 calamajo

15 aste con pomoli indorati

N° 5:

Camera della cameriera

1 lettiera in noce

2 cavaletti con tavole

2 paglioni

2 matterazi

3 cappezali

1 cuscino

1 scrittojo di noce

1 tavolino di noce

2 sedie di noce

1 cantonale di noce

1 canappe di noce

N° 6:

Coridojo

1 canape vechio

1 pica mantele d’abete

N° 1:

Saletta del belvedere

3 soffa lunghi coperti con cambrik

colorato

4 sedie di noce fine con canna

2 statue di gesso con piedestale

3 specchi nel muro

6 biazaletti indorati

2 lampe di porcelana

3 aste con pomoli indorate

3 coltrine di cotone

1 [?] di noce

N° 2:

Camerino annesso al belvedere

1 canape antico di noce

1 cantonale antico di noce

1 tavolino antico di noce

2 sedie ordinarie

1 detta rotonda fina ad uso del

comodo

35 quadri in ritratti ed altre pitture

N° 3:

1 lampa di porcelana sulla scalla

grande

Specifica del vetrame

27 fiasche fine per tavola

26 bichieri fin per tavola

16 bichieri per liquori

36 bichieri per Siampagna

15 bichieri per Bordò

17 lava boca

1 piedestale con 8 carafini per olio

2 piedestale di plaque con due

carafine l’uno fine

2 piedestale con due celesti l’una

10 salarini di vetro

31 piatini per candelabri

11 bichiere con suo [?]

Specifica della porcelana

120 piati di salvietta

6 terine per brodo

2 fondine rotonde

3 piati a tre angoli

7 piati quadrati

5 piati rotondi grandi

7 piati ovali

2 terine per salsa

4 scodelle in forma capa

2 scodele blù

2 cocume con 12 chichere per the

20 chichere con orli indorati fine per

caffè

16 chichere in sortita

2 zucheriere fine

1 zucheriera di legno

20 ovaroli

2 lattiere una grande e una picola

58 piati in sortita

2 terine grande

2 fondine rotonde

5 piati grandi ovali

Candellabri

12 detti di plaque

4 detti di 3 candelle

2 detti picoli

2 detti di majolica

2 detti neri di teraglia

3 lampe di latta colorite a verde per

uso di scrivere

Oggetti in latta

3 guantiere di latta

3 più picole

1 vaso per lavamani

10 picole per sotto fiaschi

23 per sotto bichieri

5 cocome per caffè

2 scola salata

3 scola brodo

1 piria picola

2 misure per olio

1 macinino per caffé

1 scatola per droghe

1 lampa a 2 paveri

3 candelabri

4 lumini da note

1 stampo per diversi usi

1 vasi per sorbetti

Oggetti in rame

12 cuzarole

6 coperti

2 fersore per diversi usi

1 bacini per lavare carne

1 bacini per bichieri

1 pescera con coperto

1 detta per sollo arrosto

3 [cacialiti?] per acqua

1 cocoma per caffé

1 scalda letti

1 caldaja

Oggetti in ferro

5 trepiedi

2 gradelle

1 detta di [?]

2 fersore

1 detta per castagne

6 coperti per pignate

2 rampini per carne

1 brustolino

2 lumarini

2 saladiere

1 [?]

2 grata formajo

2 cacioleti per brodo

5 detti traforati

1 forchetta

1 pestadora

1 volta arrosto

1 [?]

1 catena

1 coperti

1 palla per forno

1 cortelazo per carne

2 molete per fuoco

Oggetti in metali

1 mortajo con sua maza

1 sechiete per possate

2 lume fiorentine

5 candellieri con lumi di vetro

Oggetti in legno

1 macinino per caffè

1 cesto per biancheria ed altro uso

1 mastela per sorbetti

4 dette per acqua

1 saliera

4 cuchiaj

2 frola ciocolata

Oggetti in teraglia

8 techie in sortita

100 101



14 pignate in sortita

18 fiasche per servitù

Oggetti in teraglia

12 cadini con broche

13 orinali

9 detti di cassetta

Possate di servitù

16 cucchiai di stagno

19 forchete di ferro

2 dette più grande

12 colteli picoli

Specifica di coperte

6 coperte imbotite

2 bianche di cotone

5 coperte bianche

10 dette di cotone a fiori

Oggetti nella rimessa

3 capanine per polame

2 mastele per liscia

1 caldaja

1 cassa per avena

1 lettiera vechia

1 detta di fero

2 paglioni

1 matterazo

1 lettiera

1 paglione

1 matterazzo

1 cusino nella casa di ministrazione

Oggetti in Casa Rossa

1 cantonale di legno dolce

4 detti con coperta di pietra

1 tavolino con detta

1 detto coperto di marmo

1 soffa con cuscini

1 scrittoj

1 canape con telaio di cane

12 sedie

2 busti in gesso

2 statue bianche

1 tavolino

6 candellabri di latta

1 lampa d’alabastro

42 quadri tra picoli e grandi

1 detto grande della Famiglia di

Thurn

Ricopiato li 20 agosto 1848

Tommaso Antonio Bazul

Specifica di oggetti acquistati di

nuovo

1 tavola per lavare biancheria

1 detta per paste

2 spinelli per [?]

1 fiscone grande di vetro

6 lavamani

6 broche per detti

3 catinetti, scodelle con suo

becchetto

9 bichieri fini

2 bocaletti

3 boccalli da letto

1 volante con due palette

12 bichieri ordinarj

5 fiasche da boccale

36 piati ordinari

Nota della biancheria nel Pallazzo di

Sagrado per loro Eccellenze Padroni

1 tovaglia con 12 salviette

1 detta con 12 dette

1 detta con 12 dette

1 detta con 14 dette

1 detta con 14 dette

1 detta con 14 dette

1 detta con 14 dette

1 detta con 18 dette

1 detta con 14 dette

1 detta con 14 dette

2 tovaglie damascate con 12 salviete

damascate ognuna

19 siugamani fini

12 tovaglie con 12 salviette ognuna

per servitù

20 siugamani per detta

19 detti più picoli

9 paja lenzioli novi per padroni

4 paja fini più vecchj

15 intimelle

6 dette guarnite

10 paja lenzioli per servitù

11 intimelle tra queste 2 guarnite per

servitù

22 palagremi

20 così dette canevaze

4 coperte di pique bianche

7 copertori di basè bianchi

Nota della biancheria per portare a

Trieste per loro Eccellenze Padroni

3 tovaglia con 12 salviette

1 detta con 14 dette

1 detta con 14 dette

2 tovaglie, cioè n°11 e 12 con 12

salviette ognuna per la servitù

6 siugamani per detta

8 palagremi

1 lume fiorentina

Sagrado 1 ottobre 1848

Tommaso Antonio Bazul

A fronte

Due pagine tratte dall’inventario dei beni di

Sagrado del 1848 (AST, Fondo Della Torre Tasso,

b. 154.1).

102



La contessa Teresa, che dopotutto portò Castelnuovo nel cuore

Teresa – figlia di Giovanni

Battista III e Polissena

Brigido, nata contessa Della

Torre Hofer Valsassina, poi

principessa di Hohenlohe

Schillingfurst; signora di

Duino, Sagrado e Sistiana,

dama dell’Ordine della Croce

Stellata e dama di palazzo

di sua maestà l’imperatrice,

decorata dell’Ordine della

casa principesca di Hohenlohe

– fu l’ultima discendente della

linea torriana duinate, rifiutò

infatti di sposare un Della

Torre. La presa di posizione,

non certo scontata per una

nobildonna dell’epoca,

rende bene l’idea della forte

personalità di Teresa, descritta

dalla figlia Marie come

una gran signora, sempre e

comunque, nella gioia e nel

dolore, nella fortuna e nella

sfortuna, anche all’ombra della

morte; una donna dall’innata

dignità, cortese e discreta

quanto ferma e caparbia, un

po’ pessimista e malinconica,

soprattutto dopo la morte

prematura del marito.

Teresa era una donna colta

e raffinata, amante dell’arte e

della letteratura, componeva

versi e dipingeva, parlava

correntemente francese,

italiano, inglese e tedesco.

Orgogliosa del suo nome

da nubile, commissionò a

Rodolfo Pichler l’opera Il

castello di Duino. Memorie,

preziosissima biografia del

casato torriano basata sugli

innumerevoli documenti

d’archivio della famiglia.

Marie la descrisse come una

madre severa e incapace di

dimostrare il proprio calore

ai figli con effusioni d’affetto,

sebbene di certo li amasse

profondamente. Nonostante

ciò e nonostante Teresa,

sempre a detta di Marie, non

amasse Castelnuovo e non vi

trascorresse che brevi periodi

di villeggiatura, i ricordi

personali che la contessa

conservò fino all’ultimo

giorno sono in buon numero

legati ai figli e alla villa. Si

tratta di un manoscritto con

la partitura di un testo scritto

in onore del padre che Teresa

e le sorelle recitarono a

Sagrado il 12 ottobre 1829 (La

festa di compleanno di papà

festeggiata a Sagrado lunedì

12 ottobre 1829 dai suoi amati

figli) e di alcune letterine e

disegni che le dedicarono da

Sagrado i figli Egon, Fritz,

Marie, Carola e Gegina (AST,

Fondo Della Torre Tasso,

Memorie biografiche di Teresa

di Giovanbattista, b. 176.1).

A fronte

Dettaglio del ritratto della contessa Teresa Della

Torre. Fotografia di Neva Gasparo, su gentile

concessione del Castello di Duino.

Alle pagine seguenti

Letterine dei figli di Teresa dedicate alla madre e

ritratto infantile della contessa fatto da uno dei figli

(AST, Fondo Della Torre Tasso, b. 176.1).

105





Castelnuovo nelle memorie della principessa Marie Hohenlohe

Marie Hohenlohe fin da

bambina tenne un diario

personale in lingua francese

diviso in più quaderni oggi

conservati presso l’Archivio

di Stato di Trieste nel Fondo

Moderno Della Torre Tasso

(b. D1). Le memorie della

principessa, scritte in età

adulta, furono tradotte in

inglese da Nora Wydenbruck

e pubblicate a Londra nel

1959; il passo riportato è stato

selezionato e tradotto da

quest’ultima edizione.

In primavera ci trasferivamo

a Sagrado, dove trascorrevamo

alcune settimane. Le tre sillabe

di questa parola, Sagrado,

contengono l’essenza del mio

felice mondo dei sogni.

[…]

Sagrado era una grande villa

appartenuta alla famiglia di

mia madre fin dal XVI secolo:

trovai alcuni antichi documenti

negli archivi di Duino che

provavano il grande amore

che i miei antenati hanno

sempre avuto per questo luogo.

È posta sulla sommità di una

collina, circondata da grandi

giardini che coprivano circa un

quarto del declivio: poi c’erano

pergolati di vite su terrazze

che scendevano fino ai piedi

del colle e da un lato c’era un

folto e lussureggiante bosco con

pregevoli piante, qualcosa di

unico nei dintorni.

Mamma non amò davvero

Sagrado, il perché non l’ho

mai scoperto. I suoi genitori

avevano trascorso ogni estate

qui e non stavano mai a Duino,

perché lo consideravano troppo

deprimente e solitario e troppo

esposto al terribile vento

freddo, la Bora.

Quando eravamo bambini,

i nostri soggiorni a Sagrado

solevano essere pochi e lontani

tra loro, ma ricordo la nostra

gioia quando deducevamo

attraverso certi segnali (tutti i

piani nella nostra casa erano

accompagnati da un’atmosfera

di segretezza) che saremmo

andati a trascorre la primavera

a Sagrado.

Confrontavamo gli indizi e

i segni premonitori: James

puliva e lucidava i finimenti e

le carrozze lodando le scuderie

di Sagrado, molto più grandi e

belle di quelle di Duino. Teresa,

la sarta, mi diceva che il nostro

nuovo abito, confezionato con

un tessuto di lana grigia e rosa

pallido, con maniche corte e

leggermente scollato, era stato

scelto in vista delle frequenti

visite ai vicini di Sagrado. In

fine Felicitas, che era solita

dire che “sapeva ogni cosa”,

proclamava che era arrivato

il tempo di andare di nuovo a

Sagrado e solo allora eravamo

abbastanza sicuri che ci

saremmo realmente andati.

Alla fine il giorno tanto

atteso arrivava. La domestica,

il bel Valentino, Laurentio

con i suoi baffi rosso mattone,

Augusto che somigliava a

Blücher a Waterloo, Anette

che mormorava agitandosi

tra sè e sè, Felicitas con un

atteggiamento di superiorità

e tutto il resto della servitù

aprivano il corteo di carrozze

di varabile eleganza.

Solennemente e pomposamente

noi chiudevamo la fila in due

cocchi: mamma e Teresa,

Antoinette, abbè Pichler, mio

fratello Egon e noi tre sorelle.

James, che ci guidava, sedeva

gravemente sulla cassetta,

diviso tra il piacere di giungere

alle belle e grandi scuderie

di Sagrado ed il rammarico

di dovere lasciare la sua cara

Cattina indietro.

Prima passavamo la chiesa

di San Giovanni, che fu eretta

sulle rovine di un tempio

romano vicino alle tre bocche

del fiume Timavo - ai tempi di

Virgilio ce n’erano nove. Era

un luogo incantato: le acque

impetuose presto scorrevano

lentamente, girando attorno

a piccole isole piene di viti e

alberi da frutto e lungo prati

incolti coperti da migliaia

di fiori che crescevano a

profusione nell’umida terra. In

fine le tre bocche si univano in

un pigro fiume blu che correva

poche centinaia di metri tra

salici piangenti e canne e si

perdeva nell’acqua salata

dell’Adriatico.

Continuavamo lungo la

strada che costeggiava il

mare sulla sinistra, mentre

sulla destra si estendevano

le paludi sovrastate dalle

rocce del Carso. Passavamo le

città di Monfalcone, Fogliano

e Redipuglia, prendevamo

un’improvvisa svolta a destra,

passavamo sotto la volta di

un arco: i cancelli di ferro

venivano aperti e chiusi

dietro di noi. Su entrambi i

lati alti cipressi facevano da

sentinelle. Eravamo entrati

nell’incantata proprietà di

Sagrado e respiravamo la sua

incomparabile fragranza.

[…]

Non rimane nulla che la

ricordi, non una fotografia

e nemmeno un disegno. I

castelli incantati svaniscono

senza lasciare traccia. Eppure,

quando chiudo gli occhi riesco

ancora a vederla, in un bianco

abbagliante alla luce del

sole, le imposte verdi chiuse,

le alte colonne del peristilio

che sorreggono la terrazza del

primo piano. E poi immagino

di poter sentire il caratteristico

odore di Sagrado. Era l’odore

dei fiori freschi misto ad un

lieve odore di polvere, quasi

muffa, l’odore della cera

vergine che veniva usata per il

pavimento di mosaico e l’odore

delle stanze chiuse, fredde,

ombrose. Nessun profumo mi

ha mai reso più felice.

E in tutte le stanze e gli

stanzini, nei vestiboli e nei

corridoi, nei saloni e sulle scale

sentii i lievi passi di un ospite

invisibile, la cui presenza ho

sempre percepito nella casa

incantata – la Felicità!

Mi chiedo se i miei antenati

defunti da tempo sapevano

che il fantasma infestava la

tanto amata casa; credo che

fossero ben consapevoli della

sua presenza perché tutti loro

amarono appassionatamente

Sagrado tanto quanto

me, l’ignorante bambina

vagamente sensibile a

questa misteriosa presenza

che condivideva con loro

un inspiegabile richiamo di

108 109



sangue.

Chi ha mai incontrato faccia

a faccia la Felicità, l’ospite

invisibile? Solo dopo ci si rende

conto che è stata là. A Sagrado

provai ciò, perfino oggi, ora che

è passato quasi mezzo secolo

dalla mia giovinezza, il grido

di un pavone può accendere

una scintilla di indescrivibile

gioia nel mio cuore. Questo

perché al mattino, quando ero

in dormiveglia, mi rendevo

conto di dov’ero quando sentivo

l’acuto grido del pavone che

camminava intorno alla casa e

sembrava dirmi: Sei a Sagrado,

nel giardino incantato!

Il giardino assomigliava

davvero ad un piccolo

angolo di paradiso. Poiché

trascorrevamo così poco tempo

alla villa e il giardiniere non

se ne occupava molto, era

piuttosto trascurato, ma in

qualche modo ciò lo rendeva

ancora più affascinante.

[…]

Amavo guardare i pesci

dorati nella fontana di marmo

che zampillava nel centro del

prato. Portavo loro briciole e

lasciavo penzolare la mano

nell’acqua per sentire il leggero

abboccare delle loro minuscole

bocche avide – i due grossi e

grassi, di un color rosa argento

sembravano di madreperla,

quelli di colore carne erano

luccicanti come l’oro e quelli

piccoli tutti dorati avevano le

pinne scure. Quando finivano

di mangiare si tuffavano giù

in profondità e luccichii d’oro,

purpurei e argentei svanivano

gradualmente nel verde acqua

marina.

Tra la casa e le ringhiere sul

retro c’era un grande letto di

rose, sempre coperto di fiori

rigogliosi.

Rose bianche, rosse e rosa

riempivano l’aria con il

loro profumo; i loro colori

smaglianti facevano risaltare il

verde smeraldo, il blu zaffiro e il

bronzo dorato che luccicavano

sulle piume del meraviglioso

pavone.

Per molti anni ho visitato

Sagrado solo nei miei sogni,

davvero molte volte. Era sempre

lo stesso sogno: le stanze

erano quelle di Sagrado, ma

infinitamente più grandi,

infinitamente moltiplicate

e ogni cosa aveva preso la

dimensione irreale della

mia fantasia di ragazzina.

Sembrava che una foschia

velasse tutto ciò che vedevo.

Sembrava il riflesso in uno

specchio offuscato. Attraverso

il buio e il silenzio, altre ombre

mute svolazzavano dietro

di me e io sapevo che loro,

come me, stavano cercando la

Felicità. Irrequiete scivolavano

attraverso i saloni affrescati

senza fine, attraverso alti e

bianchi colonnati, piccole

stanze vecchio stile che

odoravano di muffa e rose;

andavano avanti e indietro

in cerca di Felicità. È appena

stata qui – ora ha girato da

quella parte – e se n’è già

andata. A volte, da lontano,

abbiamo pensato di aver

catturato un barlume di felicità

- uno sguardo, un sorriso, un

improvviso raggio di luce.

A fronte

Ritratto in fotografia d’epoca della principessa

Marie Hohenlohe. Fotografia di Neva Gasparo, su

gentile concessione del Castello di Duino.

110



Due pagine delle memorie

autografe di Marie Hohenlohe

poi tradotte in inglese e

pubblicate a Londra nel 1959

(AST, Fondo Moderno Della

Torre Tasso, b. D.1).



Nel maggio del 1869 Franz

Liszt si trovava in viaggio da

Vienna a Roma. La contessa

Teresa Della Torre colse

l’occasione per invitare

il celebre compositore

conosciuto a Roma a

trascorrere qualche giorno di

villeggiatura a Castelnuovo.

La notizia è riportata

dall’allora tredicenne

principessa Marie che annotò

l’avvenimento nel suo diario.

L’episodio fu ripreso anni

dopo in Memoirs of a Princess

con con un diverso punto

di vista che restituisce

un inconsueto ritratto del

musicista.

A fronte

Ritratto di Liszt in una fotografia del 1870.

Alle pagine seguenti

Il pianoforte di Liszt nel castello di Duino.

Fotografia di Neva Gasparo su gentile

concessione del castello di Duino.

Dal diario del 1869.

[Sagrado] 9 maggio [1869]

Mercoledì arriverà il famoso

Liszt. L’ho già sentito a

Roma, ma mamma gli ha

telegrafato che sarebbe

molto contenta se venisse qui

perché la Principessa Carolin

Wittgenstein ha telegrafato a

mia mamma di telegrafargli

(che strana idea!).

[Sagrado] 16 maggio [1869]

Quanto tempo che non

ti scrivo povero diario!

Ma quando siamo liberi

noi usciamo. Tuttavia ho

molte cose da raccontarti.

Innanzitutto il famoso Liszt

ha passato due giorni qui e

con lui è venuto un giovane [?]

che secondo il parere di Liszt

è qualcosa di meraviglioso.

Si è messo più volte al piano

(di sua spontanea volontà

perché l’amico non osa

domandarglielo). Il primo

giorno Mamma e i fratelli lo

hanno portato a Duino che

gli è piaciuto immensamente.

Il giorno dopo la mamma ha

fatto venire [?] e Madam da

Mosto che sono stati molto

contenti di vedere una tale

celebrità e lui ha suonato una

marcia ungherese (perché

Madam da Mosto è ungherese)

che è la cosa più magnifica,

più sorprendente e la più

emozionante che si possa

immaginare. Del resto Liszt

mi è del tutto antipatico. Sono

stata obbligata a suonare

con lui e poi con Leitestz e

da sola, che paura avevo! Ma

una paura! La mamma per

ricompensarmi mi ha dato

una [?] deliziosa [?]. C’era

anche [?] ma lui non ha voluto

suonare (davanti a Liszt si

capisce). Il comandante della

polizia militare era lì il primo

giorno. Poi Liszt ha voluto far

suonare Carola, lei era troppo

comica, inizialmente si è

nascosta dietro madam [?], poi

è scappata correndo con tutte

le forze. Abbiamo tanto riso. La

sera Liszt ci ha fatto ballare.

Anche Madam da Mosto ha

ballato. Io non so ma lei mi

piace sempre di più, è così

gentile, gaia, molto graziosa.

Anche Mess. Da Mosto

del resto è piacevole, è un

bell’uomo. Oggi c’è una cena

perché mamma ha invitato i

Da Mosto, il barone [?] e un

capitano di cui non so il nome

ma che è molto divertente e di

cui fra parentesi Egon e Friz

(soprattutto Egon) sono pazzi.

È vero che è molto divertente

e mi sarebbe piaciuto dargli il

braccio ma bisogna che io lo

dia a Mes. [?].

Ci si diverte tanto a Sagrado,

molto più che a Duino!

Si ringrazia Elena Petenò per la preziosa

collaborazione nella traduzione dal francese.

114 115



Da Memoirs of a Princess.

Eravamo appena arrivati

a Sagrado quando mamma

ricevette un telegramma dalla

principessa Wittgenstein che

le diceva che Liszt intendeva

viaggiare da Vienna a Roma

e le suggeriva di invitarlo a

casa nostra per una sosta.

Naturalmente mamma ne

fu molto compiaciuta e così

accadde che il grande uomo

arrivò, il 5 maggio 1869, con

un giovane pianista sassone

che portò con sé in Italia.

Trascorse pochi giorni a

Sagrado che sembrò piacergli

molto. Era estremamente

gradevole e buono; una

volta, per far cosa gradita

alla mamma, mi costrinse a

suonare un duetto al piano

insieme a lui. Ero in preda

alla disperazione. Ero sempre

avvilita quando dovevo

esibirmi suonando Valses

mélancholique, Moments

musicaux, Pluies de perles o

simili stupidaggini per i nostri

ospiti, ma questa volta ero

quasi morta di paura. Liszt si

divertì a introdurre variazioni

mentre stavamo suonando

e mi gettò in una terribile

confusione. Poi concluse

l’ultima cadenza passando

rapidamente le sue lunghe e

agili dita sulla punta del mio

naso, cosa che considerai un

imperdonabile insulto alla

dignità di una tredicenne

e cominciai a detestarlo

nonostante il suo sorprendente

buon carattere.

Una sera si sedette al piano

e suonò musica da ballo per

noi! Un’altra volta Madame

da Mosto, la sua graziosa

compatriota, venne per cena

e Liszt suonò per lei una

delle sue Rapsodie ungheresi,

fece un’indimenticabile

impressione su di me. Poi

suonò sul nostro povero piccolo

Pleyel le improvvisazioni

su temi viennesi che eseguì

per Napoleone III: il piano

non si è mai del tutto ripreso

dall’essere stato sottoposto

agli artigli del leone per vari

giorni.

Un pomeriggio il giovane

sassone stava esercitandosi

su una sonata di Beethoven

nel piccolo boudoir bianco;

io ascoltavo devotamente in

salotto. Improvvisamente la

porta vicino al piano si aprì

e Liszt apparve sulla soglia

con la sua alta figura nero

vestita ed eretta, i suoi fluenti

capelli bianco argentei, le

sue lunghe braccia alzate.

Rimase immobile in questa

posa ieratica, indicando

il tema di un magistrale

passaggio – come mi dispiace

di non ricordare quale

fosse! Mi sembrò il sommo

sacerdote della sua augusta

arte e dal quel giorno iniziai,

sebbene ancora vagamente,

a capire cosa poteva essere

l’essenza della musica. Potevo

perfino vedere il grande

mago con la sua magnifica

testa, i suoi eleganti e severi

lineamenti, le sue braccia

alzate e l’appassionata

intensa espressione del

giovane virtuoso la cui musica

sembrava fluire da una muta

invocazione.

È triste che io fossi ancora

troppo giovane per godere

della meravigliosa musica

che suonò per noi e egli che

sprecò il suo tempo a suonare

un’overture di Mercadante

con me. E che io fossi perfino

arrabbiata con lui.

116



Spartaco Muratti: Per la mia casa

In alto

Fotografia d’epoca con lo scorcio di Castelnuovo

nel 1908. Affacciato alla porta dell’ala ovest della

villa Spartaco Muratti con le due figlie e il cane.

In basso

Fotografia d’epoca del 1908. In primo piano i figli

di Muratti.

Spartaco Muratti, poeta triestino

irredentista e proprietario della villa nei

primi anni del Novecento, scrisse il poema

Per la mia Casa, dedicato a Castelnuovo

(Roma, 8 giugno - 10 luglio 1916).

I

La costa che dal monte di Sagrado

scende selvosa e dura,

s’affonda come il rostro d’una nave

incontro alla pianura:

innanzi, il fiume tortuoso e lento

si snoda, e un solco pare

scintillante che s’apra entro la verde

immensità di un mare.

Mar di verzura: qua e là turchino

sotto le nubi svaria;

qualche lontano campanil biancheggia

come una procellaria;

e i borghi intorno e i casolari sparsi

sembrano fiotti si spuma

che si rincorran verso l’orizzonte

velato dalla bruma.

Spesso m’accadde d’indugiar svagato

da questa fantasia,

al balcone lassù della mia casa

tranquilla e solatìa.

Quivi per l’ondeggiante ispida chioma

del bosco secolare

di quando in quando mi giungea col vento

il rumor di quel mare:

mugghiar di bovi, tintinnio sommesso

d’incudini lontane,

e vociar fioco e cigolar di carri

e ronzìo di campane.

Io diceva tra me: codesta antica

sinfonia della vita

inutilmente ormai lusingatrice

a scendere m’invita.

Intorno a quelle cuspidi sonore

sì candide e leggiadre

sgusciano al sol le vanità più sciocche,

le bramosie più ladre:

di casa in casa serpono, untuose

acredini pretesche;

gonfiano in qualche feccendier rifatto,

borie cittadinesche:

Ei tutto sa, tutto s’arroga, tutto

presume a sé dovuto:

ghigna dal fondo della sua bottega

il farmacista arguto;

ma l’onesto villan spingendo i bovi

bada all’aratro, e chino

sul solco, fa che penetri alcun poco

nel campo del vicino.

