Libro Castelnuovo
Il libro Castelnuovo racconta le vicende di un antico possedimento di Villa Veneta del 1.700 costruito dai Della Torre di Valsassina sul Carso sopra Sagrado. L'introduzione magistrale del libro è di Vittorio Sgarbi che curò anche la presentazione con il prof. Fulvio Salimbeni docente di Storia Contemporanea all'Università di Udine. Si narra di una grande famiglia che fece grande il Friuli V.G. e diede ben 4 Patriarchi ad Aquileia. Ci sono dei riferimenti alla Grande Guerra combattuta dal 1915 al 1917 durante le prime 6 Battaglie dell'Isonzo. Inoltre viene ricordata la figura del più grande poeta del 1900...Giuseppe Ungaretti che sul Carso di Castelnuovo combattè e trovò ispirazione per scrivere le poesie del Porto Sepolto. Al Poeta, è stato dedicato un Parco che riporta alcune Poesie dentro un circuito simile ad una Via Crucis Laica. Se il Libro saràdi vostro gradimento, contattatemi.
Il libro Castelnuovo racconta le vicende di un antico possedimento di Villa Veneta del 1.700 costruito dai Della Torre di Valsassina sul Carso sopra Sagrado. L'introduzione magistrale del libro è di Vittorio Sgarbi che curò anche la presentazione con il prof. Fulvio Salimbeni docente di Storia Contemporanea all'Università di Udine. Si narra di una grande famiglia che fece grande il Friuli V.G. e diede ben 4 Patriarchi ad Aquileia. Ci sono dei riferimenti alla Grande Guerra combattuta dal 1915 al 1917 durante le prime 6 Battaglie dell'Isonzo. Inoltre viene ricordata la figura del più grande poeta del 1900...Giuseppe Ungaretti che sul Carso di Castelnuovo combattè e trovò ispirazione per scrivere le poesie del Porto Sepolto. Al Poeta, è stato dedicato un Parco che riporta alcune Poesie dentro un circuito simile ad una Via Crucis Laica. Se il Libro saràdi vostro gradimento, contattatemi.
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A Lorenzo, Benedetta e Isabella,
a Maddalena
e alle generazioni future.
PASSATO PRESENTE FUTURO
A cura di
Mirella Della Valle
Ricerca storica
Miriam Dellasorte
Mirella Della Valle
Miriam Dellasorte
Con le fotografie di
Mario Pierro
Progetto grafico
Miriam Dellasorte
PASSATO PRESENTE FUTURO
Edizioni della Laguna
Direttore editoriale
Marino De Grassi
Tutti i diritti di riproduzione, anche parziale,
del testo e delle illustrazioni sono riservati.
All rights of reproduction, in whole or in part,
of the text or the illustration, are reserved.
Con le fotografie di Mario Pierro
O! Te beatam, Dextera praepotens!
Quae prima pulsis hic tenebris loci
aulam Deorum fascinantem
surgere praecipis in Sagrado!
ante.
Oh, te felice, Destra potentissima,
che qui comandi sorga in Sagrado
l’incantevole dimora degli Dei, dopo
che per prima cacciasti le tenebre.
Remigio Nordek, Ode, 1793
And yet, when I close my eyes, I can
still see it, dazzlingly white in the
sunlight, the green shutters closed, the
tall pillars of the peristyle supporting
the terrace of the first floor. And
then I imagine that I can smell the
characteristic smell of Sagrado. It was
the smell of fresh flowers mingled with
a slight odour of dust, almost mould,
a trace of the beeswax which was used
for the mosaic pavement, and the smell
of closed, cool, shady rooms. No scent
could have delighted me more.
Eppure, quando chiudo gli occhi
riesco ancora a vederla, in un bianco
abbagliante alla luce del sole, le
imposte verdi chiuse, le alte colonne
del peristilio che sorreggono la terrazza
del primo piano. E poi immagino di
poter sentire il caratteristico odore di
Sagrado. Era l’odore dei fiori freschi
misto ad un lieve odore di polvere,
quasi muffa, l’odore della cera vergine
che veniva usata per il pavimento di
mosaico e l’odore delle stanze chiuse,
fredde, ombrose. Nessun profumo mi
ha mai reso più felice.
Marie Hohenlohe Thurn und Taxis
Memoirs of a Princess, 1959 (postumo)
And in all the rooms and closets,
the vestibules and corridors, the halls
and staircases I could hear the soft
steps of an invisible guest, whose
presence I always felt in the enchanted
house - Joy!
E in tutte le stanze e gli stanzini,
nei vestiboli e nei corridoi, nei saloni
e sulle scale sentii i lievi passi di un
ospite invisibile, la cui presenza ho
sempre percepito nella
casa incantata - la Felicità!
Marie Hohenlohe Thurn und Taxis
Memoirs of a Princess, 1959 (postumo)
Spesso m’accadde d’indugiar svagato
da questa fantasia,
al balcone lassù della mia casa
tranquilla e solatìa.
quivi per l’ondeggiante ispida chioma
del bosco secolare
di quando in quando mi giungea col vento
il rumor di quel mare.
Spartaco Muratti
Per la mia casa, 1916
Come questa pietra
del San Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata.
Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede.
La morte
si sconta
vivendo.
Giuseppe Ungaretti
Sono una creatura, 1916
Tutto vive a Castelnuovo
La tenuta di Castelnuovo è luogo del cuore. Qui il tempo, come mai in
altri dove, è contemporaneo, anzi simultaneo nelle sue tre scansioni di
fasi: il passato è presente, il presente è attuale, il futuro è presente. Tutto
è qui ed ora ogni volta per la prima volta, anche per chi ha già bagnato
lo sguardo nell’immensità di questo panorama.
Se ci rivolgiamo all’esterno della villa, appena arriviamo, sentiamo
la presenza della natura sapientemente guidata dalla mano dell’uomo,
di ciò che l’uomo può e il divino dispone. Sembra che ci sia un tacito
accordo tra umano e divino in queste vigne, in questi ulivi, in questi
fiori utili prima al bello e poi al buono. Non si respira alcuna invidia
degli dei per quegli uomini che si prendono cura di ciò che gli dei stessi
godono in massimo grado.
Qui è l’uomo che diventa divino. Nella cura di ciò che gli è affidato
in dono e nella cura di se stesso. Non sono riuscite nemmeno le guerre,
che pure hanno toccato profondamente queste mura e questi suoli, a
mutare l’accordo tra dei e uomini, che oggi, come un tempo, camminano
insieme. Infatti, tu cammini per le stanze della villa e non ti senti solo:
“Attraverso il buio e il silenzio, altre ombre mute svolazzavano dietro
di me e io sapevo che loro, come me, stavano cercando la Felicità.” Ha
ragione la principessa Marie Hohenlohe ad annotare questa esperienza
nei suoi diari di Sagrado.
La riscoperta, poi, degli affreschi nascosti dalle disinfestazioni della
Prima guerra mondiale ci lascia un’ulteriore ombra dell’ombra delle
energie vitali che hanno camminato e dimorato in questa casa. L’arte è
compagna silenziosa, opera come un organismo vivente più che come
un oggetto.
Qui tutto vive. Anche ciò che è morto. Vive il passato, vive il presente,
vive il futuro. Vive come la nostalgia di un abbraccio che non possiamo
dare a un nostro caro defunto. Ma che pure sentiamo ci accompagna.
Vive così, Castelnuovo, nella malinconica lontananza di sapere che le
cose belle non sono mai del tutto nostre.
Vittorio Sgarbi
23
Prefazione
30
32
54
142
184
236
Dal XV al XX secolo
PASSATO
di Miriam Dellasorte
Castelvecchio e Castelnuovo tra documenti e tradizione
Uno scrigno di storia e storie
Il giardino di Alcinoo
L’incantevole dimora degli dei
Il vino: vocazione di un territorio
256
258
Dal 2006
PRESENTE E FUTURO
di Mirella Della Valle
Castelnuovo: sede pacifica di poesia, cioè fede e amore
292
294
298
Note bibliografiche
Biografia degli autori
Referenze fotografiche e abbreviazioni
Il presente va considerato un dono, noi non sempre lo viviamo
giornalmente come tale. Siamo una generazione che ha fretta, che
ha l’ansia del “fare’’. Vivere il presente come un dono è considerato
un lusso che ancora non possiamo permetterci, abbiamo troppi
stimoli e speranze da realizzare il più velocemente possibile. Ogni
giorno ci arrivano sempre nuovi spunti e nuovi messaggi che non
sono mai casuali, ma ciò lo si scoprirà nel tempo, e ci indicano
qual è la strada su cui procedere per la realizzazione delle nostre
speranze. Possediamo una spinta biologica, un’intelligenza, una
curiosità che ci inducono alla ricerca, alla conoscenza, che non
sempre è fine a se stessa.
A volte ci si accorge, magari a distanza di tempo, che la propria
personale ricerca innescata dalla curiosità può soddisfare anche
quella di un pubblico più vasto, diventa di interesse generale,
diventa un valore per la collettività e per le generazioni future, sia
in termini di conoscenza che di nuove attività produttive. Anche
chi è destinato per nascita ad una vita semplice, quasi idilliaca tra
i verdi campi della Brianza e le grandi aie delle numerose cascine
di piccoli paesi, può essere chiamato dal destino ad occuparsi di
recuperi storici e di memorie di grandi eventi del passato.
CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO 23
Chi si trova a dover operare, per esigenze imprescindibili, in
un settore che gli è completamente estraneo, che non ha nulla
a che vedere con le proprie origini, deve armarsi di coraggio, di
abnegazione e di costanza e avanzare credendo fino in fondo nei
propri ideali e sopportando con spirito di sacrificio ogni tipo di
difficoltà e avversità. Ogni azione intrapresa per elevare la propria
conoscenza si trasmette come un’onda a lambire la consapevolezza
di chi gli sta vicino. Si diventa responsabili anche della crescita
delle persone che si rapportano con noi e si crea un futuro migliore
anche per chi è pronto al cambiamento e ad accogliere nuove sfide.
Con la pubblicazione di questo libro, Castelvecchio e Castelnuovo
tra passato e futuro, ci sentiamo di avere adempiuto ad un nostro
preciso dovere, quello di raccogliere insieme i vari documenti che
si riferiscono alla proprietà sparse entro i confini del Veneto e del
Friuli Venezia Giulia. Il dovere di consegnare nelle mani delle future
generazioni le informazioni riguardanti gli affreschi del pittore
Mattia Furlanetto che li realizzò. Questa ricerca è nata da una serie
di combinazioni, mai casuali, che non potevamo ignorare e che si
sono ossessivamente e ripetutamente alternate negli ultimi sei anni.
Quando nel 1987 si decise di acquistare un’Azienda Agricola, non
avremmo mai immaginato che saremmo diventati, per necessità
e per destino, dei ricercatori storici e nemmeno immaginavamo
che saremmo ritornati per consapevolezza a fare i contadini.
Di Castelvecchio, ci innamorammo a prima vista. Non ci era
mai capitato per nessun’altra azienda agricola. La località, il
panorama, le vedute, la misteriosa magia che aleggiava sopra
le grandi chiome del bosco di querce secolari che circondano la
proprietà a perdita d’occhio fino a raggiungere con lo sguardo in
lontananza il mare e tutta la laguna dell’Alto Adriatico ci avevano
completamente catturato! A soli cinque minuti di macchina dal
centro abitato di Sagrado, sulla cima della collina in località
Castelnuovo, si apre al visitatore uno sguardo grandioso sulla
catena delle Dolomiti, delle Alpi Carniche, delle Alpi Giulie.
Fu impossibile resistere alla bellezza di un luogo simile, noi ne
fummo stregati. Oggi sappiamo che l’incantamento non era dovuto
unicamente a queste reali bellezze, ma anche ad un sottile richiamo
delle anime che qui abitarono, vissero e morirono per la conquista
di questo “sperone di roccia”, così lo definì ai suoi tempi Raimondo
IX Della Torre Valsassina, prima di circondarlo di terrapieni
digradanti verso il bosco e verso l’uliveto.
Eravamo inconsapevolmente, per nascita, dei contadini, abbiamo
voluto vivere e sperimentare, negli ultimi cento anni, la rivoluzione
industriale, elettronica ed ora informatica perché quella sembrava
la direzione che ci portava verso una nuova forma di civiltà.
Oggi non siamo più sicuri che la rivoluzione degli ultimi anni la si
possa definire “civiltà”. Ha mostrato ampiamente i suoi limiti e la
sua incapacità a salvaguardare le esigenze primarie della specie
umana, la salvaguardia della Terra, del cibo, dell’aria e dell’ acqua.
Oggi, e non nell’1987, torniamo per scelta consapevole a fare i
contadini, per difendere il nostro pane, il nostro olio ed il nostro vino
quotidiano. Il cibo italiano, nostro nutrimento da millenni che ha
permeato le nostre cellule, rischia, a causa della standardizzazione
e della globalizzazione, di perdere la sua energia, il suo valore
biologico, indispensabili per stimolare la nostra forza vitale!
Oltre al recupero della memoria, alla conservazione delle strutture
architettoniche, attraverso un restauro minimo e rispettoso,
dobbiamo preoccuparci di salvaguardare il cibo di cui si nutriranno
anche le future generazioni. Se nei documenti e nelle mappe
d’archivio si trova scritto che da queste terre fin dal lontano XVI
24 Prefazione CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
25
secolo si traeva sostentamento coltivando la vite e l’ulivo, una
ragione forte ci deve pur essere, perciò va difesa. Bisogna rispettare
quindi non solo la storia e la memoria, ma anche la vocazione
agricola delle terre. La terra carsica dona all’uomo, da secoli,
vino e olio delle caratteristiche olfattive e gustative uniche, rare e
preziose. Mantenere quindi intatto questo territorio e rispettarne
la vocazione agricola, è un altro preciso impegno che ci siamo
assunti con tutti i nostri collaboratori. Essere proprietari oggi di
Castelvecchio, è una grande responsabilità.
Noi l’abbiamo assunta sulle nostre spalle e l’abbiamo
compenetrata fino in fondo, man mano che ci inoltravamo nelle
nostre ricerche. Abbiamo incontrato in questo percorso persone
consapevoli le quali apprezzavano lo sforzo ed il lavoro di recupero
che abbiamo intrapreso e portato a termine finora. Persone
meravigliose e prodighe di suggerimenti che ci incoraggiavano a
proseguire. A volte erano dei cittadini privati innamorati del luogo,
a volte professionisti esperti di storia, arte e memoria, e a volte
sensibili rappresentanti della pubblica amministrazione, impegnati
a raggiungere una migliore conoscenza della realtà territoriale che
si trovano ad amministrare. Abbiamo maturato in questo quarto di
secolo una precisa opinione.
Questo meraviglioso territorio, fortemente amato dai Della
Torre di Valsassina, e da tutte le persone che qui vi abitarono o
che lo hanno visitato, così ricco di bellezze naturali, di paesaggi,
di tramonti, di aurore, così ricco di storia, che nemmeno la Grande
Guerra è riuscita a scalfire nella sua infinita bellezza, questo
meraviglioso territorio è passato indenne anche attraverso il
degrado di questo secolo che poteva essere pari o peggiore di una
distruzione bellica. Ora che tutto il valore è stato portato alla
conoscenza, siamo convinti che Castelnuovo riceverà maggiori e
più precise attenzioni per la sua valorizzazione e conservazione.
Il fato ci aveva messo nelle mani questa splendida tenuta, e noi
nell’adempimento del nostro dovere l’abbiamo resa fruibile in tutta
la sua bellezza e magia al pubblico contemporaneo ed alle future
generazioni.
A conclusione di questo nostro excursus, per certi aspetti
sentimentale, sulle vicende che hanno determinato la nuova vita
della villa e delle sue verdi pertinenze, vogliamo soffermarci anche
sulla genesi della parte storica del presente volume, che riguarda il
Passato.
Una genesi che affonda le radici a qualche anno fa, quando i primi
risultati delle ricerche archivistiche di Miriam sottoponevano via
via alla nostra curiosità una messe di informazioni sugli originari
proprietari della villa, ricavabili da lettere, inventari, urbari, libri di
conti, componimenti, diari, disegni, mappe, elaborati catastali.
Chi abbia una qualche dimestichezza con le ricerche nei fondi
archivistici sa che non sono facili e che, soprattutto, richiedono
competenza, pazienza e tempo, un trinomio di “armi” tanto
formidabile quanto poco disponibile: è necessario maneggiare
montagne di vecchie e fragili carte, in cui le grafie spesso troppo
corsive e personali impediscono di comprenderne chiaramente o
totalmente il contenuto, con l’aggravio degli inchiostri scoloriti
e l’uso di una lingua fin troppo datata e perciò non sempre del
tutto comprensibile. Con l’aggravio ulteriore di ignorare del tutto
se l’informazione cercata con tanta ansiosa perseveranza esiste
ancora in quelle carte, o se invece è mai esistita, o se va ricercata
altrove. Si è costretti a passare da un fondo all’altro, da un archivio
all’altro, talvolta delusi e scoraggiati per l’esiguità o l’assenza dei
documenti utili. Nella ricerca, si è eccitati e spronati a continuare
dal ritrovamento fortuito di un’informazione del tutto inaspettata
26 Prefazione CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
27
che di colpo apre nuovi orizzonti allo studio intrapreso. Sono
questi i momenti più gratificanti per il ricercatore, ma sono, come
sottolineato sopra, fortuiti, dovuti cioè alla fortuna.
Ben consapevole di ciò, Miriam ci confidò una volta di essere
certa che il conte Raimondo (che per lei è il IX di questo nome, per
antonomasia) la seguisse benevolo da lassù, “contagiato” dalla
simpatia che lei provava nei confronti di un uomo nobile per stirpe,
agire e sentimenti, intelligente, colto, arguto, bonario e severo al
tempo stesso, aderente con tutto se stesso ad un mondo di segreti
iniziatici tanto da “creare dal nulla” la sua splendida dimora. Sì,
perché a Miriam capitò più di una volta di trovare per caso una
carta davvero importante per le sue ricerche, talmente per caso
che per forza, a suo avviso, in ciò doveva esserci lo zampino di
Raimondo…
Un esempio per tutti. Un giorno, in Archivio di Stato a Gorizia, un
poco delusa per il modestissimo raccolto della giornata, incontrò
un amico a sua volta impegnato in ricerche di tutt’altro argomento.
L’amico si disse contento di vederla perché aveva qualcosa da
consegnarle: la fotocopia di due paginette stampate a Gorizia, con
versi in latino, in cui aveva letto il nome di Raimondo IX. Le aveva
trovate nel fondo Coronini e, essendo a conoscenza degli studi di
Miriam, aveva pensato di fotocopiarle per lei con la previdenza del
“non si sa mai”. Miriam ne rimase commossa: mai avrebbe pensato
di cercare in quel fondo, in cui, tra l’altro, quelle due paginette se
ne stavano peregrine ed ignorate. Si trattava dell’Ode di Remigio
Nordeck, il cui oscuro contenuto doveva illuminarsi alla luce
affascinante del ciclo di affreschi e del giardino iniziatici.
Merita che si riporti ancora un altro aneddoto. Miriam, proprio
lei e non un altro esperto di cui era stato avanzato il nome, ebbe
l’incarico da parte della Fondazione Cassa di Risparmio di redigere
la scheda del dipinto con il Ritratto di Raimondo IX, proprietà
della stessa, in vista della mostra del 2011. Ebbene, Miriam fece
una scoperta del tutto inaspettata che, tra l’altro, aumentò il valore
venale del quadro. Confrontando i due ritratti del conte, quello della
Fondazione e quello pubblicato in questo volume, Miriam ebbe
subito dei forti dubbi che si trattasse della stessa persona; e così era,
infatti. Il ritratto non raffigurava il suo Raimondo bensì un ignoto
nobile di Bolzano; era come se il conte stesso l’avesse indirizzata
verso la strada giusta per correggere un madornale errore di cui era
piuttosto seccato…
Le ricerche di Miriam furono davvero fruttuose, perché hanno
portato ad acquisizioni molto importanti dal punto di vista storico –
artistico.
Oggi possiamo essere certi della paternità del ciclo di affreschi
del salone, opera di Matteo Furlanetto, pittore della cui attività non
si conosceva più nulla dopo il 1815. Oggi noi conosciamo funzioni
e significati del giardino e dei piccoli edifici in esso sparsi di cui
nemmeno la principessa Marie era a conoscenza.
Raccolta la messe di tutti i dati storici, Miriam si accinse ad
elaborarli per la ricostruzione corretta, fedele, della storia della villa
e del suo giardino, operazione questa che richiedeva una preventiva
cernita del materiale documentario in vista della stesura di un testo
di agevole e gradevole lettura anche per i profani. Se l’agevolezza
riguarda il metodo espositivo, la gradevolezza riguarda
l’impostazione grafica a cui Miriam ha dedicato ulteriore tempo. A
noi sembra che il libro sia riuscito bene, senza falsa modestia: ma il
giudizio, che non ci attendiamo certo concorde, spetta, come giusto,
ai lettori.
Mirella e Leopoldo
28 Prefazione CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
29
Dal XV al XX secolo
Miriam Dellasorte
PASSATO
Castelvecchio
e Castelnuovo tra
documenti e tradizione
A fronte
Dettaglio della mappa
Disegno in pianta
del principal contado
di Gradisca con la
separatione delle città,
terre, villaggi a questo
sottoposti. Sagrado,
nell’area campita di
rosso, fa parte del
territorio sotto Gorizia
al confine con lo Stato
Veneto (Biblioteca
Statale di Gorizia, carta
a mano della fine del
secolo XVII, Carte
geografiche Mz 4,
n.inventario: 197.129).
1
M. Malabotta
attribuisce la costruzione
di Castelnuovo a
Francesco Ulderico
Della Torre; C. Bozzi
la attribuisce ai Della
Torre, ma non ne precisa
il periodo; A. Geat la
attribuisce a Raimondo
Tradizione e toponomastica legano indissolubilmente
Castelvecchio, l’antico palazzo padronale un tempo situato ai piedi
dell’altopiano carsico di Sagrado, e Castelnuovo, la villa dalle linee
neoclassiche edificata in cima al colle.
I suffissi vecchio e nuovo suggeriscono un arco temporale che
determina un prima e un dopo, ma di fatto non escludono una
contemporaneità. A che epoca risaliva dunque Castelvecchio e a
che datazione può essere riferito Castelnuovo? L’uno sostituì l’altro?
Perché e per volontà di chi furono edificati? Che relazione ebbero
entrambi con i potenti esponenti della dinastia comitale dei Della
Torre, feudatari prima e proprietari poi di gran parte del territorio
di Sagrado?
Poiché le fonti bibliografiche riguardo alla storia di Castelvecchio
e Castelnuovo erano discordanti si è scelto di intraprendere un
percorso di ricerca d’archivio che portasse a risolvere l’intricata
questione 1 . Passo dopo passo, tra mappe, disegni, relazioni, urbari,
catasti, rendiconti, note di pagamento, lettere e ventilazioni
di morte, è stato possibile ricostruire in buona parte la storia
CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO 33
VI Della Torre Hofer
Valsassina; la stessa
ipotesi è accettata e
ripresa dalla maggior
parte degli studiosi,
tra cui L. Foscan e
E. Vecchiet e da G.
Geromet e R. Alberti.
2
ACM, Omnia acta
agitata tempore
spectabilis et
generosi viri domini
Andreae Contareno
honorabilis potestatis
Montisfalchonis 1447
- 1448. Cfr. S. Domini
1980, pp.48-50.
3
Un documento
datato 1375, trascritto
da Vincenzo Joppi e
numerato 298, cita
espressamente la
chiesa di Sagrado
(BCUD, Fondo Joppi,
Capsula II, Documenti
e notizie su vari luoghi
del Friuli). Anche un
altro documento datato
1422 riporta l’elenco
delle villae sotto la
giurisdizione della Pieve
di San Pier d’Isonzo,
tra cui Sagrado (cfr.
PUNTIN 2003).
4
ASVE, Atti del
Luogotenente, b. 114,
notaio Disfapissibus. Cfr.
S. DOMINI 1980, p. 50.
di Castelvecchio e Castelnuovo, presentata in questa sezione
attraverso il confronto di numerosi documenti spesso inediti.
Per trovare le prime risposte dobbiamo tornare indietro nel
tempo di diversi secoli, almeno fino alla seconda metà del Trecento.