Se il borgo poi s’allarga e si rimpolpa

e a mano a man s’affina,

v’abbondano i soggetti d’importanza

tutto acume e dottrina.

tre o quattro di costor scoprono un qualche

genio municipale,

e lo espongon tra nuvole d’incenso

al culto universale:

trovato il santo, la chiesuola è fatta:

prodiga coi fedeli

d’onorate prebende, agli altri austera

vieta il regno dei cieli.

Se l’altare è un po’ fusto, un po’ sconnesso,

il sinedrio provvede,

e lo rabbercia, e lo invernicia a nuovo

pel gonzo che ci crede:

un uom dabbene è quei che a sé procaccia

empiendo altrui la tasca;

un uom accorto e l’istrion che sale,

un buffone se casca.

Così mareggia torbida e s’ingorga

per l’infinita piana

codesta al basso armoniosa e cheta

onda di vita umana.

II

Ma intorno a me, quando s’affuoca il vespro

di barbagli e di nimbi,

scogliono canti e trilli ed inni in coro

le rondini e i miei bimbi:

quelle nell’aria, si rincoron questi,

giarrulo sciame lieto,

118 119



dalla terrazza grande all’orto vecchio,

dal giardino al vigneto;

in coda agli altri che trottan veloci

s’affretta il più piccino

come un passero gaio saltellando

di gradino in gradino.

Poi quando per le fratte e i valloncelli

adusti dall’arsura,

umida e fresca a poco a poco sale

l’ombra dalla pianura,

e dall’intreccio mobile di rami

manda il merlo in amore

l’ultima nota del suo madrigale

alla luce che muore,

quando la grigia asperità del Carso

si tinge di viola,

e la signora delle notti ascende

bianca a oriente e sola.

Quando posano i bimbi sul guanciale

il capino assonnato,

vengono meco a ragionar gli amici

fantasmi del passato.

Danzano le falene attorno al lume;

tra i fucili e tra i libri

corre d’ali sbattute un fruscio lieve

come d’arpa che vibri.

Dal tratto in tratto l’aquile impagliate

hanno come un sussulto:

per certo impera sulla vecchia casa

qualche fascino occulto.

Forse sul buio della grande sala

parlan d’armi e d’amori

desti a convegno gl’incorporei spirti

degli antichi signori;

ed un arcigno spirito superbo

dice; - Bene conosco

Il muro costaggiù che da Fogliano

segna il confine al bosco:

- Quel confin vecchio di casa Torriana

onde una quercia, un varco,

ne condusse a schermir da pari a pari

più volte con San Marco.

E un altro che sfringuella tra le dame:

io col Da Ponte a prora

qui colsi allori, e in villereccie tresche

soppiantai Casanova.

Ma qual s’aggira tacita e leggere

entro alla stanza mia,

creatura di sogno in cui s’agguaglia

mestizia a leggiadra?

Forse che per me un attimo rivivi

di tua vita lontana

trasvolando sui vanni del tuo Nievo

o imagin di Pisana?

Ella risponde sorridendo, un poco

sull’omero mio china:

io son colei che dal tuo canto nacque,

Io son la Foscarina:

- Allor che la Repubblica fu spenta,

caddi seco travolta,

e la ferrea pestar zampa croata

udii su me sepolta.

- Quanto durasse il mio letargo tristo

non so, ma un dì fluire

a stilla a stilla nelle vene il sangue

mi parve di sentire;

- E colla vita crescere un ardente

ormai scordato amore,

e balzai dalla tomba: in piazza ai venti

garriva il tricolore.

- Poi ripiombai nella miseria prima.

Però ch’io son l’antica

la eterna dolorante anima umana

che nel mal s’affatica,

- Che nel fango s’avvolge, e si dibatte

terra terra, e risorge

pura e s’innalza se un raggio di luce

pura nei cieli scorge.

Ed io a lei: - Poi che tutte le imbelli

piaghe e l’infamie e l’onte

della civil vergogna e del servaggio

straniero a te son conte,

- E la forza rugghiante delle folle

che demolisce e crea,

e nel fulgor della bandiera santa

la gloria dell’idea,

- Dimmi, giorno verrà che dall’immonda

tedesca signorìa,

dallo squallor della palude morta

sorge la patria mia?

Le diafane mani ella congiunge

in atto di preghiera,

e mi sussurra al cor soavemente:

- Verrà quel giorno. Spera!

120 121

III

E venne il giorno. Ed oggi si rinnova

tra gli eccidj e l’inedia

il mondo: io vidi il prologo e gli autori

dell’immane tragedia.

Giungere vidi al sinistro convegno

innanzi a Miramare,

col torvo erede degli Asburgo il bieco

imperial compare,

e di moli tonanti un’infinita

serie dalla marina

ottenebrar di grasse nubi il cielo

della città latina.

Vidi il minor, dalla scoglio fatale

ch’è di ginestro adorno

e bianchi marmi, imprender suo viaggio

che non ebbe ritorno.

E in te Venezia mia – mia perché tutti

siam cittadini tuoi

quanti nascemmo tra Quarnaro e Isonzo –

e in te dei morti eroi

sentii propomper nell’arrengo antico

l’anima secolare,

e la gran voce: - Italia! Italia! Guerra!

nella notte passare.

Ma te non vidi o mia casa, nei primi

giorni della battaglia

sgretolata crollar pietra su pietra

tra schianti d mitraglia,

mentre che giugno ti alitava intorno

soffi come di brage,



A fronte

Dipinto di Spartaco Muratti

con veduta di Castelnuovo.

Il quadro è l’unica

testimonianza iconografica

prebellica fino ad oggi

conosciuta

che documenta la

composizione architettonica

dei volumi dell’intera villa.

122

e cogli effluvj dalle viti in fiore

l’acre odor della strage:

non a me, non a me fu dato in sorte

snidar di sasso in sasso,

di quercia in quercia le divise azzurre

incalzate dal basso,

né irromper col miglior sangue d’Italia

al sommo del sentiero,

né dir col pianto nella strozza: - O casa,

o casa, il sogno è vero!

IV

Breve il nostro cammin, certa la meta

che Natura prescrive:

tutto che introno a noi vegeta e canta,

che in noi palpita e vive,

l’appressar della grande ora solenne

con vario metro segna,

e la mortal caducità del tutto

a noi mortali insegna.

Ma la casa che dentro a sé raccoglie

con dolcezza infinita

nidi di affetti e sciamo di memorie,

non parla che di vita.

E par che debba durar sempre; pare

che pei figli dei figli

resti a perpetuar qualche parvenza

cara che a noi somigli.

Or la mia casa è una maceria informe.

Anzi è tutta una tomba

senza pace, squassata dai sussulti

del cannone che romba.

Le stanze dei miei bimbi orribilmente

ridono al sol squarciate

in un tumulto di travi e di attorte

ferraglie aggrovigliate;

e forse accanto a un soldatin di stagno,

a un cavalluccio nero,

sporge da un monte di rottami il teschio

d’un soldatino vero.

D’un soldatin per cui la mamma prega

notte e giorno e si strugge,

e all’uno e all’altro chiede, e al tempo impreca

che par sì lento, e fugge.

Madri d’Italia, benedetto il frutto

che dal grembo v’uscìa:

un’altra Madre onnipresente santa,

pura come Maria.

Passo passo con lui nella battaglia

ascese il duro monte:

vivo, lo incuora e lo sorregge e guida,

morto, lo bacia in fronte.

Di vetta in vetta ove s’afforza il bruto

in armi, ella s’accampa;

di valle in valle erompe la sua luce,

folgora la sua vampa.

E poi che un dì quei monti e quelle valli

templi saranno ed are

ai suoi vivi e ai suoi morti, ove ella sieda

pio nume tutelare,

sulle rovine tue dalla pianura

sorgerà il popol nuovo

giganteggiar la Grande Madre, o casa

Mia di Castello nuovo.



Castelnuovo e la Grande Guerra:

distruzione e ricostruzione in alcune fotografie d’epoca

Durante gli anni della

Grande Guerra la tenuta di

Castelnuovo fu trasformata

in postazione di comando e

ospedale degli intrasportabili.

La villa fu più volte

bombardata: il braccio

sudorientale fu

completamente distrutto e

la copertura della facciata

principale fu gravemente

danneggiata. Subirono danni

irreparabili anche i tempietti

e i casini di delizia che

punteggiavano il parco e

alcuni grandi edifici rustici

come ad esempio la barchessa

situata alle spalle della villa.

A fronte

Fotografia d’epoca del 1917. Il braccio

sudorientale di Castelnuovo è ridotto in macerie.

A destra

Fotogrfia d’epoca del 1917. Alcuni soldati in posa

sulla scalinata che porta al cortile d’onore; sullo

sfondo il tempietto monoptero con la cupola di

copertura ancora integra.

124



A sinistra

Fotografia d’epoca del 1917. Il re Vittorio

Emanuele III visita Castelnuovo.

A fronte, in alto

Fotografia d’epoca del 1917. Il generale Cadorna,

il generale Nivelle e il Duca d’Aosta sulla terrazza

di Castelnuovo.

A destra

Fotogrfia d’epoca del 1917. Soldati in posa sulle

rovine di uno degli edifici rustici dlla tenuta.



In alto

La cupola del tempietto del cortile d’onore

sventrata dai bombardamenti. Sullo sfondo solo

qualche albero mutilato evoca l’antico rigoglioso

giardino.

In alto

Fotografia d’epoca che inquadra alcuni soldati

in posa sulle rovine del braccio sudorientale

della villa. Le macerie arrivano al primo piano,

all’altezza del portale d’ingresso al salone

principale, miracolosamente scampato ai

bombardamenti.

128 129



Quando rammento che la villa fu parzialmente distrutta nella guerra

del 1914 - 1918, il giardino raso al suolo e il bosco bruciato, mi sembra che i

ricordi legati ad essa abbiano tutta la magia e l’irrealtà di un sogno.

A volte mi chiedo se sia davvero esistito al mondo un luogo dove l’aria e

la terra, gli alberi e i fiori, le pietre, i colori, i suoni e gli odori - specialmente

gli odori - siano stati intrisi di un tale senso di perfetta felicità.

Marie Hohenlohe, Memoirs of a Princess

In alto

Rovine di Castelnuovo (fotografia di proprietà del

Museo Centrale del Risorgimento).

A fronte

La facciata di Castelnuovo danneggiata dai

bombardamenti; sulla scalinata d’ingresso

baraccamenti per il ricovero dei soldati.

130



Ancora ed ancora sono tornata

al fitto incantato bosco e ai gradini

della felice casa con le colonne

che si stagliava come un fantasma

sul prato verde dove fiorivano le

rose. E poi sono tornata un’ultima

volta. Il bosco sembrava più esteso,

più denso e più silenzioso. Mi ci

volle molto tempo per raggiungere

gli scalini di marmo che mi

sembravano essere cambiati.

C’erano solo pochi gradini, ma ora

le scale portavano rapidamente

sempre più su. Salivo con difficoltà,

il mio cuore batteva forte. Alla fine

raggiungevo la cima, il grande

prato inglese - ma dov’erano le

rose? O Dio, dov’era la casa?

Tristemente la nuda terra si

estendeva intorno a me. Non era

stato lasciato nulla sulla cima della

collina dove una volta spiccava la

casa felice!

Disperatamente mi inginocchiavo

giù sulla nuda terra - la casa era

svanita. Mi svegliavo dai miei

sogni con le lacrime che correvano

giù sulle guancie. Ora so che non

rivedrò mai più i saloni affrescati,

le alte bianche colonne e le piccole

stanze fuori moda che sapevano di

rose e di muffa.

Marie Hohenlohe,

Memoirs of a Princess

La tenuta di Castelnuovo vista da sud nel 1917.



In alto

Rovine di Castelnuovo in una fotografia d’epoca

datata 15 ottobre 1920.

In alto

Fotografia d’epoca del 1926: i lavori di restauro

della villa sono partiti. I due bambini in primo

piano sono Dina Gismano Paladino e Viscardo

Zampollo.

134 135



Maledetta questa guerra che mai non si finisce:

i graffiti dei soldati nel salone al piano terra

Dal giugno al dicembre del

1915 sul fronte italiano del

Carso e Isonzo si contarono

54.000 morti, 160.000 feriti

e 21.000 dispersi; sul fronte

austriaco nello stesso periodo

si contò la perdita di 151.000

soldati.

In alto e alle pagine seguenti

Alcuni esempi di graffiti lasciati dai soldati nel

salone al piano terra della villa di Castelnuovo.

136







Il giardino di Alcinoo

A fronte

Uno degli uliveti della

tenuta.

1

Ode, composta nel

1793 da Remigio

Nordeck in onore di

Raimondo IX Della

Torre Valsassina

(ASGO, Archivio Storico

Coronini Cronberg, b.

344 f.1007).

Negli anni Novanta del Settecento l’opera di trasformazione

del colle irto di pietre in un rigoglioso parco era a un punto molto

avanzato; la tenuta aveva già suscitato la meraviglia, e forse anche

l’invidia, di chi l’aveva visitata, tanto che nel 1793 fu paragonata

all’incantevole dimora degli dei e al sublime giardino di Alcinoo 1 .

All’epoca della realizzazione, cioè a partire dalla fine degli

anni Settanta del Settecento, il parco si estendeva dalla cima del

colle fino all’antico corso della Roggia del mulino, che si staccava

dall’Isonzo e scorreva a valle. Rispecchiava per molti aspetti il

modello inglese del landscape garden: sfruttando il pendio si

fondeva con il paesaggio, diversi punti di fuga dilatavano lo spazio,

l’orizzonte era movimentato da terrazzamenti, sentieri rettilinei

si sdoppiavano in viali sinuosi che entravano nel bosco ombroso

e ne fuoriuscivano scenograficamente aprendo la visuale a un

panorama con le Alpi e la pianura friulana come sfondo. I piccoli

edifici integrati nel paesaggio, le sculture e gli ornamenti inseriti

ad effetto rimandavano a una contemplazione filosofica della vita,

della natura e dell’opera dell’uomo che si fa natura.

Il giardino di Castelnuovo può essere annoverato tra i primi

CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO 143



2

Da una nota di

pagamento del Manuale:

«5 marzo 1802:

per n.500 alberi di

Accaccia» (AST, Fondo

Della Torre Tasso, b.

246.1- 4).

3

Cfr. M. LEVORATO e G.

RALLO 1999, p. 30.

4

Il riferimento è ai già

citati Libro Confessore;

Manuale, Orazione

funebre in lode del

Conte Raimondo Della

Torre del fu Giovan

Battista, Ventilazione

di morte di Raimondo

IX; mappe censuarie di

Sagrado 2810 - 2814 e

relativi elaborati.

5

La torre ha base

quadrata di 3m di lato,

un’altezza che doveva

arrivare a circa 10m e

uno spessore dei muri di

mezzo metro; è costruita

in pietrame di calcare

e arenaria, con conci

e spigoli squadrati e

ben legati. La datazione

proposta dagli storici

varia tra il Quattrocento e

il Seicento. Cfr. T. MIOTTI

1980, pp.390 -391.

6

Del Casino per bagni

non rimane più traccia,

probabilmente perché

distrutto durante

i bombardamenti

della Grande Guerra

o precedentemente

demolito.

giardini all’inglese oggi in territorio italiano; il conte Raimondo

IX, durante i suoi numerosi viaggi in Europa e in particolare a

Vienna, aveva certamente potuto conoscere e apprezzare il nuovo

stile che a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo si stava rapidamente

diffondendo.

La caratteristica più peculiare del giardino era il perfetto

connubio tra il concetto illuministico dell’utile e quello romantico

del delizioso: vigne, uliveti, pascoli, campi coltivati a frumento,

alberi da frutto e gelsi erano perfettamente integrati con corsi

d’acqua naturali e artificiali, boschetti e radure, rovine, torri,

chioschi, tempietti, casini di delizia e mausolei.

Altrettanto notevole era anche un altro elemento distintivo

del parco; dallo studio è emerso che si trattava di un giardino

iniziatico, come conferma l’inserimento nel paesaggio di fabbriche

metaforiche quali la Casa rossa, il Tempio della Pace, l’antica torre

e la piramide, oltre all’introduzione di essenze arboree dal valore

simbolico quali l’acacia 2 , il lauro e il cipresso. Nell’Ottocento il

giardino all’inglese fu considerato una valida espressione artistica

che permetteva di costruire percorsi iniziatici immersi nella

natura e oscuri al profano. Nel giardino di paesaggio d’ispirazione

iniziatica si riscontravano di frequente quattro tipi di fabbriche

metaforiche: edifici il cui titolo rimandava a concetti filosofici come

ad esempio “Tempio dell’Amicizia” o “Campi Elisi”, torri e castelli,

fortezze il cui aspetto medioevale richiamava l’epoca dei Templari,

il repertorio dell’architettura egizia e le grotte 3 .

L’architettura del paesaggio voluta dal conte Raimondo IX

è ancora oggi ben riconoscibile, nonostante gli ingenti danni

provocati dai bombardamenti della Prima Guerra che rasero al

suolo gran parte del territorio carsico di Sagrado. L’analisi delle

Unione delle mappe

censuarie di Sagrado

degli anni 1818 - 1825

(ASGO, Catasti secoli XIX

- XX, Sagrado, mappe

n. 2810, 2811, 2812,

2813).

fonti archivistiche raccolte ha permesso di ricostruire in modo

sufficientemente dettagliato l’impianto della tenuta intorno al 1817,

anno in cui il conte morì 4 .

A valle l’attenzione era subito catturata da una torre stretta e alta,

scenograficamente collocata all’estremità di un fossato a forma di

ferro di cavallo tratto dalla Roggia del mulino. La torre, antica già

all’epoca e inserita nel contesto come rovina, era probabilmente

un baluardo difensivo o una vedetta di Castelvecchio; i ruderi,

ricoperti dall’edera rampicante, sono ancora oggi visibili nel campo

adiacente alla stazione ferroviaria di Sagrado in località Fornace 5 .

L’area racchiusa dai bracci del fossato era divisa a metà da un

lungo percorso rettilineo trattato a pascolo con alberi da frutto

che intercettava un piccolo edificio a pianta rettangolare censito

come Casino per bagni 6 e proseguiva fino a raggiungere le mura

del bosco. Tra il Casino per bagni e il bosco si estendevano i

144 Il giardino di Alcinoo CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

145



7

La datazione è

desunta da due note di

Raimondo IX riportate

nel Manuale: «1815,

19 marzo, allo scultore

Ziperla acconto del

mausoleo»; «1815, 22

aprile, al Ziperla per

il mausoleo mediante

il fattor Vittori» (AST,

Fondo Della Torre Tasso,

b. 246.1 - 4). I lavori

furono completati entro

il 1817.

8

Alla diletta moglie il

marito dolente ed i suoi

mesti figli cui mancò

posero (da R. PICHLER

1882, p. 467).

9

Cfr. g. Geromet e R.

Alberti 1999, p. 410.

A fronte

Il mausoleo dedicato

a Valburga in una

fotografia dei primi del

Novecento.

terreni coltivati (campi arativi vitati, campi arativi con moroni,

campi arativi vitati con alberi da frutto...): due di essi, quadrati,

erano divisi in quattro parti uguali da una croce con al centro una

figura circolare, in corrispondenza della quale si può supporre

si trovassero delle fontane o delle sculture. Osservando dall’alto

l’area tra il bosco e la strada si poteva riconoscere chiaramente la

figura di un tridente formato dal pascolo rettilineo e dal fossato

su cui insisteva la torre. Lo slargo di Castelvecchio ricalcava l’area

dove un tempo sorgeva l’antico palazzo padronale dei Della Torre,

demolito negli anni Ottanta del Settecento. Al margine dell’area

quadrangolare, addossati alle mura di recinzione, sorgevano grandi

edifici rustici, quali ad esempio granaio e cantina.

Al termine del tridente, nelle vicinanze del bosco, si incontravano

due piccoli edifici: un mausoleo inserito in un boschetto di

robinie e un Casino di delizie. Il mausoleo fu eretto nel 1815 per

volontà di Raimondo IX in memoria della prima moglie Valburga

Guppenberg di Pötmes, morta nel 1812 7 . Era una rotonda con

intercolumnio dorico per facciata; nel mezzo un cippo portante

un’urna funeraria attortigliata da un serpente recava l’iscrizione

DILECTAE UXORI MARITUS LUGENS EIUSQUE TRISTES

EXPERSQUE FILII POSUERE 8 .

Il tema della morte e della caducità della vita terrena permeavano

lo spirito del giardino; l’orazione funebre in lode al conte ricorda

che Raimondo voleva sempre «tenersi presente la memoria

della morte maestra del ben vivere tanto che disceso dalle scale

del palazzo si presentava al suo occhio in grandiosa scultura la

finta sua tomba»; l’orazione rammenta anche che «tra le molte

statue fece innalzare la morte in atteggiamento di trarsi dal

volto la maschera della vita». Il mausoleo, danneggiato durante

i bombardamenti della Grande Guerra, fu ristrutturato in epoca

postbellica per essere singolarmente convertito nella bottega di un

calzolaio e in seguito fu demolito 9 .

Il Casino di delizie, luogo appartato e tranquillo dove si poteva

godere un temporaneo riposo, si trovava proprio al margine

del bosco, quasi immerso in esso; affacciava su campi coltivati

146 Il giardino di Alcinoo CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

147



10

Da una nota di

pagamento del Libro dei

Giri da Gennaro 1778 in

poi tenuto da Raimondo

IX (AST, Fondo Della

Torre Tasso, b. 245.1-5):

«17 marzo 1783, per

reformar tutto il muro

del bosco di Sagrado

ed ultimare certi lavori

nel giardino ut contratto

d’oggi fatto in scritto

col Gio. Batta Torroj

capomastro muratore di

Gradisca».

11

L’arredo del Casino

della Venere era

costituito da 2 canapé

con tre cussini cadauno

e 2 tavolini con

coperchio di marmo;

similmente il Casino

d’Appolo era arredato

con 2 canapé con tre

cussini cadauno e 2

tavolini con coperchio

di pietra (ASGO, Fondo

Tribunale Civico di

Gorizia, ventilazione

di morte di Raimondo

IX, b. 166, f. 357, s.

1817- 5-9)

12

Cfr. M. HOHENLOHE,

1959.

13

Biblioteca Attilio

Hortis di Trieste: Verbali

Accademia Arcadi

Romano Sonziaci (RP

Manoscritti 3-26;

Diplomatico 1/1 C21);

Catalogo dei membri

Accademia Arcadi

Romano Sonziaci (1/2

B27).

con alberi da frutto e viti ed era lambito dal corso d’acqua che

attraversava il bosco. Dalla schematica rappresentazione della

mappa 2814 del catasto del 1818 si deduce che aveva pianta

quadrata e pronao con quattro colonne.

L’antico bosco duro d’alto fusto (roveri) che occupava gran

parte del pendio del colle era attraversato dallo stradone delle

carrozze, un viale centrale e rettilineo che partiva dallo slargo di

Castelvecchio e aveva come punto focale il tempietto monoptero

che chiude ancora oggi la scalinata dei terrazzamenti in cima al

colle. Dallo stradone delle carrozze si staccava un sentiero sinuoso

che correva all’interno del bosco intersecando con dei ponticelli

il corso d’acqua. Il bosco era una riserva di caccia con daini cinta

da mura fin dalla prima metà del Seicento. Le mura, che un tempo

ebbero anche funzione difensiva, furono interamente restaurate per

volontà di Raimondo IX, grande appassionato d’arte venatoria 10 .

In quota, al margine del bosco adiacente alle terrazze pensili,

c’era un parterre dove si trovavano due piccoli edifici speculari che

corrispondevano probabilmente al Casino di Venere e al Casino di

Apollo citati nella ventilazione di morte di Raimondo IX. Erano due

padiglioni a pianta quadrata, adibiti verosimilmente ad ameni ed

ombreggiati luoghi d’ozio 11 .

Il parterre terminava con un prato su cui si affacciava un Casino

di delizie coronato dal folto della vegetazione del bosco; si trattava

della Casa rossa edificata con ogni probabilità nel 1792. La

misteriosa costruzione stimolò la curiosità della principessa Marie

Hohenlohe e quella di Spartaco Muratti; entrambi ne fornirono

un’avvincente e poetica descrizione 12 . Era una costruzione in

stile gotico dipinta di rosso; aveva una porta d’ingresso ad ogiva

su cui campeggiava l’iscrizione EX OMNIBUS UNA, finestrelle

a sesto acuto e una scala a due rampe. Arredata come un buen

retiro con diversi canapè, tavolini, scrittoi, statue in gesso, lumi e

In alto

La Casa Rossa in un

dipinto di anonimo.

quadri, nascondeva una cripta circolare a cui si accedeva con pochi

gradini. La cripta era circondata da uno stretto passaggio affrescato

e ricoperto da innumerevoli epigrafi italiane, francesi e tedesche

che evocavano la fugacità della vita e l’incostanza della fortuna.

Il passaggio limitava una cella funeraria in cui era sistemato un

finto sarcofago sormontato dalla statua di una giovane donna ai

piedi della quale era accoccolato un amorino piangente. Dalla

parte opposta c’era un grande affresco in grisaille che raffigurava

la personificazione del Tempo, identificato dall’attributo della falce,

mentre portava con sé una figura femminile. Muratti riconobbe

nella Casa rossa il luogo d’incontro dei pastori e delle pastorelle

dell’Accademia degli Arcadi Romano Sonziaci; l’ipotesi va però

smentita, poiché nei verbali delle radunanze conservati presso

la Biblioteca Hortis di Trieste non è mai nominata la tenuta di

Castelnuovo 13 . La principessa Marie andò molto più vicina a

definire la funzione originaria della Casa Rossa, ipotizzò infatti che

avesse a che fare con un gruppo di Rosacrociani. Effettivamente

nella Casa rossa si poteva riconoscere un vero e proprio gabinetto

di riflessione, cioè il luogo d’iniziazione dove il recipiendario viveva

il primo passo verso la Conoscenza. Interessante notare come molti

dei temi iniziatici affrontati in essa siano ripresi dagli affreschi del

salone al primo piano della villa.

Una volta individuato il carattere iniziatico della Casa rossa,

censita negli elaborati del catasto ottocentesco come Casino di

delizie, viene naturale chiedersi se anche l’altro Casino di delizie,

rilevato a valle, avesse una celata funzione rituale. Data la scarsità

di notizie relative a quest’ultimo è difficile confermarlo, ma la

posizione di entrambi al margine del bosco, uno a valle e l’altro in

quota, lo fa supporre.

Negli anni Sessanta dell’Ottocento la Casa rossa era ormai

fatiscente e aveva certamente già smesso la sua funzione segreta;

148 Il giardino di Alcinoo CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

149



A fronte

Veduta dei terrazzamenti

dal tempietto del cortile

d’onore della villa.

Alle pagine seguenti

Veduta del cortile

d’onore con il tempietto

e la fontana.

quarant’anni dopo, nel 1905, Muratti decise di farla demolire.

Al limite del bosco, dove lo stradone delle carrozze e il sentiero

pedonale si incrociavano, partiva la scalinata in pietra che saliva

attraverso le quattro terrazze pensili. La scalinata terminava ad

effetto con il tempietto monoptero a otto colonne di ordine dorico

che apriva l’elegante cortile d’onore su cui si affacciava la villa.

Il cortile d’onore, un tempo a parterre, era arricchito da una

fontana circolare in pietra, posizionata in linea con il tempietto.

Superati i quattro bassi gradini che chiudevano il parterre e

portavano alla facciata della villa, si trova sulla destra la terrazza

ricavata sul tetto della cedrera, la grande serra fredda nella quale si

conservavano le piante di agrumi in vaso durante i mesi invernali.

Dall’alto del tempietto si raggiungevano con lo sguardo l’antico

bosco e il parco agricolo a valle; dal tetto della cedrera si potevano

abbracciare con lo sguardo i terrazzamenti artificiali censiti come

campi arativi vitati con frutti che scendevano fino al parterre della

Casa rossa.

Sulla sinistra, delimitato dalla scuderia e dalla barchessa, si apriva

l’ampio cortile rustico a cui giungeva lo stradone delle carrozze

superando con piccoli tornanti il dislivello che lo separava dal

bosco. La scuderia era un grande fabbricato a pianta quadrata che

poteva accogliere fino a dodici cavalli; la barchessa, a due piani, era

caratterizzata da una struttura porticata ad alte arcate a tutto sesto.

Questa è la parte di giardino che si è meglio conservata: i

terrazzamenti e la gradinata sono stati recentemente restaurati,

la fontana è ancora esistente e il tempietto è l’unica delle piccole

fabbriche che costellavano il giardino pervenuta fino a noi. Della

barchessa, purtroppo completamente distrutta dalle granate, non

rimane che la memoria; la scuderia è stata invece restaurata e

ampliata.

CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO 151





A fronte

La facciata restaurata

della scuderia.

A destra, in alto

Disegno a penna su

carta con progetto per

una scuderia per sedici

cavalli. Il documento fa

riferimento alla scuderia

di villa Della Torre Maffei

(Studeniz) di Gorizia,

un tempo proprietà del

conte Raimondo IX;

oltre ai ricoveri per i

cavalli erano presenti

una rimessa per le

carrozze, due depositi

per l’avena e tre giacigli

per gli inservienti. La

composizione della

scuderia di Sagrado

doveva essere molto

simile. (AST, Fondo Della

Torre Tasso, 241.2).

A destra, in basso

Tra le piante e i

disegni conservati

nel fondo Della Torre

Tasso compare il

disegno a penna

Casin dell’hortolano. Il

progetto, senza data ma

riferibile al XVIII secolo,

documenta l’attenzione

che veniva riservata

anche ai piccoli edifici

ad uso rustico; forse il

progetto fu fatto fare da

Raimondo IX proprio

per Sagrado (AST,

Fondo Della Torre Tasso,

241.2).

CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO 155



14

Non è certo che si

tratti delle fondazioni

della torre; la forma

ricorda anche una

cisterna per la raccolta

delle acque piovane.

15

AST, Fondo Della

Torre Tasso, b. 246.1-4.

16

Il già citato inventario

dei beni di Sagrado del

1818 elenca gli arredi

presenti nel Tempio della

Pace: al piano terra si

trovavano 4 cantonalli

d’albedo, 2 scrittori

d’albedo, 2 canape e

4 sedie; nel Gabinetto

c’erano 4 sedie di legno

con paglia e 2 scrigni

coperti con Indiana;

nella sala superiore si

trovavano 2 tavolini con

marmo rosso, 2 tavolini

con marmo bianco, 2

canapè e dodici sedie

di paglia; nella camera

annessa figuravano

4 sedie col sedere di

paglia, 2 sechiete di

legno duro e 1 scrittorio;

nella scalla c’era 1

Sechieta d’Albedo

ordenaria con vaso.

Una fotografia d’epoca dei primi del Novecento testimonia

la presenza di un’altra torre all’interno della tenuta, distrutta

probabilmente anch’essa durante la Grande Guerra. La memoria

orale la colloca poco distante dalla facciata posteriore della villa,

dove sono state rinvenute delle fondazioni di un edificio a base

quadrangolare oggi convertite in cantina ipogea 14 . La torre aveva

base quadrata e spigoli squadrati, era più bassa e più larga di

quella a valle. Vi si accedeva attraverso un portale incorniciato

e sormontato da un timpano; la luce penetrava attraverso

delle finestrelle ellittiche, anch’esse incorniciate, posizionate

verosimilmente in modo simmetrico una per lato. Per forma e

posizione è difficile ricondurre l’edificio a funzioni difensive e

sembra poco verosimile anche la tradizione che ricorda la torre

come luogo da dove erano fatti segnali di luce verso il castello di

Duino; appare molto più plausibile annoverarla tra le fabbriche

metaforiche che costituivano il landscape garden. Forse, insieme

a una piramide e a un tempietto, era uno dei lavori che Raimondo

IX commissionò allo Ziperla nel 1816; in una nota del Manuale

compare infatti l’appunto: «10 novembre, a Ziperla acconto dei tre

novi lavori: piramide, torre e tempio» 15 . Della piramide non rimane

che questa dichiarazione d’intenzioni, non è dato sapere se venne

effettivamente realizzata o se l’idea venne abbandonata poiché il

conte morì solo pochi mesi dopo.

La villa, protagonista del progetto paesaggistico, dominava

discretamente l’intero giardino dalla facciata che guardava a valle

e allo stesso tempo, dalla facciata rivolta verso i monti, apriva lo

sguardo sul parco agricolo che sorgeva in cima al colle. La vasta

area raggiungeva i comuni confinanti di Sdrausina e Doberdò; era

destinata a pascolo e campi arativi con viti, gelsi e alberi da frutto.

Nell’area del parco agricolo sorgevano come piccoli gioielli

La torre distrutta durante

la Grande Guerra in una

fotografia del 1912.

tre boschetti in asse tra loro. Il boschetto più a sud aveva pianta

quadrata ed era censito come bosco di rubini (robinie) con tempio

nel mezzo. Tutto ciò che si può dedurre dalla mappa riguardo la

costruzione è che insisteva su uno slargo circolare; si trattava forse

del Tempio della Pace 16 segnalato nella ventilazione di morte di

Raimondo, dalla quale si può appurare che l’edificio aveva due

piani collegati da una scala interna. Nel boschetto quadrato più

a nord, censito come bosco di rubini, non è segnalata la presenza

di un tempio, ma al centro è presente uno spazio vuoto quadrato

che probabilmente dialogava simbolicamente con il tempio

circolare. Possiamo supporre che l’area fosse destinata ad ospitare

il tempietto o la piramide commissionati da Raimondo allo Ziperla

nel 1816. Il boschetto superiore, circolare, era censito come bosco

dolce con rubini d’alto fusto.

156 Il giardino di Alcinoo CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

157



17

AST, Fondo Della

Torre Tasso, b. 170.2.

18

M. HOHENLOHE,

1959.

19

G. COLUSSI, 1897.

Quando Raomondo IX morì, la tenuta di Castelnuovo fu ereditata

dal secondogenito Giovanni Battista III, che, oltre a occuparsi di

rimodernare e ampliare la villa, si impegnò fin da subito anche

nella gestione della tenuta agricola. Se dell’amministrazione di

Raimondo è giunta fino a noi una mole consistente di materiali

cartacei, molto poco è pervenuto dell’amministrazione di Giovanni

Battista. Le scarse testimonianze sono però molto significative,

come ad esempio il Promemoria per il Nobil Signor Conte Giò Batta

Turn riguardante la sua Contea di Sagrado datato 20 giugno 1817 17

e prodotto da un certo Giò Batta di Zorzo. Incaricato di proporre

soluzioni per conservare e far rendere al meglio la tenuta, Giò Batta

di Zorzo consigliò al conte di avere particolare cura dei casini e dei

luoghi di delizia nei mesi estivi, poiché soggetti a frequenti uragani.

Suggerì poi di «levare gli olivari dai giardini supperiori poiché non

avevano mai dato gran frutto, non già perché non siano in ottima

località, ma perché il male sta nella qualità della pianta e perché sono

troppo spessi e troppo morbidi». Lo stesso destino doveva essere

previsto anche per molti alberi da frutto che «già invecchiati senza

vegettare erano dei tronchi inuttili piuttosto che avantaggiosi»;

questa penosa loro situazione era derivata dal fatto che furono posti

in un terreno affatto nuovo. Raccomandò di bandire il pascolo delle

pecore dal bosco e propose di inserire nuovi alberi da frutto lungo

le mura di recinzione e a ridosso del viale delle carrozze. Riguardo

i giardini al piano osservò che gli innesti degli alberi da frutto non

erano stati fatti ad arte e che le viti, seppur piantate in un buon

terreno e rampicanti su appositi bastoni, necessitavano di maggior

concimazione. Consigliò calorosamente al conte di prestare grande

attenzione ai terreni sopra il colle […] nati dall’industria e dalle pie

cure del Conte Padre, affidando a mani esperte la condotta dell’area,

perché, se amministrate con avvedutezza, potevano rappresentare

una delle migliori porzioni delle sue rendite.

Veduta del parco di

Castelnuovo in una

fotografia del 1908.

Teresa della Torre, figlia di Giovanni Battista, seguì l’esempio

paterno e fece dirigere dal fattore la produzione agricola della

tenuta. Soggiornando solo per brevi periodi a Castelnuovo ebbe

però poca attenzione per il giardino, come testimoniano i ricordi

adolescenziali della principessa Marie: «Il giardino assomigliava

davvero ad un piccolo angolo di paradiso. Poiché trascorrevamo

così poco tempo alla villa e il giardiniere non se ne occupava

troppo, era piuttosto trascurato, ma in qualche modo ciò lo rendeva

ancora più affascinante.» 18 Il passo fa riferimento alla fine degli anni

Sessanta dell’Ottocento; circa trent’anni dopo, quando la tenuta

era già passata in eredità alla principessa Marie, la situazione era

simile. Giuseppe Colussi, che nel 1897 soggiornò a Sagrado, scrisse:

«Il parco comprende delle magnifiche serre di fiori, un immenso

bosco, una grande quantità di vigneti e frutteti, estesi campi

di grano, orzo, avena. Questa tenuta è veramente principesca,

essa è adorna d’opere pregevoli e nulla vi manca per appagare

ogni moderna comodità, ma purtroppo non è sufficientemente

ben ordinata, il che forse dipende dalla mancata presenza dei

proprietari. Dal culmine del parco si gode un’aria sana e fresca,

mentre l’occhio si perde ammirando i numerosi villaggi, i prati, le

campagne e le possessioni che si estendono davanti.» 19

Nel 1902, quando la tenuta fu acquistata da Spartaco Muratti, il

giardino ricevette certamente maggiori cure, come documentano le

fotografie d’epoca. Pochi anni dopo però a nulla valse la presenza nel

parco del tempio che Raimondo IX volle dedicare alla Pace: la Grande

Guerra non ebbe riguardo per la tenuta principesca di Castelnuovo

e insieme all’ala posteriore della villa andarono perdute la barchessa

e quasi tutti i piccoli edifici inseriti nel giardino di paesaggio. Il loro

posto fu tristemente preso da trincee e postazioni militari.

158 Il giardino di Alcinoo CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

159





Alle pagine precedenti

e alla pagina

Il panorama che si gode dal

belvedere della villa.

Alle pagine seguenti

Veduta della tenuta agricola

che si estende in cima al

colle.

Alcuni esempi di note di

pagamento per i lavori

del giardino di Sagrado

appuntate sul Libro

Confessore di Raimondo

IX documentano l’iniziale

andamento dei lavori del

giardino: «31 maggio

1781, si riceve la nota del

corrente de’ lavori fatti nel

Parco di Sagrao [...]»; «4

ottobre 1781, avendo avuto

dal Sedmak il Conto del

tagliapietre Boschin [...] a

costo del lavoro della fontana

[...] furono notificate nel

saldo de’ lavori p il Casino

del bosco»; «14 dicembre

1781, feci accordo col

Capomastro Crisati p la

scuderia e rimessa ut

Scandaglio in Xbre»;

«20 dicembre 1781, al

Zanetti di Merano […] p le

porte e scuri del giardino»;

«21 dicembre 1781,venne

il giardiniere da Kadmasdorf

mandatomi dal Conte di

Thurn p Sagrado accordate

dallo stesso p £8 al mese

in tutto con la livrea, oggi li

diedi £4 per il viaggio e p er

li persi giorni del corrente

cominciando per il di lui

mese coll’Anno Novo [...]».





Le strutture metaforiche del

Parco Ungaretti, inaugurato

nel 2010, hanno preso il

posto delle piccole fabbriche

del landscape garden andate

perdute come il Tempio della

Pace, la Casa rossa, il Casino

di Venere e il Casino di

Apollo, il mausoleo e i casini

di delizia.



L’area di Castelvecchio

(1818 - 1825)

1

3

2

4

12

2

12

2

13

1. Strada (Fogliano - Sagrado)

2. Strada di collegamento con

la tenuta (costeggiata da

alberi di gelso)

3. Roggia del mulino

4. Fossato

5. Antica torre

6. Pascolo rettilineo con alberi

da frutto

7. Casino per bagni

8. Slargo di Castelvecchio

con edifici rustici (granaio,

cantina ecc.) e orto

9. Bosco

10. Boschetto di robinie con

mausoleo

11. Casino di delizie

12. Campi arativi vitati con

moroni (gelsi)

13. Campi arativi vitati

14. Campi arativi vitati con

alberi da frutto

3

3

5

6

13

4

12

7

13

14

12

8

6

13

13

6

9

13

9

1

13

Dettaglio del Rilievo di Sagrado del 1818 - 1825

(ASGO, Catasti secoli XIX - XX., mappa n.2814)

10

13

168

13

11



L’area di Castelnuovo

(1818 - 1825)

1. Bosco

2. Viale delle carrozze

3. Terrazze con scalinata in pietra

(campi arativi vitati con alberi

da frutto)

4. Tempietto monoptero

5. Cortile d’onore a parterre

6. Villa

7. Cortile rustico con campo

arativo nel mezzo

8. Edificio rustico non censito

9. Scuderia per 12 cavalli

10. Barchessa

11. Edificio rustico non censito (ad

uso rustico)

12. Terrazza sulla cedrera

13. Campi arativi vitati con alberi

da frutto

14. Edificio non censito

15. Parterre con Casino di Apollo e

Casino di Venere

16. Prato con Casa rossa

17. Pascolo con casa diroccata

18. Posizione in cui la tradizione

ricorda la presenza della torre

ottocentesca

2

1

1

2

16

3

13

15

13

2

3 3 3

14

4

13

2

5

2

13

12

8

6

7

9

17

10

11

18

Dettaglio del Rilievo di Sagrado del 1818 - 1825

(ASGO, Catasti secoli XIX - XX., mappa n.2811)

170

1



La tenuta agricola

(1818 - 1825)

3

1. Boschetto di robinie

con tempio nel mezzo

(probabilmente Tempio della

Pace)

2. Boschetto di robinie

3. Boschetto con robinie d’alto

fusto

Il parco agricolo era costituito

prevalentemente da campi arativi

vitati, campi arativi e pascoli.

2

1

Dettaglio del Rilievo di Sagrado del 1818 - 1825

(ASGO, Catasti secoli XIX - XX., mappe n.2811

e 2813)

173



Ode a Sagrado

Nel 1793 Remigio Nordeck,

professore di filosofia pro

tempore delle Scuole Pie, dedicò

un’ode a Raimondo IX Della

Torre. L’ode, composta in latino,

evoca il meraviglioso giardino

di Alcinoo, i Campi Elisi, la

Valle di Tempe e il fiume Lete

mentre fa riferimento, in modo

più o meno esplicito, ad alcuni

edifici che si trovavano realmente

nella tenuta di Castelnuovo,

come ad esempio il Casino

di Venere, il Casino di Apollo,

la casa frondea e il sepolcro

sotterraneo (Casa rossa). È di

difficile comprensione, non solo

per la metrica e le espressioni

poetiche, ma anche per le oscure

allusioni; si tratta di un erudito

componimento in cui di verso

in verso l’autore sottintende

metaforicamente significati

che vanno oltre le apparenze

risultando comprensibile soltanto

agli iniziati.

SPLENDIDISSIMUM SAGRADI

PRAEDIUM / duas circiter horas Goritia,

& Adria dissitum / quod / GENEROSIS

SUMTIBUS, AC SINGULARI INGENIO

/ Excellentissimi, ac Illustrissimi

S. R. I. Comitis / RAYMUNDI / DE

THURN VALSASSINA /SUPREMI

CAPITANEI GORITIENSIS, / in loco

prorsus inculto, ac rupibus horrido

/ ad spectatorum quorumvis

admirationem / non ita pridem e

fundamentis excitatum est,

/ cecinit / Remigius Nordeck e

Scholis Piis / p.t. Philosophiae

Professor / MDCCLXXXXIII /

GORITIAE. Typis Jacobi Tommasini

1

O! Te beatam, Dextera praepotens!

Quae prima pulsis hic tenebris loci

Aulam Deorum fascinantem

Surgere praecipis in Sagrado!

2

Illi vel ipsos crediderim Deos

Dedisse formam; nobilis hic labor

Dum vidit orbem, nigra circum

Invidia labra morsicante.

3

Iactet vetustas Alcinoi nemus?

Sublime quidquid, quidquid amabile

Graecus stupescit segregatum,

huc Charites simul intulere.

4

Ut Flora laetas Naiadibus comes

ducit choreas; ut Satyri leves

Antris Napaeas prodeuntes

In sinuosa vocant viarum.

5

Ut mole Ghotus ridet ab edita

Amplam coronam laude perennium

Cernens virorum in omne tempus

Elysio radiantem in horto.

6

Nil densa Lethes flumina nomini

Claro nocebunt. Mox, ait: O! deus!

O! Diva! Quos hic aeviterno

Condecorat Phidias sepulcro,

7

Desideranti dum patriae satis

Vixistis ambo, tum meritis, velut

Annis onusti gloriosas

Seri abeant cineres in urnas!

8

Isthic profana plebe remotior

Senex, subacto corpore, frondea

Casa quiescit, mente pura

Nectare sed fruitur deorum,

9

Hic et comatas pervolat arbores

fontes anhelans cerva, sequacium

elapsa latratus canum, quae

Victima grata cadit Dianae.

10

Venus lacessit sidera lumine,

Nihil minori templum et Apollinis,

Foecunda vitae blandientis

Illa parens, latitantis urnae

11

Hic certus index. Quis mihi vellicat

Iucundus aures clamor? O collium

Gemmata late pampinatus

Iugera Bacchus ovans pererrat!

12

Neptunus alto caeruleum caput

Tollens amoenis Tempe susurribus

Beat, nec usquam simile spectans

Adriacas petit aeger undas.

13

Quid excitatae vis queat ignea

Mentis, citati fulminis aemulae?

Haud mille nervos concrepando

Rite sonet chelys Orpheana.

____________

Remigio Nordeck, dalle Scuole Pie,

professore di filosofia pro tempore

cantò [in versi] il magnifico

podere di Sagrado [che si trova]

impiantato a circa due ore [di

strada] da Gorizia e dal mare

Adriatico, [podere] che da non

molto tempo è stato innalzato

dal nulla all’ammirazione degli

intenditori di ogni luogo in una

zona del tutto incolta ed irta di

pietre con generoso investimento

e straordinario ingegno di

Raimondo Della Torre Valsassina

conte del Sacro Romano Impero.

Gorizia, Tipografia di Giacomo

Tommasini.

1

Oh, te felice, Destra potentissima,

che qui comandi sorga in Sagrado

l’incantevole dimora degli Dei,

dopo che per prima cacciasti le

tenebre.

2

Avrei creduto persino che gli Dei

stessi l’avessero edificata; mentre

in questo luogo la nobile impresa

veniva alla luce, intorno una nera

invidia si morsicava le labbra.

3

L‘antichità farebbe diminuire il

valore del giardino di Alcinoo? Il

Greco si stupirebbe se una qualsiasi

cosa di sublime e desiderabile

venisse allontanata, verso di essa le

Tre Cariti vanno insieme.

4

Così Flora conduce le liete

graziose danze con le Naiadi;

così i Satiri chiamano sulle strade

tortuose le Napee che lievi escono

dalle grotte.

5

Così il Goto ride scorgendo, dalla

fatica svelata, la grande corona

irraggiante luce nei Campi Elisi a

lode degli uomini la cui memoria

perdura in ogni tempo.

6

Le profonde e scure acque del

Lete non nuoceranno al nome

illustre. Ora dice: Oh, Dio! Oh,

Dea! Che Fidia rappresenta

insieme nell’eterno sepolcro

7

poiché entrambi viveste

abbastanza, ora le ceneri cariche

di meriti come di anni possano

andare tardi nelle urne gloriose

della patria che [le] desidera.

8

Proprio qui il Vecchio, più lontano

dalla plebe non iniziata, domato il

corpo, riposa nella casetta coperta

di fronde, ma con animo puro gode

del nettare degli Dei

9

e la cerva che anela alle fonti

vola verso le chiome arboree,

sfuggita ai latrati dei cani

inseguitori, lei che muore qual

vittima gradita a Diana.

10

Venere sfida le stelle con una

luminosità per nulla minore e lei

che, feconda di vita che lusinga,

genera il tempio di Apollo, qui

è indice certo del sepolcro che

rimane nascosto.

11

Quale giocondo clamore mi

stuzzica le orecchie? Oh, Bacco

abbondantemente coronato di

pampini vaga esultante per i

campi ingemmati dei colli!

12

Nettuno, alzando il ceruleo capo,

rende beata la valle di Tempe con

ameni sussurri, e il triste che in

nessun luogo può vedere una cosa

simile, non cerca [più] le onde

dell’Adriatico.

13

Che cosa potrebbe la forza

infuocata di una mente fervida,

emula del rapido fulmine? La

lira di Orfeo suona ritualmente

pizzicando non mille corde.

1

Fascinantem aulam Deorum: il luogo

immerso nelle tenebre diventa dimora

degli Dei; nel participio presente

174

175



fascinans è espressa l’azione magica che la

dimora degli dei esercita su chi la guarda.

2

L’allusione alla nera invidia è criptica,

non è dato sapere a chi si riferì il poeta.

Certamente l’opera di Raimondo IX,

oltre ad aver suscitato l’ammirazione

degli intenditori, doveva aver suscitato

anche molte invidie.

3

Attraverso un erudito gioco retorico

l’autore assimila il giardino di

Castelnuovo al sublime giardino di

Alcinoo. Secondo la tradizione letteraria

classica (VII libro dell’Odissea) il re dei

Feaci possedeva i più bei giardini del

mondo.

Cariti: corrispondenti alle tre Grazie

latine, sono figure mitologiche legate al

culto della natura e della vegetazione.

4

Flora: antichissima divinità italica, dea

dell’immortale giovinezza del mondo.

Naiadi: ninfe delle fonti, dei fiumi

e delle acque stagnanti; seguivano

il corteo di Bacco insieme ai Satiri.

Napee: ninfe delle valli e dei boschi,

spesso insidiate da Satiri e Fauni.

5

Campi Elisi: dimora eterna degli eroi,

dei poeti e delle anime virtuose, che

vi passavano il tempo interminabile,

senza cure ed affanni, in una perenne

primavera, sui prati d’asfodelo.

Ghotus: il riferimento è oscuro, un Goto

generico in contrapposizione al Greco?

6

Lete: uno dei fiumi degli Inferi, le cui

acque a chi ne avesse bevuto davano

il completo oblio della vita terrena

trascorsa.

O! Deus! O! Diva!: allegorie dei conti

Raimondo e moglie?

Quos hic Phidias condecorat aeviterno

sepulcro: allusione ad una scultura

funeraria di Fidia? Oppure Fidia è il

nome fittizio, a scopo di omaggio, di

uno scultore che scolpì per Raimondo

due statue? Ritornano il tema della

morte e della caducità della vita che

permeavano lo spirito del giardino.

8

Senex: Raimondo?

Frondea casa: riferimento al Casino

di Delizie che nascondeva l’iniziatico

gabinetto di riflessione (Casa Rossa).

Profana plebe: plebe “non iniziata”.

La locuzione e il riferimento alla Casa

Rossa rimandano al carattere iniziatico

del giardino.

9

Cerva anhelans fontes: reminescenza

del Salmo 42: Come la cerva agogna i

rivi dell’acque, così l’anima mia agogna

te, o Dio.

10

Citazione del Casino di Venere e del

Casino di Apollo presenti nel parterre

adiacente alla Casa Rossa.

12

Tempe: amena valle della Tessaglia,

fra i monti Ossa ed Olimpo, vantata

dagli antichi come la più ridente e, per

questo, scelta dagli dei come luogo di

riposo e di ricreazione.

13

Haud mille nervos: la lira di Orfeo

aveva nove corde; egli ne aveva

aggiunte due alle sette dello strumento

donatogli da Apollo e Mercurio.

Una copia originale dell’Ode è

conservata presso l’Archivio di

Stato di Gorizia (Archivio Storico

Coronini Cronberg, b. 344 f.1007).

Promemoria per il Nobil Signor Conte

Giò Batta Turn riguardante la sua Contea di Sagrado

Un passo tratto dal Promemoria

per il Nobil Signor Conte Giò

Batta Turn riguardante la sua

Contea di Sagrado conservato

presso l’Archivio di Stato di

Trieste (Fondo Della Torre Tasso,

b. 170.2).

In alto

Frontespizio del promemoria (AST, Fondo Della

Torre Tasso, b. 170.2).

Sgnor Conte mio Padrone

Le cose, che sono per esporre

non essendo, che semplici avvisi,

appoggiati da quella poca

esperienza, che posso avere

attraverso il mio soggiorno

campestre da circa quattr’anni

saranno calcolati senza risserva

e sarà fatto di essi quell’uso

che al Signor Conte crederà più

opportuno, giacché non pretendo

di essere un perfetto Agricoltore.

Ciò posto andrò dividendo in più

articoli le cose, che riguardano

la superba, e felice sua tenuta di

Sagrado.

Palazzo, casini e fabbriche

annesse

Questo delicioso fabbricato

merita, che sia conservato con

tutta quella proprietà degna

del rispettabile suo auttore, e

dell’ottimo suo Figlio; i casini,

i luoghi di delizia, devono

avere certamente non solo lo

steso destino, ma siccome sono

qua e là sparsi, è necessaria

una particolare attenzione

nell’estate, che atteso le improvise

alterazioni dell’aria, potrebbero

soffrire quando specialmente

succedono degli uragani e per

cui è necessaria una pronta

mano per poter garantire da

ogni accidentale eventualità

questi luoghi deliziosi. Ciò posto

si vede necessaria una persona,

che oltre ai serviggi che potrebbe

prestare in altri oggetti, abbia

specialmente cura in custodia,

e sia sua special cura un tale

serviggio. Vedremo in seguito se

ciò possa esser unito alla cura

dell’Ortolano, che io sarei d’avviso

di ritenre, oppure se altra persona

dovrebbe essere di ciò incaricata.

Le fabbriche annesse, cioè stale,

fenili, luoghi per gli Ortolani, ed

altro servir potranno oltr all’uso

familiare, a tener le raccolte, e

li foraggi, che ritirar si potranno

dal bosco, quando una mano

economa, attiva, e conoscitrice

sappia ritrarre tutti i profitti, che

esso presenta, e di ci in seguito n

parlerò.