Silvio Domini osserva che negli Acta del podestà Contarini, cioè
nell’anno tra il 1447 e il 1448, Sagrado «non viene mai nominato
come villa, cioè paese, ma solo come località di guado e traghetto
infeudato agli Strassoldo» 2 . Anche altri storici locali, come Carlo
Luigi Bozzi, Glauco Vittori e don Onorio Fasiolo, riferiscono
appena al XVI secolo l’esistenza del villaggio di Sagrado, sulla
scorta dei documenti attestanti la cessione del feudo di Sagrado
da parte dei conti di Strassoldo ai conti Della Torre. Da ciò si
dovrebbe poter desumere che prima della metà del Quattrocento
non esisteva la villa, ma soltanto la fortificazione. La villa, invece,
contrariamente a quanto supposto dai suddetti storici, esisteva
già alla fine del Trecento ed è probabile che avesse una sua chiesa,
come confermano alcuni documenti a partire dal 1375 3 . Il nome
Sagrado, se interpretato come toponimo di etimo slavo za grad / za
gradom, cioè dietro o presso il castello, potrebbe far riferimento a un
castelliere preistorico o a un fortilizio longobardo esistito sui rilevi
carsici tra Sagrado e Fogliano.
Nella seconda metà del Quattrocento il valore strategico
di Sagrado, grazie al passo della barca sull’Isonzo, aumentò
notevolmente, poiché, sotto la minaccia turca, Venezia fece
costruire una linea di difesa lungo il fiume ed edificò la fortezza di
Gradisca. Fu così che l’11 ottobre 1500, data l’importanza militare
del luogo, i beni di Sagrado furono ceduti a due fedelissimi capitani
di ventura dei Veneziani: Teodoro e Franco Del Borgo 4 . I Del Borgo
mantennero la proprietà di Sagrado per undici anni, finché durante
la Guerra della Lega di Cambrai le truppe dell’arciduca d’Austria
5
ABCGO, pergamena
n. 126. Cfr. S. DOMINI
1980, p. 50.
6
R. PICHLER 1882
cita un contratto di
compera di Sagrado da
parte di Francesco III
nel 1556. La versione
del provveditore di
parte veneta, datata
1559, è la seguente:
«[...] il luogo di Sagrato
nel quale già molto
tempo dalla Repubblica
Serenissima furono
investiti per benemerenza
certi Del Borgo con
carico di annuo censo,
li quali apparentati con
la casa Torriana, ed
estinta essa linea Del
Borgo, si devolse il
detto luoco in Casa della
Torre, et dall’hora sino
al presente, fu ridotto
a pretesa di ragione
Imperiale con affissione
di termini et insegna di
Cesare l’anno 1559 [...]»
(ASVE, Provveditori alla
Camera dei Confini,
Friuli A, Generali, b. 49;
cfr. S. DOMINI 1980,
p.52).
7
AST, Fondo Della Torre
e Tasso, b. 242.3.1,
Piano del tracciato di
confine tra l’Isonzo e il
lago di Pietrarossa.
Massimiliano I assediarono e infine conquistarono Gradisca,
che divenne un capitanato imperiale. Anche Sagrado, insieme a
Gradisca, passò sotto il dominio asburgico e il 26 settembre 1511,
con disposizione ufficiale di Massimiliano, tutti i beni di Teodoro
Del Borgo furono confiscati e consegnati a Giorgio, Nicola e Febo
fratelli Della Torre, in riconoscimento dei loro giornalieri fedeli
meriti 5 . Fu dunque nel 1511 che ebbe inizio il legame tra la dinastia
dei Della Torre e il territorio di Sagrado, sebbene Rodolfo Pichler,
biografo ufficiale del casato, basandosi sui documenti in suo
posesso, l’abbia fatto risalire a ben cinquantacinque anni dopo 6 .
Il trattato di Worms del 1521 ribaltò ancora una volta la situazione,
perché mentre Gradisca rimaneva all’Austria, Sagrado tornava in
mano alla Serenissima e ripassava dalle mani dei Della Torre a
quelle dei Del Borgo. Ma, quando nel 1556 Francesco Del Borgo
morì senza discendenza, avendo egli sposato una Della Torre
Sagrado rimbalzò nuovamente in mano torriana, ad eccezione
del passo della barca che ritornò agli Strassoldo. Diventando
feudo del casato torriano sotto Francesco III Della Torre, fedele
alla casa d’Austria, il territorio di Sagrado fu nuovamente unito
politicamente all’asburgica Gradisca.
Se dunque fino alla fine del Cinquecento i documenti esaminati
che citano Sagrado non riportano esplicitamente notizia di un
palazzo o di un castello, ecco che la situazione cambia a cavallo
tra Cinquecento e Seicento, sotto l’amministrazione del conte
Raimondo VI Della Torre Hofer Valsassina, figlio ed erede
universale di Francesco III. Una mappa senza data, ma certamente
precedente al 1639, redatta per questioni di confine tra Stato Veneto
e Stato Arciducale, ci regala una preziosa vista a volo d’uccello del
Pallazzo di Sagrado 7 . Ai piedi dello sperone carsico, in località oggi
denominata Castelvecchio, spicca un palazzo padronale collocato
34 Castelvecchio e Castelnuovo tra documenti e tradizione CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
35
Dettaglio del Pallazzo di
Sagrado tratto dal Piano
del tracciato di confine
tra l’Isonzo e il lago di
Pietrarossa (AST, Fondo
Della Torre Tasso, b.
241.3.1, s. d.).
8
R. PICHLER 1882, pp.
354-355.
9
Raimondo VI chiese
il permesso di celebrar
messa all’interno di
una cappella fatta
edificare per sua volontà
a Sagrado, con ogni
probabilità all’interno
di Castelvecchio. Il
permesso fu accordato il
3 settembre 1613 (AAU,
Fondo dei Notai, b. 65,
p. 29 dell’ultimo libro
Actus).
a est della strada per Gorizia e Monfalcone. Il palazzo si trovava
al centro di una verdeggiante area quadrangolare definita da
possenti mura lungo le quali erano collocati due edifici più bassi
e allungati, probabilmente adibiti a uso rustico. È fondamentale
notare come sotto Raimondo VI il feudo di Sagrado acquistò
notevole importanza per la linea torriana, poiché diventò centrale
rispetto ai possedimenti ereditati e acquisiti dal casato, estesi
dall’Alto Adriatico al Collio 8 . Fu dunque il conte Raimondo VI, data
la centralità del feudo di Sagrado rispetto ai suoi possedimenti, a
far costruire il palazzo che compare sulla mappa? Ampliò forse una
struttura già esistente 9 ? Non è dato saperlo, ma di certo possiamo
affermare che non fu Raimondo VI a far costruire Castelnuovo
come vuole la tradizione fino ad ora largamente accettata
dagli storici; in cima al colle infatti la mappa non mostra alcun
edificio, bensì localizza l’antico bosco che copriva una vasta area
rettangolare anch’essa recintata con solide mura.
Piano del tracciato di
confine tra l’Isonzo e il
lago di Pietrarossa (AST,
Fondo Della Torre Tasso,
b. 241.3.1, s. d.).
La mappa è posteriore
al 1521 perché compare
la chiesa di Santa Maria
in Monte di Fogliano
(Madonna del Rosario)
ed è antecedente al
1639 per confronto
con la mappa Territorio
a nord di Fogliano
al confine con la
Repubblica di Venezia e
l’Austria (ASVE, Senato,
Dispacci Rettori Udine, b.
F30, disegno 14).
36 Castelvecchio e Castelnuovo tra documenti e tradizione
Castelvecchio nel 1641
(ASVE, Senato, Dispacci
Rettori Udine, b. F30,
disegno 14).
10
Anno 1634 (AST,
Fondo Della Torre Tasso,
b. 212.2-2).
11
ASVE, Senato,
Dispacci Rettori Udine,
b. F30, relazione del
luogotenente allegata
al disegno: «[...] go
incaricato a persona
mia confidentissima, e
discreta, che da niuno
è stata osservata, né
può aver generato
imaginabile sospicione
di portarsi [...] al luogo
di Sagrà [...] dal Conte
Giovanni Filippo della
Torre, è stato fabbricato
quel muro, con intacco
delle ragioni della
Serenissima Repubblica
et questo mi riporta
relazione sicura, che il
muro sudetto, che fu
principiato già due anni,
come scrissi, in questi
ultimi giorni sia stato
ridotto a tutta perfezione,
nella forma, altezza,
quantità, et qualità,
che dal disegno qui
imaginato distintamente
appare; il qual dissegno
da questi medesimo
mio confidente, che
però non ga cognizione,
né perizia esquisita di
questa ofissione, è fato
al meglio, che ga potuto,
[...]. Udine lì 5 Maggio
1641».
Nel 1623, anno in cui morì Raimondo VI, il palazzo di Sagrado
divenne sede vedovile della seconda moglie Chiara Orsa Hofer e
l’eredità fu spartita tra i quattro figli di primo letto Francesco Febo,
Raimondo VII, Giovanni Mattia e Giovanni Filippo. Il testamento
di Raimondo VI e la donazione di Chiara Orsa, che lasciò tutto il
proprio salvo l’usufrutto in vita a Giovanni Filippo, furono origine
di gravi dissensi tra i quattro fratelli; Sagrado e Duino toccarono
infine a Giovanni Filippo, cui si deve l’acquisto del passo della
barca sull’Isonzo dagli Strassoldo 10 e lo sviluppo delle mura
difensive del palazzo. I lavori iniziarono nel 1639 e terminarono
nel 1641; ne riporta notizia una cronaca redatta dal luogotenente
veneto dell’epoca che affidò a persona fidata l’incarico di rilevare in
incognito il nuovo tracciato delle mura 11 . Dal disegno allegato alla
relazione si nota come la casa dominicale del Conte della Torre in
Sagrà, corrispondente al Pallazzo di Sagrado rappresentato nella
mappa precedentemente descritta, si trovi all’interno di una vera e
propria cortina difensiva poligonale dotata di due torrioni e torrette
che dominavano il forte di Fogliano, ossia la Chiesa della Madonna.
La cortina difensiva, costituita da muro grosso, fatto di pietra di
monti et collina, si estendeva fino in cima al colle inglobando
anche il bosco. A valle, in prossimità del palazzo, si trovavano due
edifici oblunghi che costituivano parte integrane delle mura e
delimitavano l’accesso all’area protetta. Intorno alla metà del XVII
secolo non compare alcuna traccia di Castelnuovo: la cima del colle
era ancora interamente occupata dal bosco.
Alla morte di Giovanni Filippo il palazzo divenne sede vedovile
della moglie Eleonora Gonzaga e l’eredità passò al figlio Francesco
Ulderico, celebre capitano di Gradisca, che ebbe i natali nel 1629
proprio a Sagrado. A Francesco Ulderico si deve il rilievo mappale
redatto nel 1677 per definire con accuratezza il valore delle rendite
delle terre di Sagrado.
CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO 39
A fronte
e alle pagine seguenti
Alcune pagine del
rilievo fatto eseguire da
Francesco Ulderico Della
Torre nel 1677 (AST,
Fondo Della Torre Tasso,
b.241.3.2, Piano dei
terreni di Sagrado).
12
Fascicolo di piani
con descrizioni dei
terreni di Francesco
Ulderico Della Torre siti
in territorio di Sagrado,
1677 (AST, Fondo Della
Torre Tasso, b.241.3.2).
13
Archivio della
Fondazione Scaramangà
di Trieste, A52-n.2260.
La serie di undici mappe 12 è relativa ad altrettanti appezzamenti
coltivati dai coloni. Per ogni appezzamento l’agrimensore disegnò
la pianta, ne diede le dimensioni in pertiche di Gradisca, riportò il
nome del colono affittuario, i confini e il genere delle coltivazioni.
Confrontando il documento con la mappa del 1641 e considerando
i toponimi citati, è possibile stabilire che le aree rilevate erano
collocate ai piedi del monte, nei pressi del palazzo dominicale.
I lotti rappresentati confinavano con il boscho e il monte, con il
broglio (l’area all’interno delle mura che comprendeva cortili e
orti), la roglia (la roggia che scorreva ai piedi del monte), la strada
del pallazzo (che collegava l’edificio con la strada principale
Gorizia – Monfalcone), le mura del pallazzo, la stradella, il Molin
(l’antico mulino), la Comugna (i terreni destinati a pascoli e
boschi, a disposizione della comunità) e il monte delli Olivari. Non
compaiono mai riferimenti a un nuovo edificio fatto costruire in
cima al colle.
Poiché Francesco Ulderico non ebbe discendenti diretti, la
proprietà dei beni di Sagrado passò per testamento al fratello
Filippo Giacomo e al nipote Luigi Antonio, con la condizione che
qualora la linea di successione si fosse estinta tutti i beni sarebbero
dovuti andare alla linea dell’altro fratello Raimondo Bonifacio.
Una descrizione della proprietà di Sagrado in questo periodo
ci è giunta per vie davvero singolari, ovvero attraverso la Vera
relatione di quanto seguì alle nostre monache di San Cipriano al
tempo della bombardatione fatta dalli Francesi in questa città di
Trieste, nel anno 1702 13 . Allora badessa di San Cipriano era madre
Eleonora, al secolo Laura Della Torre, sorella di Francesco Ulderico
e Filippo Giacomo. La badessa fu ospitata per tre mesi insieme
alle consorelle nel palazzo di Sagrado, poiché il convento in quel
periodo non era sicuro a causa dei bombardamenti francesi sulla
città. La cronaca narra di un palazzo che affacciava su uno spazioso,
40 Castelvecchio e Castelnuovo tra documenti e tradizione
14
AST, Fondo Della
Torre Tasso, b. 230.1.6,
1723.
15
ASGO, Catasto
Teresiano, Sagrado,
b. 113. Maria Teresa,
spinta da necessità
finanziarie, intraprese
a metà del XVIII secolo
una revisione delle
contribuzioni fondiarie
e a tale scopo fece
redigere un catasto.
Nelle contee di Gorizia
e Gradisca l’impresa
fu attuata con la
misurazione effettiva,
iniziata nel luglio 1751
e condotta a termine in
tempi brevi.
16
ASPGO, Atti degli Stati
provinciali, b. 492.
ameno e verdeggiante prato, inserito all’interno di una grande area
recintata dove si trovavano il bosco, orti e campi.
La rigogliosità descritta dalle monache doveva corrispondere
al vero, perché nel 1723 le terre di Sagrado risultano essere le
più redditizie tra i Beni sotto il Principal Contado di Gorizia e
Gradisca 14 . Nel 1741 il conte Giovanni Filippo II aveva già iniziato a
vendere parte dei possedimenti al nipote Giovanni Battista II, figlio
del fratello Raimondo Bonifacio. Il 19 marzo 1745 il conte completò
l’opera vendendo a Giovanni Battista tutto il residuo dell’urbario
con la giurisdizione della villa e l’uso del palazzo. Da quel momento
in poi, considerato il valore delle terre e la loro appetibilità, dovette
sorgere un contenzioso tra gli eredi di Giovanni Filippo e Giovanni
Battista, tanto che nel Catasto Teresiano, redatto nei primi anni
Cinquanta del Settecento, la giurisdizione del villaggio è attribuita
agli eredi di Giovanni Filippo e non a Giovanni Battista, mentre i
beni risultano essere in parte di proprietà di quest’ultimo e in parte
dei primi. Il palazzo dominicale viene descritto come inabitato, di
proprietà per metà degli eredi di Giovanni Filippo e per metà di
Giovanni Battista II 15 . Il Catasto Teresiano ancora una volta nomina
un solo palazzo di Sagrado, identificabile con Castelvecchio, e non
fa alcun cenno ad altri palazzi o edifici di rilievo. Del fatto che in
cima al monte, all’interno delle mura, non esistesse ancora alcun
edificio, è prova anche un acquerello del 1763, allegato ad una
relazione inviata da Giovanni Battista al Capitanato di Gorizia in
risposta al provvedimento che impediva ai proprietari di tagliare
per proprio uso gli alberi di rovere 16 . L’acquerello, sebbene di fattura
molto elementare, fornisce una rappresentazione del Parco di
Sagrado, osia Boscheto di daini rinchiuso di muro parte arrativo,
prativo e boschivo scolgioso e con cespugli di campi 54 secondo la
misura della ratificazione, formato da alquanti rovori giovani, e
vecchi da brugiare. È riconoscibile il muro irregolare che richiama
Il bosco di Sagrado nel
1763 (ASPGO, Atti degli
Stati provinciali, b. 492).
17
Ferdinando Giuseppe
de Flammio, Mappa
delle due Unite
Principate Contee di
Gorizia e di Gradisca
e suoi confini come
segue..., carta a
mano del 1760 circa
(Biblioteca Statale
di Gorizia, Carte
geografiche Mz 8,
n.inventario: 186.744).
la funzione della cortina difensiva della mappa veneziana del 1641.
Intorno alla metà del XVIII secolo Castelvecchio doveva essere
ancora in buone condizioni. Una carta del 1760, che rappresenta le
Unite Principate Contee di Gorizia e Gradisca, lo segnala accanto
alla Roggia del molino indicandolo con il simbolo arces (palazzi),
contrapposto in legenda al simbolo areces dirutae (palazzi
diroccati) 17 .
Negli anni Settanta del Settecento, i beni della linea di Francesco
Ulderico, a cui appartenevano i discendenti di Giovanni Filippo
II, e i beni della linea di Raimondo Bonifacio, a cui appartenevano
Giuseppe I e Giovanni Battista II, confluirono in larga parte nel
44 Castelvecchio e Castelnuovo tra documenti e tradizione CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
45
A fronte
Catasto Giuseppino,
mappa 186 (tratta da V.
Rajsp e D. Trpin).
18
Catasto Giuseppino,
mappa 186 (cfr. V.
Rajsp e D. Trpin).
19
ASGO, Catasto
Giuseppino, b. 198,
Registri particellari,
particella n. 72. Nel
1785 Giuseppe II
ordinò la revisione dei
catasti, imponendo
nuovi sistemi di
accertamento e di
esazione dell’imposta
fondiaria. Nelle contee
di Gorizia e di Gradisca,
dov’era in vigore il
sistema prescritto nel
1751 da Maria Teresa, i
nuovi elaborati, affidati
alla direzione di Carlo
Morelli, furono condotti
a termine nel 1789.
20
Ibidem, particella n. 19.
patrimonio del figlio di quest’ultimo, il conte Raimondo IX Della
Torre. È sotto l’amministrazione di Raimondo IX che le cose
iniziarono a cambiare radicalmente. La mappa 186 del rilievo che
l’imperatore Giuseppe II fece eseguire a scopo militare tra il 1763
e il 1787 ci regala un primo assaggio dei cambiamenti in atto 18 . A
Sagrado è segnalato un castello, Schloss, chiaramente identificabile
con Castelvecchio, costruito solidamente in pietra come pure gli
edifici pertinenti; è localizzato ai piedi del colle, affacciato sulla
Roggia del Mulino, al centro di un’area quadrangolare delimitata
da mura. Lungo le mura sono raffigurati tre edifici di grande
dimensione ed uno minore. Dietro al castello si estende il Thier
Garten, letteralmente “giardino con animali”, ovvero la riserva
di caccia recintata e lasciata a bosco identificabile con il Bosco
di Sagrado rappresentato nell’acquerello del 1763. Ecco che però,
in cima al colle, all’interno dell’area Thier Garden, è rilevato un
significativo fabbricato a pianta rettangolare. La prima fase della
villa di Castelnuovo? L’ipotesi sembra molto verosimile, tanto
che nei registri particellari del catasto Giuseppino (1785 – 1790) 19
si legge al n. 72: «Bosco, confinante a Levante con il Prato dietro
al bosco al seguente 73, a Mezzodì con la Valle al n. 79, a Ponente
con li Campi della valle n. 82 e a Tramontana con la Strada Reggia
di Doberdò. Al fine di sudetto Bosco verso Tramontana esiste la
Palazina del medesimo [Conte Raimondo], ed uscendo fuori del
portone del cortivo di detto si trova il seguente Prato dietro il
Bosco». Possiamo dunque affermare che è a Raimondo IX Della
Torre che va il merito di aver fatto edificare quello che la tradizione
ha chiamato Castelnuovo. Castelvecchio, indicato nei registri
particellari come Palazzo (n.19) appartenente al conte Raimondo,
fu solo per alcuni anni contemporaneo a Castelnuovo 20 . Le note
contrattuali redatte dal conte dimostrano che già nel 1781 era in
atto lo smantellamento dell’antico edificio: «Oggi feci contratto
46 Castelvecchio e Castelnuovo tra documenti e tradizione
A fronte
Mappa censuaria 2816
del catasto di Sagrado
(ASGO, Catasti XIX e XX
secolo, Sagrado, senza
data).
21
AST, Fondo Della
Torre Tasso, b. 153.1.
22
ASGO, Catasti secoli
XIX e XX, Sagrado,
mappa 2810.
23
ASGO, Catasti XIX e
XX secolo, Sagrado,
mappa 2816, senza
data.
col Torroj per disfare la torre della casa vecchia di Sagrado»;
«Il di 11 Febbraio 1788 Zuane e Francesco Visintini di Polazzo e
compagnia di andrea Zimolo si obbligano di condurre li sassi
grezzi per fabbrica del palazzo vecchio di Sagrado nel così detto
Broilo lungo il muro da farsi di chiusura della nova vigna [...] il di
17 detto li tre qui sopra notati fecero accordo di scavare li sassi che
sono nelli materiali del vecchio mio palazzo [...]» e ancora «Il di 29
ottobre 1788 fu fatto accordo col Perco e Titta Furlan per condurre li
materiali del palazzo vecchio ove gli fu mostrata la linea per serrare
la vigna e riparare con quelli lo stradone dalla roja e il portone
[...] Il di 21 novembre colli stessi per condurre come sopra tutto il
rimanente del materiale e nettare affatto il cortile sino alle mura
dell’attuale granaro e cantina a volta da terminarsi detto lavoro per
tutto Gennaro 1789» 21 .
Nel 1818 del castello costruito solidamente in pietra non rimane
che la memoria nel toponimo Castel vecchio 22 ; la mappa del catasto
pertinente a qell’anno rileva a valle l’antico slargo quadrangolare
delimitato da edifici rustici al centro del quale però non compare
più alcun edificio. Pochi anni più tardi, la mappa censuaria 2816
del catasto di Sagrado segnala al posto di Castelvecchio la rotonda
dello stradone che attraverso il bosco portava alla villa edificata in
cima al colle 23 .
Inizia la storia di Castelnuovo.
CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO 49
Castelvecchio nella cronaca delle monache di San Cipriano (1702) Castelvecchio nella ventilazione di Giuseppe I Della Torre (1775)
Cronaca del 1702 tratta dalla
Vera relatione di quanto
seguì alle nostre monache
di San Cipriano al tempo
della bombardatione fatta
dalli Francesi in questa città
di Trieste (Archivio della
Fondazione Scaramangà di
Trieste, A52-n.2260).
[…] Arivate al Palazo di
Sagrado; concorse a favorirci
anco Sua eccellenza il Signor
Conte Raimondo Della Torre
affezionatissimo fratello
della Reverenda Madre
Abbadessa concedendo alla
detta ogni libertà di servirsi
del suo appartamento in detto
palazzo; si che in quello si
fece dimora lo spazio di mesi
tre; ma essendo luoccho molto
delizioso per esser situato
il palazo in un spacioso
ameno et verdeggiante
pratto che riusciva di
solievo alle monache
che sempre desiderose
di far ritorno al proprio
monastero ne havevano
qualche divertimento. La
Reverendissima Madre
Abbadessa poi con singolar
prudenza dispose et ordinò
le stanze tante monache
per ciascuna e che ognuna
esercitasse l’offizio suo
nella maniera che vi fu
posibile. […] Permise anco
la Reverendissima Madre
Abbadessa alle monache
libertà di estendersi in tutti li
spazi che erano nel recinto di
muraglie dove sono il boscho,
horto e campi, che servì per
loro solievo et ricreazione,
non uscendo punto da quello.
Le assistì il Molto reverendo
Signor Capellanno alcuni
giorni celebrando la Santa
Messa nella Capella dove
intervenivano le monache
per udirla […] Sapendosi
in quelle vicinanze la
dimora delle Monache in
Sagrado si portarono molti
cavalieri e donne parenti
della reverendissima Madre
abbadessa e suoi nipotti e
pronippoti a visitarla con
segni di singolar affetto verso
lei e di tutte le monache […].