Giardini supperiori

Non essendo questi stati formati

che per aver più comodi che

176 177



utilità, non saranno mai di un

gran vantaggio, quando si voglia

conservarli nel modo che sono,

e dall’altro canto non saprei

suggerire, che con mio dispiacere

una rifforma, che levar dovesse

un’infinità di piante, che ora

impediscono ai vegetabbili la

vista del Sole, e che ritardano

la loro maturità: non di meno

una mano giudiziosa potrebbe

conservare tutte le delizie di

questi e migliorare in qualche

parte i prodotti col togliere ciò

che è inutile e che forse invece di

abellire impedisca questo scopo.

Per esempio si potrebbero levare

gli olivari, li quali non hanno

fatto mai nulla, non già perché

non siano in ottima località, ma

il male sta nella qualità della

pianta, e perché sono troppo

spessi e, troppo morbidi. Lo

stesso destino dovrebbe avere

molte piante di frutta, che già

invecchiati senza vegettare sono

dei tronchi inuttili piuttosto che

avantaggiosi; questa penosa

loro situazione è derivata perché

furono posti in un terreno affatto

nuovo, senza che fosse stato

ventilato dagli accidenti delle

meteore, ed in conseguenza

ancora selvaggio. Sopra luoco

poi farò meglio vedere cosa si

potrebbe levare, cosa sostituirvi, e

quali vantaggi ne risulterebbero.

Qualunque fosse il piano che il

Signor Conte fosse per prendere,

sia affittando, sia tenendo un

Ortolano per questi giardini,

egli deve aver presente, che il

tener gli alberi nella forma, che

sono tanto nelle camere silvestri,

quanto nei stradoni, che l’aver

cura delle viti, e degli alberi da

frutta, è un opera lunga, penosa, e

che non porterebbe verun profitto

all’affittuale al quale si dovrebbe

ancor dare nell’affitanza un

compenso. Che se poi fosse

ritenuta per conto economico,

si dovrebbe avere in riflesso che

all’Ortolano lavorando in una

località, non potrebbe esser in

un’altra, e che se qualche volta si

dovesse dal Fattore prender delle

opere giornaliere, si renderebbero

necessarie per supplire ai lavori

utili non eseguiti dall’Ortolano

occupato in quelli di semplice

abelimento. Questa spesa, sotto

l’uno o l’altro aspetto, deve esser

sempre considerata.

Bosco

Questa amena località arrecar

deve dei vantaggi nell’andar del

tempo, ritenuto per altro sempre,

che conviene bandir le peccore, e

non permettere il pascolo. In esso

si potrebbe annualmente ripporre

nei lunghi [?] lasciati dalle

quercie dagli albori da frutta, che

poco costano, e quasi veruna cura

apportano. Vicino alla muraglia,

e lungo lo stradone delle carrozze,

nonché in quello dei pedoni si

potrebbe a preferenza farne

più impianti. Adottando questo

sistema, saprò io il modo di

render facile e di quasi nessuna

spesa questa piantaggione. La

qualità del fieno, che in esso fino

ad ora si è raccolto, non deve

esser stata corrispondente alla

qualità che ne nasce, giacché

cammin facendo, osservasi,

che in più parti era stato

negletto il taglio, o mal eseguito,

riconoscendosi ancora l’erba

secca dell’anno scorso. Questo

foraggio mi sembra di buona

qualità, e specialmente pei bovi,

e se vero sia come dice il fattore,

che ha il difetto di tagliar le

labbra all’armente, si può ciò

ripparare col tagliarlo per tempo,

e non tanto maturo. Se io fossi

il padrone di questa località

certamente non mi sfugirebbe

l’altro vantaggio, che ritirar

si potrebbe col tener diverse

armente, e molto vitelli, che in

seguito cresciuti porterebbero con

piciolissima spesa un utile non

indiferente.

Giardini al piano

Questi due pezzi di terreno

oltre l’uva, e la frutta potranno

somministrare molti grani,

legumi, vegetabili, ed altro, e

rendere molto di più di quello

che hanno fino a ora prodotto.

Osservate minutamente queste

località, ritrovo che le piante della

frutta sono troppo spesse, e che

molte si preparano a perire in

breve, ciò deriva perché devono

avere del male nelle radici sia

per la troppa loro proffondità,

sia perché si passò vicino ad

esse coll’aratro senza aver

certi riguardi. Osservai anche

che gl’incalmi in molte di esse

non furono fatti con l’esattezza

prescritta; a tutto ciò con l’andar

del tempo si potrà provedere

col levarne alcune, sostituire

dell’altre, e molte riddarle

miglior forma, e poi regolare. Le

viti son bastonate, ma devono

esser meglio dirette, il terreno è

buono, ma non è sufficientemente

ingrassato. La porzione riddotta

in orto, dovrebbe in seguito esser

inutile, attesoché non vi abita il

Padrone, e basterebbe lasciarne

un pezzo sufficiente per l’uso

giornaliero del Fattore. Gl’agrumi

meritano qualche maggiore

atenzione se si vuole conservarli.

Terreni sopra il colle

Questi fondi nati dall’industria,

e dalle pie cure del Conte Padre,

il quale calcolando da un latto

i vantaggi avvenire, cercava

dall’altro di procurar lavori

negl’anni sterili ai poveri Villici,

aumentano alla giornata il di

lei patrimonio, e formeranno un

giorno una delle migliori porzioni

delle sue rendite, se una mano

intelligente saprà concorrere

colla natura e secondare gli sforzi

dell’[?]. In un terreno nuovo, e

sopratutto posto in una situazione

alpestre, occorre, che l’agricoltore

conosca perfettamente tutte le

variazioni delle staggioni, quali

piante siano le più adatte, quali

viti germogliano con più facilità, e

quali sono atte a rendere miglior

vino; quali siano i grani, che

riescono più facilmente, e quali

i legumi, che possono meglio

convenire. Queste osservazioni

sono necessarissime, poiché

trattandosi specialmente di

formare impianti, che sussister

devono molti lustri, occorre

farne una scielta addattata,

poiché un giorno non si abbia a

incolpare il terreno o il clima, o

la mano dell’Agricoltore; quando

la mancanza derivò soltanto

dal non aver saputo ritrovare

le piante adatte al fondo. Ho

osservato per altro, che tutte

queste particolarità al momento

degli impianti degli alberi e viti,

non devono esser state del tutto

diligentemente esaminate, ma ciò,

che non si è fatto si può ancora in

qualche parte eseguire.

Terreni nei contorni di Sagrado

Questi beni furono da me veduti

in più circostanze, e posso

assicurarla, che essendo li suoi

Colloni stati sotto un padrone

benefico, ed attivo come era il

Signor Conte Padre, avrebbero

potuto riddur ancor meglio i suoi

fondi e sta nel Fattor a spingerli a

questo punto.

[...]

Gio Batta di Zorzo

178 179



L’arrivo alla tenuta nelle memorie di Marie Hohenlohe

Da Memoirs of a Princess di

Marie Hohenlohe

[…] I cancelli in ferro venivano

aperti e chiusi dietro di noi.

Su entrambi i lati alti cipressi

facevano da sentinelle. Eravamo

entrati nell’incantata proprietà

di Sagrado e respiravamo il suo

incomparabile profumo. Una

strada rettilinea e ripida che

correva tra i vigneti ci portava

al nostro paradiso; potevamo

vedere un’ampia scalinata che

conduceva a un tempio circolare

alla fine della strada e al di sotto

l’incantevole e incantato bosco.

I magnifici alberi formavano

un tetto di ombra e filtravano

migliaia di raggi di sole dorati

sull’ampio viale carrozzabile

che imboccavamo salendo

dolcemente; ai piedi dei grandi

alberi erano cresciute felci,

intorno c’erano grandi pietre

ricoperte di muschio e le rose

selvatiche che sembravano

stelline luminose ricoprivano

il manto erboso. Dopo aver

attraversato il sentiero ombroso,

oltrepassata una scultura

bizantina che uno dei nostri

antenati aveva probabilmente

preso ad Aquileia, passavamo un

alto muro coperto di edera e alla

fine raggiungevamo la scala di

pietra che avevamo visto fin dal

basso.

La bassa e larga scalinata,

attraverso due file di terrazze

bordate da balaustre, fioriture

di piante di rose e grandi urne

di terracotta scura, decorate con

amorini e contenenti alberi di

limone, portava su in cima dove

c’era il piccolo tempio colonnato

dal quale si godeva una

meravigliosa vista della pianura

attraversata dall’Isonzo azzurro

con le Alpi sullo sfondo. Al di là

del tempietto c’era un grande

prato ovale bordato da fitte siepi

di faggio, al centro c’era una

fontana. Poi tre scalini di pietra e

circa venti iarde dopo la facciata

della villa tanto amata.

Disegno a matita con veduta del parco di Sagrado

realizzato da Marie Hohenlohe o da uno dei fratelli

(AST, Fondo Della Torre Tasso, b. 176.1).

180



La Casa rossa nelle memorie di Marie Hohenlohe

La Casa rossa nelle memorie di Spartaco Muratti

[…] Scendendo di terrazzamento

in terrazzamento, si raggiungeva

infine una radura di pini e allori

e attraverso il reticolo di rami

si intravedeva la Casa rossa.

Era un elemento di oscurità e

mistero nell’incantevole giardino

abbandonato. L’edificio era molto

piccolo, le pareti rosse quasi

scomparivano sotto i rampicanti

rigogliosi, consisteva in un

piano supportato da una cripta

sotterranea. La chiave della porta

era nascosta sotto il muschio

sulla soglia, e quando il pesante

portone si chiudeva alle spalle

il mio cuore batteva sempre più

veloce. All’interno il silenzio era

così profondo, il freddo così gelido

che noi chiamavamo “cripta della

sepoltura” questa strana stanza

circolare che non aveva finestre

ma era circondata da uno stretto

passaggio coperto di affreschi

e innumerevoli citazioni in ogni

lingua viva e morta. Sopra la porta

a ogiva c’era un’iscrizione che

recitava “Ex omnibus una”.

Il riflesso del raggio di sole che

entrava attraverso la porta

aperta illuminava a malapena il

sarcofago che stava da una parte,

sormontato da una statua di una

giovane donna seduta ai piedi

della quale era accoccolato un

amorino piangente. Dalla parte

opposta al sarcofago c’era un

grande affresco in grisaille che

raffigurava il Tempo con la sua

falce mentre portava via con sé

una graziosa figura femminile -

forse intendeva simboleggiare la

giovinezza o la bellezza? Non lo

so. Nessuno poteva dirmi nulla di

preciso sul significato della tomba

vuota. Tutte le iscrizioni sulle pareti

richiamavano espressamente la

dipartita dal mondo, parlando

della pace della campagna,

della solitudine del saggio, della

spregevolezza e della vacuità dello

sfarzo e delle gioie terrene.

Sopra questa cripta, rispetto alla

quale è stato suggerito che servisse

come luogo d’incontro per un

gruppo di Rosacrociani, c’era un

piccolo salotto. Il rivestimento a

pannelli era rotto, i bassi mobili

Luigi XV cadevano a pezzi, e così

ciò che restava delle fatiscenti

dorature del soffitto annerito,

intorno al quale girava sempre

un gran numero di pipistrelli

che mi spaventavano. In questo

luogo l’odore del passato, l’odore

della muffa e dell’umidità

ti prendevano alla gola. La

Casa rossa mi affascinava e mi

faceva venire i brividi. Studiai le

iscrizioni – citazioni di Platone,

dall’Ecclesiaste, di Marco Aurelio,

Dante e Montaigne – e arrivai alla

conclusione che tutti questi uomini

devono essere stati profondamente

infelici. Vorrei leggere ad alta voce

e ascoltare le parole solenni che

vibravano attraverso il buio con un

insolito suono sordo. Poi in fretta

vorrei di nuovo tornare al sole

caldo sotto il ridente cielo azzurro

e correre su per le scale che dal lato

opposto portavano alla terrazza.

[…]

Il passo è ancora una volta tratto

da Memoirs of a Princess di Marie

Hohenlohe.

Nel 1957 Lina Gasparini lesse

alcuni brani di Spartaco Muratti

a Radio Trieste in occasione del

ventennale della morte dello

scrittore; il testo qui riportato

fu fatto pervenire al figlio di

Muratti.

In fondo ad un vecchio giardino,

sulla vetta di un colle che sovrasta

l’Isonzo, tra il fogliame denso dei

tigli e delle roveri centenarie, tra

il viluppo delle rose inselvatichite,

dei bossi giganti, dei lauri

arborescenti, nella rovina dei

balaustri sgretolati dalle piogge

e dal gelo, ammantati d’edera

rigogliosa, sorgeva anni sono una

costruzione misteriosa e bizzarra

fiancheggiata da due chioschi in

rovina.

Col pronao a colonne quadre, la

scala a due rampate, le finestrelle

a sesto acuto, poteva sembrare

a prima occhiata una chiesetta

campestre, e l’illusione durava,

nonostante l’assenza di ogni

contrassegno esteriore del culto,

se si fosse discesi per pochi e

malformi gradini nel sotterraneo

scarsamente illuminato da due

pertugi ingraticciati.

Qui un muro circolare coperto di

strane epigrafi latine, italiane,

francesi e tedesche ricordanti la

fugacità della vita, l’ingratitudine

degli uomini e l’incostanza

della fortuna, limitava una

cella, una cripta funeraria. In

fondo un sarcofago, alle pareti

medaglioni dipinti: Virgilio,

Abelardo ed Eloisa; la giovinezza

che in pessimi versi tentava

di arrestare il tempo: “Ferma

crudel, pietade almen perdono”

ai quali l’inesorabile vegliardo

ingenuamente opponeva: “S’io

perdonassi non sarei chi sono”.

Qui l’illusione cadeva, non

tanto per le grate di legno che

similavano il ferro, non pei marmi

che si palesavano biacca o

gesso, non per i soggetti profani

che istoriavano le pareti, pel

cantore della misera Didone,

per i leggendari amanti effigiati

quasi martiri e profeti della

religione pagana dell’amore;

per l’effluvio di sensualità che

aleggiava nell’aria morta di quel

mausoleo di stucco e di calce,

che mai aveva sepolto un corpo o

forse solo commemorava la morte

di una speranza e l’angoscia di

un’anima.

Tempio dunque, ma tempio

profano, sacro alla divinità triste

delle memorie, forse alla dea

di Cnido, se pur non mentivano

le dorature sbiadite, i lussuosi

mobili sfondati, le cornici cadenti

della sala soprastante.

Dedicato anche allo splendido

padre delle Muse, se la siringa

arcadica di gesso, dimenticata

in un canto era stata, più che un

fregio, un’insegna e un simbolo.

Probabilmente quel rifugio

grottesco e macabro di ragni

e di uccelli notturni era stato

un ritrovo dell’inclita Sonziaca

Colonia dell’insigne Arcadia di

Roma. E una data dipinta sotto la

simbolica zampogna rafforzava

tale supposizione: 1792.

182 183



L’incantevole

dimora degli dei

A fronte

Particolare della nicchia

con la personificazione

del dio romano Saturno.

Durante gli anni della Grande Guerra, quando la villa fu

convertita in ospedale militare, le pareti delle stanze furono

interamente ricoperte da uno strato di calce usata come

disinfettante anticoleroso. Unica testimonianza della presenza degli

affreschi del salone del primo piano fu, fino al 2009, una fotografia

d’epoca scattata subito dopo il bombardamento che distrusse l’ala

posteriore dell’edificio. La fotografia inquadra due delle quattro

pareti del salone, decorate con trompe l’oeil raffiguranti antichità

romane inserite in finestroni ad arco delimitati da coppie di

colonne corinzie poggianti su uno zoccolo, collegate superiormente

dalla trabeazione e da due cornici con motivi fitomorfi.

Nel 2009, sulla base della fotografia d’epoca, fu tentata

un’indagine volta a verificare se, sotto i vari strati d’intonaco

depositati sulle pareti nel corso di quasi un secolo, esisteva ancora

traccia degli affreschi. Con grande sorpresa l’indagine portò alla

luce il palinsesto architettonico descritto, all’interno del quale

però, al posto delle antichità romane, comparvero pitture di una

fase precedente raffiguranti dodici allegorie e divinità classiche in

altrettante nicchie.

CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO 185



A un primo sguardo si intuisce la maestosità dell’opera, ma

non se ne coglie il senso; poi, concentrando l’attenzione su ogni

figura, ci si scopre affascinati da sagome e simboli che lentamente

prendono forma e riemergono sulle pareti, come in un gioco

di Gestalt. E insieme agli affreschi emergono anche nuove

inaspettate questioni. A che epoca risalgono? Chi fu l’autore e chi li

commissionò? Cosa rappresentano? Quando, perché e per volontà

di chi le dodici figure furono sostituite con antichità romane?

Partiamo dall’analisi iconografica dei temi figurativi. Lo schema

pittorico è diviso verticalmente in cinque fasce. Uno zoccolo

continuo in policromia riproduce i plinti delle colonne rudentate

con capitello corinzio, che a due a due delimitano dodici nicchie

centinate con semicatino a conchiglia dorato e diviso in sette

spicchi. All’interno delle nicchie compaiono altrettante figure

allegorico - mitologiche in policromia: i soggetti (due maschili

ai lati di una porta, due maschili ai lati dell’altra porta, quattro

femminili tra le finestre di un lato e quattro femminili tra le finestre

dell’altro lato) erano individuati dai nomi scritti in capitale nera

sul basamento. Sopra ogni nicchia sono disposti dodici pannelli

decorativi in monocromia su sfondo rosso intervallati da sette (in

origine otto) scene bucoliche in grisaille. Una cornice con festoni

collega i capitelli corinzi e una seconda cornice con un motivo di

anelli e gigli sovrasta la trabeazione retta dalle colonne.

Le dodici figure inserite nelle nicchie erano le protagoniste

della narrazione. Entrando nel salone dalla porta d’accesso in

comunicazione con la torretta postbellica, il primo personaggio che

compare sulla parete maggiore di destra è una figura femminile

stante, in posizione frontale, abbigliata con una leggera tunica

che lascia scoperta la gamba destra dal ginocchio. Il nome sul

piedistallo è quasi del tutto illeggibile, si riconoscono chiaramente

In alto

Gli affreschi del salone in una fotografia d’epoca

scattata subito dopo i bombardamenti che

distrussero l’ala posteriore della villa.

Alle pagine seguenti

Due vedute del ciclo pittorico del salone al primo

piano.

186 L’incantevole dimora degli dei







solo le ultime due lettere della parola, cioè ZA, mentre si può

supporre che la terzultima sia una N. L’unico attributo ben

riconoscibile assegnato alla figura è un mazzo di papaveri rossi

e spighe di grano portato con il braccio sinistro; sembra di poter

distinguere un serpente attorcigliato al braccio destro. Altri

attributi, non più riconoscibili, erano probabilmente raffigurati

ai piedi del personaggio, che potrebbe dunque rappresentare la

personificazione della Sapienza.

Nella nicchia adiacente è raffigurata la personificazione

della Provvidenza; lo si può affermare con certezza perché sul

piedistallo si leggono chiaramente le iniziali PR e i segni residui

delle altre lettere permettono di riconoscere appunto la parola

PR[OVVIDENZA]. La figura femminile è rappresentata in piedi,

di tre quarti, volta verso destra, con la gamba sinistra leggermente

piegata, come se il piede poggiasse su qualcosa. Indossa una

lunga veste drappeggiata e legata sotto il seno; le ampie maniche

lasciano scoperte le braccia dal gomito. Con la sinistra regge una

grande cornucopia che parte dalla spalla e si apre ai piedi; sembra

che dalla cornucopia fuoriescano dei frutti, ma l’immagine è troppo

poco leggibile per stabilirlo senza dubbi. L’attributo che la figura

tiene con la mano destra non è riconoscibile.

Accanto alla Provvidenza compare la Prudenza. Il nome della

personificazione è leggibile sul piedistallo, sebbene la scritta sia

molto sbiadita. É rappresentata come una giovane donna a piedi nudi

che indossa una lunga tunica; è in posizione frontale, con il volto

leggermente reclinato a sinistra e le braccia scoperte. Porta la mano

sinistra al volto e sembra sigillare le labbra con il dito indice indicando

l’atto del silenzio. La mano destra, chiusa a pugno, è appoggiata sul

fianco e sembra reggere un attributo non più leggibile.

Nella nicchia successiva, l’ultima della parete, è rappresentata

Alla figura femminile

sono assegnati come

attributi un mazzo di

papaveri rossi e spighe

di grano; attorno

al braccio destro è

attorcigliato un serpente.

Si tratta forse della

personificazione della

Sapienza.

192 L’incantevole dimora degli dei



Personificazione della

Provvidenza; l’attributo

assegnato alla figura è

una grande cornucopia.

Personificazione della

Prudenza; la figura porta

il dito indice al volto

suggerendo il gesto del

silenzio.



Personificazione

dell’Occasione; la

figura femminile, in

equilibrio instabile,

poggia con un solo

piede su una semisfera

che rappresenta il globo

terrestre.

1

La sovrapposizione

delle lettere sul

basamento fa pensare

alla correzione del

posizionamento

del nome che

probabilmente, in un

primo momento, non era

stato ben centrato.

la personificazione dell’Occasione; la figura femminile è posta di

tre quarti, rivolta verso destra, e poggia con un solo piede su una

semisfera che emerge dal basamento. Con il braccio destro alzato

tiene in mano una vela agitata dal vento. Sul basamento si leggono

con sufficiente chiarezza le lettere iniziali OCA e si riconoscono

nei residui delle lettere sbiadite una S, una I, e l’asta centrale di una

N; è perciò verosimile interpolare e riconoscere appunto il nome

OCASI[O]N[E], che ben si accompagna con l’iconografia classica

dell’allegoria 1 .

Sulla parete lunga opposta, di fronte ai quattro personaggi

femminili appena descritti, sono raffigurate simmetricamente altre

quattro personificazioni.

Di fronte all’Occasione è rappresentata di tre quarti, rivolta

verso destra, una figura femminile che tiene un timone e porta

nella sinistra una doppia cornucopia dalla quale fuoriescono

copiosi frutti. Sotto il tallone sinistro è posizionato un mannello di

frumento. Sul piedistallo si leggono le ultime tre lettere del nome,

cioè UNA. Si tratta della personificazione della [FORT]UNA.

Accanto alla Fortuna, di fronte alla Prudenza, è rappresentata

l’INNOCENZA, identificata chiaramente dal nome scritto sul

piedistallo. La figura è molto rovinata, non si distinguono attributi,

compaiono solo i tratti sommari di una silhouette femminile

abbigliata con una lunga tunica che copre braccia e gambe.

Sulla destra sembra di riconoscere la sagoma di una colonna con

capitello.

Molto rovinata è anche la figura successiva, posizionata di fronte

alla Provvidenza. Il personaggio femminile vestito con una lunga

tunica sembra tenere qualcosa in grembo con entrambe le braccia;

sulla destra compare una sagoma flessuosa che parte da terra e si

CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO 197



Personificazione della

Fortuna. Alla figura sono

assegnati tre attributi: il

timone, la cornucopia e

il mannello di frumento.

Personificazione

dell’Innocenza; la figura

è poco leggibile, alla sua

destra sembra di poter

riconoscere la sagoma

di una colonna.



La figura è molto

rovinata; si tratta forse

della personificazione

dell’Amicizia.

L’attributo assegnato alla

figura, singolarmente

abbigliata con un

costume popolare,

è una torcia accesa;

si tratta forse della

personificazione della

Conoscenza.



avviluppa intorno a un sostegno, come il tronco di una vite. Sul

basamento, sebbene molto sbiadita e rovinata, sembra di poter

interpretare la scritta AMICIZIA.

L’ultima personificazione femminile, posizionata di fronte

alla figura che tiene nella sinistra il mazzo di papaveri e spighe

di grano, si discosta completamente dalle altre per le vesti che

indossa: non una classica tunica lunga e finemente drappeggiata,

ma un costume contadino, con grembiule, maniche corte a sbuffo e

fazzoletto al collo. Alla figura, vista di profilo, è assegnato l’attributo

della torcia accesa. Purtroppo sono andate perdute le lettere del

nome tracciate sul piedistallo; si riconosce solo una A posta al

termine della parola. Dato l’attributo potrebbe rappresentare

l’allegoria della Conoscenza.

Sulle pareti minori del salone compaiono le quattro figure

maschili. Partendo sempre dall’accesso in comunicazione con la

torretta, nella nicchia di sinistra si trova la personificazione del

dio romano Saturno, identificabile grazie al nome leggibile sul

piedistallo (SATUR[NO]) e al tipico attributo della falce che regge

con entrambe le mani. La divinità romana è raffigurata di profilo

come un uomo maturo con barba e capelli lunghi; indossa una

tunica che lascia scoperte braccia e gamba destra poggiata con il

piede nudo su una roccia spoglia emergente dal basamento.

Accanto a Saturno è rappresentata di tre quarti una possente

figura maschile barbuta che indossa una veste lunga dalle ampie

maniche drappeggiate chiuse ai polsi. Questa porzione di affresco

è più rovinata delle altre; sono irrimediabilmente perdute parte

della figura e del piedistallo. Nonostante lo stato di conservazione

si vede che il personaggio regge con il braccio sinistro una

cornucopia aperta verso l’alto dalla quale fuoriescono dodici anelli

di una catena con pendente ovale metallico. All’interno della

cornucopia sembra di poter scorgere anche altri due elementi, non

perfettamente riconoscibili, forse una corona e uno scettro. Del

nome scritto sul piedistallo si leggono solo la lettera finale, una E, e

la grazia inferiore della penultima lettera che potrebbe essere una

C, una L o una R; considerato lo spazio che occupa sul piedistallo

il nome certamente doveva essere breve, circa cinque o sei lettere.

Piuttosto che un’allegoria questa figura doveva rappresentare

una divinità, come le altre tre raffigurate sui lati corti della sala. A

partire da queste deduzioni si è messa in relazione la figura con

il contesto iconologico generale, più avanti meglio delineato, e si

propone di identificare la personificazione con il semidio Ercole.

Sulla parete opposta, di fronte a Saturno, troviamo il dio romano

MARTE, il cui nome si riconosce con certezza sul basamento

nonostante le lettere risultino molto sbiadite. È rappresentato

frontalmente come figura possente fornita di scudo, schinieri e

lancia, della quale si vedono bene la punta a foglia d’alloro e il

puntale all’estremità dell’asta.

Sebbene molto deteriorata, nella nicchia accanto a Marte si

delinea la sagoma di una maestosa figura maschile seduta su

un trono; tiene un lungo scettro nella mano sinistra, mentre la

destra è poggiata in grembo su un oggetto non riconoscibile.

Sembra portare sul capo una corona raggiante. Sul piedistallo non

è rimasta che qualche traccia del nome; considerati gli attributi,

l’identificazione più probabile è quella con Giove. In grembo

la figura potrebbe tenere l’aquila, tipico attributo della divinità

romana.

202 L’incantevole dimora degli dei CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

203



La figura è molto

rovinata; si tratta forse

della personificazione

del semidio Ercole. Dalla

cornucopia fuoriesce

una catena con dodici

anelli.

Personificazione del dio

romano Saturno a cui

è assegnato l’attributo

della falce.



Personificazione del

dio romano Marte con

lancia, scudo e schinieri.

La figura è molto

rovinata; si tratta forse

della personificazione

del dio romano Giove

seduto in trono.



Passiamo ora all’analisi iconografica dei pannelli che creano

una fascia superiore alle nicchie. Il primo pannello che si incontra

partendo dalla parete maggiore di sinistra rappresenta un busto

femminile in monocromia su sfondo rosso. Il personaggio, con le

braccia a squadra, porta entrambe le mani al petto chiuse a pugno

e lascia scoperto il ventre tornito; i fianchi sono coperti da tre foglie

di acanto, da cui fuoriescono due tralci che si sviluppano in doppie

volute simmetriche ai lati della figura. Il pannello si ripete identico

per dodici volte sovrastando ogni nicchia ed è inframmezzato

da otto pannelli con scene di gusto arcadico - mitologico in

corrispondenza delle finestre e delle porte. Questi ultimi, in

chiaroscuro, simulano dei bassorilievi.

Il primo della serie raffigura una scena con sei personaggi,

ambientata in esterno come tutte le altre. Sulla sinistra si

distingue la sagoma di un fanciullo con mani aperte alzate al

cielo; in secondo piano compaiono un uomo e una donna rivolti

l’uno verso l’altra. Il giovane uomo, con i capelli lunghi mossi

dal vento, indossa una veste che lascia scoperta parte del petto e

con il braccio destro teso all’indietro sembra reggere o indicare

qualcosa con la mano. La figura femminile, seduta, indossa una

veste ampiamente drappeggiata e legata sotto il seno; ha il volto

drammaticamente proteso verso l’uomo e porta la mano sinistra

al petto. La figura centrale, che doveva essere il fulcro della scena,

purtroppo non è riconoscibile. L’uomo a petto nudo che compare

sulla destra guarda la figura al centro della scena mentre con

entrambe le braccia tende con slancio verso l’alto un oggetto non

leggibile. Due putti ai piedi dell’uomo paiono impauriti dal gesto di

quest’ultimo: uno, seduto, sembra volerlo fermare o proteggersi con

la mano, l’altro preferisce voltarsi e non guardare.

Nel pannello successivo un gruppo di quattro donne e un uomo

reca offerte all’erma di una divinità. L’erma è collocata a destra, su

Pannello con busto femminile in monocromia su

sfondo rosso ripetuto per dodici volte sopra ogni

nicchia.

208 L’incantevole dimora degli dei



un’aretta. L’uomo guida il gruppo; indossa una exomis (corta tunica

che lascia scoperto mezzo busto) e tiene un bastone in spalla, alla

cui estremità doveva forse esserci legato un fagotto. Un bovino

cammina alla sua destra. Le donne indossano tuniche legate sotto

il seno e mantelli. L’ultima della fila regge sulla testa un vaso, la

terzultima è colta nell’atto di sistemare il mantello della figura

femminile che la precede. Le prime due sembrano portare delle

offerte.

Nell’ultimo pannello della parete di sinistra è rappresentato il

dialogo tra un personaggio maschile coronato seduto all’aperto e

una figura femminile che sembra apparsa in cielo per indicare un

bovino all’ombra di un alberello sulla sinistra. Ai piedi dell’uomo

ci sono due putti e un’aquila con le ali spiegate. La scena è

incorniciata da due alberelli simmetrici.

Nel pannello sopra la porta comunicante con le stanze del primo

piano della villa è raffigurata un’edicola con colonne e frontone, che

accoglie probabilmente l’immagine di una divinità. Due uomini

vestiti con corte tuniche si avvicinano all’edicola da sinistra. Le

figure a destra sono poco leggibili: accanto all’edicola si intuisce la

sagoma di una donna vista di profilo che sembra porgere un’offerta.

Un uomo, in piedi, ha il braccio destro teso in avanti con in mano

un oggetto simile a un drappo; è rivolto verso destra dove compare

una figura completamente rovinata.

Proseguendo in senso orario si raggiunge il primo pannello della

parete maggiore di destra che presenta due gruppi di personaggi.

A sinistra compaiono due figure (forse tre) all’ombra di un albero,

di cui una maschile certamente barbata e una seduta a terra con

il braccio alzato. I due personaggi sembrano guardare la donna a

destra che, seduta con l’abito che lascia scoperte le gambe dalle

ginocchia, tiene alzata con la mano destra una ghirlanda, o forse un

cembalo. Alle spalle della donna è appoggiato un fanciullo in piedi.

Il pannello successivo presenta un gruppo di quattro figure

all’aperto. Una donna adagiata a terra all’ombra di un alberello

sembra appoggiarsi ad un oggetto, forse un’anfora rovesciata (la

personificazione di una fonte?), mentre due personaggi sembrano

spiarla alle spalle: il primo, maschile, tiene una mano sul tronco

dell’alberello; il secondo, femminile, è seduto a terra e tiene il busto

sollevato appoggiandosi al terreno con la mano. A sinistra una

figura maschile un po’ china in avanti si allontana indicando con il

braccio teso un punto davanti a sé.

Nell’ultimo pannello della parete si individuano quattro figure

all’aperto. A destra un uomo sta seduto su una roccia; ha il braccio

destro alzato e nella sinistra tiene un’asta appoggiata alla spalla. Di

fronte, al centro della scena, c’è una donna in piedi con cui sembra

dialogare. Sulla sinistra, all’ombra di un alberello, si distinguono

altre due figure femminili che partecipano al colloquio.

Anche sopra la porta d’accesso della parete in comunicazione

con la torretta c’era sicuramente un pannello simile a quelli

appena descritti, completamente perduto a causa dei danni subiti

negli anni della Grande Guerra; ne è testimonianza la porzione

che si intravede nella fotografia d’epoca scattata subito dopo il

bombardamento che distrusse l’ala posteriore della villa.

A causa delle lacune figurative è difficile stabilire se le scene

siano parte di una o più serie narrative a soggetto mitologico.

Nella parte superiore del palinsesto architettonico si sviluppano

due cornici decorative inframmezzate dalla trabeazione sorretta

dalle colonne. I capitelli corinzi sono collegati da festoni costituiti

da foglie d’alloro legate con nastri che tengono insieme copiosi

frutti. Sopra la trabeazione corre lungo tutto il perimetro del salone

una catena i cui anelli sono collegati da gigli.

210 L’incantevole dimora degli dei CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

211











Alle pagine precedenti

Successione dei sette pannelli

in grisaille con scene di gusto

arcadico mitologico.

Alla pagina

La parte superiore del palinsesto

architettonico con le due cornici

decorative inframmezzate dalla

trabeazione sorretta dalle colonne.

In alto resti di un’ulteriore fase

decorativa.



A fronte

Il soffitto del salone in

un bozzetto di metà

Ottocento (AST, Fondo

Della Torre Tasso, b.

170.2).

2

AST, Fondo Della

Torre Tasso, Carte

d’amministrazione di

Giovanni Battista III, b.

170.2.

Grazie ad un bozzetto ottocentesco fatto realizzare da Giovanni

Battista III in occasione dei lavori di restauro della volta del salone

possiamo avere anche un’idea di com’era affrescato il soffitto 2 .

Il bozzetto raffigura metà volta, è possibile dunque dedurre che

l’altra metà fosse simmetrica: vi è rappresentato un cielo rosato che

richiama l’alba, con al centro quattro putti alati che reggono una

ghirlanda e a lato una coppia di putti alati che regge un oggetto

in cui si può riconoscere una fiaccola. Simmetricamente, dal lato

opposto, doveva probabilmente comparire un’altra coppia di putti.

Intorno alla porzione di soffitto dipinta correva una doppia cornice

di stucchi, quella interna composta da greche e rosette, quella

esterna da foglie d’acanto e festoni che nei lati minori del perimetro

erano retti da putti alati. Ai quattro angoli erano rappresentate

delle lire.

Se l’analisi iconografica risulta complessa a causa del delicato

stato di conservazione degli affreschi, altrettanto spinosa è la

definizione del progetto iconologico.

Chi accede al salone oggi ha quasi l’impressione di entrare

in uno spazio senza tempo che custodisce memorie sfuggenti.

Le ombre delle figure che istoriano le pareti un tempo ricche di

colore sembrano essere lì da sempre, come se fossero rimaste

pazientemente coperte nella fiduciosa attesa che qualcuno

restituisse loro storia, significato, vita.

Quali furono dunque le ragioni contestuali, filosofiche e

religiose che indussero il committente a tenere insieme divinità

classiche come ad esempio Saturno e Marte con personificazioni

di virtù cardinali come la Prudenza e allegorie come la Fortuna e

l’Innocenza? Qual è la chiave di lettura, la parola perduta, che mette

in relazione una simbologia così copiosa e composita?

L’insieme sembra rimandare alla definizione di un sistema di

CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO 223



valori morali, una sorta di codice etico proposto in chiave simbolico

- allegorica che richiama in modo non troppo velato anche temi

iniziatici.

Ripercorriamo brevemente il ciclo pittorico esaminando

dal punto di vista iconologico le allegorie a partire dalla

personificazione in cui si è proposto di riconoscere la Sapienza.

Il papavero fin dall’antichità classica è simbolo del sonno che

conduce all’oblio, del passaggio da un livello profano a uno stato

superiore. Accostato al fascio di spighe di grano ricorda un celebre

passo del Vangelo di Giovanni: «In verità, in verità, vi dico che se il

grano di frumento, caduto in terra, non muore, rimane solo; ma, se

muore, produce molto frutto» (Giovanni 12, 24). La simbologia degli

attributi porta al concetto di morte concepita come nuova nascita,

come rinnovamento dello spirito, iniziazione a una conoscenza

superiore. Come il chicco di grano lascia operare dentro di sé le

trasformazioni che preparano la sua capacità di ascendere verso

la luce, così l’iniziato si identifica con la spiga di grano che dovrà

lottare contro le avversità, anelare alla luce per ottenere maturità

e acquisire forza. Anche il simbolo del serpente è collegato al

concetto di rinascita: come il rettile si spoglia della vecchia pelle

rinnovandosi, così l’iniziato rinasce a nuova vita. Il serpente,

simbolo ctonio per eccellenza, riunisce in sé numerosi significati

positivi e negativi: richiama una conoscenza che può essere

pericolosa e deleteria se perseguita con imprudenza e finalità

egoistiche. È proprio a partire da queste considerazioni che si è

inteso riconoscere nella figura femminile la personificazione della

Sapienza.

Non sapendo quale attributo porta nella destra la personificazione

della Provvidenza, è difficile capire quale significato abbia voluto

dare l’autore all’allegoria nel contesto complessivo; la cornucopia,

generalmente simbolo di abbondanza, è interpretabile in diversi

3

Iconologia del

Cavaliere Cesare Ripa

Perugino Notabilmente

Accresciuta d’Immagini,

di Annotazioni, e

di Fatti dall’Abate

Cesare Orlandi.

Perugia, Stamperia

di Piergiovanni

Costantini, 1764-67.

Dall’Iconologia di Ripa,

edita per la prima volta

a Roma nel 1563, poi

ampliata e più volte

ristampata, attinsero a

piene mani generazioni

di artisti e poeti.

4

Nell’Iconologia di

Cesare Ripa ad esempio

la Prudenza viene

descritta come una

donna con due facce,

che si specchia tenendo

una serpe avvolta intorno

al braccio: le due facce

alludono al fatto che la

prudenza nasce dalla

considerazione delle

cose passate e quelle

future; lo specchiarsi

allude alla conoscenza

di se stessi, poiché per

regolare con prudenza

le proprie attitudini è

necessario conoscere i

propri difetti; il serpente

è una citazione di un

passo del Vangelo di

Matteo che dice «Siate

prudenti come serpenti»

(Matteo 10,16).

modi. Ci si può ad esempio riferire al concetto di Provvidenza

divina che nutre e sostiene l’uomo, o alla qualità morale di

essere provvidente, ovvero di saper prevedere e provvedere,

con saggezza e avvedutezza, alle proprie e alle altrui necessità.

Interessante in proposito un passo tratto dall’Iconologia di Cesare

Ripa che riferendosi alla Provvidenza dice: «Basta sapere, che

è virtù, che deriva dalla Prudenza» 3 . Figurativamente accostata

alla Provvidenza, e forse non a caso l’una è rivolta verso l’altra, è

proprio la Prudenza, che nella teologia cattolica è una delle virtù

cardinali insieme alla Giustizia, alla Fortezza e alla Temperanza.

Tra le quattro virtù è quella che dirigere l’intelletto nelle singole

occasioni in modo da discernere tra bene e male. La Prudenza non

è raffigurata secondo l’iconografia classica, ad esempio bifronte

o con specchio e serpente 4 , bensì il gesto che le è attribuito è,

singolarmente, quello del fare silenzio. Il valore iconologico

dell’allegoria sembra dunque carico di un significato che va

oltre al concetto di virtù cardinale: il gesto del silenzio richiama

l’avvedutezza di essere prudente nelle parole, non solo negli atti,

richiama l’ascolto della parte più profonda di se stessi e forse indica

anche il segreto che l’iniziato deve mantenere.

Se la Prudenza è la virtù che guida l’azione dell’uomo nel dominio

cieco e mutevole della sorte, ecco rappresentate l’una di fronte

all’altra le personificazioni dell’Occasione e della Fortuna, la prima

in balia del vento e in equilibrio instabile, la seconda alla guida

di un timone. La figura femminile che si regge solo su una gamba

appoggiando il piede ad una sfera, simbolo della Terra, è la classica

rappresentazione della Fortuna intesa nel senso di opportunità,

spesso associata, come anche in questo caso, al simbolo della vela

spiegata al vento che allude alla variabilità della sorte. L’altra figura,

associata agli attributi di timone, cornucopia e spighe di grano,

riprende l’iconografia della primigenia Fortuna romana derivata

224 L’incantevole dimora degli dei CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

225



da Iside e da Tyche; rappresenta il destino, il caso, il bene e il male

che accade senza il controllo dell’uomo. Ritorna particolarmente

significativo un altro passo tratto dall’Iconologia di Cesare Ripa

riferito alla Provvidenza, che associa la virtù alle rappresentazioni

che troviamo nel salone: «Il timone ci mostra ancora nel mare

adoprarsi Providenza in molte occasioni, per acquistarne ricchezze,

e fama, e ben spesso ancora solo per salvar la vita, e la Providenza

reggere il timone di noi stessi, e dar speranza al viver nostro, il

quale quasi nave in alto mare sollevato, e scosso da tutte le bande

da’ venti della Fortuna».

Segue la personificazione dell’Innocenza che non è raffigurata

secondo i canoni classici, ad esempio associata ad un agnello o

all’acqua. Poiché l’attributo accostato alla figura sembra essere una

colonna, l’iconografia porterebbe piuttosto a identificare l’allegoria

con la Costanza. Forse l’autore/committente anche in questo caso

ha inteso operare una sintesi simbolica di diversi significati che

vanno oltre il tradizionale piano iconologico. Solo conservando

con costanza la purezza dello spirito ci si può conservare mondi

dal peccato e dal vizio: è questo il significato? È un’interpretazione

plausibile, ma certamente non l’unica.

Di interpretazione altrettanto complessa è la presenza della

personificazione dell’Amicizia. Essendo la figura così rovinata da

non riconoscere gli attributi a cui è associata, difficilmente la si può

collocare correttamente nel contesto iconologico; intendeva forse

rappresentare la fratellanza tra gli iniziati.

Simbolo per eccellenza della Conoscenza è la torcia accesa

che l’ultimo personaggio femminile tiene in alto con la sinistra;

illumina i passi dell’uomo e lo rende libero. L’attributo della torcia

nell’iconografia pagana era associato ad Aurora, che precedeva

il carro del Sole e annunciava una nuova alba, un nuovo giorno,

una nuova era. In questo senso ben si relaziona con i concetti di

rinascita dello spirito e morte iniziatica espressi dalla figura che le

sta di fronte e ben dialoga anche con Saturno che le sta accanto.

Saturno, il dio del tempo, con l’attributo della falce ricorda all’uomo

di usare bene i propri giorni, per essere pronto alla morte del

corpo. La Morte, con inesorabile rapidità, visiterà sia il palazzo del

principe che la capanna del villano, ma colui che sarà riuscito a

oltrepassare la soglia della Sapienza giungendo alla Conoscenza e

avrà vissuto secondo virtù non avrà paura.

Marte, il dio della guerra, inserito nel contesto iconologico finora

interpretato, sembra imbracciare le armi in una pugna spiritualis

che lo vede combattere contro il mare delle avversità e dei

turbamenti senza lasciarsi scuotere da alcun pericolo.

Ercole invece, che come anticipato si propone di riconoscere

nella figura maschile molto rovinata che si trova accanto a Saturno,

potrebbe incarnare il prototipo dell’iniziato. Il semidio, che come

tale tiene in sé il lato umano e quello divino, attraverso le dodici

fatiche procede sul sentiero iniziatico spogliandosi delle schiavitù

terrene simboleggiate dalle catene che porta nella cornucopia. Il

numero dodici degli anelli ricorda le dodici fatiche che dovette

compiere l’eroe. Di fronte a Ercole potrebbe sedere in trono il padre

Giove, a simboleggiare il lato divino del semidio.

La scelta di rappresentare dodici personaggi in altrettante nicchie

probabilmente non è casuale o determinata solo dall’architettura

del salone; il dodici è simbolo dell’eterno ciclo cosmico,

rappresenta lo spazio e il mondo.

L’interpretazione proposta è solo una delle tante possibili; per

sua natura il simbolo sfugge a tutte le definizioni, apre a infinite

possibilità concettuali e proprio in ciò sta il fascino del ciclo

pittorico del salone di Castelnuovo.

Il committente e l’ideatore dei contenuti della prima fase

226 L’incantevole dimora degli dei CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

227



5

AST, Fondo Della Torre

Tasso, Libro Confessore,

b. 247.1.

6

Cfr. G. BRUMAT 2001,

p. 56.

7

Cfr. M. MALABOTTA

1930, p. 371.

pittorica, cioè del palinsesto architettonico abbinato alle

personificazioni, fu con ogni probabilità lo stesso Raimondo

IX che il 5 luglio 1802 nel Libro Confessore annotò: «Avendo il

pittore Furlanetto terminato il suo lavoro qui di Sagrado, cioè le

tre camere della contessa, la cappella e la sala grande apprezzato

il tutto a f. 700 oltre i colori e tavola per un anno somministratagli,

ed avendo egli in più volte ricevuto da [?] f. 375 così io lo saldo

con f. 325» 5 . L’autore dell’opera sembra dunque essere il pittore

Matteo Furlanetto, che già in precedenza aveva lavorato per il

conte a Gorizia ed era tenuto in grande considerazione sia dal

fratello Francesco Della Torre che da altri nobili del goriziano che

gli avevano commissionato la decorazione delle pareti delle loro

ville e dei loro palazzi. Come si deduce dalla nota di Raimondo,

Furlanetto lavorò a Sagrado per un intero anno e oltre a decorare il

salone si occupò anche della cappella e delle stanze della contessa,

purtroppo andate perdute.

A causa delle devastazioni della Grande Guerra sono rimasti ben

pochi esempi delle opere murali di Furlanetto: due di questi sono

le decorazioni del salone di villa De Ritter ad Aquileia e il soffitto

della chiesa parrocchiale di Turriaco, entrambi recentemente

restaurati. Il confronto tecnico e stilistico con tali soggetti porta a

confermare l’attribuzione del lavoro di Sagrado al pittore. Anche

a Castelnuovo, come nella parrocchiale di Turriaco, Furlanetto

utilizzò una tecnica mista di pittura a fresco e a secco 6 . Il migliore

stato di conservazione del palinsesto architettonico rispetto alle

figure delle nicchie e ai pannelli con scene mitologiche fa pensare

che le prime siano state dipinte con affresco, mentre le seconde

siano state eseguite con tempera a secco. Probabilmente le parti

architettoniche, ripetute per più volte, furono realizzate dalla

bottega, mentre le più complesse figure allegoriche e le scene

mitologiche in grisaille furono dipinte dal maestro.

L’autoritratto di Matteo

Furlanetto nel dipinto

San Rocco che conforta

gli appestati sul soffitto

della chiesa parrocchiale

di S. Rocco di Turriaco

(1813).

Il confronto con i dipinti di villa De Ritter porta ad attribuire a

Furlanetto anche la seconda fase dell’opera, cioè la sostituzione

delle figure nelle nicchie con i trompe l’oeil di antichità romane

immortalate nella fotografia d’epoca del salone. L’attribuzione

dei trompe l’oeil a Furlanetto è suffragata anche da una nota del

1930 di Manlio Malabotta 7 scovata in un contributo dedicato

alla fanciullezza di Giuseppe Lorenzo Gatteri. Malabotta,

probabilmente sulla base di fonti orali che considerò sicure,

sostiene che il salone centrale di Castelnuovo fu dipinto nel 1802

da Matteo Furlanetto con pannelli raffiguranti le antichità di Roma

228 L’incantevole dimora degli dei CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

229



Lo stemma dei Della

Torre nella chiave di volta

del portale d’accesso

alla villa.

come ad esempio le terme di Caracalla e di Diocleziano, gli archi di

Tito, di Costantino e di Settimo Severo. Egli era sicuro anche che i

dipinti, o colpiti dalle granate o coperti da un denso strato di colore,

fossero ormai irrimediabilmente perduti.

È verosimile immaginare che Furlanetto nel 1802, su

commissione di Raimondo IX, abbia dipinto le pareti del salone

decorandole con le personificazioni, firmando e datando l’opera

1802 e che in una seconda fase molto ravvicinata abbia sostituito

le figure allegoriche con le antichità romane, lasciando inalterate

firma e data 8 . Malabotta, ignaro della prima fase pittorica, la cui

memoria era andata completamente perduta fino al 2009, datò 1802

i trompe l’oeil.

Non è dato sapere quando avvenne la sostituzione tra allegorie

e antichità classiche. Nel Manuale di Raimondo IX sono

documentati altri pagamenti al pittore per lavori a Sagrado: «28

giugno 1816 al pittore Furlanetto acconto dei suoi lavori (26f)»;

«27 luglio 1816 al pittore Furlanetto ut 28 giugno acconto (21f)»,

«29 luglio 1816 allo stesso saldo delle sue fatture (82f) e mancia al

Giovanni di Furlanetto (4f)»; «9 maggio 1817 al pittore Furlanetto

acconto lavori da farsi (21f)» 9 . Quella del maggio 1817 fu una delle

ultime note di Raimondo che morì a Sagrado il primo giugno

dello stesso anno. Non sappiamo con precisione a che lavori si

facesse riferimento: si trattava forse della sostituzione delle figure

allegoriche nelle nicchie con i trompe l’oeil? Rimane un’ipotesi. È

possibile, anche se pare meno verosimile, che la sostituzione sia

stata voluta dal figlio Giovanni Battista subito dopo la morte del

padre; nel 1817 Furlanetto era ancora vivo e operativo, ma era già

in età avanzata. Sembra del tutto improbabile l’ipotesi che la prima

fase sia precedente al 1802 perché nelle accurate note di rendiconto

di Raimondo IX non compaiono altri pagamenti a Furlanetto o

pittori diversi in relazione al salone di Sagrado. Va ricordato che il

8

Firma e data erano

forse collocate sotto il

basamento della nicchia

con Saturno, dove

si riconoscono delle

lettere che potevano

formare il cronogramma

M[ATTHAEUS]

F[URLANETTUS]

PINX[IT] AN[NNO].

9

AST, Fondo Della

Torre Tasso, Manuale,

b. 246.4.

10

Interessante notare

che tra il 1795 e il 1802

Furlanetto fu impegnato

nella decorazione del

piano terra della sede

del Nobil Casino.

1801, anno in cui iniziarono i lavori, è anche l’anno in cui Raimondo

IX si ritirò dalla vita politica ed ebbe il tempo di dedicarsi all’amata

tenuta di Castelnuovo per portare a completamento i lavori che non

erano ancora stati terminati.

Rimane ancora un dubbio da sciogliere, che però non sarà

possibile colmare se non con delle semplici ipotesi. Perché le figure

allegoriche furono coperte con i trompe l’oeil? Forse si deteriorarono

presto? E in questo caso, perché cambiare completamente soggetto

e non restaurarle? Dopo qualche anno non erano più di gusto di

Raimondo IX? O fu il figlio Giovanni Battista a farle sostituire

subito dopo la morte del padre? La ragione va forse cercata nei

contenuti delle allegorie, a cui, come abbiamo visto, fa da sfondo

un carattere iniziatico legato alle società più o meno segrete di

fine Settecento? Forse il simbolo del compasso che compare nello

stemma del casato posto nella chiave di volta del portale d’ingresso

va associato al contenuto degli affreschi? Se delle società segrete

goriziane non rimangono che scarse tracce e nessuna riconducibile

direttamente a Raimondo IX, è invece noto che egli fu fondatore nel

1780 dell’Accademia Goriziana degli Arcadi Romano Sonziaci con lo

pseudonimo di Filoresio Eleoneo, fece parte della Nobile Società de’

Cavalieri dell’Ordine di Diana Cacciatrice e fu promotore del Nobile

Casino di Gorizia 10 . I temi figurativi degli affreschi rimandano al

sapore arcadico comune al gusto dell’epoca, alle accademie e alle

società che Raimondo frequentò, ma non è dato sapere perché in

pochi anni le figure allegoriche vennero destinate all’oblio e ciò non

fa che rendere ancora più suggestiva l’aura di mistero che avvolge il

salone di Castelnuovo. Ciò che si può affermare con certezza è che il

ritrovamento degli affreschi non solo mette in luce un’opera inedita

dall’evidente valore storico, ma apre nuove interessanti prospettive

di studio su Furlanetto.

230 L’incantevole dimora degli dei

231



Matteo Furlanetto: note biografiche e notizie inedite

Il recupero degli affreschi

di Castelnuovo marca un

passo significativo per lo

studio dell’operato di Matteo

Furlanetto, pittore di cui

sono giunti fino a noi solo

pochi lavori, ma che fu molto

apprezzato dai contemporanei,

tanto da segnare il profilo

artistico tardo settecentesco del

Goriziano e dell’Isontino. Il ciclo

pittorico del salone al primo

piano della villa è, ad oggi,

l’opera più preziosa a carattere

laico attribuibile all’artista; dato

l’alto lignaggio del committente

Raimondo IX e i rimandi

simbolico - iniziatici del ciclo

rappresenta sicuramente anche

una delle più rilevanti.

Nato a Venezia tra il 1751

e il 1755, Matteo si formò

presumibilmente alla bottega

del padre Domenico. Tra i venti

e i trent’anni si trasferì in Istria,

territorio all’epoca soggetto al

dominio della Serenissima; di

questo periodo sono note due

opere, ovvero il quadro con la

Madonna e Santi per la chiesa

di S. Stefano di Pirano (1778) e il

quadro coevo con la Madonna

del Rosario per la chiesa di S.

Giorgio di Portole.

Il pittore arrivò a Gorizia,

dove si stabilì definitivamente,

intorno al 1783 - 1784.

Nel 1785 operò a Piuma nel

castello del conte Francesco

V Della Torre, fratello di

Raimondo IX. Francesco V

dovette essere molto soddisfatto

del lavoro svolto da Furlanetto,

tanto da concedergli l’onore

di tenere a battesimo il figlio

Francesco Vincenzo nel 1786.

Purtroppo il castello di Piuma

andò distrutto e dell’opera

non è rimasta che la memoria.