I contenziosi per la proprietà
di Sagrado videro anche la
partecipazione di Giuseppe
I Della Torre, cui nel 1775
risultava appartenere un quarto
del palazzo di Sagrado, ovvero
Castelvecchio. Egli morì in
età molto avanzata proprio
a Sagrado il 18 ottobre 1775.
Lasciò erede universale il nipote
Franco, ma, come si deduce
dalla ventilazione di morte,
il fratello Giovanni Battista
avanzò il diritto di proprietà
sui beni mobili presenti nel
palazzo. La ventilazione di
morte di Giuseppe I, in cui
come di prassi furono registrate
le informazioni sul defunto,
sui suoi beni, sul numero degli
eredi e sui creditori, ci offre così
la possibilità di immaginare,
almeno in parte, com’era
disposto e arredato il palazzo.
Questo l’elenco dei beni su cui
Giovanni Battista intendeva
vantare diritti di proprietà.
In mobili
1 specchio con vernize d’orata
2 tavolini di pez coperti di tella
vecchia
6 faborè fodrati di Sarda rossa
spinata di lana
1 specchio con vernize d’orata
1 specchio con vernize d’orata
2 tavolini uno di rovoro, l’altro di pez
1 canapè, 6 sedie, 4 faborè coperti di
lana
1 secchio per acqua Santa rotto
1 specchio
1 specchio con cornice d’orata
Nella Salletta e Salla Grande
16 lumiere con cornice d’orata
4 canapè d’albedo coloriti
1 tavola d’albedo
1 cadregha vecchia fodrata di pelle
3 cadreghe di nogaro
3 cadreghe di peraro
3 cadreghe fodrate di bulgaro vecchie
10 cadreghe d’appoggio vecchie
fodrate di pelle colorita
Nella Salla a piè piano
3 tavolini di nogaro
6 cadreghe vecchie coperte di pelle
3 cadreghini vecchi coperti ut supra
1 cadregone d’appoggio coperto di
pelle vecchio
1 armaro d’albedo colorito con due
portelle
spalliere
1 specchio con suaza d’orata
1 scrigno a rimesso
1 armaro d’albedo colorito
1 canapè coperto di pelle
4 cadreghe coperte di pelle
2 gallarie
2 armari d’albedo coloriti con 4
cassettini cadauno
1 baulo coperto di pelle
2 casse d’albedo
1 specchietto con suaza negra d’orata
1 scanzia d’albedo e scrittoio con 4
cassettini
1 canochiale
1 tavolino d’albedo vecchio
1 cadrega vecchia di nogaro
1 armaro d’albedo
Sotto il portico vicino la cucina a pie
piano
2 cassone d’albedo
1 portantina vecchia rotta
1 cadrega fodrata di pelle
In pitture
Nella camera a pie piano
17 quadri di varia sorte
15 quadri rapresentanti diverse figure
11 quadri rapresentanti diverse figure
11 quadri rapresentanti diverse figure
12 quadri di pittura rapresentanti
diverse figure
11 quadri di pittura rapresentanti
diverse figure
Nella Saletta e Salla grande
4 quadri di diverse pitture
50 51
A fronte
Dettaglio di pagina 18
dell’Inventario della
facoltà relitta dal conte
Giuseppe Della Torre
(ASGO, Tribunale Civico
di Gorizia, b. 113 f.289
st366, anno 1775).
20 quadri rapresentanti diverse
famiglie
In letti
Nella camera a pie piano
2 letti di lana vecchi con sopra
coperta di raso giallo frusto, testiera
con il sopra cielo con baldacchino
2 letti forniti con sopra ciello di raso
cremise vecchio
1 letto fornito coperto di tella
stampata
2 stramazzi con due materazzi, 2
capezzali vecchi, 4 cavalletti con sue
tavole
5 coltre ordenarie imbotite
2 coltre di setta
1 coltre di bombaggio
3 coltre imbotite di setta, nuove
3 coltre vecchie imbotite di setta
2 coltre di bombaggio imbotite,
vecchie
5 coltre ordinarie coperte di tella
stampata
7 sfilzate vecchie fruste
3 schiavine vecchie fruste
2 sopracoperte di setta, una rossa
e l’altra gialla, vecchie con fodra di
tella
4 coperte di lana e bavella di diversi
colori
In maiolica
27 tondi
15 piatti
3 tenfi
3 sotto cope
1 scodella
2 tondi per le confetture
In biancheria
25 camicie di tella fina
5 camicie di tella ordinaria fruste
1 paro lenzioli di 3 telli, di tella
cragniza ordinaria
1 paro lenzioli di 3 telli vecchi
1 paro lenzioli di 2 ½ telli di canope
3 para linzioli ordinari di 2 telli
17 para linzioli vecchi
11 dozene di tovaglioli vecchi
12 mantili vecchi di doppio
6 tavaglie vecchie di doppio
4 [?] vecchie
In rame
1 caldera
1 ramina
1 pignata
1 scaldalletto
In stagno
6 piatelli picoli
24 tondi
Nella cappella
1 calice con pattera d’argento
3 paramenti di setta
2 quadri vecchi
2 candellieri d’ottone
1 crocefisso di mett[?]
6 fiori postici
1 baldachino rosso di setta
1 presepio in casseta di nogaro
1 lampada d’ottone
2 banchi d’albedo vecchi
1 campanella di bronzo
2 armaretti d’albedo coloriti
2 missali
1 sechieto di stagno per acqua santa
1 camice e s. facioletti
1 mantile d’altare
2 cussini di ricamo di lana vecchi
1 cusino di setta giallo vecchio
53
Uno scrigno
di storia e storie
A fronte
Una delle decorazioni
in stucco presenti nelle
sale della villa.
Le pareti di Castelnuovo sono uno scrigno che custodisce
silenziosamente tante storie, a cominciare da quelle di chi nel corso
del tempo l’ha costruita, abitata e il più delle volte profondamente
amata. È per questo motivo che la storia della villa tra Settecento
e Ottocento segue le fila delle vite del conte Raimondo IX Della
Torre, del figlio Giovanni Battista III e della nuora Polissena
Brigido, della nipote Teresa e della figlia di quest’ultima, la
pronipote di Raimondo principessa Marie Hohenlohe. Attorno ai
discendenti dei Della Torre orbitarono uomini politici di spicco,
nobili e artisti noti, come ad esempio i pittori Matteo Furlanetto
e Giuseppe Lorenzo Gatteri o il celebre compositore Franz Liszt,
insieme a personaggi che la storia “ufficiale” abbandonò ben presto
nel limbo del tempo.
All’interno dei numerosi fondi archivistici consultati sono state
rinvenute solo rare testimonianze iconografiche relative alla villa e
al parco; è stato però possibile ricostruirne le vicende storiche
attraverso documenti di altra natura, quali ad esempio protocolli di
corrispondenza, note contrattuali, rendiconti giornalieri e diari, fino
ad arrivare ai componimenti poetici. Il capitolo è dedicato alla
CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO 55
1
Il passo fa riferimento
a Ranieri Giuseppe
d’Asburgo Lorena.
2
AST, Fondo Della
Torre e Tasso, Orazione
funebre in lode del conte
Raimondo Della Torre
del fu Giovan Battista,
1817, b. 150.1.3.
3
è pervenuto solo il
cognome dell’architetto,
citato insieme al
capomastro nel Libro
Confessore e nel
Manuale. Galletti
compare anche nel
documento In scritture,
registri ed altre carte
della famiglia compreso
nella Ventilazione di
morte di Raimondo
IX: «Conto Galletti
del 1802 della nova
fabrica e scuderia di
Sagrado» (cfr. scheda
Fonti documentarie per
lo studio della storia di
Castelnuovo).
storia architettonica della villa e alla vita che in essa si svolgeva,
mentre, vista l’importanza e la complessità dei temi, alla storia
degli affreschi del salone del primo piano, del parco e della tenuta
agricola sono riservate apposite sezioni.
Ma riallacciamo il racconto alla fine degli anni Settanta del
Settecento, quando i lavori per il nuovo assetto paesistico del colle
di Sagrado erano appena iniziati e procedevano a pieno regime
sotto la vigile sovrintendenza di Raimondo IX.
L’opera di costruzione ebbe inizio in un modo del tutto singolare
che rimase indubbiamente impresso nella memoria dei
contemporanei, tanto da essere citato nell’orazione in morte del
conte ben quarant’anni dopo. La calcarea cima del monte fu
“dissodata” a suon di cannonate: «Quanta polvere di canone,
quante braccia, quanti martelli, quante stanghe di ferro, quante
zappe non furono impiegate nello smantellare per dir così il
calcareo monte, onde rendere quei macigni altrettanti fondi ameni
insieme e fecondi. Egli parlando ultimamente col principe Raniero 1 ,
il quale viaggiando per queste strade postali si fermò da lui per
vedere quelle fabbriche alpine ebbe con tutta ragione a dire il conte
che se altri prendonsi a diletto di consumare la polvere sui campi di
battaglia, egli se lo prendeva nel consumarla a domar questi monti
a vantaggio della umanità, per far guerra come dissi all’ozio e ai
vizi» 2 . Queste parole rendono bene l’atmosfera di fervore edilizio e
agricolo che si doveva respirare a Sagrado in quegl’anni e danno
anche un’idea di quello che doveva essere il temperamento di
Raimondo, di certo pratico e ironico.
Com’era comune all’epoca, la paternità del progetto va
probabilmente attribuita al conte stesso, coadiuvato dall’architetto
Galletti e dal capomastro Giuseppe Crisati, che compaiono insieme
alle numerose maestranze locali nelle note di pagamento
accuratamente compilate da Raimondo 3 . Sebbene egli vantasse nel
In alto
Veduta del castello di
Duino (fotografia di Neva
Gasparo).
In basso
Facciata della villa
Studeniz di Gorizia.
4
La tomba della famiglia
Della Torre era un tempo
inserita nella cappella
lauretana fatta costruire
da Raimondo IX nella
chiesa di San Nicolò in
sostituzione di quella
demolita a San Giovanni
di Duino. Sopra la
porta della cappella
mortuaria compariva
l’iscrizione CONSTRVXIT
SVPPLEX RAIMVNDVS
TVRRIANVS GLORIOSAE
VIRGINI LAVRETANAE.
suo patrimonio prestigiose residenze signorili degne del casato
torriano (basti pensare al castello di Duino, alla villa di Sistiana,
alla villa Studeniz di Gorizia, al castello di Vipulzano, al palazzo
Torriani di Gradisca e al palazzo di San Giovanni di Duino) tra tutte
elesse a sua dimora prediletta Castelnuovo. A Castelnuovo dedicò
risorse e passione, a Castelnuovo trascorse gli ultimi anni della sua
vita, nella chiesa di San Nicolò di Sagrado volle essere sepolto
insieme alla moglie Valburga 4 . Egli non si limitò a far costruire in
cima allo sperone carsico una dimora alternativa all’antico palazzo
dominicale che si trovava a valle, Castelvecchio; ispirandosi
all’antica cultura delle ville venete volle che il nuovo edificio fosse
circondato da un rigoglioso giardino e da una moderna tenuta
agricola.
L’opera di costruzione della villa, dei grandi edifici ad uso
rustico, dei casini e tempietti disseminati all’interno del parco subì
arresti e riprese dovuti alle lunghe assenze del conte, influente
uomo di stato fedele agli Asburgo a cui furono affidati delicati
impegni politici e diplomatici. Va considerato anche che gli anni
a cavallo tra Settecento e Ottocento furono politicamente instabili
e tumultuosi; nel 1797 si assistette alla caduta della Repubblica
di Venezia e lo stesso Raimondo dovette più volte sottrarsi alle
successive incursioni francesi che misero a sacco le proprietà di
Duino, Sistiana e Sagrado finché nel 1813 gli Asburgo recuperarono
le Provincie Illiriche.
Una delle numerose note appuntate sul Libro Confessore, diario
contabile puntualmente aggiornato da Raimondo IX, ci dà un
indizio riguardo l’andamento dei lavori, recitando in modo secco e
contrariato: «16 settembre 1780. Sono stato a Sagrado a vedere la
mia fabbrica, ma non ritrovai né il Fattore né Capomistro».
Certamente Raimondo, tanto ironico e generoso quanto
intransigente e autoritario, redarguì bene i due assenti e fece in
56 Uno scrigno di storia e storie CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
57
A fronte
Dettaglio della mappa
censuaria del 1818
(ASGO, Catasti secoli
XIX-XX, Sagrado, mappa
2818).
5
ASGO, Catasti secoli
XIX-XX, Sagrado, mappa
2818, anno 1818.
modo che i lavori riprendessero in modo spedito, tanto che un’altra
nota del Confessore datata 11 marzo 1782 comunica: «Venni a
pernottare p[er] la prima volta nel mio nevo Casino di Sagrado».
Nel 1782, dunque, la nuova dimora fu inaugurata dal conte. La nota
ci dà anche un’indicazione sul tipo di fabbricato, poiché in passato
con la parola casino si alludeva a una signorile casa di campagna e,
in particolare, all’edificio che nelle ville principesche serviva da
residenza padronale.
La più antica rappresentazione di Castelnuovo fino ad oggi
reperita e datata risale al 1818; si tratta della mappa censuaria 2818
del catasto di Sagrado 5 , in cui compare al centro della tenuta una
grande costruzione con insolita pianta ad H, inscrivibile in un
quadrato, censita nei relativi elaborati come casa di villeggiatura
con cortile, rimessa e stalla per dodici cavalli.
Le facciate dei due bracci paralleli erano orientate una verso
nord - ovest e una verso sud - est; è possibile ipotizzare che la
planimetria davvero singolare sia stata progettata per dominare
l’intera tenuta, spaziando all’orizzonte dalle Alpi all’Adriatico. Il
braccio nordoccidentale si affacciava sull’esteso parco che, a partire
dal cortile d’onore, degradava sino a valle; l’altro braccio si apriva
verso l’ampia tenuta agricola perfettamente organizzata in cima al
colle e attraversata dalla strada che collegava Sagrado con Doberdò
e San Giovanni di Duino. L’abate e storico Rodolfo Pichler, che
soggiornò a Castelnuovo nella seconda metà dell’Ottocento, ben
descrisse il paesaggio che si godeva dalle terrazze della villa: «Il
bel fiume che lambe il piede di quella collina e s’affatica indefesso
intorno ai mulini della signoria; il mare al meriggio che ancora una
volta da lontano saluta i signori di Duino e Sagrado; le carniche
Alpi biancheggianti, a settentrione, che si confondono colle nubi,
e finalmente l’immensa veneta pianura che si stende dinanzi colle
58 Uno scrigno di storia e storie
La facciata della villa
nell’acquerello dei primi
dell’Ottocento (AST,
Fondo Della Torre Tasso,
b. 241.2, cm 24 x 38,
s.d.).
sue mille torri e villaggi e città, offrono certamente all’occhio di
chi si affaccia ai veroni del castello di Sagrado un quadro dei più
pittoreschi.» 6
Raimondo scelse per la sua dimora prediletta uno stile sobrio
ed elegante, coerente con le linee neoclassiche in voga all’epoca.
In un acquerello ottocentesco conservato nel Fondo Della Torre
Tasso 7 è rappresentata la facciata principale della villa, ovvero
6
R. PICHLER 1882, p.36.
7
AST, Fondo Della Torre
Tasso, b. 241.2, Prospetto
del palazzo di Sagrado,
disegno a penna e
acquerello, cm 24 x 38, s.
d. (inizi sec. XIX).
quella nordoccidentale, molto simile al prospetto che ancora oggi
si presenta ai nostri occhi.
La facciata è divisa in tre corpi: un risalto centrale e due volumi
laterali simmetrici più bassi. Il risalto centrale, articolato in tre
piani e coronato da un frontone triangolare, è caratterizzato da un
portico colonnato poggiante sulla breve scalinata affiancata da due
rampe. Le quattro colonne di ordine dorico inquadrano tre portoni
d’accesso a tutto sesto e reggono la balconata su cui si affacciano
le grandi porte finestre del primo piano, anche’esse a tutto sesto,
a differenza delle tre dell’ultimo piano. Le porte finestre del primo
e del secondo piano, inquadrate da cornici, cadono sui medesimi
assi, gli stessi dei portoni d’accesso, e sono separate da lesene. Agli
angoli del frontone sono posti acroteri decorativi; al centro del
triangolo compare un’apertura circolare che nell’Ottocento doveva
essere sormontata dallo stemma del casato torriano, presente anche
nella chiave di volta del portone d’accesso centrale.
I volumi laterali, articolati in due piani poggianti su un
basamento, sono suddivisi orizzontalmente da una cornice
marcapiano e verticalmente da lesene; presentano ciascuno due
assi di finestre con cornice dotata di semplice cimasa, rettangolari
al piano terra e a tutto sesto al primo piano.
Del braccio sudorientale, completamente distrutto dai
bombardamenti della Grande Guerra, non è rimasta che un’unica
parziale rappresentazione novecentesca in un dipinto realizzato
da Spartaco Muratti, proprietario della villa tra il 1904 e il 1920;
dall’opera si deduce che il corpo era articolato in tre piani, con
un’altezza pari al risalto centrale dell’altro braccio. Il braccio di
connessione si sviluppava, come ai nostri gironi, su due piani.
Sullo sfondo dell’acquerello ottocentesco si intravede il prospetto
della barchessa, edificio rustico andato completamente distrutto
insieme al braccio sudorientale.
60 Uno scrigno di storia e storie CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
61
8
ASGO, Ventilazione di
Raimondo IX, Inventario
della facoltà relitta dal
deffonto conte Raimondo
Thurn Hoffer e Valsasina,
10 luglio 1817.
Qualche informazione in più sullo sviluppo planimetrico
della villa e sulla destinazione d’uso delle stanze si può dedurre
dall’inventario dei beni di Sagrado del 1817, redatto subito dopo
la morte di Raimondo IX 8 . Sembra che la lista elenchi le stanze
partendo dal piano terra del braccio nordoccidentale. Guardando la
facciata, nel settore di sinistra dovevano dunque trovarsi la galleria
verso settentrione e la camera annesa alla galleria, nel risalto
centrale la salla terrena a cui si accedeva dai tre portali d’ingresso;
nel settore di destra la galleria a ponente, la camera annesa
alla galleria, la camera della donna di chiave e la camera della
cuoca. Al piano superiore dello stesso braccio dovevano trovarsi
l’appartamento della contessa Valburga e l’appartamento del conte;
più precisamente nel settore di sinistra si trovavano la camera
della conversazione della defunta contessa, la camera di dormire
della contessa e l’anticamera della contessa; nel corpo centrale,
con affaccio sulla terrazza, si trovava la camera denominata picola
salla, mentre nel settore di destra si sviluppavano l’appartamento
vecchio di sua eccellenza, la seconda camera di sua eccellenza, la
camera di dormire, la quarta camera del servitore, il belvedere e la
camera dei frutti attaco al belvedere. L’elenco passa poi alla gran
salla, cioè il salone al primo piano che corre lungo tutto il braccio
mediano, le cui pareti furono affrescate da Matteo Furlanetto nel
1802 insieme alle camere della contessa e alla cappella; il salone
era in comunicazione con l’andito della salla grande. Al primo
piano del braccio sudorientale si trovavano la camera prima
avente le scalle in primo piano, la camera dell’Imperator, il tinello,
il gabinetto, la camera denominata di sua eccellenza, l’annessa
camera e la camera della biancheria. Al secondo piano si trovavano
la camera presso le scale in secondo piano, la camera dei forestieri,
la terza camera del signor abate, la quarta camera della signora
Maria. Al piano terra del braccio con affaccio verso il monte si
9
Italianizzazione del
termine tedesco die
Speise, dispensa.
10
Alcuni esempi tratti
dal Confessore: 25
marzo 1782: la sera
venni a Sagrado al
mio eremitaggio; 6
aprile 1782: mi portai
all’eremitaggio di Sagrado;
12 maggio 1783: venni la
sera al mio Sagrado; 27
giugno 1783: venni la sera
per abitare il mio Sagrado
in compagnia della
Contessa; 15 luglio: venne
la sera qui a Sagrado la
sorella e cognato Brigido
con cui parlai per diversi
affari; 27 luglio 1783: la
sera venni a Sagrado da
Duino con la Contessa;
15 luglio 1783: la mattina
fumo di rientro tutti al mio
Sagrado; 5 agosto 1783:
la sera venni a Sagrado
con mia moglie e Peppo
l’amico.
11
AST, Fondo Torre Tasso,
b.221.1, Quadro dei miei
salariati di Duino, Sagrado
e Gorizia in moneta fina
dal 1 aprile 1810 in poi.
Nel 1790 tra i salariati
di Sagrado figuravano
il cameriere Carlo, i
cacciatori Johannes e
Degrandi, il palafreniere,
il mandriano, il pastore
e la donna di chiave che
però restava a Gorizia
(AST, Fondo Torre Tasso,
Sistema pel anno 1790 o
sia lo stato del fisso attivo
e passivo).
trovavano gli ambienti di servizio, come la cucina, lo spais 9 , il
tinello terreno, la cancelleria, la camera del caciatore, il sotto
portico e la camera dell’uccellatore.
In principio Raimondo IX volle mantenere Castelnuovo come
luogo di eremitaggio, lontano dagli affari politici, ma in breve
la tenuta diventò la sua Sagrado, epicentro degli affari che lo
impegnavano costantemente tra Gorizia e Duino. Iniziarono
a frequentare sempre più spesso Castelnuovo anche la moglie
Valburga, che soggiornava stabilmente a Gorizia, il fratello
Giuseppe II, i figli e gli amici. Ospiti frequenti erano Teresa Della
Torre, sorella di Raimondo, e il marito Pompeo Brigido, governatore
di Trieste 10 . Castelnuovo fu frequentata anche dalla figlia di Teresa
e Pompeo, Polissena, promessa in sposa al figlio prediletto di
Raimondo, il secondogenito Giovanni Battista III.
Anche l’entourage dei servitori era ben nutrito; tra i documenti
di Raimondo IX sono periodicamente annotate le uscite per gli
stipendi del segretario, del servo personale e della relativa famiglia,
del cappellano, della cuoca, della serva di cucina, del giardiniere,
del cacciatore, di due lavoranti in scuderia, dell’ortolano con la
famiglia e del pastore 11 . Quando il conte era assente il complesso
era affidato al fattore, incaricato di tenere un’impeccabile e accurata
contabilità, di sorvegliare la casa padronale e gli edifici rustici
attinenti con tutto ciò che vi era custodito, stando però ben attento
a non atteggiarsi mai a padrone, prerogativa che spettava al solo
Raimondo.
I lavori andarono avanti fino alla morte del conte; egli si impegnò
fino all’ultimo giorno per arredare e abbellire la villa, sistemare il
meraviglioso parco che la circondava e rendere sempre più fiorente
l’annessa tenuta agricola.
62 Uno scrigno di storia e storie CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
63
12
AST, Fondo Della
Torre Tasso, b. 170.2,
Carte d’amministrazione
di Giovanni Battista III.
13
AST, Fondo Della
Torre Tasso, b. 170.2,
Memoria per eseguir
i lavori in stuccho nel
palazzo di sua eccelenza
il conte in Sagrado.
14
M. MALABOTTA, p.
371 – 372; G. CAPRIN,
1892 pp. 292: «Sui
muri di una sala della
residenza dei conti
Torriani a Sagrado c’è
un quadro a tempera,
fatto a nove anni da
Beppino Gatteri, per
ricordare il 18 marzo
1797 quando Bonaparte
affrontò il passaggio
del ponte ed investì le
trincee gradiscane. Il
fanciullo prodigio colse
il momento in cui la
divisione Serreurier
riesce a guadare,
sotto la pioggia della
mitraglia».
Nel 1817 la proprietà di Castelnuovo passò in eredità al figlio
Giovanni Battista III, che secondo la volontà dei genitori aveva
sposato la cugina Polissena Brigido. La coppia, che durante
l’inverno risiedeva a Venezia nella prestigiosa sede di palazzo
Corner per attendere agli impegni di Giovanni Battista, trascorreva
ogni estate a Castelnuovo. Preferirono Castelnuovo anche al
castello di Duino, che consideravano luogo troppo solitario e
troppo esposto alla fredda bora.