La maggior parte dei lavori

di Furlanetto subì la stessa

sorte; la fiorente attività del

maestro come pittore, ritrattista,

scenografo e decoratore nel

Goriziano e nella Bisiacaria

è testimoniata da fonti

documentarie, ma fino ad oggi

erano note, tra le pervenute fino

ai nostri giorni, solo nove opere:

un residuo di affreschi con

motivi architettonici nel palazzo

De Fin-Patuna di Gradisca

(1789 circa); gli affreschi del

salone della villa De Ritter di

Monastero (Aquileia, circa

1790); il grande dipinto a tecnica

mista San Rocco che conforta

gli appestati sul soffitto della

chiesa parrocchiale di S. Rocco

di Turriaco (1813); la pala d’altare

di S. Giuseppe a Begliano

con I santi Agata, Apollonia,

Silvestro papa e il transito di

S. Giuseppe (1815), due tele

con il Martirio delle quattro

Vergini Aquileiesi e i Santi

Ermacora, Fortunato, Crisogono,

Zoiolo ed Anastasia nella

parrocchiale di San Canzian

d’Isonzo (1815). Le comparazioni

e i riscontri stilistici hanno

portato gli storici ad attribuire

a Furlanetto anche la tela San

Martino a cavallo che divide

il mantello con il mendicante

posta dietro l’altar maggiore

della chiesa di San Martino

a Tapogliano e il dipinto con

Sant’Ilario e Taziano presso la

Castagnevizza.

Le opere documentate ma

andate perdute sono invece

l’Arma della Contea e stemma

del vescovo Francesco Filippo

Inzaghi a Gradisca (1789); il

sipario, tre scenari obbligati,

ornamentazioni e armi del

principe Serafino di Porcia per

il teatro di Gradisca (1792); i

ritratti dell’imperatore Leopoldo

II e dell’arciduca Francesco

per il Consiglio Capitanale di

Gorizia (1792); l’affresco con

l’Assunzione della Vergine nel

catino dell’abside della basilica

patriarcale di Aquileia (1793) e

le decorazioni al piano terra del

Nobile Casino di Gorizia (1795

– 1802).

La decorazione della villa

di Castelnuovo non fu l’unica

occasione in cui Furlanetto

lavorò per Raimondo IX. Il

primo lavoro che il conte gli

commissionò risale al 1790,

come si evince da una nota

del 5 marzo di quell’anno

appuntata sul Manuale: «Al

pittore Furlanetto per Gorizia

ori otto». Purtroppo la nota

non specifica di che lavoro si

trattò. Oltre al già citato passo

del Confessore datato 1802 in

cui Raimondo IX documenta il

pagamento al pittore per aver

decorato il salone, la cappella

e le tre camere della contessa

a Castelnuovo, dal Manuale si

evincono i seguenti compensi:

«5 luglio 1802, al pittore

Furlanetto per saldo oltre l’avuto

dall’Urbani ut Confessore»

(sempre in riferimento alla villa

di Castelnuovo); «26 novembre

1802, mediante Furlanetto

all’impotente Deperis» (si

tratta di beneficienza che

Raimondo IX volle fare per

mano di Furlanetto a Guglielmo

Deperis, pittore goriziano che

per lui aveva lavorato e che

evidentemente era in cattive

condizioni di salute); «4 agosto

1814, a Furlanetto per incolorir

a olio porte, scuri, scale tutte

del orto»; «28 giugno 1816, al

pittore Furlanetto acconto dei

suoi lavori»; «27 luglio 1816,

al pittore Furlanetto ut 28

giugno acconto»; «29 luglio

1816, allo stesso saldo delle sue

fatture e mancia al Giovanni

di Furlanetto» (forse un

figlio, un nipote o un giovane

lavorante nella bottega del

pittore); «9 maggio 1817, al

pittore Furlanetto per acconto

lavori da farsi». Le note del

Manuale degli anni 1816 e 1817

si riferiscono tutte a Sagrado;

sebbene non chiariscano quali

lavori furono commissionati

a Furlanetto, sono rilevanti

perché documentano che in

quegl’anni il pittore non solo

era ancora vivo, ma era anche

professionalmente attivo. Nel

1817 Matteo Furlanetto è citato

nella ventilazione di morte

di Raimondo IX, fu infatti

chiamato a valutare il valore

dei quadri presenti a Sagrado.

Presumibilmente Furlanetto

morì a Gorizia, ma non è dato

sapere né come né quando. Per

integrazioni sulla biografia, la

critica e le opere del pittore si

rimanda a F. Šerbelj 2002 e G.

Brumat 2001 e 2006.

233



Osservazioni su alcune note di pagamento

di pittori che lavorarono per Raimondo IX

Il Manuale riporta numerose

note relative a pittori che, oltre

a Matteo Furlanetto, lavorarono

per Raimondo IX a Gorizia,

Duino e Sagrado. Eccone un

elenco.

1782

3 luglio, al pittore Deperis / 31

luglio, al pittore Checco per

Sagrado / 31 luglio, al Deperis

per saldo per Sagrado

1784

31 agosto, saldo al pittore Pietro

Zardi

1785

10 giugno, alli pittori di Gorizia

per la camera della contessa in

Sagrado / 17 settembre, pagato

acconto a Comelli / 19 settembre,

pagamento a Comelli / 8 ottobre,

Pagamento a Comelli per fatture

qui di Sagrado

1786

ottobre, acconto spese quadro

ritratti al pittore Francutti

1789

16 luglio, pagamento al pittore

Caretti / 28 ottobre, per saldo al

pittore Deperis [per Sagrado] /

24 dicembre, al pittore Caretti

1790

15 febbraio, al pittore Caretti /

15 marzo, al pittore Furlanetto

per Gorizia ori otto

1793

Ottobre, al pittore Paroli per

Sagrado e pel biroccio /

Dicembre, al pittore Paroli per la

carrozza da 4 piazze color rosso

1795

24 Gennaio, al pittore Paroli per

dare il colore alla rastellata del

cortile di Studeniz / 21 luglio,

al pittore Deperis / 11 agosto,

al pittore Liechtenrait mediante

Calice per la Madonna della

Seggiola / 4 ottobre, al pittore

Paroli per la scuderia di

Studeniz / 27 ottobre, al pittore

Deperis per accomodare i

due quadri Suppani / 15 - 22

novembre, al pittore Paroli per

oriuolo e sale

1796

30 aprile, al pittore Paroli per

lavori specificati in lib. Conf

[cioè lavori nella stalla] /

31 maggio, al pittore Paroli

per colore dato al portale in

Studeniz

1799

Giugno, al pittore Paroli per

varie fatture fatte in Sagrado

1800

Maggio, ai pittori Paroli per due

stanze della contessa in Sagrado

1802

9 gennaio, al pittore Zanut

acconti dei suoi lavori di Duino

/ 27 febbraio, al pittore Deperis

per soccorso ed aggiunta a

Degrandi / 5 luglio, al pittore

Furlanetto per saldo oltre l’avuto

dall’Urbani ut confessore / 26

novembre, mediante Furlanetto

all’impotente Deperis

1803

1 giugno, al pittore Bonaventura

Pescanti acconto / 9 agosto

saldo

1810

3 settembre, al pittore Carlo

Liechtenreit acconto di sue due

fatture / 29 settembre, al sig.

Carlo Liechtenreit per acomodar

tutti i quadri di Sagrado

1811

10 febbraio, al pittore Carlo

Liechtenreit per li quadretti

delle belle arti per Sagrado

1814

4 Agosto, a Furlanetto per

incolorir a olio porte, scuri, scale

tutte del orto

1815

27 febbraio, al pittore Deperis

per soccorso ed aggiunta a

Degrandi

1816

28 giugno, al pittore Furlanetto

acconto dei suoi lavori

/ 27 luglio, al pittore Furlanetto

ut 28 giugno acconto / 29

luglio, allo stesso saldo delle sue

fatture e mancia al Giovanni di

Furlanetto

1817

9 maggio, al Pittore Furlanetto

per acconto lavori da farsi

Di alcuni pittori nominati

per cognome da Raimondo

IX si può risalire all’identità.

Di Federico Comelli, pittore

goriziano, si hanno saltuarie

notizie dal 1786 al 1802; il

Deperis citato è probabilmente

Guglielmo Antonio Deperis;

Carlo Lichtenreiter (1742 –

1817) è il noto primogenito

e successore di Johann

Michael; uno dei Paroli cui si

fa riferimento è probabilmente

Michele, citato tra il 1791 e il

1810 in documenti d’archivio

come pittore di second’ordine

che aveva lavorato insieme

al Furlanetto in occasione

della decorazione del Casino

Nobile di Gorizia. Riguardo

Michele Paroli è interessante

citare Ferdinad Šerbelj: «Non

conosciamo i legami di

parentela del nostro pittore con

i tre Paroli citati dal Cossar:

Antonio, Michele Giuseppe. […]

Antonio e Michele vissero a

cavallo del XIX secolo. Antonio

fu maestro; Michele invece fu

pittore ed è citato nei documenti

degli archivi goriziani tra il

1792 e il 1810. A giudicare dalle

commissioni e dai pagamenti

doveva essere un pittore

decoratore: un probabile aiuto

nella bottega del Paroli. La sua

presenza sarebbe stata possibile,

visto che la bottega nel 1763

operava ancora, come attestato

da un’opera datata» (Antonio

Paroli, Musei Provinciali, Gorizia

1996, p. 43).

Sebbene diversi dei pittori qui

citati abbiano prestato opera

a Sagrado, rispetto a nessuno

di queste note di pagamento,

tranne quella del 1802 riferita a

Furlanetto, viene mai specificato

con dovizia di particolari il

motivo del pagamento nel Libro

Confessore.

234 235



Il vino:

vocazione di un territorio

A fronte

Scorcio della cantina

ipogea dell’azienda

Castelvecchio.

I documenti amministrativi del casato comitale dei Della Torre,

conservati nel fondo Della Torre Tasso presso l’Archivio di Stato

di Trieste, e gli elaborati catastali del XIX secolo, conservati

presso l’Archivio di Stato di Gorizia, sono preziosi strumenti che

permettono di ricostruire la storia della coltivazione della vite

a Sagrado. La produzione del vino in questo territorio ha infatti

origini molto antiche e una tradizione che perdura, documentata,

almeno dal XVI secolo.

Il territorio coltivato era ed è adagiato sul declivio carsico salubre

e soleggiato che scende alla pianura alluvionale della sponda

sinistra dell’Isonzo, dominato dall’alto dalla villa di Castelnuovo.

Il capitolo si propone di offrire una rapida panoramica di quanto

è possibile scoprire e documentare, in relazione all’appassionante

tema, a partire dalla fine del XVI secolo, quando il feudo di

Sagrado era amministrato dal conte Raimondo VI Della Torre.

Per avere un’idea di come si presentava il territorio all’epoca

del conte, cioé tra la fine del Cinquecento e il primo ventennio

del Seicento, possiamo far nuovamente riferimento alla mappa

CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO 237



Dettaglio di una pagina

dei Conti de me

Bernardino Adecanis

del anno 1578 (AST,

Fondo Della Torre Tasso,

b.220.4.5).

1

AST, Fondo Della Torre

Tasso, b. 242.3.1, Piano

del tracciato di confine

tra l’Isonzo e il lago di

Pietrarossa.

2

AST, Fondo Della Torre

Tasso, b.220.4.5, 1578.

3

AST, Fondo della

Torre Tasso, b.220.4.7,

1641, Rendiconto

dell’amministrazione

di Giovanni Filippo

Della Torre tenuta da

Francesco Franceschinis

(1640 – 1644).

4

Fascicolo di piani

con descrizioni dei

terreni di Francesco

Ulderico Della Torre siti

in territorio di Sagrado,

1677 (AST, Fondo Della

Torre Tasso, b.241.3.2).

del XVII secolo in cui compare il Pallazzo di Sagrado 1 : i terreni

coltivati si estendevano tra la strada e l’Isonzo, in cima al monte

invece si trovava il bosco recintato da mura. La mappa non

fornisce indicazioni relative alla tipologia di coltura adottata, ma

lo studio di alcune note tratte dai libri contabili e dagli urbari dei

conti permette di ricavare diverse interessanti informazioni. Il

documento più antico finora trovato, riguardante la produzione

del vino, risale alla seconda metà del XVI secolo e si riferisce

alle rendite di Raimondo VI. Si tratta del Libro dei Conti de me

Bernardino Adecanis del anno 1578 in cui, tra le entrate della

Camera Fiscalle per Sagrado e Gradisca, viene citato l’ammontare

della produzione vinicola, oltre a quello del frumento, dell’avena,

del miglio, del sorgo, delle uova e degli animali da cortile, quali

capponi, galline e pernici 2 . Una nota compilata dal fattore di

Sagrado al servizio di Giovanni Filippo, figlio ed erede di Raimondo

VI, datata 20 settembre 1640, riporta anche la distinta delle spese

per far accomodar le bote e tinazzi nel pallazzo di Sagrado 3 .

Erede di Giovanni Filippo fu il figlio Francesco Ulderico, cui si

deve il primo prezioso documento che permette di valutare con

precisione l’incidenza della vite nelle colture del territorio nella

seconda metà del Seicento. Si tratta del rilievo mappale fatto

redigere dal conte nel 1677 4 , dove l’agrimensore disegna la pianta

di ogni appezzamento, ne dà le dimensioni in pertiche di Gradisca,

riporta il nome del colono affittuario, i confini e il genere delle

coltivazioni; in particolare, riguardo alle viti, specifica il numero

di piante. Confrontando il documento con la mappa del XVII

secolo e considerando i toponimi citati, è possibile stabilire che

all’epoca gli appezzamenti erano collocati ai piedi del monte, nei

pressi di Castelvecchio. Dalla serie di mappe emerge che il sistema

colturale adottato era misto, ovvero le viti crescevano nei campi

coltivati principalmente a frumento, probabilmente lungo i confini,

Due pagine del rendiconto dell’amministrazione

di Giovanni Filippo Della Torre tenuta da

Francesco Franceschinis datate 1640 (AST,

Fondo della Torre Tasso, b.220.4.7).

238 Il vino: vocazione di un territorio



5

Le misure degli

appezzamenti vengono

riportate in campi,

quarti e tavole. Campo,

quarto e tavola erano

misure di superficie

venete. Un campo

(C) era equivalente a

840 tavelle, pari a mq

3656,60; un quarto

(q.to), era equivalente

a 210 tavelle, pari a

mq 914,15; una tavella

(detta anche tavola o

pertica), era pari a mq

4,35.

6

La coltivazione

dell’ulivo, insieme a

quella della vite, era

presente in tutto il

territorio friulano fin

dall’epoca romana,

come testimoniano

le fonti latine, alcuni

significativi reperti

archeologici del

Museo di Aquileia e

la toponomastica. Nel

XVIII secolo una forte

gelata distrusse tutti gli

ulivi e la coltivazione

plurisecolare scomparve

per molti anni. A

Sagrado fu ripristinata

dal conte Raimondo IX a

partire dagli ultimi anni

del Settecento.

7

«Udine, 1 Giugno

1611. Mentre che alcuni

uomini della villa di

Fogliano […] il di 6 del

passato della terra sopra

il monte della chiesa di

detta villa per riponerla

d’intorno di olivari

d’essa chiesa, furono

impediti, e fatti cessar

aggrappate ad alberi da frutto. L’uso di far sostenere la pianta di

vite da un albero da frutto o da un gelso - sostegno vivo - era di

antichissima tradizione, ne parla addirittura Virgilio nel II libro

delle Georgiche; rimase in auge a Sagrado almeno fino al XIX

secolo. In dieci degli undici appezzamenti rilevati dall’agrimensore

di Francesco Ulderico era presente la vite; ad esempio, la frazione

di 8 campi e 171 tavole (circa 3 ettari 5 ) condotta (come si diceva

allora) da Zuane Vittor, confinante a est con il Broglio e a nord con

la Roglia del Molin, contava 43 piante; la braida chiamata Trezzo

di mezo, di 6 campi, 3 quarti e 201 tavole (2, 5 ettari) confinante a

nord e a ovest con la Roglia, a est con la strada del Pallazzo e a sud

con il Broglio, condotta da Batta Furlano, contava 10 piante ed era

coltivata anche a stropari, cioè a vimini, tradizionalmente usati dai

contadini per la legatura dei tralci di vite, nonché dai cestai il cui

artigianato era diffuso ed apprezzato; lo stesso colono conduceva

anche la braida chiamata Dietro al molin che contava 14 piante e

confinava a nord con la strada e la Roglia, a est con la strada, a sud

con la strada del Pallazzo e a nord con il molin; la braida sotto il

monte condotta dagli eredi di Gioseffo Furlani, confinante con le

mura del Pallazzo a sud, a ovest con la stradella, a est con il monte

delli Olivari, contava 24 piante, posizionate a sud est; la braida

presso la casa dove abita Antonio Vittor condotta da lui medesimo,

confinante a ovest con la strada e a est con la Roglia, era piantata

a mezodì con piante vinifere n.7; Antonio Vittor conduceva anche la

Comugna che confinava a sud con la strada e che contava 11 piante.

In totale, su una superficie di 141 campi, 1 quarto e 117 tavole (circa

50 ettari) si contavano 195 piante di vite. Interessante notare come

uno dei lotti rappresentati confinasse con il monte delli Olivari,

notazione, questa, molto significativa in quanto documenta la

coltivazione dell’ulivo nel territorio considerato durante il XVII

secolo 6 . La coltivazione dell’ulivo è comprovata anche da un altro

Dettaglio di una pagina

dei Conti con messer

Angelo Cecchin per

l’amministrazione

havutta della robba del

conte Raimondo (AST,

Fondo Della Torre Tasso,

b.220.4.9, 1669-1688).

dal lavoro da tre uomini

mandati a tale effetto dal

conte Raimondo della

Torre patrone de luoco

de Sagrà […]» (ASVE,

Fondo provveditori ai

confini, B 141).

8

Conti con messer

Angelo Cecchin per

l’amministrazione

havutta della robba del

conte Raimondo (AST,

Fondo Della Torre Tasso,

b.220.4.9, 1669-1688).

documento secentesco, ovvero una relazione del 1611 stilata dal

luogotenente veneto dell’epoca in merito ad una controversia nata

tra Raimondo VI e gli abitanti di Fogliano, a cui il conte aveva

proibito con la forza di piantare ulivi nelle vicinanze della chiesa

parrocchiale del paese posta sul colle, l’attuale chiesa di Santa

Maria in Monte 7 .

Sebbene la serie mappale analizzata sia ricca di informazioni, non

fornisce indicazioni sulla quantità di vino prodotta annualmente;

per questo si è ritenuto interessante confrontarla con le note

riportate in un libro dei conti relativo agli anni 1669 - 1688 8 . Queste

240 Il vino: vocazione di un territorio CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

241



9

Da M. Stanisci,

Appunti di metrologia,

C.D.C. Udine 1984,

2° ed., p. 87: «In

Friuli le misure

erano moltissime, né

l’influenza veneziana

le aveva molto

unificate; piuttosto,

dal secolo XVIII, nel

Friuli Orientale s’era

sentita quella austriaca,

evidentemente tesa

alla germanizzazione

anche in quel settore. Si

avevano, logicamente

quasi sempre con

valori diversi, […] il

cuinz, la sele, il bocal,

la pinte, l’orne per i

liquidi, e nell’Isontino,

di derivazione austriaca

l’èmar[…]».

le annotazioni significative: le vendemmie di Sagrado del 1670

produssero 24 orne, vendute nel 1671; nel 1671 non si produsse nulla

(verosimilmente a causa di una grandinata o di prolungata siccità);

nel 1672 si produssero 28 orne, vendute nel 1673, anno in cui si

ottennero 27 orne vendute nel 1674. Come appare da un ulteriore

libro dei conti, nel 1691 si produssero 6 orne di vino. Il conzo era

un sottomultiplo dell’orna, unità di misura di capacità per liquidi

comunemente usata in Friuli; il valore dell’orna però (e quindi

del conzo) non era uniforme, variava da una località all’altra 9 . Per

esempio, l’orna nuova di Vienna, usata nei territori dell’Impero, era

equivalente a 56,589 litri; un conzo dunque, che corrispondeva alla

sesta parte dell’orna, equivaleva a 9,4 litri. Si può quindi dedurre

che mediamente con il frutto delle vendemmie si producevano

annualmente dai 24 ai 28 conzi di vino, sebbene in alcuni anni a

causa delle condizioni meteorologiche sfavorevoli si produceva

poco o addirittura nulla. Con un conto approssimativo basato sul

numero delle piante contate nel 1677, cioè 195, e la produttività

pari a 28 orne del 1672, è possibile calcolare che in quel torno

di tempo (1672-77) ogni pianta di vite produceva pressappoco 8

litri di vino. Questo dato, confrontato con la produttività attuale,

appare decisamente modesto, ma bisogna tener conto del metodo

di coltivazione. Le viti crescevano in terreni sfruttati al massimo,

in consociazione con altre piante (frumento, sorgo, miglio…),

aggrappate a “legno vivo” (alberi da frutto), in carenza di concime,

in assenza di anticrittogamici.

Nel corso del Settecento la coltivazione della vite venne

incentivata ed aumentata, tanto che le terre di Sagrado risultano

essere in questo periodo notevolmente produttive ed ambite: nel

1723 sono le più redditizie tra i Beni sotto il Principal Contado di

Gorizia e Gradisca, ovvero rispetto a Bruma, Mariano, Romans,

Moraro, San Nicolò di Levata, Ruda, Tapogliano, Fauglis, Carlins,

10

AST, Fondo Della

Torre Tasso, b.230.1.6,

1723.

11

AST, Fondo Della

Torre e Tasso, b.154.1.

La proprietà dei beni

di Sagrado era passata

a Filippo Giacomo,

fratello di Francesco

Ulderico, poiché questi,

non essendosi mai

sposato, dichiarò eredi

universali il fratello e il

figlio di quest’ultimo,

Luigi Antonio, con la

condizione che qualora

questa linea si fosse

estinta tutti i beni

sarebbero dovuti passare

alla linea dell’altro

fratello Raimondo

Bonifacio.

Beligna (Aquileia) e San Giorgio di Nogaro 10 . In un documento del

1753, la Specifica di tutti li beni fra li quattro figliuoli del fu conte Luigi

Della Torre e Valsasina (figlio ed erede di Filippo Giacomo I, nipote di

Francesco Ulderico I), divisibili cioè fra il fu conte Giovanni Filippo (II)

ora conte Francesco Ulderico (II) suo figlio, il conte Francesco Annibale,

il conte Turrismondo Ignazio ed il conte Federico Luigi […] 11 , vengono

confrontate le rendite di questi territori tra il 1723, anno in cui morì

il conte Luigi Antonio, e il 1753, anno in cui evidentemente i quattro

eredi si contendevano ancora i possedimenti. Il calcolo tiene conto

delle rendite in formento, avena, fava, fagiuoli, vino, capponi, pollastri,

galli d’India, galline, quaglie della stanga, anguilla fresca, formaggio,

agnelli, animal porcino, legna, fieno, carreggi e denaro in natura;

Sagrado si classifica al primo posto per la produzione di frumento,

staccando di parecchio le altre terre, e al terzo posto per la produzione

di vino. La terra che produceva più vino era quella della commenda di

San Nicolò di Levata che rendeva al casato 188 conzi, seguivano Ruda

con 133 conzi e appunto Sagrado con 105 conzi; venivano poi Moraro

con 81 conzi, Bruma e Farra con 43 conzi, Tapogliano con 20 conzi,

Mariano con 18 conzi, Fiumicello con 9 conzi e Romans con 7 conzi. I

conzi vanno moltiplicati per due per ottenere all’incirca il quantitativo

totale di vino prodotto nel 1723; i coloni infatti pagavano al conte

per l’affitto dei terreni la metà del vino prodotto. Nel 1723, dunque,

a Sagrado furono prodotti pressapoco 210 conzi, pari a circa 19,80

ettolitri: è evidente che rispetto a cinquant’anni prima la coltivazione

della vite era stata incentivata notevolmente, probabilmente

migliorando i sistemi di coltivazione, incrementando il numero delle

piante e degli spazi ad esse dedicati.

Nella seconda metà del Settecento i beni di Sagrado confluirono nel

patrimonio del conte Raimondo IX che, come abbiamo visto, a partire

dagli anni Settanta del secolo, convertì la proprietà in una tenuta

agricola che si estendeva dalla piana isontina alle alture carsiche,

242 Il vino: vocazione di un territorio CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

243



12

ASGO, Catasti del

XIX-XX secolo, mappe

n. 2810, 2811, 2812,

2813, Sagrado, 1818 -

1825; Elaborati, b. 63,

Protocollo dei terreni,

1818.

13

AST, Fondo Della Torre

Tasso, b. 251.3, 1783,

Libro locazioni della

tenuta di Sagrado.

14

AST, Fondo Della Torre

Tasso, b. 247.1.1.

15

Memorie per il Fattore

di Sagrado da restargli

ben impresse nella

memoria e da porle in

opera ogni qual volta

gli prema d’ubbidire

agl’ordini del Padrone e

restare al di Lui Servizio!

(AST, Fondo Della Torre

Tasso, b. 251.3, 1782).

16

Ibidem.

fino a raggiungere Doberdò. Per capire appieno la trasformazione

paesaggistica voluta e attuata da Raimondo IX è indispensabile

far riferimento alle mappe censuarie di Sagrado del 1818 – 1825

e ai relativi elborati 12 : tutta la pianura è rappresentata come una

distesa di campi arativi vitati con frutti (appezzamenti piccoli)

e campi arativi vitati con moroni (appezzamenti molto estesi

con piante di vite e gelsi); tra il bosco e la villa si estendono i

terrazzamenti artificiali censiti come campi arativi vitati con frutti

(solo un terrazzamento è censito come campo arativo con frutti)

e sulla vasta area alle spalle della villa è collocata una fascia di

campi arativi vitati con frutti, dietro alla quale si trovano ampi

campi arativi e pascoli, punteggiati da piccole aree circoscritte

censite come boschetti di robinie. Certamente, data l’estensione, la

produzione del vino era considerata di primaria importanza. Non

esistevano ancora a Sagrado delle vigne in senso moderno; infatti

l’antico, tradizionale metodo promiscuo che vedeva le viti coltivate

in campi arativi mai lasciati riposare persisteva ancora. Rispetto

ai campi del Distretto di Monfalcone, però, quelli della Comune di

Sagrado erano concimati più spesso (ogni anno) e proprio al conte

Raimondo va il merito di aver incentivato l’uso dei pali “morti”

per sostenere le viti 13 . La fertilità delle viti durava ordinariamente

vent’anni e il numero di piante presenti in ogni appezzamento

risulta essere notevolmente maggiore rispetto a quelle rilevate nel

1677.

Raimondo IX sovrintendeva personalmente alle vendemmie;

una nota tratta dal Libro Confessore, datata 1 ottobre 1781, recita:

«Mi portai a Sagrado ad accudire alle vendemie per istruire il

novo fattore, e delucidare varie cose col vecchio» 14 . Il conte era

intransigente in merito alla condotta del fattore e dei coloni; oltre

a pretendere che ogni ordine dato fosse eseguito tempestivamente

e che i libri contabili fossero tenuti con massima cura e diligenza,

Una pagina dell’Operato

d’estimo catastale della

comune di Sagrado,

dettaglio del paragrafo 9

(ASGO, Catasti XIX - XX

sec., Elaborati, b. 63

f.190/23- Sagrado,

anno1823).

ricordava al fattore che «doveva tenere tutto serrato a chiave,

tanto cantine, folladore (cioè il vasto ambiente dove si effettuava

la pigiatura delle uve), magazeni che scuderia e rimessa» 15 e

soprattutto che era chiamato a «fare frequenti visite alle terre de

colloni per obbligarli a ben lavorarle assistendo alla seminazione

del primo grano, all’accomodo delle viti, ed a darli la terra non

meno che alla piantagione di novi rasoli» 16 . I coloni firmavano un

contratto d’affitto delle terre che prevedeva un canone in frumento

e vino, cioé un quantitativo fisso da specificarsi e «la giusta metà

di tutto il rimanente vino racolto nelle affittate terre». Avevano

anche una serie di obblighi: l’uva doveva essere condotta nel

244 Il vino: vocazione di un territorio CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

245



17

AST, Fondo Della Torre

Tasso, b. 153.1.