Giovanni Battista si impegnò in una serie di interventi di
ampliamento e restauro della villa. È giunto ad esempio fino a noi,
conservato tra le carte d’amministrazione del conte, il progetto
per l’ampliamento del settore destro del braccio nordoccidentale
che volle portato tutto a due piani 12 . Fece rinforzare la travatura
del soffitto del salone al primo piano e fece rifare gli stucchi del
salone, di quattro stanze al primo piano e del salone a piano terra
che aveva trasformato in sala da bigliardo 13 . La stanza da bigliardo
fu decorata con eleganti fregi da Giuseppe Gatteri nell’estate del
1840. In quell’occasione il pittore portò con sé il figlio Giuseppe
Lorenzo; il bambino, enfant prodige noto già all’epoca, si divertì
ad abbozzare sulla parete dell’atrio opposta all’ingresso della villa
due scene di guerra: l’Assalto al castello di Duino e la Divisione
Serreurier guadante l’Isonzo nel 1797. Manlio Malabotta, nel
saggio dedicato alle memorie di Gatteri, riporta anche notizia che
Spartaco Muratti, togliendo la carta da parati in una stanza della
villa contigua all’atrio, rinvenne numerosi schizzi e improvvisazioni
di armati, di cavalli, di teste e figure che «per i caratteristici
aggruppamenti, per il movimento, per l’esecuzione, si rivelavano
senza possibilità di equivoci, di mano di Beppino» 14 . I fregi di
Giuseppe Gatteri subirono probabilmente la stessa sorte degli
affreschi di Matteo Furlanetto, furono cioè coperti da uno strato di
calce durante gli anni della Grande Guerra.
Progetto per
l’ampliamento del
braccio nordoccidentale
della villa (AST, Fondo
Della Torre Tasso, b.
170.2).
64 Uno scrigno di storia e storie CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
65
Alcuni esempi di
decorazioni in stucco
presenti nelle sale della
villa.
Anche alla morte di Giovanni Battista III, avvenuta nel 1848, fu
stilato un elenco dei beni di Sagrado 15 , dal quale si deducono la
disposizione e la destinazione d’uso delle stanze, che erano così
dislocate: a pian terreno, iniziando dal braccio nordoccidentale, si
trovavano la camera del cantone verso rimessa, la camera seconda
dopo cantone, la saletta della entratta nel pallazzo, la camera
alla destra dell’entratta, la camera di cantone verso conserva, la
camera di dietro verso conserva, la camera alla scalla grande, la
camera del bagno, il camerino della rettirata, la camera vicino al
pozzo per servitù. Nel braccio di connessione al piano terra, in
corrispondenza del salone al primo piano denominato salla grande
pranzo, si trovava la sala da bigliardo. Al piano terra del braccio
sudorientale troviamo collocata la cappella intitolata a San Michele
e le stanze dedicate alla servitù e alle faccende domestiche, come
la camera del caciatore, la camera di sopresione, il tinello della
servitù, la cucina grande, un coridojo e un salvaroba. Al primo
piano, nella faciata con altana di terrazza, cioè al primo piano del
braccio nordoccidentale, troviamo la camera da scrivere di sua
eccellenza padrone, la camera seconda, la salla e la camera dopo
la salla, la camera del cantone verso conserva, la camera delle
quattro stagioni, la camera della scalla grande, la camera verde del
cameriere di sua eccellenza padrone, la camera di cantone annessa
a quella alla scalla. Al primo piano nel braccio sudorientale
troviamo la camera di cantone sopra cappella, la camera della
contessina, la camera delle figlie, il tinello da pranzo d’inverno,
la camera della cameriera, la camera da letto di sua eccellenza
contessa padrona, un corridojo; al secondo sono annoverate la
camera di cantone pei foresti (gli ospiti), la camera seconda del
cantone, la camera delle cameriere, la camera del fattore, la camera
della cameriera, un coridojo, la saletta del belvedere, il camerino
annesso al belvedere. Interessante notare come nel novero
15
AST, Fondo Della
Torre Tasso, b.154.1,
Specifica delle mobilie
esistenti nel pallazzo
di Sua Eccellenza
Nobil Signore Giovanni
Battista Conte di Thurn in
Sagrado, 1848.
16
AST, Fondo Della
Torre Tasso, b.176.1,
La festa di compleanno
del papà festeggiata
a Sagrado lunedì 12
ottobre 1829 dai suoi
amati figli.
17
AST, Fondo Moderno
Della Torre Tasso, b.
D1 (diari autografi) e
Memoirs of a Princess.
The reminiscences
of Princess Marie
von Thurn und Taxis
(memorie tradotte dal
francese all’inglese
da Nora Wydenbruck e
pubblicate nel 1959).
delle stanze compaia la dicitura stanza delle quattro stagioni,
probabilmente così appellata perché decorata a tema.
Delle abitudini di Giovanni Battista e Polissena Brigido durante
i soggiorni a Castelnuovo non è rimasto quasi nulla; possiamo
però immaginare che i saloni fossero aperti a ricevimenti,
feste e celebrazioni di anniversari. Un documento del 1829
rende testimonianza di una tenera riunione di famiglia in cui
protagoniste furono le figlie Teresa, Polissena e Raimondina
mentre recitavano i versi di un testo fatto comporre in onore del
padre nel giorno del suo compleanno 16 .
Giovanni Battista III fu l’ultimo discendente della linea torriana
duinate, poiché la figlia Teresa, innamorata del principe Egon
Hohenlohe Waldenburg Schillingsfurst conosciuto a Trieste, non
volle saperne di sposare un Della Torre. Sebbene Giovanni Battista
vedesse di buon grado il matrimonio tra la figlia e il principe, le
resistenze maggiori vennero dalla madre Polissena, donna dal
carattere non facile che a detta della nipote Marie “tormentava
tutti”. Marie riporta notizia che la nonna Polissena, la notte prima
delle nozze tra Teresa e il principe Hohenlohe, ridusse in lacrime la
figlia profetizzando i più terribili disastri matrimoniali.
Forse è proprio per il difficile rapporto con la madre che Teresa
non amò particolarmente Castelnuovo e investì tutte le sue energie
nel restaurare il castello di Duino. Donna colta e raffinata, decise di
vivere tra Venezia e Duino, trascorrendo a Castelnuovo solo alcuni
brevi periodi dell’anno, principalmente in primavera. In queste
occasioni la villa si animava e tornava allo splendore di un tempo.
È Marie Hohenlohe, nei suoi diari di adolescente ripresi nelle
memorie di donna adulta, a narrare dei periodi di villeggiatura
a Castelnuovo negli anni Sessanta e Settanta dell’Ottocento 17 .
Ella rammenta poeticamente la spensieratezza di quei giorni, i
66 Uno scrigno di storia e storie CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
67
18
Liszt fa riferimento
al maestoso castello
fortezza di Krzyzanowitz
in Slesia.
19
P. BIDOLI, 1998.
Liszt and the Birth
of Modern Europe:
Music as a Mirror of
Religious, Political,
Cultural, and Aesthetic
Transformations:
Proceedings of
the International
Conference Held at
the Villa Serbelloni,
Bellagio (Como) 14-18
December 1998.
20
Contratto di
compravendita, 28
giugno 1902, n.o.
d’affari p. 64.98/129.
ricevimenti, i pomeriggi e le cene in compagnia degli illustri ospiti
amici della madre, l’incomparabile profumo del giardino un po’
trascurato e per questo ancora più affascinante, l’odore lieve delle
rose e della polvere che si depositava nelle stanze chiuse tutto
l’anno, la gioia di trascorrere con i fratelli e le sorelle un periodo
di vacanza in libertà. Tra tutti i ricordi della principessa legati a
Sagrado spicca la visita del celebre pianista Franz Liszt, che nel
maggio del 1869, in viaggio da Vienna a Roma, sostò per qualche
giorno a Castelnuovo su invito della contessa Teresa. Riguardo
al soggiorno a Sagrado Liszt scrisse una lettera a Caroline Sayn -
Wittgenstein che così dice: «Sagrado, 6 maggio, mattino. Eccomi
qui, già quasi a Roma! Sagrado è una dimora di piacere, del genere
di Krzyzanowitz 18 , ma meno signorile, senza alcuna pretesa, con
un bellissimo bosco ceduo ed un vasto panorama. La principessa
mi ha riservato l’accoglienza più cortese al mio arrivo, ieri mattina.
Prima di cena, con i suoi due figli siamo andati a Duino, che
voi conoscete grazie a descrizioni migliori delle mie. Abbiamo
impiegato due orette per compiere il tragitto in vettura. C’è chi mi
ha parlato bene e gentilmente di voi, c’è chi l’ha fatto con molto
affetto!» 19 .
Con l’avvicinarsi del nuovo secolo la tenuta di Sagrado, sempre
meno frequentata dai proprietari, passò in eredità a Marie, che nel
frattempo aveva sposato il lontano cugino principe Alexander von
Thurn und Taxis. Marie, che fin da bambina amò profondamente
Castelnuovo, si impegnò nel far fiorire la tenuta agricola, in
particolare per ciò che concerne la produzione vinicola, ma i venti
poco propizi che stavano per sconvolgere l’Europa e il mondo
intero fecero sì che la principessa, il 28 giugno 1902, vendesse
la Fattoria di Sagrado ai signori Giuseppe Naglos e Riccardo
Chiaradia 20 , che acquistarono tutti i beni immobili e realtà,
A destra
Interno di una delle sale
della villa.
Alle pagine seguenti
Veduta del salone al
piano terra.
68 Uno scrigno di storia e storie
21
I fatti relativi alla
Grande Guerra a
Castelnuovo sono
puntualmente descritti
nel saggio di di E. e S.
VITTORI 2010.
case, castello e parco rivendendoli nel 1904 al poeta triestino
irredentista Spartaco Muratti. Alcune fotografie e cartoline d’epoca
che inquadrano la facciata e il giardino della villa a quell’epoca
mostrano come questo fu l’ultimo breve periodo del XX secolo in
cui la villa godette nuovamente di cure e lustro.
Il Novecento non fu affatto generoso con Castelnuovo, a
iniziare dagli anni della Grande Guerra che segnarono un
incolmabile squarcio, non solo materiale. La tenuta venne investita
violentemente dal primo conflitto mondiale 21 . A Castelnuovo toccò
lo stesso cupo destino di diverse dimore storiche del territorio:
da residenza di villeggiatura venne trasformata in postazione di
comando e ospedale militare.
La villa, gli edifici rustici ed il parco con l’antico bosco divennero
una delle sedi del comando della Terza Armata del generale
Cadorna e del Re Vittorio Emanuele III. La tenuta, al riparo
della quota 143, fu adibita a punto di smistamento, ricovero e
ammassamento truppe; da questo nodo del fronte carsico i soldati
italiani provenienti da Sagrado venivano indirizzati verso Bosco
Cappuccio e le trincee. All’interno della villa, dove era stato
allestito un posto di medicazione per gli intrasportabili, è ancora
vivo il segno del passaggio dei soldati, inciso sulle pareti del
salone al piano terra. Nel 2007, durante lavori di manutenzione
della villa, furono scoperti e successivamente censiti ben 204
graffiti lasciati da giovani crudamente coscienti del destino che
sarebbe loro toccato e che desiderarono essere ricordati attraverso
un messaggio, o più semplicemente attraverso il loro nome, il
luogo di provenienza o il battaglione di appartenenza; ragazzi,
che riuscirono a trovare anche parole scherzose per esorcizzare
l’atrocità e la ferocia di quei momenti. Da Castelnuovo passò anche
il soldato Giuseppe Ungaretti che, ispirato dalla nuda terra del
Carso, scrisse i versi toccanti del Porto Sepolto.
Quando il colle fu bombardato andò completamente perduto
l’intero braccio sudorientale della villa e furono danneggiate la
facciata e la copertura del braccio nordoccidentale. La barchessa
fu ridotta in macerie e fu gravemente danneggiata anche la
copertura del tempietto del cortile d’onore. Molti dei piccoli edifici
che adornavano il giardino, alcuni dei quali dovevano versare già
in cattivo stato di conservazione, furono definitivamente distrutti.
Nell’agosto del 1916 il sistema difensivo austroungarico cedette e
la linea di combattimento si spostò al di là del vallone del Carso; la
villa rimase in retrovia per essere abbandonata precipitosamente
dopo la rotta di Caporetto del 1917.
I danni furono di tale entità che nel 1920 Spartaco Muratti
decise di vendere la tenuta, acquistata dalla ditta commerciale
Agliarolo. Dal 1923 al 1937 la proprietà passò alla Banca d’Italia,
per poi essere trasferita a Sebastiano Montuori che vi abitò tra il
1938 e il 1940. Tra il 1940 e il 1970 furono proprietari della tenuta
prima Guerrino Pelliccetti, poi Giuseppe Baldi e infine gli armatori
triestini Martinolich e Tarabocchia. Tra il 1970 e il 1975 Castelnuovo
fu proprietà della famiglia Orlando, tra il 1975 e il 1978 dei conti De
Asarta, tra il ’78 e l’87 di Sarti. Nel 1987 fu acquistata dalla famiglia
Terraneo, attuale proprietaria.
72 Uno scrigno di storia e storie CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
73
A fronte
Veduta aerea della villa immersa nel verde del
parco e della tenuta agricola.
In alto
Veduta aerea della villa. Sul retro si nota la torretta
postbellica che sostituì il braccio sudorientale
distrutto dai bombardamenti della Grande Guerra.
Veduta aerea del parco e della
tenuta con vigne e uliveti.
Fonti documentarie
per lo studio della storia di Castelnuovo
Le fonti documentarie più
preziose per ricostruire le
prime tappe della storia
di Castelnuovo sono
principalmente di natura
amministrativa. Raimondo
IX tenne personalmente
una contabilità quotidiana e
minuziosa. Uno dei precetti
che seguiva e pretendeva
fosse seguito dai fattori era
infatti Quodcumque tradis,
numera et appende; datum
vero ed acceptum omne
describe, ovvero «Qualsiasi
prodotto consegni o vendi,
contalo e pesalo; annota
accuratamente ogni uscita ed
entrata».
Tra le fonti più significative
vanno annoverati il Libro
Confessore (AST, Fondo della
Torre Tasso, Amministrazione
di Duino, b. 247.1. 1-4), il
Manuale (AST, Fondo Della
Torre Tasso, b. 246.1. 1-4), il
Libro della nota del ricevuto e
dato alla mia cassa di Duino
(AST, Fondo Della Torre
Tasso, b. 245.1.6) e il ciclopico
protocollo di corrispondenza
personale del conte in cui tra
migliaia di lettere di natura
personale e amministrativa
figurano anche numerose
note contrattuali (AST, Fondo
della Torre Tasso, protocolli
di corrispondenza e lettere). Il
Libro Confessore è un diario
contabile con note di vita
privata tenuto con costanza
quasi giornaliera da Raimondo
IX; era diviso in otto volumi
di cui sono pervenuti fino
a noi solo quattro, a coprire
il periodo 1777 – 1802.
All’interno del Manuale, che
copre il periodo 1778 - 1817, a
partire dal 1780 compare la
voce Fabbriche, sotto cui sono
brevemente annotate le uscite
sostenute per la costruzione,
la manutenzione e l’arredo
delle tenute del conte. Nel
Libro della Nota del ricevuto e
dato alla mia cassa di Duino
dal 1780 compare la voce per i
lavori di Sagrado.
Altre notizie rilevanti sono
state tratte dalla Ventilazione
di morte di Raimondo Della
Torre (ASGO, Tribunale
Civico di Gorizia, b. 166 f.
357 s.1817-5-9), in particolare
dai fascicoli Inventario della
facoltà relitta dal deffonto
conte Raimondo Thurn Hoffer
e Valsasina e Registri e altre
carte della famiglia), nonché
dall’orazione di morte in onore
di Raimondo IX (AST, Fondo
Della Torre Tasso, b. 150.1.3)
e dalle mappe censuarie
di Sagrado del 1818 – 1836
(ASGO, Catasti secoli XIX -
XX e relativi elaborati).
A fronte
I quattro volumi del Libro Confessore, il
frontespizio dell’inventario dei beni di Sagrado e
una delle numerose lettere.
78 79
Un esempio. Dal Manuale
risulta che Raimondo IX, il
28 settembre 1798, comprò
a Vienna per Sagrado
undici quadri, due lampade
antiche con bronzo dorato
e otto candelabri con vetri.
Dal Confessore, cui spesso
rimanda il Manuale, si evince
qualche particolare in più;
il conte comperò questi
quadri: La creazione dei
animali (1), pezzi fiamenoghi
(2), Flagellazione (1), Maria
Teresa in miniatura (1),
Paisages con cavalli (2),
Fortune di mare (2), Gesù
con San G[iovanni] bambini
(1), Lepri (1). Una postilla
aggiunge: Comprai dal
Hoffgloser sul Graben due
lampade pel mio Sagrado una
alabastrina per f. 42 e l’altra
turchina per f. 26:30.
A sinistra
I quattro volumi del Manuale.
A fronte
Due pagine della contabilità tenuta da Raimondo
IX nel Manuale.
80
Il conte Raimondo IX Della Torre Hofer Valsassina
È difficile sintetizzare in
poche righe la biografia di
Raimondo IX Della Torre Hofer
Valsassina, uno dei più illustri
discendenti del ramo duinate
del casato. Figlio del conte
Giovanni Battista II e della
seconda moglie contessa Cecilia
Strassoldo, nacque a Gorizia nel
1749. Primogenito degli unici
tre figli maschi superstiti della
numerosa prole paterna, ereditò
la signoria di Duino, Sistiana,
Sagrado, Vipulzano, Barbana e i
beni del Friuli.
Iniziò gli studi a Gorizia,
li proseguì all’Università di
Bologna e all’Accademia
Teresiana di Vienna. Viaggiò
in Austria, Baviera, Sassonia,
Prussia, Germania, Italia,
Francia e Inghilterra. Durante
il soggiorno in Baviera presso
lo zio materno fu presentato
alla corte palatina e conobbe la
damigella d’onore baronessa
Valburga Gumppemberg di
Pötmes che divenne la prima
moglie. Intimo consigliere
dell’imperatore, ciambellano
della Chiave d’oro e cavaliere
del Leon bianco, Raimondo
fu influente uomo di stato
fedelissimo alla casa d’Austria.
Nel 1791 fu designato capitano
supremo della Contea di
Gorizia; fu incaricato di
accompagnare il comandante
supremo del corpo di
spedizione avviato in Italia in
qualità di commissario generale
dell’esercito e di ad latus per gli
affari civili, venne poi chiamato
a prendere provvedimenti per
la sicurezza del litorale e per la
difesa della linea dell’Isonzo.
L’imperatore Francesco scelse
Raimondo per ricoprire la carica
di commissario imperiale in
Istria al fine di rendere ben
accetto il nuovo governo
austriaco; riuscendo molto bene
nel compito, nel 1797 Raimondo
partì con lo stesso incarico
alla volta della Dalmazia. Nel
1799 gli fu offerto il governo
di Trieste che rifiutò pregando
l’imperatore di poter tornare
alla vita privata per motivi di
cattiva salute, in particolare
per l’infermità contratta ad un
occhio. Nel 1801 l’imperatore
accondiscese al desiderio del
conte.
Fu personaggio di spicco
anche nella vita culturale del
Goriziano e dell’Altoadriatico.
Come ricorda Rodolfo Pichler
Raimondo recitava quasi
per gioco centinaia di versi
in tutte le lingue, squarci di
prosa, sentenze ed epigrammi.
Si trovò tra le dispute delle
Accademie e tra gli spettacoli
dei più rinomati teatri; fu ad
esempio uno dei fondatori
dell’Accademia degli Arcadi
romano sonziaci di Gorizia.
Rimasto vedovo nel 1812 si
risposò con Teresa Pollak nel
1813. Morì nel 1817.
A fronte
Dettaglio del ritratto di Raimondo IX Della Torre
Hofer Valsassina (1794 circa). Proprietà della
Biblioteca Civica “Attilio Hortis” di Trieste, su
gentile concessione.
83
Memorie per il Fattore di Sagrado
da restargli ben impresse nella memoria!
Dai servitori Raimondo IX
pretendeva puntualità, onore
e religione; ad alcuni di loro
si affezionò molto, tanto da
mantenerli in vecchiaia e
ricordarli nel testamento.
All’interno del Fondo Della
Torre Tasso, tra le carte
contabili e amministrative
del conte, è conservato il
documento Memorie per il
Fattore di Sagrado da restargli
ben impresse nella memoria
e da porle in opera ogni qual
volta gli prema d’ubbidire
agl’ordini del Padrone e
restare al di Lui Servizio! (AST,
b. 251.3); ecco le dodici incisive
note redatte da Raimondo
nel 1782, anno in cui iniziò
ad abitare saltuariamente
Castelnuovo.
1mo
Non lasciarsi dare due volte o
più lo stesso ordine ma subito
eseguirlo, essendo di natura
a farsi subito e non potendo
eseguirsi subito lo dovrà notare in
scritto per eseguirlo quando sarà
il suo tempo.
2do
Ricordarsi delle opposizioni
fattegli nelli [?] sopra i Giornali e
soprattutto di quelli dello scorso
Settembre per non cadere di
nuovo nelli stessi errori.
3zo
Non arbitrare di spendere più di
£:5: senza espressa mia licenza in
scritto, ed assegno, e qualunque
spesa oltrepassi detta somma
dovrà provarla con la originale
quietanza, altrimenti non li verrà
passata.
4to
Ogni mese dovrà produrre in
Giornale li conti e polize di quello
si avesse comprato annessa
alla mia licenza di poter fare
detta spesa, giacché da un mese
all’altro non li verrà passata
alcuna spesa o poliza.
5to
Così pure ne’ lavori, ne’ opera
osarà pigliare né intraprendere
senza mia precisa licenza. Non
permettendogli per ora di far
lavorare altro che il Profetta ed il
Boschin invece del Marega.
6to
Non oserà appropriarsi la
menoma delle mie cose o oggetti
senza la mia licenza e tanto meno
fare comunella colle cose che mi
appartengono.
7mo
Così pure non oserà fare veruna
novità ne darsi certe licenze che
abbino aria di Padrone, il quale
voglio essere solo io sinoché così
mi piacerà.
8vo
Se gli passa un onesto bisogno
di legna per un solo camino però,
dovendo anche questo egli a sue
spese farle tagliare e portare dove
li occorrono. Perciò le legna per
me tagliate e per me destinate
dovranno da lui essere custodite
come se fossero denaro.
9no
Se gli permette di brucciare
alcune trappe (come mi [?]) ma
con due condizioni: 1° che questo
non abbia da brucciare della
mia legna, cioè di quelle che li
passo per suo bisogno ma che se
la deva comprare. 2° che questo
non abbia d’apportare menomo
danno né perdita di tempo per
le mie faccende, cioè che per
assister il proprio interesse non
abbia negliger i miei affari ed il
suo dovere.
10mo
Dovrà tenere tutto serrato sotto
chiave, tanto cantine, folladore,
magazeni che le scuderie e
rimessa quando io non sono non
dando a chi che sia la chiave
acciò non venghi rubato il fieno
ne altra roba che si lascia in
stalla, per ritrovare il tutto pronto
ad ogni mio arivo. Così pure non
lasciarà sotto verun pretesto
andare chi che sia a dormire
in stalla o sul fienile, giacché
contrafacendo a questo mio
ordine ne sarà egli responsabile.
Così pure della casa ove egli
abbita voglio siano serrate tutte
le porte eccetto quella sola della
Salla grande.
11mo
Dovrà essere più diligente nelle
scossioni e studiare i libri che se
gli danno per esemplare, volendo
che cominci ad applicarsi e
mostri cogli fatti la premura di
fare il suo dovere.
12mo
Si raccomanda la nitidezza
ed esattezza ne’ suoi registri, i
quali deve sempre averli a mano
senza tenere altre sue donnesche
note, volendo che faccia solo uso
de libri prescrittigli, ed avendo
la menoma difficoltà dimandi
come debba contenersi, che li
verrà insegnato, non soffrendo
certamente che alla fine dell’anno
abbia da porre all’ordine i conti
dell’entrata, col ricavarla da
confusi e puerili fogli, ma voglio
che ogni, e tutto l’introito, ed
esito abbia di volta in volta a
registrarsi nel Libro Fattoria: così
si intenda del Giornale e del Libro
conti colonici.
Questi dodici punti li
serviranno d’avviso annessa
alla raccomandazione di stare
a casa a vegliare agl’interessi e
vantaggio del Padrone, e sopra
tutto facendo frequenti visite alle
Terre de colloni per obbligarli
a ben lavorarle assistendo alle
seminazioni del primo grano,
all’accomodar delle vite ed al
darli la terra, non meno che alla
piantagione de novi rasoli, ciò
tutto in una parola quando li
prema d’incontrare e meritare il
genio e servizio del Padrone.
Sagrado 16 Ottobre 1782
84 85
L’ultima lettera di Raimondo IX
Raimondo IX allegò al
testamento una lettera riservata
esclusivamente al figlio
Giovanni Battista (AST, Fondo
Della Torre Tasso, b. 154.1 e b.
170.2).
La lettera, oltre al toccante
ultimo addio al figlio, svela un
inedito particolare della vita
del conte che, rimasto vedovo
nel 1812, si risposò in segreto
nel 1813 con Agnese Teresa
Pollak, allora ventunenne. La
giovane, figlia di Andrea e
Margherita Pollak, nativa di
Krainburgo in Cragno, non
aveva origini nobili e viveva a
Castelnuovo dove le era stata
riservata una delle camere di
cantone. Nella ventilazione di
morte di Raimondo compare
in qualità di donna di chiave
della villa, non di moglie,
perché il matrimonio rimase
sempre segreto. Ciò nonostante
Raimondo IX dovette nutrire
un sincero affetto nei confronti
della seconda moglie che
chiamava Teresina o la mia
Teresa. Dalla lettera e dagli
allegati si apprende che le
destinò una casa a Sagrado
e una a Gorizia, oltre a un
vitalizio che le permettesse di
vivere dignitosamente. La affidò
al figlio Giovanni Battista con
queste parole: «Gli lascio poi
soprattutto la benevolenza di
mio figlio Giambattista a cui la
raccomando con tutto il calore
ed impegno che mai possa
fare; il quale certamente non
m’ingannerà nella confidenza
che io per detta Teresa Pollak in
lui totalmente ripongo».
L’unico documento dove
la giovane compare in veste
ufficiale di contessa Della Torre
moglie di Raimondo IX è la sua
ventilazione di morte del 1824,
Teresa infatti morì a Gorizia
il 4 febbraio 1824 appena
trentaduenne (ASGO, Tribunale
Civico Provinciale di Gorizia, b.
176 f. 370 s. 1824-5-15).
Amatissimo figlio!
Questo è l’ultimo foglio che
voi riceverete da me, giacché
quando l’aprirete io non sarò
più.
L’annessa qui mia minuta – di
cui l’originale tiene a sue mani
la fu mia Teresa, e che potrete
da lei farvela produrre – vi dirà
cosa io voglia da voi.
Aggiungo pure la dispensa
vescovile, onde legittimare in
Foro Poli il passo da me fatto,
onde non abbiate motivo di
scandalizzarvi.
Il resto ve l’ho già detto a
bocca il dì 9 dicembre 1815
pel di lei vitalizio di f. 400:
avverrà dall’esborso una volta
di fiorini tremila, quando
essa li preferisca ai annui
fiorini quattrocento sino
che vive; e questo aggravio
del vitalizio o dello sborso
del capitale viene risarcito
dal capitale di f. 6666:40:
investiti il 26 novembre 1814
a mani del sig. Giorgio De
Locatelli, di maniera che o vi
resterà tutto il capitale dopo
la morte della Teresa, ovvero
facendogli l’esborso – se Lei
vorrà – di f.3000: sennò da
quell’epoca in poi 3666:40 di
vostra proprietà come mio
erede universale. Se io dunque
v’ho distinto fra i vostri fratelli,
voi vi distinguerete col fare del
bene alla persona che tanto vi
raccomando.
Per supplire ai legati di mio
suffragio coi S. Sacrificj e
limosine, non che a quelli delle
vostre sorelle, degli impiegati
e domestici, voi conoscete il
ripostiglio d’onde ricavare
l’equivalente in caso che non
bastasse il denaro che potessi
avere per cassa.
Il fascio delle obbligazioni
attive – se ne avrò – voi
troverete nel mio portafoglio,
ossia grande tacuino rosso
usato con fibbia d’acciaio
situato nel tiratojo di mezzo del
mio scrittoio nella camera di
dormire.
Ai miei due cacciatori Boemi
ed al bracchiere vorrei che loro
daste a ciascuno uno dei miei
schioppi e spartiste tra loro i
miei attrecci di caccia, come
pure i miei abiti, e cappotti di
caccia e cappelli di caccia.
Al cacciatore Mattia
lascio l’altra metà della mia
biancheria di corpo, giacché
d’una metà disposi a favore
della Teresa, a detto cacciatore
lascio ancora i miei vestiti
ordinarj, cioè corpetti, frach.
Al bracchiere poi, e ai due
di scuderia carrozziere e
palafreniere, lascio tutti i miei
calzoni di pelle e stivalli ed i
cappelli.
Tutto il resto del mio
guardaroba lascio a vostra
disposizione, raccomandandovi
la prole del cacciatore Alberto,
e del portiere di Duino Nicolò
Godina ed altri poveri.
Vivete felice, ricordatevi di
me, e vivendo da buon crisiano
preparatevi con delle buone
opere e generose limosine la
strada onde raggiungermi –
come spero solo per la Divina
Misericordia – in Paradiso.
Così sia. Vi do la paterna mia
benedizione sino all’estrema
ora vostra che dovrà unirci
in ciclo. Addio, e perciò vi
lascio l’ultimo ricordo, che
come si vive così si muore, e
da quel punto dipende la sorte
nostra eterna; torno a darvi
quell’amato Addio, che tanto
mi costa, ma che pure fare lo
devo come Voi lo farete, e come
mi giova sperare in grazia di
Dio.
Vostro affezionatissimo
Padre Raimondo
Alle pagine seguenti
L’ultima lettera di Raimondo IX. AST, Fondo Della
Torre Tasso, b. 154.1 e b. 170.2.
86 87
L’inventario dei beni di Sagrado del 1817
Tra i documenti conservati
nella ventilazione di morte
di Raimondo IX è presente
l’Inventario della facoltà
relitta dal deffonto conte
Raimondo Thurn Hoffer e
Valsasina diviso in sedici
rubriche (ASGO, Tribunale
Civico di Gorizia, b. 166 f. 357
s1817-5-9).
In alto
Due pagine tratte dall’inventario dei beni di
Sagrado (ASGO, Tribunale Civico di Gorizia, b.
166 f. 357 s1817-5-9).
Rubrica I
In denaro [...]
Rubrica II
In argenteria ed oro
Sei candellieri grandi, dedicati dal
defunto Raimondo Conte di Thurn
per uso della Chiesa di S. Loretto in
Segrado del peso di 150 Lotti
Sei canedellieri per uso domestico con
quatro mocatoi col manico d’Argento
del peso di Lotti 84
Una Coccoma grande d’Argento del
peso di Lotti 96
Un’altra detta più picola del peso di
Lotti 60
Una zucheriera d’Argento del peso di
Lotti 38
Una Busta di Possate con 18 Coltelli
e 18 Cuchiari con doppia forchetta
d’Argento del peso di Lotti 126
Una Busta con 6 Cuchiari 6 Coltelli, e
6 forchette tutto di argento del peso di
Lotti 60
Altra detta contenente altre simile sei
possate come sopra del peso di Lotti 60
Due Cuchiari d’argento per la suppa del
peso di Lotti 20
Altre dette più picole per la menestra
del peso di Lotti 14
[manca 1 riga]
Dodeci cuchiari di caffè d’Argento del
peso di Lotti 13
Un fornimento picolo per l’oglio ed
accetto con le cape d’Argento del peso
di Lotti 14
Un Calice d’Argento col suo pedestale
di legno colorito negro per uso della
Chiesa di Lotti 16
Una Scatola con foglio d’oro col ritrato
di Maria Teresia
Una scatola d’oro quadrata del peso di
Zechini 15
Due Scatole di Verde antico col
mosaico, con cerchi d’oro
Un Orologio d’oro con due cattene
d’oro
Un medaglione d’argento del peso di
Lotti 7
Quatro Spedi per uccelli del peso di
Lotti 5
Sei stanghette e mezza d’Argento del
peso di Lotti 294
Due para Spironi del peso di Lotti 18
Un Sigillo d’Argento del peso di Lotti 2
Due medaglioni d’oro della Dalmazia
del peso l’uno di Zechini 58, e l’altro
dell’istesso peso di zechini 58, assieme
zechini 116
Rubrica III
In obbligazioni [...]
Rubrica IV
In crediti [...]
Rubrica V
In Orologgi da Tavolino e di Muro
Un orologgio con un pedestale grande
tutto indorato
Due detti di Tavolino con cassa indorata
Due detti più picoli pure di tavolino
Uno detto assai più picolo
Un Orologgio con la Cassa di legno da
muro
Un detto con Cassa pure da muro
Un detto a uso Villico
Un detto con la cassa di legno
Rubrica VI
In Biancheria da Tavola e di Letto
16 Dozine tavajoli rigati con suoi
mantelli, roba logara
5 Dozine detti damascate con suoi
mantelli più logari
21 Para lenzioli per una persona lagori
7 detti detti più ordenarj
7 detti detti più ordenarj
4 Dozine tavaglioli con i suoi mantelli
10 Dozine tavaglioli con i suoi mantelli
frusti
1 Tovaglia e 5 tavajoli
28 Sciugamani di diverse qualità frusti
21 Tavajoli senza mantelle di diverse
qualità tutti logari
68 Braccia di tella
40 detta circa di tella
12 Intimelle
Rubrica VII
In Mobili esistenti nelle rispettive
Camere
Galleria verso Settentrione
3 Letti forniti con lettiera di legno duro
2 Sechiette di legno duro
1 Canapè con cuscino
1 Armajo di legno duro
1 Scrittoio detto
2 Tavolini di legno duro
4 Careghe paludate
Camera annesa alla galleria
1 Letto fornito con cocieta di legno duro
1 Sechietta di legno duro
2 Tavolini di detto
1 Armajo Detto
5 Sedie di legno duro
1 Petinera detta
Nella Salla terrena
4 canapè di paglia
3 Sedie di detto
2 tavolini di legno duro
Galleria a Ponente
2 Letti forniti con Lettiera di ferro
2 Sechiette di legno duro
2 Scrigni di detto
1 Tavolino di legno duro
9 Sedie di paglia
1 Petinera di legno duro
1 Canapè di legno duro
Camera annessa alla Galleria
1 Letto fornito con lettiera in ferro
1 Canapè di legno duro con cuscino
1 Armajo di legno duro
2 Tavolini
1 Petenera
3 Sedie
Nella Camera della donna di Chiave
1 Letto fornito con cociera
3 Armaj d’albedo
1 Tavola d’albedo
6 sedie di legno duro
1 Sechietta di detto
1 Scabello detto
Nella camera della Cuoca
1 Letto fornito con Cociera
1 Scrigno di legno duro
1 detto d’Albedo
1 Tavola d’Albedo
3 Sedie ordinarie
1 Rocca
La Camera della conversazione della
defunta contessa
1 Canapè con cusini
6 Careghe compagne
2 Poltrone
1 Scrigno
2 Armajetti con tavole di Marmo
3 Tavole di legno duro
1 Tavola con coperchio di Marmo
Nella Camera di dormire della Contessa
1 Cochieta con due letti, e un capezale
2 Armaretti di legno duro
1 Sechietto
1 Petenera
1 Tavolino
4 Careghe
1 Poltrona
Nell’anticamera della Contesa
4 Cantonali in forma di tavolino
8 Sedie
Nella Picola Salla
4 tavole di legno duro
12 Sedie di paglia
Nell’appartamento vecchio di Sua
Eccellenza
1 Canapè con cusini
2 Tavole
1 Armajo grande
1 Detto picolo
5 Sedie
1 Spechio con suaza
La Seconda Camera di Sua Eccellenza
1 Poltrona di legno duro
4 Careghe compagne
1 Tavolino di legno duro
2 Scrittori
Nella Camera di Dormire
1 letto fornito di due cussini
1 armajo
1 detto picolo
1 Sechieta di legno duro
2 Sedie
Nella quarta Camera del Servitore
1 Letto con due capezzali e cocieta
1 Tavola di legno duro
5 Sedie
Nel Bel vedere
3 lampade
90 91
18 Cuscini
2 Tavolini coperti di marmo
Nella camera dei frutti attaco al
Belvedere
2 Tavole logore
1 Tavolino per pogiar le pippe
Nella gran Salla
4 Canapè di paglia
12 sedie
4 tavolini di legno duro con coperchio
in marmo
1 Tavola per pranzare con tapetto di
panno verde
3 Lustri
Nell’andito della Sala grande
2 Scrigni che serve per le credenze
1 [Ramina?] di rame
1 Scrigno di legno dolce
1 Sopressa per li tovaglioli
1 Scrigno attacco al muro
Nella Camera prima avente le scalle in
primo piano
1 Letto con due cusini e sopra coperta
1 Sechieta
3 Tavolini
1 Scrigno
7 Sedie
Nella Camera dell’Imperator
2 Letti con cuscini e sopra coperte
1 Sechietta di legno duro
4 Sedie
1 Canapè con 5 cussini
1 Carregon
2 Tavolini
In Tinello
1 Tavola per il pranzo con tapetto verde
4 scrigni di legno duro
8 Careghe con sopra coperta di pelle
rossa
Nel Gabinetto
1 Canapè con sopra coperto rosso di
pelle
4 Sedie di detto
4 Scrigni di legno duro
1 Tavolino detto
Nella Camera denominata di Sua
Eccellenza
2 Schiopi con due canne
1 Canapè con 4 sedie di bulgaro
1 Scrittorio di legno duro
2 Cantonelli
1 Armajo con suazza d’ottone
2 Altri armaj ossia scrignetti
1 Pettinera di legno duro
4 Schioppi d’una canna
1 Letto con due materazzi e la Cochietta
1 Scabello presso il letto
3 Para pistolle
Nell’annessa Camera
1 [Schatul?] per le medicine
2 Armaretti di legno duro
1 Schatul
4 Schippi ordinarj
3 Borse per le Lettere
10 Pippe di diverse qualità
1 Orologgio di sole
Nella Camera della Biancheria
3 Armari grandi
2 Tavole di legno duro
Nella Camera presso le scale in secondo
piano
1 Letto fornito con cochieta
1 Sechieta di legno duro
4 Sedie detto
1 Scrigno di legno duro
1 Tavolino
Nella Camera dei Forestieri
1 Letto fornito con cociera di legno
dolce
1 Sechieta di legno duro
4 Sedie di paglia
1 Scrigno di legno duro
4 Sedie
1 Poltrona
Nella Quarta Camera della Signora
Maria
1 Letto fornito con cociera
1 Sechieta di legno dolce
4 Sedie
1 Scrigno di legno duro
1 Scrittorio
1 Tavolino detto rotto
Piano Terreno
In cucina
1 Secchio di rame
3 Tavole d’Albedo ed una di nogaro
vecchia
1 Sedile d’albedo
1 Cassa con segature
5 Sedie ordinarie coperte di paglia
1 Menarosto
7 Pezzi di rame
4 Cazarelle di efrro
1 Caldaja mezzana ed una picola
1 Sostiene legna di ferro
8 Tondi grandi di peltre
25 Detti picoli
2 Mortalli di bronzo
2 Scaldaletti di rame
1 Stadiera di ramre
1 Mesenino di caffè
2 Stadere per pesare
1 ferro per sopresare con due anime
2 Foghere per sprofumare
1 Cocoma di caffè grande
1 Detta per fare la Chiocolata
1 [Spitstrauben?]
3 Passadori
Diversi stampi di carta per le paste
In Spais
1 Tavola d’Albedo
3 Vasi per la conserva
1 Vaso per buttiro
Nel Tinello terreno
3 Armarj di legno dolce per tenere la
terraglia
1 Detto per le fiasche e gotti
8 Sedie ordinarie con sedile in paglia
1 Tavolo d’albedo
1 darpo per la filatura
1 tavola di albedo per le paste
In Cancelleria
2 Armaj di legno duro
1 Tavola con scanzie per scritture
d’albedo
1 Putto d’Albedo
4 Sedie fodrate di pelle
Nella Camera del Caciatore
1 Tavola d’albedo
2 Armaj di detto
3 Sedie ordinarie
2 Letti forniti frusti
Sotto Portico
2 Cassoni per sedere entrovi segature e
farina per i cani
1 Moscaio
2 tavola di nogaro vecchia
1 mangano
1 gabia di lepri
3 Orne di capuzzi e rappi garbi
1 Caratello di cenere
Nella Camera dell’Uccellatore
1 Letto fornito
1 Sechieta d’albedo con vaso
1 Baule picolo vecchio
14 Gabbie
Nella salvarobba
1 Tavolo d’albedo
3 Cassoni per le minestre e farine
2 Pille per l’oglio
1 Caratello per l’accetto
2 Caratelli ed una cassa per divesri usi
1 Cerchio con rampini di ferro
Nella Lissiera
1 Mastella grande
2 Dette piccole
2 Crociere di legno
Nella Legnara
1 Cassone vecchio per l’avvena
1 palonico per la meda
1 Manaja
Nella Rimessa
1 Carro inferato
1 Caretta detta
1 [Scalkone?] per il vino
2 Scale vicentine
1 Scalone
1 Burello per l’asinello
2 zaja
Nella Stala dei Bovi
9 [?] con cattena e 1 cariola
2 Forche di ferro con un badile
vechissimo
Nell’orto superiore
3 Badilli grandi e uno picolo
1 Zappone
2 Zappette
Nel tempio della Pace nella sala terrena
4 Cantonalli d’albedo
2 Scrittorio
2 Canapè e 4 sedie
Nel Gabinetto
4 Sedie di legno con paglia
2 Scrigni coperti con indiana
Nella Sala Superiore
2 Tavolini con marmo rosso
2 Detti dette bianco
2 Canapè e 12 sedie di paglia
Nell’annessa Camera
4 sedie col sedere di paglia
2 sechiete di legno duro
1 Scrittorio
Nella Scalla
1 Sechieta d’albedo ord.a con vaso
Nel Casino della Venere
2 Canapè con tre Cussini per cadauno
2 Tavolini con coperchio di marmo
Nel Casino d’Apollo
2 Canapè con tre cussini per cadauno
2 Tavolini con coperchio di pietra
Nella Casa Rossa
1 Canapè con letto e tre cussini di pelle
verde
1 Scrittorio di legno duro
1 Detto di legno dolce
2 Armai ataco il muro di legno dolce
1 Cnapè con 10 careghe
4 Cantoni di tavolino atacco col
coperchio di marmo
2 Tavolini grandi col coperchio di
marmo
5 Figure di giesso
1 Lampida
1 Canapè con 4 cuscini
2 Sedie
2 Lumi
1 sechietta
Nella Cedrera
In [?] Padile, forche e diversi utensili
per lavorare nel giardino ed orto n. 31
pezzi
Nei Bagni nuovi
1 Tavola di legno duro
8 Sedie con coperta di paglia
2 Cantonelli d’albedo
1 Sechieta da letto
Nella camera del bagno in piedi
1 Canapè con 5 cuscini
4 Sedie con il sedere di paglia
1 Tavolino di legno duro
Nella camera da bagno seduto
1 Canapè con 6 cussini
2 Sedie col coperchio di paglia
Nel foladore e Cantina i [?] anessi
appartamenti
12 Taglie con senti di pieytra
20 Tinazzi
4 Sottospine
1 Caldajo di rame
1 Accettaro con entro Co 1 ½ accetto
circa
1 Piria di lata
92 93
2 dette di legno
1 Conzo con cerchio di ferro
1 Torchio pel Picolit
1 Trepiedi di ferro vecchio
42 botti
13 Caratelli
2 Scaloni di legno duro
Nella rimessa abasso
1 Wurst grande
2 Cavaletti di rosta
1 Versore, 1 sfalzador e 1 grappa con
denti di ferro con carro e vangolino
Nella legnara
2 Segari, uno con tellaro
1 Manaja
1 Cugno di ferro
Nela stalla di fattoria
1 Cavallo con fornimenti da tiro e sella
Nel Stallone Abasso
7 Gone vecchie tutte carolatte
1 Travo di piopo
Nel Fenille
[369?] fieno
1 Forca di legno
1 Scala a mano lunga
La machina per pesar il fieno
Nel Granajo
1 Buratto
1 Polonico
¼ detto
½ Pesinale di misura vecchia
4 pallotte
Nalla salvarobba del Fattore
1 Trivella grossa per rosto
32 [tti?] ferro baston
2 Stanghe di ferro
2 Maj di detto
Rubrica VIII
In Abiti e Biancheria del defunto
3 Para braghe di pelle di cervo
1 Lenziolo di detto logaro
1 Para braghe di casimier biancheria
1 Coperta di bombaggio
Altre Braghe di Camozzo
1 Camisolino di flanella
1 Frak di Pano Blu
1 Detto scuro con righe
1 Giachetta di panno verde
1 Velata di panno scuro
1 Detta detta color nosella
Altro abito celeste con bottoni in
smalto
1 Capotto di panno scuro
20 Gillè diverse qualità
9 Fazioletti di bombaggio
25 Detti quadrelati di diverse qualità
20 Camicie
12 Para mutande
3 Camisolini, 1 mantellino e 1 lenziolo
28 Fazioletti bianchi
7 Carette di bombaggio
1 Peches blu ed 1 verde
2 Frack negri
1 Rechel Generino
1 Para di braghe celeste
1 Frak di casimier mischio color
chiocolata
1 Detto d’anchen
1 Detto detto color oliva
1 Detto con righe di setta tarlatto
6 Para braghe di pano negro
3 Para braghe d’anchen
12 Gillè
L’uniforme dei Cittadini di Gorizia
Abito e braghe ricamato color verde
buttiglia
1 Abito di veluto stampato con fiori
Altro abito di seta verde con braghe
Abito ricamato con braghe color
perlino
Detto detto detto color viola
1 Abito di manto negro
Abito scarlato ricamato con braghe
Abito e camisiola con ricamo d’oro
2 Velladini curti di pano blu
1 Giachetta di pellon verde
2 Capelli in guarnito d’oro e l’altro verde
3 Spade
1 Palosso
10 Para stivali
1 Capotto verdon
30 Para calze
Rubrica IX
In porcellana
12 Dozine di tondi fiorati
28 Piati di diverse forme
6 Supiere per il brodo
2 Sorbetiere
2 Porta bottiglia
1 Trionfo da tavola
2 Guantiere verniciate negre
22 Chiechere
13 Vasetti per il consumè e 18 per il
Craitelvain
50 Fondi di porcellana
2 Supiere
12 Piatelli per [?]
3 Salarini e 2 per il peppe
Rubrica X
In Cavalli, Carrozze ed altra animalia
Due cavalli da timon
due detti da Belloncini
una cavalla castagna
un cavallo cleper
altro detto
Due bovi
altri detti + piccoli
due manzetti
un tauretto
una chimenta
due carri
una graba con l’aratro
8 selle da cavaliere ..
8 fornimenti intieri
Rubrica XI
in Vino
Conzi 60 vino negro a f. 12 il conzo
Rubrica XII
In quadri
Nella camera dell’Imperator
4 ritrati
2 Storie sacre dell’Autore di Grasico
Nell’anticamera di Sua Eccel:
21 Pezzi di quadri di paesi di picola
misura con Cornice dorata
Ritrato di S. M. l’Imperatore Francesco
Nella Camera dormitoria di S. E.
4 Storie sacrev del Dominichini
12 pezzi di paesetti a 10 l’uno
6 altri quadri di cavalli
Nell’Annessa Camera
12 pessi di paesetti
2 Altri pezzi di scrittura sacra
Nella Cappella
1 Cristo che porta la croce
Altro quadro del nostro signore di
Gianbenino
Nella camera del camerire
10 quadri ordinarj
10 detti
Nel Mezzado a Pian Terreno
10 quadri di paesi e porti di mare
9 quadri di storia sacra e paesi
Terzo Mezzado
12 quadri rappresentanti paesi e storie
Nell’annesso
11 pezzi tra storia e vedute di Porti
In Casa Rossa
Ritratto del Conte e della Contessa
Nei Bagni vecchi
6 quadri d’animali
2 detti di battaglie
Rubrica XIII
In censi [...]