18

Libro Confessore (AST,

Fondo Della Torre Tasso,

b. 247.1.2).

19

ASGO, Catasti del

XIX-XX secolo, Elaborati,

b. 63 f. 190/23.

20

Cfr. PUNTIN, 2003 e

DESINAN, 1983.

21

Libro Confessore

(AST, Fondo Della Torre

Tasso, b. 247.1.2).

22

ASGO, Tribunale

Civico di Gorizia,

Ventilazione di morte di

Raimondo IX, Inventario

dei beni di Sagrado,

b.166 f.357 s.1817-5-9.

23

Promemoria per il

Nobil Signor Conte Giò

Batta Turn riguardante la

sua Contea di Sagrado

(AST, Fondo Della Torre

Tasso, b. 170.2).

folladore padronale, «senza osar vindemiare ne tutta, ne in parte,

prima del positivo ordine ed intervento o assistenza del fattore»;

[…] non si doveva «far danno col taglio agl’alberi delle viti, ma

pigliare il puro superfluo, cercando anzi di mantenere il legname,

e custodirlo […]»; era obbligatorio «dare ogni anno la terra alle

viti ed aver cura nel tagliarle, procurando anzi di moltiplicarle,

dovendosi perciò provedere delli occorrevoli e sufficienti pali per

sostenerle» 17 . Raimondo provvide a far impiantare nuove vigne,

come viene ad esempio documentato anche da un contratto del

febbraio 1788 denominato Condotta delli sassi per il muro della

nova vigna Reffosco e loro scavatione: «Zuane e Francesco Visintin

di Pollazzo e Compagnia (Andrea Zimulo) si obbligano di condurre

li sassi grezzi per fabbrica del palazzo vecchio di Sagrado nel così

detto Broilo lungo il muro da farsi di misura della nova vigna

per il prezzo accordato di lire cinque al clafter e con un regalo di

zecchino uno in proporzione di clafter cento, da cominciarsi subito

il lavoro [...]». Si occupò inoltre di far scavare diverse cisterne

per la raccolta dell’acqua piovana da cui partivano dei condotti

per l’irrigazione della terra; ne è riprova ad esempio l’accordo del

26 aprile 1784 fatto per l’Escavazione del buco della cisterna del

Casino di Sagrado 18 ; con buone probabilità il contratto si riferisce

alla cisterna fatta scavare alle spalle della villa, recentemente

convertita in cantina della tenuta Castelvecchio. L’attenzione e la

cura che Raimondo pretendeva per le sue coltivazioni di vite non

rimasero senza frutto, perché, come si evince dall’Operato d’estimo

catastale della Comune di Sagrado 19 , davano un vino rosso di gran

pregio, paragonabile quasi col migliore prodotto delle Comuni

del Distretto medesimo (Distretto di Duino). Si produceva quasi

esclusivamente Vino Nero, mentre il Vino Bianco e il Vino Rossiccio

erano prodotti in quantità decisamente minore e con risultati medi;

la loro qualità era paragonabile a quella dei corrispondenti del

Su un foglietto

conservato tra le pagine

dello Scartafazzo

d’alcuni miei crediti di

Raimondo IX è appuntata

la vendita di sei botti di

vino nero di Sagrado

(A.S.T., Fondo Della

Torre Tasso, b. 220.1

f.3).

Distretto. Sembra pertinente questa osservazione. Il Vino Nero e il

Vino Bianco dovevano essere uvaggi ricavati dagli antichi vitigni

che andarono irrimediabilmente distrutti alla fine dell’Ottocento

a causa della comparsa e diffusione della peronospora. Le fonti

ricordano i nomi di tali vitigni: pignòla, rossara, corvìn, zividìn,

glera, slancamenea e perfino pagadebiti… La microtoponomastica

documenta parzialmente le località in cui tali vitigni venivano

coltivati 20 . Dalla citazione della vigna Reffosco possiamo invece

intuire che questo particolare vino veniva prodotto solo con uve

refosco.

Un passo del Libro Confessore datato 19 novembre 1784 riporta un

appunto significativo che permette di affermare che a Sagrado era

coltivato anche il prezioso Picolit: «Venni la mattina al mio Sagrado

ove ritrovai impiantati i [?] di Picolit e Refosco nelli giardini, come

avevo alla mia partenza ordinato» 21 . Il Picolit veniva torchiato in

un torchio speciale, di cui esisteva un esemplare nella cantina del

conte 22 . Da questo Picolit, Giovanni Battista III, figlio prediletto

ed erede universale di Raimondo IX, otteneva anche un liquore,

certamente una grappa come avviene anche oggi 23 . Giovanni Battista,

pur risiedendo spesso a Venezia, trascorse ogni estate a Sagrado

insieme alla famiglia. Anch’egli, come il padre, si impegnò affinché

la tenuta continuasse ad essere produttiva e fu promotore di diversi

lavori di sistemazione della villa e dei giardini. Giovanni Battista

morì nel 1849 e fu l’ultimo discendente maschile della stirpe duinate

dei Della Torre. Il patrimonio, compresa le proprietà di Sagrado, fu

ereditato dalla figlia Teresa e fu incamerato nel patrimonio degli

Hohenlohe. Teresa, a differenza di suo padre e di suo nonno, preferì

soggiornare tra Duino e Venezia; a Sagrado veniva con la famiglia

solo per trascorrere brevi periodi di villeggiatura, in primavera o in

autunno. La villa dunque rimaneva quasi sempre chiusa e la gestione

della tenuta agricola era affidata alle cure del fattore.

246 Il vino: vocazione di un territorio CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

247



Suggestiva immagine

delle vigne della tenuta

Castelvecchio.



24

Rivista Amici della

natura, anno 1887.

25

Historia Naturalis, XIV

8,60.

Nel 1887 i vini di Sagrado ricevettero un prestigioso

riconoscimento grazie a Marie Hohenlohe, figlia di Teresa, che

in qualità di amministratrice della tenuta ereditata dalla madre

volle partecipare all’Esposizione - fiera dei Vini organizzata

in quell’anno dalla Società Agraria di Trieste con l’intento di

promuovere la conoscenza e lo smercio dei vini del territorio.

L’esposizione, tenutasi in giugno presso il Politeama Rossetti,

ospitò centoventiquattro espositori provenienti da Trieste, Gorizia,

Istria, Dalmazia, Carniola, Tirolo, Stiria, Austria inferiore, Boemia e

Ungheria; furono presentate quattrocento qualità di vini, assaggiati

e giudicati da un’esperta commissione. Marie gareggiò con i

bianchi Malvasia e Verdiso e con il rosso Terrano. Il Malvasia

venne giudicato vino buono, mentre il Verdiso e il Terrano vini

molto buoni; ottenne la medaglia d’argento dell’esposizione e la

medaglia di bronzo dello Stato 24 .

Il Terrano, frutto del vitigno originato probabilmente dal

Refosco d’Istria, è un vino caratteristico del Carso e racchiude in

sé l’antichissima tradizione della viticoltura in queste terre. Al

tempo di Aquileia romana, infatti, era celebre il vino Pucinum

prodotto, come scrive Plinio il Vecchio nella sua Historia Naturalis,

nei pressi di Duino: «Gignitur in sinu Adriatici maris, non procul

a Timavo Fonte, saxeo colle, maritimo afflatu paucas coquente

amphoras» (viene prodotto nel golfo altoadriatico, non lontano

dalle Bocche del Timavo, su di un colle sassoso dove alla brezza

marina si matura [uva sufficiente] per poche anfore) 25 . Nel corso dei

secoli, e fino a tutt’oggi, gli studiosi hanno tentato di identificare

il vitigno del Pucinum in base a diverse osservazioni di carattere

filologico-naturalistico. Le varie ipotesi sono rimaste arroccate

saldamente su due fronti: da una parte si schierano i sostenitori

dell’identificazione Pucinum - Prosecco, asserendo che l’antico vino

era bianco; dall’altra si contrappongono coloro che identificano

il Pucinum con il Terrano, sostenendo che doveva essere invece

un vino rosso. Al primo gruppo appartengono, per esempio, i

due illustri eruditi del Cinquecento Pietro Andrea Mattioli e

Volfango Lazio, a cui si accoda il conte Pietro Coronelli (1793); al

secondo gruppo, lo storico Ireneo della Croce, l’archeologo Carlo

Marchesetti e, per i tempi più vicini, lo scrittore Silvio Benco. La

vexata quaestio rimane aperta. Certo è un fatto: il Pucinum doveva

possedere qualità terapeutiche straordinarie, dato che Livia, moglie

di Augusto, ogni anno si faceva inviare a Roma alcune anfore del

famoso vino, a cui riferiva la sua longevità (morì ultraottantenne,

un gran bel traguardo per quei tempi).

A conclusione di queste brevi note si può certamente affermare

che la tradizione vinicola di Sagrado ha fatto da trait d’union

per le generazioni che si sono avvicendate in tanti secoli tra

Castelvecchio e Castelnuovo. La vocazione di questo territorio è

divenuta anello di congiunzione tra passato, presente e futuro, fiore

all’occhiello dell’economia del territorio.

250 Il vino: vocazione di un territorio CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

251



Progetto per una cantina

Nel fondo Della Torre Tasso

(AST, b. 242.2.1) è conservato un

interessante disegno a penna

e acquerello che rappresenta

il progetto per una cantina di

grandi dimensioni, l’edificio

offriva infatti spazio sufficiente

per almeno 34 botti. Purtroppo

non è possibile stabilire con

precisione la località per cui

era stato pensato il progetto,

l’unica informazione che riporta

il disegno è la dicitura Faciata

verso il palazo che fa presumere

la vicinanza a una residenza

padronale da cui si poteva

comodamente controllare il

prezioso patrimonio.

Il documento non è datato,

ma risale alla fine del XVIII

secolo, è molto probabile

dunque che facesse parte delle

carte d’amministrazione di

Raimondo IX, realizzato forse

per la tenuta di Sagrado.

In alto

Progetto per una cantina (AST, Fondo Della Torre

Tasso, b. 242.2.1), fine XVIII secolo.

Alle pagine seguenti

Interno della cantina della tenuta agricola

Castelvecchio ricavata sotto terra all’interno della

cavità della cisterna settecentesca costruita per la

raccolta dell’acqua piovana.

252





Mirella Della Valle

Dal 2006

PRESENTE E FUTURO

256 Castelnuovo: sede pacifica di poesia, cioè fede e amore CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

257



Castelnuovo:

sede pacifica di poesia,

cioè fede e amore

A fronte

Giuseppe Ungaretti

nella scultura di Paolo

Annibali.

Il presente di Castelnuovo ebbe inizio nel 2006 con una frase:

«Mamma, l’anno prossimo mi sposo». Così in famiglia fu deciso di

iniziare il recupero dell’edificio chiamato “barchessa” dell’antico

possedimento situato sopra Sagrado in località Castelnuovo,

dove è collocata l’azienda agricola Castelvecchio. Avremmo

dunque festeggiato il matrimonio nella barchessa e nell’antica

villa veneta attigua. Tuttavia, prima di iniziare il recupero degli

edifici, sentimmo l’esigenza di effettuare una piccola ricerca, non

immaginando tutto il materiale storico che sarebbe emerso negli

anni successivi.

Avevamo acquistato nel 1987 l’azienda agricola e a distanza di

quasi trent’anni non conoscevamo a fondo la sua importanza. Ci

trovavamo tra le mani il passato della proprietà dei Della Torre di

Valsassina che attendeva da cento anni di essere recuperata per

tornare finalmente alla luce.

La ricerca ebbe inizio da una ventina di foto scattate dai fratelli

Treves tra il 1915 e il 1918. Le foto erano in una custodia in un

cassetto di una scrivania nell’ufficio di Castelvecchio. Erano foto

CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO 259



della Grande Guerra che testimoniavano le ferite che il conflitto

aveva arrecato agli edifici presenti nell’area denominata Carso di

Castelnuovo. Vi erano varie foto: del fronte principale della villa

veneta sbrecciato, dell’ala nord della villa completamente distrutta,

dei dipinti del salone degli Ambasciatori, del tempietto con la

cupola sventrata, degli accampamenti militari, dei generali con

il re Vittorio Emanuele III ed il Duca d’Aosta, delle varie trincee,

dei camminamenti e delle cerimonie di consegna delle medaglie

al valore alle varie brigate ed infine delle barchesse distrutte.

Indubbiamente bisognava andare molto più a fondo per ricostruire

esattamente le vicende che la colpirono così da vicino.

Intanto, nell’ottobre del 2006, iniziammo la pianificazione della

ristrutturazione della barchessa che in realtà scoprimmo essere

stata una scuderia di stalloni lipizzani allevati per il governo

austriaco. Per anni, l’Azienda agricola utilizzò l’edificio della

barchessa come barriqueria e come cantina di invecchiamento

vini. C’era dunque anche la necessità di spostare da un’altra parte

le botti e quindi si doveva costruire una nuova cantina. Estirpando

il vigneto di Terrano ci accorgemmo di un muretto in pietra

situato nel posto dove le antiche mappe rilevavano l’esistenza

di un grande quadrato che poteva riferisi ad una torre o ad una

cisterna di raccolta d’acqua. Si fecero degli scavi in profondità e

si aprì una grande voragine di pietra antica nella quale potevamo,

con opportuni arrangiamenti, collocare la nuova barriqueria e la

nuova cantina. Qualche storico si chiedeva se potessero essere

le fondamenta della vecchia torrazza che compare in alcune foto

d’archivio.

La scoperta di questo grande buco ci fece risparmiare tempo e

denaro. Oggi possiamo ammirare questa nuova cantina inserita

nella roccia carsica, dotata di un cunicolo che probabilmente

serviva da collegamento con altre parti della proprietà. Dopo

una accurata riconversione, la cisterna divenne la nuova cantina

di invecchiamento vini e vi furono collocate le botti tolte dalla

barchessa.

Potevamo così finalmente iniziare la ristrutturazione della

barchessa, anche se in mano non avevamo un progetto che ancora

ci convinceva.

Sempre in quel periodo visitammo una ristrutturazione di

un’azienda agricola nel Veneto e fummo colpiti dalla semplicità

e dall’utilizzo dei materiali: ferro, legno grezzo di vecchi tronchi

e vecchi mattoni. Ricordiamo con grande piacere quel periodo

perché partecipava alle nostre peregrinazioni anche la sorella

Marinella che si aggregava alle nostre ricerche. Decidemmo di

fare un viaggio di ricerche di qualche giorno e ci recammo a Este

da un restauratore, Serafino, esperto di restauri di dipinti antichi e

di restauro di ville venete. Ci recammo poi all’Archivio di Stato di

Venezia alla ricerca di documentazione storica sulla villa. A Cerea

visitammo alcune fabbriche di mobili del Settecento veneto, a

Cittadella, Treviso e Bassano ci recammo da antiquari specializzati

sempre dello stesso periodo storico. Infine, a Mogliano Veneto,

incontrammo l’architetto Paolo Bornello che aveva restaurato

una vecchia cascina a Valdobbiadene. Ci entusiasmò subito il suo

lavoro e decidemmo di affidare a lui il restauro della barchessa.

Egli accettò e apportò delle modifiche ai progetti che erano già

stati redatti da due architetti che lo avevano preceduto. In seguito

il contributo di Bornello sarebbe andato ben oltre questo restauro.

Abbiamo una grande nostalgia di quella settimana trascorsa

con Marinella, perchè fu l’ultimo piacevole periodo che abbiamo

trascorso con lei prima della sua improvvisa scomparsa. In

macchina ascoltavamo radio Birikina, canzoni anni Sessanta e

260 Castelnuovo: sede pacifica di poesia, cioè fede e amore CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

261



ridevano per qualsiasi situazione buffa. Senza nessuna fretta, senza

preoccupazioni, ma felici di quell’avventura insieme, complici e

solidali nella ricerca di documenti e persone che potevano aiutarci

a recuperare il valore di questa splendida e antica tenuta. Marinella

amava Castelvecchio e spesso ci diceva: «Quando i miei figli

saranno tutti sistemati e non avranno più bisogno di me, andremo a

vivere in qualche angolino di Castelvecchio».

Abbiamo conosciuto durante quel viaggio anche Carlo Canato,

direttore dell’Istituto Ville Venete di Venezia. Era molto informato

sul valore storico della villa e ci rilasciò molte informazioni utili.

Ci inviò la copia dell’iscrizione della tenuta presso l’Istituto

Regionale Ville Venete di Venezia. Fummo entrambi sorpresi

quando scoprimmo che al Centro di Catalogazione di Villa Manin

non eravamo ancora registrati. Da un’indagine scoprimmo che

risultavano iscritti alcuni edifici di Sagrado risalenti alla fine

Ottocento, mentre invece la villa di Castelnuovo, risalente alla

fine del Settecento, non era iscritta. Esisteva tuttavia un bellissimo

volume, commissionato dall’Istituto di Villa Manin, sui parchi e

le ville venete del Friuli Venezia Giulia che mostrava delle foto

della proprietà e parlava dell’importanza storica di Castelnuovo.

La studiosa Paola Tomasella, che aveva curato la pubblicazione,

asseriva che il parco di Castelnuovo, anticamente, era considerato

tra i più belli del Friuli Venezia Giulia.

Devo ringraziare ancora oggi lo storico Silvo Stok. Fu lui a

redigere la scheda che ci permise l’iscrizione all’Istituto di Villa

Manin. Stimo Silvo per la sua onestà intellettuale e per la sua

grande competenza sulle ville e sulla storia della Grande Guerra.

Dovevamo dunque iniziare il restauro della barchessa e la sua

valorizzazione storica. Fu mantenuto inalterato l’impianto originale

così come risultava dalle antiche mappe, con l’unica aggiunta di

In alto

Interno della nuova

cantina ipogea.

Alle pagine seguenti

La barchessa, ex

scuderia, restaurata.

una grande veranda che si apre verso il bosco carsico. la Regione

affidò alla Provincia di Gorizia il compito di recuperare il valore

storico della Grande Guerra sul Carso, in vista delle celebrazioni

del centenario 2014 - 2018. Furono posti diversi cartelli nei luoghi

dei combattimenti, ma nessuno di fronte a Castelnuovo, teatro

dove furono combattute dal 24 giugno 1915 fino all’agosto del 1916

ben sei battaglie. La villa in quell’epoca divenne ospedale degli

262 Castelnuovo: sede pacifica di poesia, cioè fede e amore CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

263









intrasportabili, il bosco divenne accampamento militare e retrovia

di rifornimento del fronte che avanzava, la scuderia degli stalloni

lipizzani divenne sede del comando della Terza Armata del Duca

Amedeo di Savoia. Sul Carso di Castelnuovo, in un anno di guerra

tra i due schieramenti che si fronteggiarono, si contarono 300.000

soldati feriti, o dispersi o morti. Avevamo la solidarietà di diverse

persone che si affiancarono a noi affinchè fosse riconosciuto

il valore storico e militare di quell’area. Con loro fu deciso di

costituire un’associazione no profit di volontari che avrebbero

lavorato per fare emergere la verità storica di quei luoghi. Il Carso

di Castelnuovo ha pieno titolo per essere annoverato tra i luoghi

storici più significativi della provincia di Gorizia. Le autorità

dovranno commemorare i luoghi dove si svolsero i combattimenti

e non luoghi privi del valore della memoria. I progetti di recupero

dei luoghi della Grande Guerra dovrebbero essere lasciati nelle

mani delle associazioni storiche locali, che da decine di anni hanno

valorizzato la zona e conoscono i luoghi di combattimento, palmo

a palmo, sentiero per sentiero. Ne potrei citare a decine, anche dei

bravissimi architetti che avrebbero realizzato progetti nel rispetto

storico dei luoghi.

Fortunatamente per noi, ci fu un periodo in cui alla Direzione

delle Attività Produttive venne nominato un direttore che,

conoscendo il valore storico del luogo, concesse alla nostra

associazione una piccola somma che ci permise di mettere in

sicurezza i terrapieni della zona bellica, di aprire delle riservette

militari, di ristrutturare l’ufficio telegrafico e telefonico e di

recuperare alcune trincee ed i luoghi dell’accampamento militare.

L’architetto Adriano Zuppel compilò la mappa con tutti i resti delle

strutture militari esistenti e sparsi un po’ ovunque all’interno della

tenuta. Lo studio di architetti Francesca Vecchi e Roberto Ferigutti,

con l’ingegner Lorenzo Marini, eseguirono i suddetti lavori di

restauro e di messa in sicurezza, consentendoci oggi di visitare il

Parco Grande Guerra in tutta la sua semplicità e autenticità.

Recuperata la memoria bellica, c’era necessità di riordinare tutti

i documenti che la nostra Associazione aveva acquisito nei vari

archivi, in particolare nell’Archivio di Stato della Grande Guerra. Ci

furono donate dall’Archivio Militare di Stato quattrocento pagine

che descrivevano i combattimenti su tutto il Carso di Castelnuovo,

minuto per minuto, nelle varie doline e trincee, e nuovi documenti

fotografici sulla Grande Guerra. Trovare chi potesse impegnarsi

a riordinare quei documenti e renderli fruibili e comprensibili al

pubblico si rivelava un’impresa ardua. Andammo a Udine da un

noto editore per avere suggerimenti ed eventualmente affidargli

tale lavoro. L’editore espose delle proposte di collaborazione che

valutammo inacettabili. In pratica il suo era un netto rifiuto.

Sembrava impossibile trovare chi si potesse dedicare alle carte

dell’Archivio militare in nostro possesso, con dedizione, tempo e

passione. Probabilmente non saremmo riusciti a venirne a capo

se non avessimo incontrato Sergio ed Elisa Vittori, degli storici

appassionati e capaci che dopo un anno di costante lavoro hanno

consegnato nelle nostre mani uno scrigno prezioso di memoria e

di amore verso tutti i caduti in Castelnuovo. Oggi il loro libro La

Grande Guerra sul Carso di Castelnuovo nelle prime sei battaglie

dell’Isonzo è divenuto la Bibbia delle battaglie sul Carso di

Castelnuovo. Ancora una volta siamo riusciti nell’opera grazie

anche alla sensibilità della Fondazione Cassa di Risparmio di

Gorizia.

Man mano che realizzavamo un progetto si allentava in noi la

tensione e la paura di non farcela. Capivamo che c’erano forze

avverse ai nostri progetti di recupero della memoria storica di

Castelnuovo; forse timore che il riportare la storia nel luogo dove

270 Castelnuovo: sede pacifica di poesia, cioè fede e amore CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

271



Memorie storiche della

Grande Guerra.

Faccaiata dell’ufficio

telegrafico.

si svolsero i combattimenti poteva entrare in competizione con

il turismo storico che si muove tra Redipuglia e San Michele. In

realtà, con il recupero della memoria di Castelnuovo, abbiamo

creato nuove oppurtunità per una fascia di “incoming storico”

che nulla toglie a ciò che già esiste, ma che semmai valorizza e

incrementa ancor piu l’interesse storico per tutta l’area.

Il recupero però non era ancora terminato. Infatti, all’interno della

villa, emersero sotto gli intonaci scrostati delle scritte appartenti

ai militari ricoverati quando l’edificio fu adibito ad ospedale per

gli intrasportabili. Informai del ritrovamento l’Associazione del

Gruppo Storico di Ricerca che ben volentieri ci diede un valido

aiuto per la pulizia di tutti i graffiti. Vennero messe in luce oltre

duecento scritte di soldati che volevano lasciare testimonianza

del loro ricovero in Castelnuovo. Nomi e cognomi, battaglione di

appartenenza, data e luogo di nascita, descrizione di battaglie poi

puntualmente ritrovate nell’archivio di Stato, disegni, commenti

sulla guerra e incitazioni alla vittoria finale. Un vero diario scritto

sui muri del salone centrale della villa con un carbone di legna. Una

scritta fra tutti è particolarmente significativa, quella del 151 della

Sassari, l’arma segreta che di fatto riuscì a conquistare la dolina

Trincea delle Frasche.

La nostra associazione aveva dunque messo in luce ciò che

per cento anni rimase seppellito nell’oblio e nell’incuria sia dei

proprietari che si avvicendarono in questa tenuta sia dai libri della

storia della Grande Guerra. Sentivamo di avere adempiuto il nostro

dovere. Solo delle persone eccezionali come Ernesto e Roberto

Zorzi, che abitavano in Castelnuovo dal 1970, avevano capito il

valore di quel luogo. Infatti ancor prima che noi iniziassimo il

nostro progetto, avevano raccolto pazientemente e conservato

innumerevoli testimonianze delle cruenti battaglie che si svolsero

CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO 273



in quell’area. Dobbiamo molta riconoscenza alla famiglia Zorzi

per l’amore che nutrono e che ci ha permesso di trovare su loro

indicazione le varie memorie che erano custodite sotto la coltre

degli anni.

La notizia del ritrovamento dei graffiti nel salone a piano terra

della villa, giunse all’attenzione dell’assessore Roberta De Martin

che aveva il compito di portare avanti il progetto Carso Grande

Guerra. Per dare risonanza al ritrovamento l’assessore organizzò

la presentazione del progetto dell’architetto paesaggista Kipar

proprio nella sala dei graffiti ritrovati. Viviamo ancora nella

speranza che Castelnuovo possa essere inserita nel percorso

storico Grande Guerra sul Carso. Ad oggi però, ancora nessuna

amministrazione ci ha mai parlato di un eventuale futuro

inserimento e le motivazioni di tale diniego sono a noi sconosciute.

Abbiamo recuperato quest’area principalmente per un dovere verso

tutti i giovani che qui sono morti, che qui furono feriti, che qui

furono dichiarati dispersi.

Anche sulla villa, che fino al 2006 era adibita a magazzino, c’erano

tantissime notizie storiche e foto scattate già nel 1902 dall’allora

proprietario Spartaco Muratti. La documentazione storica era

davvero notevole. I Della Torre amarono molto questa proprietà.

I Della Torre fuggirono dalla Lombardia e cercarono riparo e

protezione presso il loro Patriarca Raimondo I, già Vescovo di

Como. Nel 1557 acquistarono questa proprietà che divenne, già

da allora, la loro azienda agricola per la produzione di olio e vino.

Gli antichi conoscevano meglio di noi la vocazione agricola delle

terre. Sapevano che per avere delle viti e degli olivi sani si doveva

trovare un terreno che garantiva alle piante il piede asciutto ed il

respiro dell’alito del mare. Fu così che questa località divenne la

loro azienda agricola che produceva vino che veniva premiato nelle

esposizioni di Trieste già dal 1887.

Siamo convinti che mai nulla succede per caso. Tutto avviene

affinchè si arrivi alla conoscenza ed alla consapevolezza.