Rubrica XIV
In libri
Specificati nel catalogo sub C
Rubrica XVI
In case
Il Palazzo per uso dominicale con le
sue adiacenze, rimessa, stalle, picola
casetta per uso dell’ortolano, 6 case
coloniche, ed 1 fabricato decresciente er
la Legnaia, e stalla per li manzi il tutto
sul Monte di Sagrado
Fabricati situati a Piè del Monte di
Sagrado
Il Molino di Sagrado con 6 case
colonichre, 1 torraza ed 1 stanza
deserviente per la fabraria
Sagrado li 10 luglio 1817
Tra i presenti all’atto di
compilazione dell’inventario:
Gianbattista Conte Thurn Hofer
[figlio ed erede di Raimondo
IX], Francesco Conte Thurn
[fratello di Raimondo IX],
Giuseppe Sedmach in qualità
di amministratore di Duino,
Giuseppe Vittor amministratore
di Sagrado, due cacciatori
di casa del detto conte, il
muratore di casa Francesco,
Teresa Pollach donna di
Chiave, Maria Solmine donna
di biancheria in Sagrado, il
cameriere del conte Mattia,
Giuseppe Collarig il cameriere
del conte Gianbattista; per
l’estimo dell’argenteria e degli
effetti preziosi l’orefice Luigi
Pepenhoffer e per l’estimo dei
quadri Mattia Furlanetto.
94 95
I Gatteri a Castelnuovo
Specifica delle mobilie esistenti nel pallazzo di Sua Eccellenza
Nobil Signore Giovanni Battista Conte di Thurn in Sagrado (1848)
Giuseppe Gatteri, padre del
più celebre Giuseppe Lorenzo,
nacque a Rivolto di Codroipo
nel 1799. Giunse a Trieste nel
1824 dove fu apprezzato come
uno dei migliori decoratori del
primo Ottocento operanti in
città. Oltre che a Castelnuovo
dipinse nella città giuliana
al caffè Tommaso Marcato,
presso palazzo Schwahofer,
casa Popovich, presso il teatro
della Società filarmonica
drammatica e il teatro Grande
(opere perdute); tra gli
affreschi ancor oggi esistenti
vanno annoverati quelli della
rotonda Pancera e della casa
di via S. Lazzaro n. 8 a Trieste.
Giuseppe Lorenzo Gatteri,
nacque a Trieste nel 1829;
deve la sua fortuna soprattutto
alla fama di enfant prodige.
è ricordato come il miglior
pittore triestino uscito
dall’Accademia romantica
di Venezia. Il padre, che fu
sempre orgoglioso e solidale
sostenitore della carriera
del figlio, nel 1780 scrisse le
memorie dei primi quattordici
anni di Giuseppe Lorenzo. Il
racconto di seguito riportato è
tratto appunto dalle memorie
del padre Giuseppe (cfr. M.
MALABOTTA).
Ultimato che ebbe mio figlio
questa incisione e qualche
altro disegnetto, pensai per
non stancheggiarlo, essendo
anche di una complessione
un po’ gracile, di condurlo
meco a cambiar aria e dargli
un poco di riposo, ché allora
per combinazione avevo da
dipingere un appartamento
del Sig. Conte de Turn nella
sua villeggiatura nel palazzo
di Sagrado. Là il figlio stette
con me per circa due mesi,
che gli fu di gran sollievo,
passeggiando spesso per
la campagna, e di quando
in quando mi portava a
far vedere qualche schizzo
disegnato nel suo album, di
qualche albero o di qualche
roccia che a lui gli pareva
utile.
Ma essendo un giorno caduto
vicino ad una roccia, non volli
più lasciarlo andar solo, e di
quando in quando lo faceva
condurre da qualche mio
lavorante, però nelle ore che
non fosse gran caldo; e nelle
altre lo tenevo presso di me;
siccome non poteva star ozioso
pensai di preparargli dei colori
acciò si diverta a far qualcosa,
siccome nell’atrio del palazzo
vi era appeso al muro un
quadro dipinto ad olio, levato
questo e nel medesimo posto
il figlio fece una prova e
abbozzò un fatto d’armi di cui
s’intendeva, cioè l’assalto al
castello di Duino. Vedutolo che
l’ebbe il Conte non vi fece più
porre il quadro e volle che resti
per memoria.
Nel 1848, alla morte di
Giovanni Battista III, fu
stilato un elenco dei beni
mobili presenti nel Pallazzo di
Sagrado, ovvero Castelnuovo.
Il documento, intitolato
Specifica delle mobilie
esistenti nel pallazzo di Sua
Eccellenza Nobil Signore
Giovanni Battista Conte
di Thurn in Sagrado, finì
per un motivo del tutto
sconosciuto tra le carte legali
e amministrative del padre
Raimondo IX dove è tutt’ora
conservato (AST, Fondo Della
Torre Tasso, b. 170.2).
Pian terreno nella faciata della
entratta composto come segue
N° 1:
Camera del cantone verso rimessa
1 soffa di legno noce tappezzato con
cambrik
1 tavolino di noce ovale a due colone
7 sedie di noce tappezzate con
cambrik
N° 2:
Camera seconda dopo cantone
2 soffa tappezati con stoffa celeste,
coperti con musolina bianca
6 sedie di legno di noce a telajo di
canna
N° 3:
Saletta della entratta nel pallazzo
8 soffa tappezzati con cambrik
coperti di musolina bianca
2 lampe con catene a tre lumi l’una
8 quadri nel muro
N° 4:
Camera alla destra dell’entratta
2 soffa tappezzati con cambrik
coperti di musolina bianca
1 tavolino di noce ovale a due colone
N° 5:
Camera alla destra dell’entratta
1 pianoforte di legno noce a tre piedi
1 soffa tappezzato con cambrik
5 sedie di noce tappezate con detto
N° 6:
Camera di dietro verso conserva
1 lettiera
1 paglione
1 matterazzo
1 cappezale
1 soffa di cereser tappezzato con
paglia verde
8 sedie con pelle verde
1 tavolino di noce
1 comodo
1 spechio da tavolino
1 calamajo
N° 7:
Camera della scalla grande
2 armadi d’abette
1 soffa tappezzato con pelle verde
2 cuscini con simile
1 pogia piedi
1 sedia con pelle verde
2 dette ordinarie
2 cavalette con tavole
1 paglione
1 materazzo
1 cappezzale
N° 8:
Camera da bagno
1 vasca di latta per bagno
2 sedie ordinarie
N° 9:
Camera della rettirata
1 armadio d’abete
N° 10:
Camera vicina al pozzo per servitù
4 cavaletti con 5 tavole
2 paglioni
2 materazzi
2 cappezzali
1 tavolino ordinario
96 97
2 sedie
1 armadio
1 spechio
N° 11:
Salla grande del bigliardo
2 piedestali e 4 stattue di marmo
1 bigliardo di noce con piumino
verde
1 coperta di tela verde per coprire del
reparo di polvere
5 palle d’avorio in sortita per giuoco
4 porta stechi con 11 detti stechi
12 sedie fiorentine con paglia fine
2 lumiere di getto a 4 lumi vetri per
reparo d’aria
1 tavolino rotondo fino
Pian terreno verso monte
N° 1:
Cappella di San Michele e sue
mobilie
1 sechieto per acqua
1 confesionale
6 banchi
1 palla in pietra di s. Michele
1 crocifisso
6 candellabri d’argento sull’altare
2 cuscini
Nella sacrestia
1 tabella per preparazio ad messam
1 piato con due ampoline per acqua
1 banchetto con entro 2 cuscini e un
guadrante vecchio indoperabile
1 detto novo
6 pianeti in sortita con altro occorente
3 messali
N° 2:
Camera del caciatore
4 cavaletti con 6 tavole
2 paglioni
2 materazzi
2 cappezzali
2 armadi d’abete vechi
3 sedie ordinarie
1 scanzia con 3 schiopi 1 pistole
1 arco a susta
1 stuffa di terraglia scura
N° 3:
Camera di sopressione
4 armadi d’abete
1 mangani
2 tavole per uso di sopressione di noce
1 tavoletta involta nel panno per uso
di sopressione abiti
N° 4:
Tinello della servitù
3 armadi d’abete
1 tavola di detto
6 sedie ordenarie
1 vintola per fare pane
2 tavole con rotolo per distendere
paste
1 stuffa di terraglia scura
N° 5:
Cucina grande con
6 tavole in sortita ordinarie
1 mortajo di pietra e mazza di legno
1 gratola per piati
1 scola piati
2 taglie di rovore per carne
2 dette per pestare carne
1 cavidone di terra sul focolajo
1 volta arosto di detto
1 sedia ordenaria
4 mastele per acqua
1 detta per sorbetti
N° 6:
Coridojo con
1 Orologio con canto di cucco e la
sua cassa per riparo della polvere
1 detto non adoperabile con simile
N° 7:
Salvaroba
1 scanzia per uso di bottiglie
1 tavolino
1 cassetta con dentro due fiasche
grande per l’olio
Primo piano nella facciata della
altana di terrazza
N° 1:
Camera da scrivere di Sua Eccellenza
Padrone
1 scrittojo con otto cassettini fino
1 orologio sopra indorato
1 tavolino rotondo a tre piedi fino
1 poltrona di noce fina
6 sedie fiorentine fine color nociola
1 crocifisso coperto con vetro
N° 2:
Camera seconda
1 armadio fino di noce
1 orologio indorato fino di tavolino
8 sedie fiorentine fine a nero
N° 3:
Salla
4 soffa di noce fini
10 sedie a nero fine fiorentine
2 tavolini a due colone di noce fini
1 detto a tre piedi rotondo
2 lampe con vetri
4 spechi nel muro
N° 4:
Camera dopo la salla
1 tavolino di noce fino
4 poltrone a nero di noce fine coperte
con cambrik quadrato
2 soffa a nero fini coperti con simile
1 sedia fiorentina a nero fina
N° 5:
Camera del cantone verso conserva
1 soffa di noce fino con cambrik
6 sedie di detta fine con detto
2 poltrone di detta fine con detto
3 tavolini con marmo di cereser
1 detto di noce a due colone fino
1 orologio indorato
1 piedestale con canochiale
2 lampe di bronzo da tavolino con
vetri
N° 6:
Camera delle quattro stagioni
Letto di Sua Eccellenza Padrone
1 lettiera di noce fina
1 tavolino di cereser fino
1 detto ordinario
1 scabello di noce fino
1 poltrona di noce fina
5 sedie fiorentine fine a nocela
2 matterazzi
2 capezzali
1 paglione
N° 7 9 [la numerazione non è chiara]:
Camera alla scalla grande
2 lettiere di noce fine
2 paglioni
4 matterazzi
3 cappezzale
5 sedie fiorentne fine nere
1 armadio di noce fino
1 scabello di detto fino
1 tavolino coperto con marmo
1 comodo
N° 7:
Camera verde
Letto del cameriere di Sua Eccellenza
Padrone
1 lettiera di noce fina
1 tavolino di detta
4 sedie con canna di noce fina
1 pogia manteli d’abete
1 paglione
1 matterazzo
1 capezale
1 cuscino
N° 10:
Camera di cantone annessa a quella
alla scalla
1 lettiera di noce fina
1 armadio di detta
1 specchio con cassa di detta fina
1 tavolino di cereser con marmo sopra
3 sedie di noce fine
1 scabello simile
1 matterazzo
1 paglione
1 capezale
N° 11:
Salla Grande Pranzo
1 tavola grande rotonda di abete
coperta con panno verde
13 sedie di noce fini con canna
4 armadi di cereser
2 tavolini di detto coperti con marmo
1 detto di noce
3 luminieri di cristali
4 [bruzalati?] al muro appesi
1 orologio grande indorato
6 aste con con pomoli indorati
6 coltrine con frangia bianche
4 candellabri di plaque
2 lampe con vetri di detto
2 dette di latta con vetri
Piano verso monte
N° 1:
Camera di cantone sopra capella
2 armadi di noce fini
1 tavolino di detto
2 sedie coperte celesti
2 piramide di marmo
8 quadri in tela
3 coltrine
2 cuscini per uso d’orazione
1 busto di marmo
N° 2:
Camera della Contessina
1 letto di noce fino
2 matterazi
2 capezali
1 soffa coperto e cuscino
2 armadi di noce
2 tavolini coperti con marmo
1 detto di cereser
4 sedie
1 casseta
1 orologio
1 coltrina
3 dette torno letto
1 spechio da tavolino
2 cuscini per uso d’orazione
1 stuffa di majolica
N° 3:
Camera delle figglie
1 lettiera di noce
2 matterazzi
1 paglione
2 capezali
1 poltrona
2 tavolini
2 armadi di noce fini
1 spechio
1 busto sopra un piedestale
1 coltrina
1 casseta
1 scrittojo
1 scabello uso cetindio
6 quadri apesi al muro
N° 4:
Tinello da pranzo d’inverno
3 armadi
1 tavola di noce grande
4 quadri grandi nel muro
6 sedie rotonde con paglia
N° 5:
Camera della cameriera
1 lettiera di noce
2 matterazzi
1 paglione
1 cuscino
capezali
1 tavolino di noce
98 99
1 detto d’abete
3 armadi
1 scabello
4 quadri nel muro
1 stuffa
3 sedie fine
N° 6:
Camera da Letto di Sua Eccellenza
Contessa Padrona
4 armadi di noce fino
1 scrittojo
1 canape di noce con canna
1 poltrona
2 scabelli
1 lettiera
1 paglione
2 matterazzi
2 cappezali
5 sedie di noce tutte fine
N° 7:
Coridojo
2 armadi di noce
2 cantonali
1 tavola
1 scano
1 sedia ordenaria
1 orologio con musica
Secondo piano verso monte
N.1
Camera del cantone pei foresti
2 lettiere di noce fine
2 paglioni
2 matterazzi
4 capezali
4 sedie di noce fine
1 specchio da tavolino
1 canape con cuscino di pelle
1 cassetta
1 scrittojo
1 tavolino di noce
12 quadri al muro
1 armadio
N° 2:
Camera seconda del cantone
2 lettiere di noce fine
2 paglioni
2 matterazzi
3 capezali
2 cuscini
2 scabeli con marmo
1 detto di noce
1 canape con paglia
3 sedie con pelle
1 tavolino rotondo di cereser
1 comodo
1 armadio
1 spechio
6 quadri
1 porta lavamani
N° 3:
Camera delle cameriere
2 lettiere di noce fine
2 paglioni
2 matterazzi
2 cappezali
2 cuscini
1 armadio di noce
1 scrittojo di detta
1 canape con paglia
1 tavolino
3 sedie con pelle
1 scabello
1 barometro
1 spechio da tavolino
1 stuffa
N° 4:
Camera del fattore
2 cavaletti
1 paglione
1 matterazzo
1 cappezzale
1 cuscino
1 scrittojo
3 sedie con pelle
1 spechio da tavolino
1 armadio d’abette
1 calamajo
15 aste con pomoli indorati
N° 5:
Camera della cameriera
1 lettiera in noce
2 cavaletti con tavole
2 paglioni
2 matterazi
3 cappezali
1 cuscino
1 scrittojo di noce
1 tavolino di noce
2 sedie di noce
1 cantonale di noce
1 canappe di noce
N° 6:
Coridojo
1 canape vechio
1 pica mantele d’abete
N° 1:
Saletta del belvedere
3 soffa lunghi coperti con cambrik
colorato
4 sedie di noce fine con canna
2 statue di gesso con piedestale
3 specchi nel muro
6 biazaletti indorati
2 lampe di porcelana
3 aste con pomoli indorate
3 coltrine di cotone
1 [?] di noce
N° 2:
Camerino annesso al belvedere
1 canape antico di noce
1 cantonale antico di noce
1 tavolino antico di noce
2 sedie ordinarie
1 detta rotonda fina ad uso del
comodo
35 quadri in ritratti ed altre pitture
N° 3:
1 lampa di porcelana sulla scalla
grande
Specifica del vetrame
27 fiasche fine per tavola
26 bichieri fin per tavola
16 bichieri per liquori
36 bichieri per Siampagna
15 bichieri per Bordò
17 lava boca
1 piedestale con 8 carafini per olio
2 piedestale di plaque con due
carafine l’uno fine
2 piedestale con due celesti l’una
10 salarini di vetro
31 piatini per candelabri
11 bichiere con suo [?]
Specifica della porcelana
120 piati di salvietta
6 terine per brodo
2 fondine rotonde
3 piati a tre angoli
7 piati quadrati
5 piati rotondi grandi
7 piati ovali
2 terine per salsa
4 scodelle in forma capa
2 scodele blù
2 cocume con 12 chichere per the
20 chichere con orli indorati fine per
caffè
16 chichere in sortita
2 zucheriere fine
1 zucheriera di legno
20 ovaroli
2 lattiere una grande e una picola
58 piati in sortita
2 terine grande
2 fondine rotonde
5 piati grandi ovali
Candellabri
12 detti di plaque
4 detti di 3 candelle
2 detti picoli
2 detti di majolica
2 detti neri di teraglia
3 lampe di latta colorite a verde per
uso di scrivere
Oggetti in latta
3 guantiere di latta
3 più picole
1 vaso per lavamani
10 picole per sotto fiaschi
23 per sotto bichieri
5 cocome per caffè
2 scola salata
3 scola brodo
1 piria picola
2 misure per olio
1 macinino per caffé
1 scatola per droghe
1 lampa a 2 paveri
3 candelabri
4 lumini da note
1 stampo per diversi usi
1 vasi per sorbetti
Oggetti in rame
12 cuzarole
6 coperti
2 fersore per diversi usi
1 bacini per lavare carne
1 bacini per bichieri
1 pescera con coperto
1 detta per sollo arrosto
3 [cacialiti?] per acqua
1 cocoma per caffé
1 scalda letti
1 caldaja
Oggetti in ferro
5 trepiedi
2 gradelle
1 detta di [?]
2 fersore
1 detta per castagne
6 coperti per pignate
2 rampini per carne
1 brustolino
2 lumarini
2 saladiere
1 [?]
2 grata formajo
2 cacioleti per brodo
5 detti traforati
1 forchetta
1 pestadora
1 volta arrosto
1 [?]
1 catena
1 coperti
1 palla per forno
1 cortelazo per carne
2 molete per fuoco
Oggetti in metali
1 mortajo con sua maza
1 sechiete per possate
2 lume fiorentine
5 candellieri con lumi di vetro
Oggetti in legno
1 macinino per caffè
1 cesto per biancheria ed altro uso
1 mastela per sorbetti
4 dette per acqua
1 saliera
4 cuchiaj
2 frola ciocolata
Oggetti in teraglia
8 techie in sortita
100 101
14 pignate in sortita
18 fiasche per servitù
Oggetti in teraglia
12 cadini con broche
13 orinali
9 detti di cassetta
Possate di servitù
16 cucchiai di stagno
19 forchete di ferro
2 dette più grande
12 colteli picoli
Specifica di coperte
6 coperte imbotite
2 bianche di cotone
5 coperte bianche
10 dette di cotone a fiori
Oggetti nella rimessa
3 capanine per polame
2 mastele per liscia
1 caldaja
1 cassa per avena
1 lettiera vechia
1 detta di fero
2 paglioni
1 matterazo
1 lettiera
1 paglione
1 matterazzo
1 cusino nella casa di ministrazione
Oggetti in Casa Rossa
1 cantonale di legno dolce
4 detti con coperta di pietra
1 tavolino con detta
1 detto coperto di marmo
1 soffa con cuscini
1 scrittoj
1 canape con telaio di cane
12 sedie
2 busti in gesso
2 statue bianche
1 tavolino
6 candellabri di latta
1 lampa d’alabastro
42 quadri tra picoli e grandi
1 detto grande della Famiglia di
Thurn
Ricopiato li 20 agosto 1848
Tommaso Antonio Bazul
Specifica di oggetti acquistati di
nuovo
1 tavola per lavare biancheria
1 detta per paste
2 spinelli per [?]
1 fiscone grande di vetro
6 lavamani
6 broche per detti
3 catinetti, scodelle con suo
becchetto
9 bichieri fini
2 bocaletti
3 boccalli da letto
1 volante con due palette
12 bichieri ordinarj
5 fiasche da boccale
36 piati ordinari
Nota della biancheria nel Pallazzo di
Sagrado per loro Eccellenze Padroni
1 tovaglia con 12 salviette
1 detta con 12 dette
1 detta con 12 dette
1 detta con 14 dette
1 detta con 14 dette
1 detta con 14 dette
1 detta con 14 dette
1 detta con 18 dette
1 detta con 14 dette
1 detta con 14 dette
2 tovaglie damascate con 12 salviete
damascate ognuna
19 siugamani fini
12 tovaglie con 12 salviette ognuna
per servitù
20 siugamani per detta
19 detti più picoli
9 paja lenzioli novi per padroni
4 paja fini più vecchj
15 intimelle
6 dette guarnite
10 paja lenzioli per servitù
11 intimelle tra queste 2 guarnite per
servitù
22 palagremi
20 così dette canevaze
4 coperte di pique bianche
7 copertori di basè bianchi
Nota della biancheria per portare a
Trieste per loro Eccellenze Padroni
3 tovaglia con 12 salviette
1 detta con 14 dette
1 detta con 14 dette
2 tovaglie, cioè n°11 e 12 con 12
salviette ognuna per la servitù
6 siugamani per detta
8 palagremi
1 lume fiorentina
Sagrado 1 ottobre 1848
Tommaso Antonio Bazul
A fronte
Due pagine tratte dall’inventario dei beni di
Sagrado del 1848 (AST, Fondo Della Torre Tasso,
b. 154.1).
102
La contessa Teresa, che dopotutto portò Castelnuovo nel cuore
Teresa – figlia di Giovanni
Battista III e Polissena
Brigido, nata contessa Della
Torre Hofer Valsassina, poi
principessa di Hohenlohe
Schillingfurst; signora di
Duino, Sagrado e Sistiana,
dama dell’Ordine della Croce
Stellata e dama di palazzo
di sua maestà l’imperatrice,
decorata dell’Ordine della
casa principesca di Hohenlohe
– fu l’ultima discendente della
linea torriana duinate, rifiutò
infatti di sposare un Della
Torre. La presa di posizione,
non certo scontata per una
nobildonna dell’epoca,
rende bene l’idea della forte
personalità di Teresa, descritta
dalla figlia Marie come
una gran signora, sempre e
comunque, nella gioia e nel
dolore, nella fortuna e nella
sfortuna, anche all’ombra della
morte; una donna dall’innata
dignità, cortese e discreta
quanto ferma e caparbia, un
po’ pessimista e malinconica,
soprattutto dopo la morte
prematura del marito.
Teresa era una donna colta
e raffinata, amante dell’arte e
della letteratura, componeva
versi e dipingeva, parlava
correntemente francese,
italiano, inglese e tedesco.
Orgogliosa del suo nome
da nubile, commissionò a
Rodolfo Pichler l’opera Il
castello di Duino. Memorie,
preziosissima biografia del
casato torriano basata sugli
innumerevoli documenti
d’archivio della famiglia.
Marie la descrisse come una
madre severa e incapace di
dimostrare il proprio calore
ai figli con effusioni d’affetto,
sebbene di certo li amasse
profondamente. Nonostante
ciò e nonostante Teresa,
sempre a detta di Marie, non
amasse Castelnuovo e non vi
trascorresse che brevi periodi
di villeggiatura, i ricordi
personali che la contessa
conservò fino all’ultimo
giorno sono in buon numero
legati ai figli e alla villa. Si
tratta di un manoscritto con
la partitura di un testo scritto
in onore del padre che Teresa
e le sorelle recitarono a
Sagrado il 12 ottobre 1829 (La
festa di compleanno di papà
festeggiata a Sagrado lunedì
12 ottobre 1829 dai suoi amati
figli) e di alcune letterine e
disegni che le dedicarono da
Sagrado i figli Egon, Fritz,
Marie, Carola e Gegina (AST,
Fondo Della Torre Tasso,
Memorie biografiche di Teresa
di Giovanbattista, b. 176.1).
A fronte
Dettaglio del ritratto della contessa Teresa Della
Torre. Fotografia di Neva Gasparo, su gentile
concessione del Castello di Duino.
Alle pagine seguenti
Letterine dei figli di Teresa dedicate alla madre e
ritratto infantile della contessa fatto da uno dei figli
(AST, Fondo Della Torre Tasso, b. 176.1).
105
Castelnuovo nelle memorie della principessa Marie Hohenlohe
Marie Hohenlohe fin da
bambina tenne un diario
personale in lingua francese
diviso in più quaderni oggi
conservati presso l’Archivio
di Stato di Trieste nel Fondo
Moderno Della Torre Tasso
(b. D1). Le memorie della
principessa, scritte in età
adulta, furono tradotte in
inglese da Nora Wydenbruck
e pubblicate a Londra nel
1959; il passo riportato è stato
selezionato e tradotto da
quest’ultima edizione.
In primavera ci trasferivamo
a Sagrado, dove trascorrevamo
alcune settimane. Le tre sillabe
di questa parola, Sagrado,
contengono l’essenza del mio
felice mondo dei sogni.
[…]
Sagrado era una grande villa
appartenuta alla famiglia di
mia madre fin dal XVI secolo:
trovai alcuni antichi documenti
negli archivi di Duino che
provavano il grande amore
che i miei antenati hanno
sempre avuto per questo luogo.
È posta sulla sommità di una
collina, circondata da grandi
giardini che coprivano circa un
quarto del declivio: poi c’erano
pergolati di vite su terrazze
che scendevano fino ai piedi
del colle e da un lato c’era un
folto e lussureggiante bosco con
pregevoli piante, qualcosa di
unico nei dintorni.
Mamma non amò davvero
Sagrado, il perché non l’ho
mai scoperto. I suoi genitori
avevano trascorso ogni estate
qui e non stavano mai a Duino,
perché lo consideravano troppo
deprimente e solitario e troppo
esposto al terribile vento
freddo, la Bora.
Quando eravamo bambini,
i nostri soggiorni a Sagrado
solevano essere pochi e lontani
tra loro, ma ricordo la nostra
gioia quando deducevamo
attraverso certi segnali (tutti i
piani nella nostra casa erano
accompagnati da un’atmosfera
di segretezza) che saremmo
andati a trascorre la primavera
a Sagrado.
Confrontavamo gli indizi e
i segni premonitori: James
puliva e lucidava i finimenti e
le carrozze lodando le scuderie
di Sagrado, molto più grandi e
belle di quelle di Duino. Teresa,
la sarta, mi diceva che il nostro
nuovo abito, confezionato con
un tessuto di lana grigia e rosa
pallido, con maniche corte e
leggermente scollato, era stato
scelto in vista delle frequenti
visite ai vicini di Sagrado. In
fine Felicitas, che era solita
dire che “sapeva ogni cosa”,
proclamava che era arrivato
il tempo di andare di nuovo a
Sagrado e solo allora eravamo
abbastanza sicuri che ci
saremmo realmente andati.
Alla fine il giorno tanto
atteso arrivava. La domestica,
il bel Valentino, Laurentio
con i suoi baffi rosso mattone,
Augusto che somigliava a
Blücher a Waterloo, Anette
che mormorava agitandosi
tra sè e sè, Felicitas con un
atteggiamento di superiorità
e tutto il resto della servitù
aprivano il corteo di carrozze
di varabile eleganza.
Solennemente e pomposamente
noi chiudevamo la fila in due
cocchi: mamma e Teresa,
Antoinette, abbè Pichler, mio
fratello Egon e noi tre sorelle.
James, che ci guidava, sedeva
gravemente sulla cassetta,
diviso tra il piacere di giungere
alle belle e grandi scuderie
di Sagrado ed il rammarico
di dovere lasciare la sua cara
Cattina indietro.
Prima passavamo la chiesa
di San Giovanni, che fu eretta
sulle rovine di un tempio
romano vicino alle tre bocche
del fiume Timavo - ai tempi di
Virgilio ce n’erano nove. Era
un luogo incantato: le acque
impetuose presto scorrevano
lentamente, girando attorno
a piccole isole piene di viti e
alberi da frutto e lungo prati
incolti coperti da migliaia
di fiori che crescevano a
profusione nell’umida terra. In
fine le tre bocche si univano in
un pigro fiume blu che correva
poche centinaia di metri tra
salici piangenti e canne e si
perdeva nell’acqua salata
dell’Adriatico.
Continuavamo lungo la
strada che costeggiava il
mare sulla sinistra, mentre
sulla destra si estendevano
le paludi sovrastate dalle
rocce del Carso. Passavamo le
città di Monfalcone, Fogliano
e Redipuglia, prendevamo
un’improvvisa svolta a destra,
passavamo sotto la volta di
un arco: i cancelli di ferro
venivano aperti e chiusi
dietro di noi. Su entrambi i
lati alti cipressi facevano da
sentinelle. Eravamo entrati
nell’incantata proprietà di
Sagrado e respiravamo la sua
incomparabile fragranza.
[…]
Non rimane nulla che la
ricordi, non una fotografia
e nemmeno un disegno. I
castelli incantati svaniscono
senza lasciare traccia. Eppure,
quando chiudo gli occhi riesco
ancora a vederla, in un bianco
abbagliante alla luce del
sole, le imposte verdi chiuse,
le alte colonne del peristilio
che sorreggono la terrazza del
primo piano. E poi immagino
di poter sentire il caratteristico
odore di Sagrado. Era l’odore
dei fiori freschi misto ad un
lieve odore di polvere, quasi
muffa, l’odore della cera
vergine che veniva usata per il
pavimento di mosaico e l’odore
delle stanze chiuse, fredde,
ombrose. Nessun profumo mi
ha mai reso più felice.
E in tutte le stanze e gli
stanzini, nei vestiboli e nei
corridoi, nei saloni e sulle scale
sentii i lievi passi di un ospite
invisibile, la cui presenza ho
sempre percepito nella casa
incantata – la Felicità!
Mi chiedo se i miei antenati
defunti da tempo sapevano
che il fantasma infestava la
tanto amata casa; credo che
fossero ben consapevoli della
sua presenza perché tutti loro
amarono appassionatamente
Sagrado tanto quanto
me, l’ignorante bambina
vagamente sensibile a
questa misteriosa presenza
che condivideva con loro
un inspiegabile richiamo di
108 109
sangue.
Chi ha mai incontrato faccia
a faccia la Felicità, l’ospite
invisibile? Solo dopo ci si rende
conto che è stata là. A Sagrado
provai ciò, perfino oggi, ora che
è passato quasi mezzo secolo
dalla mia giovinezza, il grido
di un pavone può accendere
una scintilla di indescrivibile
gioia nel mio cuore. Questo
perché al mattino, quando ero
in dormiveglia, mi rendevo
conto di dov’ero quando sentivo
l’acuto grido del pavone che
camminava intorno alla casa e
sembrava dirmi: Sei a Sagrado,
nel giardino incantato!
Il giardino assomigliava
davvero ad un piccolo
angolo di paradiso. Poiché
trascorrevamo così poco tempo
alla villa e il giardiniere non
se ne occupava molto, era
piuttosto trascurato, ma in
qualche modo ciò lo rendeva
ancora più affascinante.
[…]
Amavo guardare i pesci
dorati nella fontana di marmo
che zampillava nel centro del
prato. Portavo loro briciole e
lasciavo penzolare la mano
nell’acqua per sentire il leggero
abboccare delle loro minuscole
bocche avide – i due grossi e
grassi, di un color rosa argento
sembravano di madreperla,
quelli di colore carne erano
luccicanti come l’oro e quelli
piccoli tutti dorati avevano le
pinne scure. Quando finivano
di mangiare si tuffavano giù
in profondità e luccichii d’oro,
purpurei e argentei svanivano
gradualmente nel verde acqua
marina.
Tra la casa e le ringhiere sul
retro c’era un grande letto di
rose, sempre coperto di fiori
rigogliosi.
Rose bianche, rosse e rosa
riempivano l’aria con il
loro profumo; i loro colori
smaglianti facevano risaltare il
verde smeraldo, il blu zaffiro e il
bronzo dorato che luccicavano
sulle piume del meraviglioso
pavone.
Per molti anni ho visitato
Sagrado solo nei miei sogni,
davvero molte volte. Era sempre
lo stesso sogno: le stanze
erano quelle di Sagrado, ma
infinitamente più grandi,
infinitamente moltiplicate
e ogni cosa aveva preso la
dimensione irreale della
mia fantasia di ragazzina.
Sembrava che una foschia
velasse tutto ciò che vedevo.
Sembrava il riflesso in uno
specchio offuscato. Attraverso
il buio e il silenzio, altre ombre
mute svolazzavano dietro
di me e io sapevo che loro,
come me, stavano cercando la
Felicità. Irrequiete scivolavano
attraverso i saloni affrescati
senza fine, attraverso alti e
bianchi colonnati, piccole
stanze vecchio stile che
odoravano di muffa e rose;
andavano avanti e indietro
in cerca di Felicità. È appena
stata qui – ora ha girato da
quella parte – e se n’è già
andata. A volte, da lontano,
abbiamo pensato di aver
catturato un barlume di felicità
- uno sguardo, un sorriso, un
improvviso raggio di luce.
A fronte
Ritratto in fotografia d’epoca della principessa
Marie Hohenlohe. Fotografia di Neva Gasparo, su
gentile concessione del Castello di Duino.
110
Due pagine delle memorie
autografe di Marie Hohenlohe
poi tradotte in inglese e
pubblicate a Londra nel 1959
(AST, Fondo Moderno Della
Torre Tasso, b. D.1).
Nel maggio del 1869 Franz
Liszt si trovava in viaggio da
Vienna a Roma. La contessa
Teresa Della Torre colse
l’occasione per invitare
il celebre compositore
conosciuto a Roma a
trascorrere qualche giorno di
villeggiatura a Castelnuovo.
La notizia è riportata
dall’allora tredicenne
principessa Marie che annotò
l’avvenimento nel suo diario.
L’episodio fu ripreso anni
dopo in Memoirs of a Princess
con con un diverso punto
di vista che restituisce
un inconsueto ritratto del
musicista.
A fronte
Ritratto di Liszt in una fotografia del 1870.
Alle pagine seguenti
Il pianoforte di Liszt nel castello di Duino.
Fotografia di Neva Gasparo su gentile
concessione del castello di Duino.
Dal diario del 1869.
[Sagrado] 9 maggio [1869]
Mercoledì arriverà il famoso
Liszt. L’ho già sentito a
Roma, ma mamma gli ha
telegrafato che sarebbe
molto contenta se venisse qui
perché la Principessa Carolin
Wittgenstein ha telegrafato a
mia mamma di telegrafargli
(che strana idea!).
[Sagrado] 16 maggio [1869]
Quanto tempo che non
ti scrivo povero diario!
Ma quando siamo liberi
noi usciamo. Tuttavia ho
molte cose da raccontarti.
Innanzitutto il famoso Liszt
ha passato due giorni qui e
con lui è venuto un giovane [?]
che secondo il parere di Liszt
è qualcosa di meraviglioso.
Si è messo più volte al piano
(di sua spontanea volontà
perché l’amico non osa
domandarglielo). Il primo
giorno Mamma e i fratelli lo
hanno portato a Duino che
gli è piaciuto immensamente.
Il giorno dopo la mamma ha
fatto venire [?] e Madam da
Mosto che sono stati molto
contenti di vedere una tale
celebrità e lui ha suonato una
marcia ungherese (perché
Madam da Mosto è ungherese)
che è la cosa più magnifica,
più sorprendente e la più
emozionante che si possa
immaginare. Del resto Liszt
mi è del tutto antipatico. Sono
stata obbligata a suonare
con lui e poi con Leitestz e
da sola, che paura avevo! Ma
una paura! La mamma per
ricompensarmi mi ha dato
una [?] deliziosa [?]. C’era
anche [?] ma lui non ha voluto
suonare (davanti a Liszt si
capisce). Il comandante della
polizia militare era lì il primo
giorno. Poi Liszt ha voluto far
suonare Carola, lei era troppo
comica, inizialmente si è
nascosta dietro madam [?], poi
è scappata correndo con tutte
le forze. Abbiamo tanto riso. La
sera Liszt ci ha fatto ballare.
Anche Madam da Mosto ha
ballato. Io non so ma lei mi
piace sempre di più, è così
gentile, gaia, molto graziosa.
Anche Mess. Da Mosto
del resto è piacevole, è un
bell’uomo. Oggi c’è una cena
perché mamma ha invitato i
Da Mosto, il barone [?] e un
capitano di cui non so il nome
ma che è molto divertente e di
cui fra parentesi Egon e Friz
(soprattutto Egon) sono pazzi.
È vero che è molto divertente
e mi sarebbe piaciuto dargli il
braccio ma bisogna che io lo
dia a Mes. [?].
Ci si diverte tanto a Sagrado,
molto più che a Duino!
Si ringrazia Elena Petenò per la preziosa
collaborazione nella traduzione dal francese.
114 115
Da Memoirs of a Princess.
Eravamo appena arrivati
a Sagrado quando mamma
ricevette un telegramma dalla
principessa Wittgenstein che
le diceva che Liszt intendeva
viaggiare da Vienna a Roma
e le suggeriva di invitarlo a
casa nostra per una sosta.
Naturalmente mamma ne
fu molto compiaciuta e così
accadde che il grande uomo
arrivò, il 5 maggio 1869, con
un giovane pianista sassone
che portò con sé in Italia.
Trascorse pochi giorni a
Sagrado che sembrò piacergli
molto. Era estremamente
gradevole e buono; una
volta, per far cosa gradita
alla mamma, mi costrinse a
suonare un duetto al piano
insieme a lui. Ero in preda
alla disperazione. Ero sempre
avvilita quando dovevo
esibirmi suonando Valses
mélancholique, Moments
musicaux, Pluies de perles o
simili stupidaggini per i nostri
ospiti, ma questa volta ero
quasi morta di paura. Liszt si
divertì a introdurre variazioni
mentre stavamo suonando
e mi gettò in una terribile
confusione. Poi concluse
l’ultima cadenza passando
rapidamente le sue lunghe e
agili dita sulla punta del mio
naso, cosa che considerai un
imperdonabile insulto alla
dignità di una tredicenne
e cominciai a detestarlo
nonostante il suo sorprendente
buon carattere.
Una sera si sedette al piano
e suonò musica da ballo per
noi! Un’altra volta Madame
da Mosto, la sua graziosa
compatriota, venne per cena
e Liszt suonò per lei una
delle sue Rapsodie ungheresi,
fece un’indimenticabile
impressione su di me. Poi
suonò sul nostro povero piccolo
Pleyel le improvvisazioni
su temi viennesi che eseguì
per Napoleone III: il piano
non si è mai del tutto ripreso
dall’essere stato sottoposto
agli artigli del leone per vari
giorni.
Un pomeriggio il giovane
sassone stava esercitandosi
su una sonata di Beethoven
nel piccolo boudoir bianco;
io ascoltavo devotamente in
salotto. Improvvisamente la
porta vicino al piano si aprì
e Liszt apparve sulla soglia
con la sua alta figura nero
vestita ed eretta, i suoi fluenti
capelli bianco argentei, le
sue lunghe braccia alzate.
Rimase immobile in questa
posa ieratica, indicando
il tema di un magistrale
passaggio – come mi dispiace
di non ricordare quale
fosse! Mi sembrò il sommo
sacerdote della sua augusta
arte e dal quel giorno iniziai,
sebbene ancora vagamente,
a capire cosa poteva essere
l’essenza della musica. Potevo
perfino vedere il grande
mago con la sua magnifica
testa, i suoi eleganti e severi
lineamenti, le sue braccia
alzate e l’appassionata
intensa espressione del
giovane virtuoso la cui musica
sembrava fluire da una muta
invocazione.
È triste che io fossi ancora
troppo giovane per godere
della meravigliosa musica
che suonò per noi e egli che
sprecò il suo tempo a suonare
un’overture di Mercadante
con me. E che io fossi perfino
arrabbiata con lui.
116
Spartaco Muratti: Per la mia casa
In alto
Fotografia d’epoca con lo scorcio di Castelnuovo
nel 1908. Affacciato alla porta dell’ala ovest della
villa Spartaco Muratti con le due figlie e il cane.
In basso
Fotografia d’epoca del 1908. In primo piano i figli
di Muratti.
Spartaco Muratti, poeta triestino
irredentista e proprietario della villa nei
primi anni del Novecento, scrisse il poema
Per la mia Casa, dedicato a Castelnuovo
(Roma, 8 giugno - 10 luglio 1916).
I
La costa che dal monte di Sagrado
scende selvosa e dura,
s’affonda come il rostro d’una nave
incontro alla pianura:
innanzi, il fiume tortuoso e lento
si snoda, e un solco pare
scintillante che s’apra entro la verde
immensità di un mare.
Mar di verzura: qua e là turchino
sotto le nubi svaria;
qualche lontano campanil biancheggia
come una procellaria;
e i borghi intorno e i casolari sparsi
sembrano fiotti si spuma
che si rincorran verso l’orizzonte
velato dalla bruma.
Spesso m’accadde d’indugiar svagato
da questa fantasia,
al balcone lassù della mia casa
tranquilla e solatìa.
Quivi per l’ondeggiante ispida chioma
del bosco secolare
di quando in quando mi giungea col vento
il rumor di quel mare:
mugghiar di bovi, tintinnio sommesso
d’incudini lontane,
e vociar fioco e cigolar di carri
e ronzìo di campane.
Io diceva tra me: codesta antica
sinfonia della vita
inutilmente ormai lusingatrice
a scendere m’invita.
Intorno a quelle cuspidi sonore
sì candide e leggiadre
sgusciano al sol le vanità più sciocche,
le bramosie più ladre:
di casa in casa serpono, untuose
acredini pretesche;
gonfiano in qualche feccendier rifatto,
borie cittadinesche:
Ei tutto sa, tutto s’arroga, tutto
presume a sé dovuto:
ghigna dal fondo della sua bottega
il farmacista arguto;
ma l’onesto villan spingendo i bovi
bada all’aratro, e chino
sul solco, fa che penetri alcun poco
nel campo del vicino.
Se il borgo poi s’allarga e si rimpolpa
e a mano a man s’affina,
v’abbondano i soggetti d’importanza
tutto acume e dottrina.
tre o quattro di costor scoprono un qualche
genio municipale,
e lo espongon tra nuvole d’incenso
al culto universale:
trovato il santo, la chiesuola è fatta:
prodiga coi fedeli
d’onorate prebende, agli altri austera
vieta il regno dei cieli.
Se l’altare è un po’ fusto, un po’ sconnesso,
il sinedrio provvede,
e lo rabbercia, e lo invernicia a nuovo
pel gonzo che ci crede:
un uom dabbene è quei che a sé procaccia
empiendo altrui la tasca;
un uom accorto e l’istrion che sale,
un buffone se casca.
Così mareggia torbida e s’ingorga
per l’infinita piana
codesta al basso armoniosa e cheta
onda di vita umana.
II
Ma intorno a me, quando s’affuoca il vespro
di barbagli e di nimbi,
scogliono canti e trilli ed inni in coro
le rondini e i miei bimbi:
quelle nell’aria, si rincoron questi,
giarrulo sciame lieto,
118 119
dalla terrazza grande all’orto vecchio,
dal giardino al vigneto;
in coda agli altri che trottan veloci
s’affretta il più piccino
come un passero gaio saltellando
di gradino in gradino.
Poi quando per le fratte e i valloncelli
adusti dall’arsura,
umida e fresca a poco a poco sale
l’ombra dalla pianura,
e dall’intreccio mobile di rami
manda il merlo in amore
l’ultima nota del suo madrigale
alla luce che muore,
quando la grigia asperità del Carso
si tinge di viola,
e la signora delle notti ascende
bianca a oriente e sola.
Quando posano i bimbi sul guanciale
il capino assonnato,
vengono meco a ragionar gli amici
fantasmi del passato.
Danzano le falene attorno al lume;
tra i fucili e tra i libri
corre d’ali sbattute un fruscio lieve
come d’arpa che vibri.
Dal tratto in tratto l’aquile impagliate
hanno come un sussulto:
per certo impera sulla vecchia casa
qualche fascino occulto.
Forse sul buio della grande sala
parlan d’armi e d’amori
desti a convegno gl’incorporei spirti
degli antichi signori;
ed un arcigno spirito superbo
dice; - Bene conosco
Il muro costaggiù che da Fogliano
segna il confine al bosco:
- Quel confin vecchio di casa Torriana
onde una quercia, un varco,
ne condusse a schermir da pari a pari
più volte con San Marco.
E un altro che sfringuella tra le dame:
io col Da Ponte a prora
qui colsi allori, e in villereccie tresche
soppiantai Casanova.
Ma qual s’aggira tacita e leggere
entro alla stanza mia,
creatura di sogno in cui s’agguaglia
mestizia a leggiadra?
Forse che per me un attimo rivivi
di tua vita lontana
trasvolando sui vanni del tuo Nievo
o imagin di Pisana?
Ella risponde sorridendo, un poco
sull’omero mio china:
io son colei che dal tuo canto nacque,
Io son la Foscarina:
- Allor che la Repubblica fu spenta,
caddi seco travolta,
e la ferrea pestar zampa croata
udii su me sepolta.
- Quanto durasse il mio letargo tristo
non so, ma un dì fluire
a stilla a stilla nelle vene il sangue
mi parve di sentire;
- E colla vita crescere un ardente
ormai scordato amore,
e balzai dalla tomba: in piazza ai venti
garriva il tricolore.
- Poi ripiombai nella miseria prima.
Però ch’io son l’antica
la eterna dolorante anima umana
che nel mal s’affatica,
- Che nel fango s’avvolge, e si dibatte
terra terra, e risorge
pura e s’innalza se un raggio di luce
pura nei cieli scorge.
Ed io a lei: - Poi che tutte le imbelli
piaghe e l’infamie e l’onte
della civil vergogna e del servaggio
straniero a te son conte,
- E la forza rugghiante delle folle
che demolisce e crea,
e nel fulgor della bandiera santa
la gloria dell’idea,
- Dimmi, giorno verrà che dall’immonda
tedesca signorìa,
dallo squallor della palude morta
sorge la patria mia?
Le diafane mani ella congiunge
in atto di preghiera,
e mi sussurra al cor soavemente:
- Verrà quel giorno. Spera!
120 121
III
E venne il giorno. Ed oggi si rinnova
tra gli eccidj e l’inedia
il mondo: io vidi il prologo e gli autori
dell’immane tragedia.
Giungere vidi al sinistro convegno
innanzi a Miramare,
col torvo erede degli Asburgo il bieco
imperial compare,
e di moli tonanti un’infinita
serie dalla marina
ottenebrar di grasse nubi il cielo
della città latina.
Vidi il minor, dalla scoglio fatale
ch’è di ginestro adorno
e bianchi marmi, imprender suo viaggio
che non ebbe ritorno.
E in te Venezia mia – mia perché tutti
siam cittadini tuoi
quanti nascemmo tra Quarnaro e Isonzo –
e in te dei morti eroi
sentii propomper nell’arrengo antico
l’anima secolare,
e la gran voce: - Italia! Italia! Guerra!
nella notte passare.
Ma te non vidi o mia casa, nei primi
giorni della battaglia
sgretolata crollar pietra su pietra
tra schianti d mitraglia,
mentre che giugno ti alitava intorno
soffi come di brage,
A fronte
Dipinto di Spartaco Muratti
con veduta di Castelnuovo.
Il quadro è l’unica
testimonianza iconografica
prebellica fino ad oggi
conosciuta
che documenta la
composizione architettonica
dei volumi dell’intera villa.
122
e cogli effluvj dalle viti in fiore
l’acre odor della strage:
non a me, non a me fu dato in sorte
snidar di sasso in sasso,
di quercia in quercia le divise azzurre
incalzate dal basso,
né irromper col miglior sangue d’Italia
al sommo del sentiero,
né dir col pianto nella strozza: - O casa,
o casa, il sogno è vero!
IV
Breve il nostro cammin, certa la meta
che Natura prescrive:
tutto che introno a noi vegeta e canta,
che in noi palpita e vive,
l’appressar della grande ora solenne
con vario metro segna,
e la mortal caducità del tutto
a noi mortali insegna.
Ma la casa che dentro a sé raccoglie
con dolcezza infinita
nidi di affetti e sciamo di memorie,
non parla che di vita.
E par che debba durar sempre; pare
che pei figli dei figli
resti a perpetuar qualche parvenza
cara che a noi somigli.
Or la mia casa è una maceria informe.
Anzi è tutta una tomba
senza pace, squassata dai sussulti
del cannone che romba.
Le stanze dei miei bimbi orribilmente
ridono al sol squarciate
in un tumulto di travi e di attorte
ferraglie aggrovigliate;
e forse accanto a un soldatin di stagno,
a un cavalluccio nero,
sporge da un monte di rottami il teschio
d’un soldatino vero.