Incontrammo Teresa Perusini, insegnante di restauro a Cà Foscari

a Venezia. Parlammo della necessità di recuperare il tetto della

villa che perdeva acqua in diversi punti e stava dilavando ciò

che sembrava ai nostri occhi profani “pittura muraria”. Teresa,

incuriosita, visitò la villa e ci assicurò che sotto quelle pitture c’era

un affresco originale. I Della Torre, ci disse, non commissionavano

pitture, ma affreschi! Ci mandò due persone esperte di recupero

che tolsero gli intonaci ed emerse nel salone del primo piano

della villa un impianto architettonico a colonne con nicchie

che contenevano “dei pallidi fantasmi”. Da una foto del primo

dopoguerra, che ritraeva l’interno del salone, si vedeva tutta

l’impalcatura scenica, ma non avevamo mai pensato che potesse

riferirsi a degli affreschi! Diversi esperti che avevano visitato

la villa ci dissero che si trattava di pitture senza alcun valore.

Ora, invece, grazie a Teresa Perusini, potevamo ammirare degli

splendidi affreschi che quasi per magia apparivano come fantasmi

venuti dal passato e nascosti dai precedenti proprietari sotto

quattro strati di intonaco.

Incaricammo Miriam Dellasorte delle ricerche sull’origine

degli affreschi. Miriam era già un’esperta delle proprietà dei

Della Torre di Valsassina poichè fece una tesi di laurea sulle

proprietà del casato e quindi anche sulla villa di Castelnuovo. Fu

anche per lei una scoperta sensazionale perchè ci trovammo di

fronte ad uno dei più importanti ritrovamenti degli ultimi anni

avvenuto nella nostra regione. Abbiamo chiamato diverse autorità

che si occupano di tutela dei beni artistici e attendiamo da loro

solidarietà e collaborazione per il recupero di questo prezioso

274 Castelnuovo: sede pacifica di poesia, cioè fede e amore CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

275



salone iniziatico.

Nel frattempo il tetto della villa faceva acqua da tutte le parti,

pioveva dalla volta del salone degli affreschi, pioveva dal soffitto

della stanza degli stucchi ed apparvero delle enormi macchie di

umido. La spesa per rifare il tetto era molto gravosa. Potevo ora

finalmente avvalermi della legge regionale che attibuiva fondi

per il restauro delle ville venete iscritte al centro di Catalogazione

di Villa Manin. Compilammo la domanda di finanziamento e

invitammo l’assessore responsabile a visitare la villa affinchè si

rendesse conto del cattivo stato in cui si trovava. Fino al 2006

la villa fu un deposito di mobili vecchi di tutti i collaboratori.

C’erano pezzi di barca, stufe, vecchi elettrodomestici, strutture

dismesse di cantina, vecchie porte, caloriferi, ecc. Per far capire che

l’associazione era intenzionata a recuperare la villa e che quindi

ciascuno doveva riprendersi il proprio rifiuto e gettarlo in discarica

ci volle un po’ di tempo. Alla scadenza dell’ultimatum che avevamo

concesso prendemmo tutto il materiale rimasto e lo gettammo

finalmente in discarica. Che liberazione! Anche questo segnò

l’inizio di una nuova epoca per la villa.

Per tutte le operazioni di recupero potevo avvalermi anche del

volontariato di alcuni soci, che nelle ore libere collaboravano

con passione e generosità. Ci venne quindi concesso un mutuo

che garantì la vita alla struttura che oggi è aperta al pubblico.

La villa è oggi la sede della nostra associazione. Anche se priva

di arredo, trasuda storia da ogni suo angolo: la storia dei Della

Torre di Valsassina, che amarono questa casa e la abitarono in

primavera ed in autunno per seguire da vicino i lavori stagionali

legati all’olivo e alla vigna; la storia di Marie Hohenlohe che ce la

descrive chiamandola the enchanted castle, the enchanted garden,

the enchanted wood (“il castello incantato, il giardino incantato, il

bosco incantato”); la storia degli affreschi iniziatici e del giardino

iniziatico; la storia della Grande Guerra che si legge sui muri e

scritta da chi l’aveva combattuta ed era stato ferito gravemente.

Dal 1918 in poi iniziò un declino, nonostante l’impegno dei conti

De Asarta che poi furono costretti ad espatriare.

Non fu certamente facile portare avanti dei progetti per l’area

di Castelnuovo senza incorrere in difficoltà di ogni ordine:

economico, sociale, burocratico. Molti sono gli estimatori che

vengono a visitare quest’area. Questo è un luogo paradisiaco che

ha una delle viste più belle del Friuli Venezia Giulia. Tutta l’area è

circondata a nord dalla Catena delle Alpi, a sud dal Golfo di Trieste,

Grado, Monfalcone, fino a Venezia che si vede in lontananza nelle

giornate di grande luminosità, ad ovest dalla campagna friulana e

le colline vinicole e ad est dal Carso sloveno a perdita d’occhio. È

costantemente visitata dal vento di mare Ostro e dal vento di Bora,

che danno struttura e profumo ai vini. È anche zona ideale per la

cultura dell’olivo che ha il piede asciutto e il respiro dell’alito del

mare degradante a sud e protetto dal vento freddo del nord.

Ma nonostante questi importanti requisiti che fanno di

Castelnuovo un enchanted area, la strada intrapresa per il recupero

si è rivelata irta di ostacoli e di vincoli amministrativi di ogni

ordine e grado. Come abbiamo già detto, tutto il recupero iniziò da

una frase che ormai è divenuta famosa tra i nostri parenti ed amici

«L’anno prossimo mi sposo». Quella frase segnò una nuova vita e

un nuovo destino per Castelnuovo. Il matrimonio era il prestesto

che stavamo attendendo da anni e che ci autorizzava a dare il via

alla ricerca storica, artistica, architettonica prima di iniziare la

ristrutturazione degli edifici. Solo quando tutto si smosse (nuova

cantina per spostare le botti dalla barchessa che veniva restaurata

in vista del matrimonio, recupero della villa, recupero del parco

276 Castelnuovo: sede pacifica di poesia, cioè fede e amore CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

277



storico) il matrimonio perse significato. Abbiamo interpretato

questo episodio come un segno del destino. Senza questo episodio,

non avremmo mai avuto il permesso di occuparci di quest’area. Già

in passato, quando rilevammo la proprietà avevamo manifestato

l’intenzione di occuparci del recupero, ma abbiamo sempre trovato

forze avverse che ci impedivano di mettere piede. Forse, secondo

il cielo, non eravamo abbastanza pronti per affrontare le avversità

che abbiamo in seguito incontrate sia in fase di ricerca che di

recupero storico e architettonico. Questo recupero è avvenuto

con un ritardo di almeno trent’anni. Tali sono gli anni in cui la

Regione iniziò a stanziare fondi attraverso leggi regionali per il

recupero delle dimore storiche, per il recupero dei parchi storici,

per la pulizia dei boschi, per la ricostruzione delle mura storiche,

e dei muretti a secco di cui noi non abbiamo usufruito se non in

minimissima parte in questi ultimi anni.

Continuiamo quindi con determinazione con la nostra

associazione, nella speranza che anche la pubblica amministrazione

convogli la storia di questo luogo all’interno delle reti e dei percorsi

storici che si creeranno in futuro nell’ambito del turismo storico

regionale.

Per questo motivo l’Associazione Amici di Castelnuovo ha

invitato diversi rappresentanti pubblici a visitare il luogo nella

speranza di trovare condivisione per il recupero della storia di

Castelnuovo.

Sul libro Trincea delle Frasche di Nicola Persegati e Silvo Stok

trovai la mappa di Dino Grandi del 1915 che indicava la zona di

combattimento dei volontari milanesi di Filippo Corridoni. Nella

mappa era chiaramente evidenziata tutta la zona dove si svolsero

le prime sei battaglie dell’Isonzo e si riferiva a tutta la proprietà

che durante la guerra era ricordata come “Carso di Castelnuovo”

ed era segnata anche la zona di Bosco Cappuccio quota 141 dove

Ungaretti compose il 1° agosto 1916 la poesia C’era una volta.

Con grande sorpresa, confrontando le antiche mappe della

proprietà del Carso di Castelnuovo scoprì che la quota 141 cadeva

all’interno della tenuta dei Della Torre e quindi ancora di proprietà.

Fu così che capimmo che la nostra piccola ricerca avrebbe assunto

tutt’altre dimensioni e ci avrebbe impegnati fino ad oggi con la

stesura di questo libro.

Di questa scoperta fu subito informato un nostro caro amico

“ungarettofilo” che si trovava in quel momento negli USA lungo

i sentieri della poesia di Robert Frost. Iniziò a maturare tra di

noi l’idea di rendere omaggio al più grande poeta Italiano del

Novecento con il primo parco a lui dedicato. L’idea era originale,

nessun privato e nessuna autorità pubblica ci aveva mai pensato.

Dovevamo approfondire la ricerca sulla vita militare del soldato

Ungaretti durante la Prima Guerra sul Carso di Castelnuovo.

L’associazione per ultimo si occupò del Parco dedicato a

Giuseppe Ungaretti. Come poter trasformare un’idea in un

progetto universale se non si hanno appoggi di nessuna natura?

Da quale parte iniziare? Soffiavano già venti avversi ai progetti di

recupero avviati, non potevamo manifestare troppo apertamente

l’importante e massiccio intervento per la realizzazione del Parco

Ungaretti. Però non riuscivamo a rinunciare a questa ossessione

del Parco, dovevamo assolutamente coltivarla e farla accettare.

Presentammo il nostro progetto nel 2008 all’assessore delle

Attività Produttive e ne fu entusiasta. Ci assicurò il suo appoggio e

ci presentò il suo staff di collaboratori che in realtà non ci diedero

nessun tipo di collaborazione. Nel 2008 ci fu il cambio politico e

la somma a noi destinata che era sotto la voce di bilancio delle

278 Castelnuovo: sede pacifica di poesia, cioè fede e amore CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

279



A fronte

Panorama visto da una

delle strutture del Parco

Ungaretti.

attività produttive e che poteva aiutarci a realizzare il Parco

Ungaretti passò, probabilmente, sotto un’altra voce di bilancio e

con ciò sparirono in quel momento anche le nostre speranze di

vedere realizzato il progetto. Non ci siamo scoraggiati e Gianfranco

Trombetta, più di tutti noi associati, si impegnò con grande

dedizione e competenza. Nel 2010 rinunciò alle sua vacanze estive

per seguire da vicino la realizzazione del progetto. La casa editrice

Mondadori che detiene i diritti d’autore delle poesia di Ungaretti

tratte da Vita di un uomo ci autorizzò all’utilizzo delle poesie, delle

immagini e del nome.

Intanto cercavamo di coinvolgere e di sensibilizzare più gente

possibile a collaborare. Incontrammo una sera a palazzo Foscolo

di Oderzo Vittorio Sgarbi e gli sottoponemmo il progetto. Ci

consigliò gli artisti che avrebbero ben figurato con le loro opere

nel Parco Ungaretti. Poi sapendo che eravamo di Gorizia, ci

chiese: «Conoscete Franco Dugo?». «Dugo» disse Vittorio «è il

migliore artista italiano per incisioni a punta secca. Se volete

lo chiamerò e gliene parlerò personalmente». Informammo

immediatamente Dugo che sarebbe stato contattato da Sgarbi.

Fu così che iniziammo una preziosa collaborazione anche con

Franco che continua ancora oggi. Gianfranco Trombetta, Franco

Dugo, Paolo Bornello e Paolo Annibali si impegnarono per la

realizzazione del parco e per trovare appoggi al nostro progetto.

Iniziò così una fervida collaborazione soprattutto con Gianfranco

che, fin dall’inizio, aveva ben chiaro in mente il progetto nel suo

insieme. Per quattro anni fino al giorno in cui inaugurammo il

parco dedicato al grande poeta, che avvenne il 18 settembre 2010,

ci si trovava tutti insieme a discutere quasi quotidianamente del

progetto del Parco Ungaretti.

Con l’architetto Paolo Bornello che curava la realizzazione del

CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO 281



parco cercavamo e trovavamo soluzioni condivise su ogni proposta

che ci sottoponeva. Le pietre su cui dovevamo incidere le poesie

erano troppo cimiteriali e dovevamo assolutamente trovare delle

pietre carsiche uniforni e chiare, con pori chiusi e perfettamente

lisce per incidere in modo chiaro le brevi poesie. Visitammo

diverse cave ed alla fine la pietra della cava di Repen ci era parsa

la più idonea. L’incisione delle poesie venne effettuata dall’unico

scalpellino che conosceva la tecnica orafa degli antichi romani,

che consisteva nell’inserire con un martelletto il piombo in forma

solida e poi lucidarlo con ossi di seppia. Adottammo questa

antica tecnica sia per il risultato estetico, ma soprattutto per la

sua resistenza all’usura ed all’acqua. In pratica con questa tecnica

le incisioni rimarranno inalterate nei secoli dei secoli. Successe

un fatto davvero bizzarro del quale non sappiamo farcene una

ragione. Dopo avere scelto i poemi da incidere, l’architetto Bornello

consegnò ad un assistente di studio la relizzazione in scala delle

lettere delle poesie da consegnare allo scalpellino. Quando ci fu

consegnata la pietra con l’incisione tutti noi notammo che nella

poesia Sono una creatura era incisa la parola “raffreddata” anzichè

“refrattaria”. Nessuno commentò o rilevò l’errore che oggi è

diventato quasi un licenza poetica della nostra associazione .

Una sera dopo una giornata trascorsa alla fiera del vino di

Verona, ci recammo ad un degustazione organizzata da un’amica

in un’enoteca della città. Sul posto trovammo molti giovani,

ma in un angolo della sala era seduto un anziano signore con il

quale iniziammo la conversazione su Ungaretti. Lo sconosciuto si

mostrava molto interessato e sorpreso. Si presentò: «Sono Giorgio

Lotti, fotografo di professione. Possiedo una cinquantina di scatti

inediti del poeta. Ero capo redattore dell’Europeo e la sera dello

sbarco sulla luna ospitavo in casa mia il poeta e lo fotografai».

«Possiedo anche delle foto scattate», ci disse, «durante delle cene in

casa di Leonardo Mondadori. Non le ho mai pubblicate e se volete

potremo fare delle mostre fotografiche». Immaginate la mia gioia.

Inviai subito un sms a Gianfranco, il destino quella sera mi

aveva fatto incontrare un personaggio importante per il nostro

Parco. Gianfranco ricordava che aveva allestito molti anni addietro

una mostra fotografica di Lotti nel comune di Monfalcone.

Si ritrovarono e ottenne la visione delle foto a cui Franco

Dugo s’ispirò per eseguire la sua incisione su ottone. Lavoro

difficilissimo, precisissimo per la cui esecuzione dovette recarsi a

Treviso dove c’era una vasca adatta per le dimensioni dell’incisione:

150x100. La tecnica dell’incisione non consente all’autore di

sbagliare, ogni segno è permanente e non lo si può correggere. In

caso di errore la lastra si deve buttare. La nostra lastra era costosa

e Franco l’ha incisa con mano ferma e precisa. Franco ha realizzato

un’incisione ispirata, unica e realista. Ungaretti ritratto da tre quarti

con lo stesso sguardo che abbiamo conosciuto alla fine degli anni

Sessanta quando alla televisione lo seguivamo mentre ci recitava

brani tratti dall’Odissea. Dopo questa grande fatica Franco si

ammalò e dovette restare per parecchio tempo in ospedale per

complicazioni. L’opera fu poi collocata nell’ultima stazione del

Parco, denominata Commiato. Il Commiato consiste in un recinto

dove sono impiantati cinquanta pali . All’interno l’opera di Dugo

con le poesie Commiato e San Martino.

Il progetto prevedeva inizialmente di realizzare quest’opera

nell’uliveto posto a sud della gradinata. Si accese una forte disputa

che rischiava di rompere l’armonia che si era creata in tre anni di

lavoro. Il Commiato non sembrava abbastanza valorizzato, l’area era

piccola rispetto all’imponenza dell’opera, bisognava assolutamente

cercare una nuova soluzione. Gianfranco dopo una disputa accesa,

uscì sotto la quercia a fumare e gli balenò l’idea, subito condivisa,

282 Castelnuovo: sede pacifica di poesia, cioè fede e amore CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

283



A fronte

Una delle stazioni del

Parco Ungaretti.

di collocare l’opera in fianco alla villa, in un luogo che sulle antiche

mappe era segnato come “orto”.

Nel frattempo, lo scultore Annibali aveva terminato la scultura

in argilla. Prima della fusione bisognava vederla per dare la nostra

approvazione. Decidemmo allora di fare il viaggio a Grottammare.

Andata e ritorno in giornata, 1.200 km, molti sotto la pioggia.

Franco, Paolo, Gianfranco e Mirella. Una grande emozione vedere

l’opera terminata, lo sguardo penetrante di Ungaretti, ironico,

scanzonato e pensieroso di profilo. Ci siamo congratulati con

l’autore. Ora tutti i pezzi erano pronti, ma mancavano i finanziatori

del progetto.

Avevamo informato del progetto un senatore, un consigliere

regionale, un assessore alla cultura, e tutti si mostrarono molto

entusiasti del lavoro che avevamo svolto, ma nessuno di loro era

in grado di garantirci il finanziamento attraverso le leggi regionali

vigenti. Un senatore, innamorato del progetto, si battè come un

leone contro tutte le forze avverse che invece lo contrastavano.

Finalmente ci venne riconosciuto un aiuto pari al cinquanta per

cento della spesa totale. Se il Friuli Venezia Giulia possiede il parco,

unico al mondo, dedicato al più grande poeta del Novecento che

trovò sul Carso “parola originale” lo dobbiamo a quel senatore.

Cinquanta anni fa, tornando per il cinquantesimo dalla fine della

guerra, Ungaretti disse: «Incredibile oggi il Carso non è più un

inferno, oggi il Carso è il verde della speranza, il Carso si farà sede

di poesia, cioè fede e amore». Messaggio che la nostra associazione

ha recepito e che vuole diffondere.

Dopo avere commissionato il lavoro del Parco alle varie imprese,

abbiamo ricevuto dalla presidente della Biennale di Architettura di

Venezia l’invito a presentare il progetto. Il progetto venne anche

pubblicato sui volumi internazionali della Biennale ed abbiamo

284 Castelnuovo: sede pacifica di poesia, cioè fede e amore



Giuseppe Ungaretti

nell’incisione di Franco

Dugo e nella scultura di

Paolo Annibali.



ricevuto i complimenti dei numerosi visitatori che arrivavano da

tutto il mondo. Sgarbi, che fu tra i visitatori, ci promise che sarebbe

venuto personalmente per il giorno dell’inaugurazione. Dopo

varie considerazioni si decise di inaugurare il parco il 18 settembre

del 2010. Il grande giorno arrivò sotto una pioggia da diluvio

universale. Anche Sgarbi arrivò a Gorizia. Alle undici, ora fissata

per l’inaugurazione, mille persone lo attendevano sotto la pioggia,

il peggiore tempo mai visto a Castelnuovo. La pioggia scendeva a

bacinelle e non cessò che a sera inoltrata. Nella presentazione del

Parco oltre a Sgarbi si alternarono l’assessore alla cultura Molinaro,

il direttore della Mondadori Riccardi ed il direttore del Parco

Gianfranco Trombetta, che faceva da moderatore.

La presentazione fu scoppiettante e sfolgorante così come lo

sono tutte le presentazioni di Sgarbi, mai monotone, culturalmente

molto elevate, ma nel contempo divertenti e briose. Girammo poi

per il Parco inzuppati fino al collo, togliemmo i teli dalle strutture

e dalla statua. Il mitico ciuffo di Sgarbi perse il suo fascino. La

preoccupazione di Sgarbi era quella di recuperare la sua chioma

persa e così con insistenza domandava dove poteva trovare un

phon per asciugarsi i capelli. Vittorio, per la sua immensa bravura,

è considerato il massimo esperto d’arte sia in Italia che all’estero.

L’anno successivo fummo invitati a portare il progetto della

Biennale anche nell’Esedra di Villa Manin, nel periodo in cui erano

esposti nelle sale della villa le mostre di pittori friulani.

Contattammo ancora il fotografo Giorgio Lotti per organizzare

una mostra fotografica con i cinquanta scatti inediti del poeta.

Purtroppo però non si trovarono gli accordi finanziari e la mostra

svanì.

Intanto l’associazione procedeva ancora con le ricerche sulla

villa veneta. Riuscimmo a contattare alcuni proprietari che avevano

abitato in Castelvecchio. Conobbi i nobili De Asarta, innamorati

dalle bellezze di Castelnuovo, ma espatriati dall’Italia per il Sud

America. Trovai un contatto molto importante con i discendenti di

Spartaco Muratti proprietari di Castelnuovo dal 1900 fino al 1920.

Spartaco era un irridentista triestino, nipote di Giusto Muratti,

garibaldino che partecipò alla spedizione dei Mille. Spartaco era

poeta e scrittore. Aveva sei figli e durante la Grande Guerra riparò

a Roma. Nel luglio del 1916 compose una poesia dedicata alla sua

casa: Per la mia casa di Castello Novo. Un poema in rima di trenta

pagine per esprimere il dolore per la distruzione della sua cara

Castelnuovo. Qualche giorno dopo, il 1° agosto 1916, Giuseppe

Ungaretti scrisse in Bosco Cappuccio quota 141, nell’area di Carso

di Castelnuovo, la poesia C’era una volta.

Una coincidenza che fa meditare. Castelnuovo è il luogo che vide

nell’arco di pochi giorni la fine di un’antica poetica e la nascita

di una nuova e originale forma poetica .Un destino strano, ma

mai casuale, su cui abbiamo meditato parecchie volte. L’erede di

Spartico Muratti, Ida, una carissima persona, mi inviò molti scritti

e poesie del grande nonno. Con la sua famiglia Ida visitò l’antica

proprietà che era appartenuta al nonno. Scoprì che un’opera

pittorica che si trovava nella loro casa, eseguita dal nonno nel

1934, raffigurava la villa di Castelnuovo, e mi inviò una foto di

tale quadro. È l’unica testimonianza della villa di Castelnuovo a

forma di H prima che un obice austriaco ne distruggesse la parte

posteriore dove c’erano le camere dei bimbi ed una cappella

dedicata a San Michele Arcangelo.

Intanto Miriam Dellasorte, continuava la sua ricerca sugli

affreschi e sul giardino presso il fondo dei Della Torre Tasso

conservato in Archivio di Stato a Trieste, presso la Biblioteca

Civica di Trieste, presso gli archivi di Stato di Gorizia e di Venezia.

288 Castelnuovo: sede pacifica di poesia, cioè fede e amore CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO

289



A fronte

Una delle stazioni del

Parco Ungaretti.

Nelle Memorie del Castello di Duino che Teresa della Torre di

Valsassina Hofer Hohenlohe commissionò all’abbè Pichler c’è un

capitolo dedicato a Castelvecchio di Duino, ora antico rudere che

un tempo gli antichi Romani chiamavano Castel Pucino.

Diceva Plinio il Vecchio nelle sue Historie Naturalis che ad

occidente della foce del Timavo, a Castel Pucino (Castelvecchio

di Duino) si coltivava il vino Pucinum che Lidia, moglie di Cesare

Ottaviano Augusto, beveva per mantenersi in buona salute. A ciò

ascrisse la promulgazione della sua vita fino all’età di ottantadue

anni. Anche l’abbè Pichler, ospite della serenissima Teresa di

Valsassina beveva di questo nettere alla mensa della castellana che

proveniva, se non proprio da Valcatino, da un vigneto ad “un trar

d’arco di là nascosto”.

Era chiaro che il vino veniva dai vigneti della località

Castelnuovo di cui Maria Teresa era proprietaria. Paola Tomasella

ha studiato le antiche mappe del Catasto ed ha appurato che

l’ottanta per cento delle colture in Castelnuovo era rappresentato

dalla vite ed il rimanente dall’olivo. Ancora oggi le culture

rispettano le antiche mappe e nell’area Castelnuovo si coltiva vite e

ulivo almeno fin dai primi anni del Seicento. Il futuro di quest’area

però non è stato tracciato solo con il reimpianto delle antiche

colture di vite e olivo ma anche dalla nostra associazione Amici

di Castelnuovo che ha restituito la memoria a questo luogo ed ha

chiuso le ferite della guerra, trasformando il Carso di Castelnuovo

in sede pacifica di poesia, cioè fede e amore.

290 Castelnuovo: sede pacifica di poesia, cioè fede e amore



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Mirella Della Valle (Cantù, 1948), sposata con Leopoldo Terraneo, si laurea nel 1971 in Economia e

Commercio presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Insegnante di materie scientifiche ed economiche, dal 1978 si occupò anche dell’attività industriale

di famiglia. è madre di tre figli: Lorenzo, Benedetta e Isabella, che collaborano nell’azienda paterna.

Seguendo una crescita personale, si diplomò naturopata presso il centro Riza di Milano e frequentò

per anni il corso di Iridologia del dottor Padre Emilio Ratti. Sempre per passione e ricerca, aprì uno

spazio dedicato al benessere, all’alimentazione biologica, alla cura con le erbe in Udine e Gorizia.

Per anni, dal 1990 al 1998, fu presidente o vice presidente della Società di Pallacanestro di Gorizia

che militava nei campionati nazionali di massima serie. Nel 1995, con un gruppo di ex allievi

diversamente abili, costituì l’Associazione Polisportiva Nord Est che tutt’ora milita nella serie A del

campionato nazionale di ‘’Basket in carrozzina’’ di cui ha la nomina di “ Presidente Onoraria”.

Nel 2003 partecipa alle elezioni politiche regionali con una lista indipendente del presidente

Riccardo Illy.

Dal 2007 si occupa delle ricerche storiche e del recupero dell’area del Carso di Castelnuovo con

l’Associazione Amici di Castelnuovo.

Miriam Dellasorte (Monfalcone, 1981) si laurea nel 2008 in Architettura presso l’Università degli

Studi di Trieste con una tesi dal titolo Valorizzazione e sviluppo di un territorio attraverso il suo

patrimonio storico culturale. Linee guida per un museo diffuso.

Dal 2003 si occupa di museografia ed editoria come autrice di testi e grafica.

Dal 2006 è impegnata su diversi fronti nella ricerca storica relativa alla dinastia comitale dei conti

Della Torre Hofer Valsassina.

Sposata con Michele Vincenzi, da pochi giorni è madre di Maddalena.





Referenze fotografiche

Fotografie di Mario Pierro.

La riproduzione delle immagini d’archivio è stata

concessa dagli istituti d’apparteneza; le fotografie

sono state scattate da Miriam Dellasorte per conto

dall’Associazione Amici di Castelnuovo.

Alle pagine 57, 104, 111, 117 fotografie di Neva Gasparo

(su gentile concessione).

Alle pagine 152 e 153 fotografia di David Dellasorte.

Abbreviazioni

AAU

ABCGO

ACM

ASGO

ASPGO

AST

ASVE

BCUD

Archivio Arcivescovile di Udine

Archivio della Biblioteca Civica

di Gorizia

Archivio Comunale di

Monfalcone

Archivio di Stato di Gorizia

Archivio Storico Provinciale di

Gorizia

Archivio di Stato di Trieste

Archivio di Stato di Venezia

Biblioteca Civica di Udine



Gennaio 2013

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