D’un soldatin per cui la mamma prega
notte e giorno e si strugge,
e all’uno e all’altro chiede, e al tempo impreca
che par sì lento, e fugge.
Madri d’Italia, benedetto il frutto
che dal grembo v’uscìa:
un’altra Madre onnipresente santa,
pura come Maria.
Passo passo con lui nella battaglia
ascese il duro monte:
vivo, lo incuora e lo sorregge e guida,
morto, lo bacia in fronte.
Di vetta in vetta ove s’afforza il bruto
in armi, ella s’accampa;
di valle in valle erompe la sua luce,
folgora la sua vampa.
E poi che un dì quei monti e quelle valli
templi saranno ed are
ai suoi vivi e ai suoi morti, ove ella sieda
pio nume tutelare,
sulle rovine tue dalla pianura
sorgerà il popol nuovo
giganteggiar la Grande Madre, o casa
Mia di Castello nuovo.
Castelnuovo e la Grande Guerra:
distruzione e ricostruzione in alcune fotografie d’epoca
Durante gli anni della
Grande Guerra la tenuta di
Castelnuovo fu trasformata
in postazione di comando e
ospedale degli intrasportabili.
La villa fu più volte
bombardata: il braccio
sudorientale fu
completamente distrutto e
la copertura della facciata
principale fu gravemente
danneggiata. Subirono danni
irreparabili anche i tempietti
e i casini di delizia che
punteggiavano il parco e
alcuni grandi edifici rustici
come ad esempio la barchessa
situata alle spalle della villa.
A fronte
Fotografia d’epoca del 1917. Il braccio
sudorientale di Castelnuovo è ridotto in macerie.
A destra
Fotogrfia d’epoca del 1917. Alcuni soldati in posa
sulla scalinata che porta al cortile d’onore; sullo
sfondo il tempietto monoptero con la cupola di
copertura ancora integra.
124
A sinistra
Fotografia d’epoca del 1917. Il re Vittorio
Emanuele III visita Castelnuovo.
A fronte, in alto
Fotografia d’epoca del 1917. Il generale Cadorna,
il generale Nivelle e il Duca d’Aosta sulla terrazza
di Castelnuovo.
A destra
Fotogrfia d’epoca del 1917. Soldati in posa sulle
rovine di uno degli edifici rustici dlla tenuta.
In alto
La cupola del tempietto del cortile d’onore
sventrata dai bombardamenti. Sullo sfondo solo
qualche albero mutilato evoca l’antico rigoglioso
giardino.
In alto
Fotografia d’epoca che inquadra alcuni soldati
in posa sulle rovine del braccio sudorientale
della villa. Le macerie arrivano al primo piano,
all’altezza del portale d’ingresso al salone
principale, miracolosamente scampato ai
bombardamenti.
128 129
Quando rammento che la villa fu parzialmente distrutta nella guerra
del 1914 - 1918, il giardino raso al suolo e il bosco bruciato, mi sembra che i
ricordi legati ad essa abbiano tutta la magia e l’irrealtà di un sogno.
A volte mi chiedo se sia davvero esistito al mondo un luogo dove l’aria e
la terra, gli alberi e i fiori, le pietre, i colori, i suoni e gli odori - specialmente
gli odori - siano stati intrisi di un tale senso di perfetta felicità.
Marie Hohenlohe, Memoirs of a Princess
In alto
Rovine di Castelnuovo (fotografia di proprietà del
Museo Centrale del Risorgimento).
A fronte
La facciata di Castelnuovo danneggiata dai
bombardamenti; sulla scalinata d’ingresso
baraccamenti per il ricovero dei soldati.
130
Ancora ed ancora sono tornata
al fitto incantato bosco e ai gradini
della felice casa con le colonne
che si stagliava come un fantasma
sul prato verde dove fiorivano le
rose. E poi sono tornata un’ultima
volta. Il bosco sembrava più esteso,
più denso e più silenzioso. Mi ci
volle molto tempo per raggiungere
gli scalini di marmo che mi
sembravano essere cambiati.
C’erano solo pochi gradini, ma ora
le scale portavano rapidamente
sempre più su. Salivo con difficoltà,
il mio cuore batteva forte. Alla fine
raggiungevo la cima, il grande
prato inglese - ma dov’erano le
rose? O Dio, dov’era la casa?
Tristemente la nuda terra si
estendeva intorno a me. Non era
stato lasciato nulla sulla cima della
collina dove una volta spiccava la
casa felice!
Disperatamente mi inginocchiavo
giù sulla nuda terra - la casa era
svanita. Mi svegliavo dai miei
sogni con le lacrime che correvano
giù sulle guancie. Ora so che non
rivedrò mai più i saloni affrescati,
le alte bianche colonne e le piccole
stanze fuori moda che sapevano di
rose e di muffa.
Marie Hohenlohe,
Memoirs of a Princess
La tenuta di Castelnuovo vista da sud nel 1917.
In alto
Rovine di Castelnuovo in una fotografia d’epoca
datata 15 ottobre 1920.
In alto
Fotografia d’epoca del 1926: i lavori di restauro
della villa sono partiti. I due bambini in primo
piano sono Dina Gismano Paladino e Viscardo
Zampollo.
134 135
Maledetta questa guerra che mai non si finisce:
i graffiti dei soldati nel salone al piano terra
Dal giugno al dicembre del
1915 sul fronte italiano del
Carso e Isonzo si contarono
54.000 morti, 160.000 feriti
e 21.000 dispersi; sul fronte
austriaco nello stesso periodo
si contò la perdita di 151.000
soldati.
In alto e alle pagine seguenti
Alcuni esempi di graffiti lasciati dai soldati nel
salone al piano terra della villa di Castelnuovo.
136
Il giardino di Alcinoo
A fronte
Uno degli uliveti della
tenuta.
1
Ode, composta nel
1793 da Remigio
Nordeck in onore di
Raimondo IX Della
Torre Valsassina
(ASGO, Archivio Storico
Coronini Cronberg, b.
344 f.1007).
Negli anni Novanta del Settecento l’opera di trasformazione
del colle irto di pietre in un rigoglioso parco era a un punto molto
avanzato; la tenuta aveva già suscitato la meraviglia, e forse anche
l’invidia, di chi l’aveva visitata, tanto che nel 1793 fu paragonata
all’incantevole dimora degli dei e al sublime giardino di Alcinoo 1 .
All’epoca della realizzazione, cioè a partire dalla fine degli
anni Settanta del Settecento, il parco si estendeva dalla cima del
colle fino all’antico corso della Roggia del mulino, che si staccava
dall’Isonzo e scorreva a valle. Rispecchiava per molti aspetti il
modello inglese del landscape garden: sfruttando il pendio si
fondeva con il paesaggio, diversi punti di fuga dilatavano lo spazio,
l’orizzonte era movimentato da terrazzamenti, sentieri rettilinei
si sdoppiavano in viali sinuosi che entravano nel bosco ombroso
e ne fuoriuscivano scenograficamente aprendo la visuale a un
panorama con le Alpi e la pianura friulana come sfondo. I piccoli
edifici integrati nel paesaggio, le sculture e gli ornamenti inseriti
ad effetto rimandavano a una contemplazione filosofica della vita,
della natura e dell’opera dell’uomo che si fa natura.
Il giardino di Castelnuovo può essere annoverato tra i primi
CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO 143
2
Da una nota di
pagamento del Manuale:
«5 marzo 1802:
per n.500 alberi di
Accaccia» (AST, Fondo
Della Torre Tasso, b.
246.1- 4).
3
Cfr. M. LEVORATO e G.
RALLO 1999, p. 30.
4
Il riferimento è ai già
citati Libro Confessore;
Manuale, Orazione
funebre in lode del
Conte Raimondo Della
Torre del fu Giovan
Battista, Ventilazione
di morte di Raimondo
IX; mappe censuarie di
Sagrado 2810 - 2814 e
relativi elaborati.
5
La torre ha base
quadrata di 3m di lato,
un’altezza che doveva
arrivare a circa 10m e
uno spessore dei muri di
mezzo metro; è costruita
in pietrame di calcare
e arenaria, con conci
e spigoli squadrati e
ben legati. La datazione
proposta dagli storici
varia tra il Quattrocento e
il Seicento. Cfr. T. MIOTTI
1980, pp.390 -391.
6
Del Casino per bagni
non rimane più traccia,
probabilmente perché
distrutto durante
i bombardamenti
della Grande Guerra
o precedentemente
demolito.
giardini all’inglese oggi in territorio italiano; il conte Raimondo
IX, durante i suoi numerosi viaggi in Europa e in particolare a
Vienna, aveva certamente potuto conoscere e apprezzare il nuovo
stile che a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo si stava rapidamente
diffondendo.
La caratteristica più peculiare del giardino era il perfetto
connubio tra il concetto illuministico dell’utile e quello romantico
del delizioso: vigne, uliveti, pascoli, campi coltivati a frumento,
alberi da frutto e gelsi erano perfettamente integrati con corsi
d’acqua naturali e artificiali, boschetti e radure, rovine, torri,
chioschi, tempietti, casini di delizia e mausolei.
Altrettanto notevole era anche un altro elemento distintivo
del parco; dallo studio è emerso che si trattava di un giardino
iniziatico, come conferma l’inserimento nel paesaggio di fabbriche
metaforiche quali la Casa rossa, il Tempio della Pace, l’antica torre
e la piramide, oltre all’introduzione di essenze arboree dal valore
simbolico quali l’acacia 2 , il lauro e il cipresso. Nell’Ottocento il
giardino all’inglese fu considerato una valida espressione artistica
che permetteva di costruire percorsi iniziatici immersi nella
natura e oscuri al profano. Nel giardino di paesaggio d’ispirazione
iniziatica si riscontravano di frequente quattro tipi di fabbriche
metaforiche: edifici il cui titolo rimandava a concetti filosofici come
ad esempio “Tempio dell’Amicizia” o “Campi Elisi”, torri e castelli,
fortezze il cui aspetto medioevale richiamava l’epoca dei Templari,
il repertorio dell’architettura egizia e le grotte 3 .
L’architettura del paesaggio voluta dal conte Raimondo IX
è ancora oggi ben riconoscibile, nonostante gli ingenti danni
provocati dai bombardamenti della Prima Guerra che rasero al
suolo gran parte del territorio carsico di Sagrado. L’analisi delle
Unione delle mappe
censuarie di Sagrado
degli anni 1818 - 1825
(ASGO, Catasti secoli XIX
- XX, Sagrado, mappe
n. 2810, 2811, 2812,
2813).
fonti archivistiche raccolte ha permesso di ricostruire in modo
sufficientemente dettagliato l’impianto della tenuta intorno al 1817,
anno in cui il conte morì 4 .
A valle l’attenzione era subito catturata da una torre stretta e alta,
scenograficamente collocata all’estremità di un fossato a forma di
ferro di cavallo tratto dalla Roggia del mulino. La torre, antica già
all’epoca e inserita nel contesto come rovina, era probabilmente
un baluardo difensivo o una vedetta di Castelvecchio; i ruderi,
ricoperti dall’edera rampicante, sono ancora oggi visibili nel campo
adiacente alla stazione ferroviaria di Sagrado in località Fornace 5 .
L’area racchiusa dai bracci del fossato era divisa a metà da un
lungo percorso rettilineo trattato a pascolo con alberi da frutto
che intercettava un piccolo edificio a pianta rettangolare censito
come Casino per bagni 6 e proseguiva fino a raggiungere le mura
del bosco. Tra il Casino per bagni e il bosco si estendevano i
144 Il giardino di Alcinoo CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
145
7
La datazione è
desunta da due note di
Raimondo IX riportate
nel Manuale: «1815,
19 marzo, allo scultore
Ziperla acconto del
mausoleo»; «1815, 22
aprile, al Ziperla per
il mausoleo mediante
il fattor Vittori» (AST,
Fondo Della Torre Tasso,
b. 246.1 - 4). I lavori
furono completati entro
il 1817.
8
Alla diletta moglie il
marito dolente ed i suoi
mesti figli cui mancò
posero (da R. PICHLER
1882, p. 467).
9
Cfr. g. Geromet e R.
Alberti 1999, p. 410.
A fronte
Il mausoleo dedicato
a Valburga in una
fotografia dei primi del
Novecento.
terreni coltivati (campi arativi vitati, campi arativi con moroni,
campi arativi vitati con alberi da frutto...): due di essi, quadrati,
erano divisi in quattro parti uguali da una croce con al centro una
figura circolare, in corrispondenza della quale si può supporre
si trovassero delle fontane o delle sculture. Osservando dall’alto
l’area tra il bosco e la strada si poteva riconoscere chiaramente la
figura di un tridente formato dal pascolo rettilineo e dal fossato
su cui insisteva la torre. Lo slargo di Castelvecchio ricalcava l’area
dove un tempo sorgeva l’antico palazzo padronale dei Della Torre,
demolito negli anni Ottanta del Settecento. Al margine dell’area
quadrangolare, addossati alle mura di recinzione, sorgevano grandi
edifici rustici, quali ad esempio granaio e cantina.
Al termine del tridente, nelle vicinanze del bosco, si incontravano
due piccoli edifici: un mausoleo inserito in un boschetto di
robinie e un Casino di delizie. Il mausoleo fu eretto nel 1815 per
volontà di Raimondo IX in memoria della prima moglie Valburga
Guppenberg di Pötmes, morta nel 1812 7 . Era una rotonda con
intercolumnio dorico per facciata; nel mezzo un cippo portante
un’urna funeraria attortigliata da un serpente recava l’iscrizione
DILECTAE UXORI MARITUS LUGENS EIUSQUE TRISTES
EXPERSQUE FILII POSUERE 8 .
Il tema della morte e della caducità della vita terrena permeavano
lo spirito del giardino; l’orazione funebre in lode al conte ricorda
che Raimondo voleva sempre «tenersi presente la memoria
della morte maestra del ben vivere tanto che disceso dalle scale
del palazzo si presentava al suo occhio in grandiosa scultura la
finta sua tomba»; l’orazione rammenta anche che «tra le molte
statue fece innalzare la morte in atteggiamento di trarsi dal
volto la maschera della vita». Il mausoleo, danneggiato durante
i bombardamenti della Grande Guerra, fu ristrutturato in epoca
postbellica per essere singolarmente convertito nella bottega di un
calzolaio e in seguito fu demolito 9 .
Il Casino di delizie, luogo appartato e tranquillo dove si poteva
godere un temporaneo riposo, si trovava proprio al margine
del bosco, quasi immerso in esso; affacciava su campi coltivati
146 Il giardino di Alcinoo CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
147
10
Da una nota di
pagamento del Libro dei
Giri da Gennaro 1778 in
poi tenuto da Raimondo
IX (AST, Fondo Della
Torre Tasso, b. 245.1-5):
«17 marzo 1783, per
reformar tutto il muro
del bosco di Sagrado
ed ultimare certi lavori
nel giardino ut contratto
d’oggi fatto in scritto
col Gio. Batta Torroj
capomastro muratore di
Gradisca».
11
L’arredo del Casino
della Venere era
costituito da 2 canapé
con tre cussini cadauno
e 2 tavolini con
coperchio di marmo;
similmente il Casino
d’Appolo era arredato
con 2 canapé con tre
cussini cadauno e 2
tavolini con coperchio
di pietra (ASGO, Fondo
Tribunale Civico di
Gorizia, ventilazione
di morte di Raimondo
IX, b. 166, f. 357, s.
1817- 5-9)
12
Cfr. M. HOHENLOHE,
1959.
13
Biblioteca Attilio
Hortis di Trieste: Verbali
Accademia Arcadi
Romano Sonziaci (RP
Manoscritti 3-26;
Diplomatico 1/1 C21);
Catalogo dei membri
Accademia Arcadi
Romano Sonziaci (1/2
B27).
con alberi da frutto e viti ed era lambito dal corso d’acqua che
attraversava il bosco. Dalla schematica rappresentazione della
mappa 2814 del catasto del 1818 si deduce che aveva pianta
quadrata e pronao con quattro colonne.
L’antico bosco duro d’alto fusto (roveri) che occupava gran
parte del pendio del colle era attraversato dallo stradone delle
carrozze, un viale centrale e rettilineo che partiva dallo slargo di
Castelvecchio e aveva come punto focale il tempietto monoptero
che chiude ancora oggi la scalinata dei terrazzamenti in cima al
colle. Dallo stradone delle carrozze si staccava un sentiero sinuoso
che correva all’interno del bosco intersecando con dei ponticelli
il corso d’acqua. Il bosco era una riserva di caccia con daini cinta
da mura fin dalla prima metà del Seicento. Le mura, che un tempo
ebbero anche funzione difensiva, furono interamente restaurate per
volontà di Raimondo IX, grande appassionato d’arte venatoria 10 .
In quota, al margine del bosco adiacente alle terrazze pensili,
c’era un parterre dove si trovavano due piccoli edifici speculari che
corrispondevano probabilmente al Casino di Venere e al Casino di
Apollo citati nella ventilazione di morte di Raimondo IX. Erano due
padiglioni a pianta quadrata, adibiti verosimilmente ad ameni ed
ombreggiati luoghi d’ozio 11 .
Il parterre terminava con un prato su cui si affacciava un Casino
di delizie coronato dal folto della vegetazione del bosco; si trattava
della Casa rossa edificata con ogni probabilità nel 1792. La
misteriosa costruzione stimolò la curiosità della principessa Marie
Hohenlohe e quella di Spartaco Muratti; entrambi ne fornirono
un’avvincente e poetica descrizione 12 . Era una costruzione in
stile gotico dipinta di rosso; aveva una porta d’ingresso ad ogiva
su cui campeggiava l’iscrizione EX OMNIBUS UNA, finestrelle
a sesto acuto e una scala a due rampe. Arredata come un buen
retiro con diversi canapè, tavolini, scrittoi, statue in gesso, lumi e
In alto
La Casa Rossa in un
dipinto di anonimo.
quadri, nascondeva una cripta circolare a cui si accedeva con pochi
gradini. La cripta era circondata da uno stretto passaggio affrescato
e ricoperto da innumerevoli epigrafi italiane, francesi e tedesche
che evocavano la fugacità della vita e l’incostanza della fortuna.
Il passaggio limitava una cella funeraria in cui era sistemato un
finto sarcofago sormontato dalla statua di una giovane donna ai
piedi della quale era accoccolato un amorino piangente. Dalla
parte opposta c’era un grande affresco in grisaille che raffigurava
la personificazione del Tempo, identificato dall’attributo della falce,
mentre portava con sé una figura femminile. Muratti riconobbe
nella Casa rossa il luogo d’incontro dei pastori e delle pastorelle
dell’Accademia degli Arcadi Romano Sonziaci; l’ipotesi va però
smentita, poiché nei verbali delle radunanze conservati presso
la Biblioteca Hortis di Trieste non è mai nominata la tenuta di
Castelnuovo 13 . La principessa Marie andò molto più vicina a
definire la funzione originaria della Casa Rossa, ipotizzò infatti che
avesse a che fare con un gruppo di Rosacrociani. Effettivamente
nella Casa rossa si poteva riconoscere un vero e proprio gabinetto
di riflessione, cioè il luogo d’iniziazione dove il recipiendario viveva
il primo passo verso la Conoscenza. Interessante notare come molti
dei temi iniziatici affrontati in essa siano ripresi dagli affreschi del
salone al primo piano della villa.
Una volta individuato il carattere iniziatico della Casa rossa,
censita negli elaborati del catasto ottocentesco come Casino di
delizie, viene naturale chiedersi se anche l’altro Casino di delizie,
rilevato a valle, avesse una celata funzione rituale. Data la scarsità
di notizie relative a quest’ultimo è difficile confermarlo, ma la
posizione di entrambi al margine del bosco, uno a valle e l’altro in
quota, lo fa supporre.
Negli anni Sessanta dell’Ottocento la Casa rossa era ormai
fatiscente e aveva certamente già smesso la sua funzione segreta;
148 Il giardino di Alcinoo CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
149
A fronte
Veduta dei terrazzamenti
dal tempietto del cortile
d’onore della villa.
Alle pagine seguenti
Veduta del cortile
d’onore con il tempietto
e la fontana.
quarant’anni dopo, nel 1905, Muratti decise di farla demolire.
Al limite del bosco, dove lo stradone delle carrozze e il sentiero
pedonale si incrociavano, partiva la scalinata in pietra che saliva
attraverso le quattro terrazze pensili. La scalinata terminava ad
effetto con il tempietto monoptero a otto colonne di ordine dorico
che apriva l’elegante cortile d’onore su cui si affacciava la villa.
Il cortile d’onore, un tempo a parterre, era arricchito da una
fontana circolare in pietra, posizionata in linea con il tempietto.
Superati i quattro bassi gradini che chiudevano il parterre e
portavano alla facciata della villa, si trova sulla destra la terrazza
ricavata sul tetto della cedrera, la grande serra fredda nella quale si
conservavano le piante di agrumi in vaso durante i mesi invernali.
Dall’alto del tempietto si raggiungevano con lo sguardo l’antico
bosco e il parco agricolo a valle; dal tetto della cedrera si potevano
abbracciare con lo sguardo i terrazzamenti artificiali censiti come
campi arativi vitati con frutti che scendevano fino al parterre della
Casa rossa.
Sulla sinistra, delimitato dalla scuderia e dalla barchessa, si apriva
l’ampio cortile rustico a cui giungeva lo stradone delle carrozze
superando con piccoli tornanti il dislivello che lo separava dal
bosco. La scuderia era un grande fabbricato a pianta quadrata che
poteva accogliere fino a dodici cavalli; la barchessa, a due piani, era
caratterizzata da una struttura porticata ad alte arcate a tutto sesto.
Questa è la parte di giardino che si è meglio conservata: i
terrazzamenti e la gradinata sono stati recentemente restaurati,
la fontana è ancora esistente e il tempietto è l’unica delle piccole
fabbriche che costellavano il giardino pervenuta fino a noi. Della
barchessa, purtroppo completamente distrutta dalle granate, non
rimane che la memoria; la scuderia è stata invece restaurata e
ampliata.
CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO 151
A fronte
La facciata restaurata
della scuderia.
A destra, in alto
Disegno a penna su
carta con progetto per
una scuderia per sedici
cavalli. Il documento fa
riferimento alla scuderia
di villa Della Torre Maffei
(Studeniz) di Gorizia,
un tempo proprietà del
conte Raimondo IX;
oltre ai ricoveri per i
cavalli erano presenti
una rimessa per le
carrozze, due depositi
per l’avena e tre giacigli
per gli inservienti. La
composizione della
scuderia di Sagrado
doveva essere molto
simile. (AST, Fondo Della
Torre Tasso, 241.2).
A destra, in basso
Tra le piante e i
disegni conservati
nel fondo Della Torre
Tasso compare il
disegno a penna
Casin dell’hortolano. Il
progetto, senza data ma
riferibile al XVIII secolo,
documenta l’attenzione
che veniva riservata
anche ai piccoli edifici
ad uso rustico; forse il
progetto fu fatto fare da
Raimondo IX proprio
per Sagrado (AST,
Fondo Della Torre Tasso,
241.2).
CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO 155
14
Non è certo che si
tratti delle fondazioni
della torre; la forma
ricorda anche una
cisterna per la raccolta
delle acque piovane.
15
AST, Fondo Della
Torre Tasso, b. 246.1-4.
16
Il già citato inventario
dei beni di Sagrado del
1818 elenca gli arredi
presenti nel Tempio della
Pace: al piano terra si
trovavano 4 cantonalli
d’albedo, 2 scrittori
d’albedo, 2 canape e
4 sedie; nel Gabinetto
c’erano 4 sedie di legno
con paglia e 2 scrigni
coperti con Indiana;
nella sala superiore si
trovavano 2 tavolini con
marmo rosso, 2 tavolini
con marmo bianco, 2
canapè e dodici sedie
di paglia; nella camera
annessa figuravano
4 sedie col sedere di
paglia, 2 sechiete di
legno duro e 1 scrittorio;
nella scalla c’era 1
Sechieta d’Albedo
ordenaria con vaso.
Una fotografia d’epoca dei primi del Novecento testimonia
la presenza di un’altra torre all’interno della tenuta, distrutta
probabilmente anch’essa durante la Grande Guerra. La memoria
orale la colloca poco distante dalla facciata posteriore della villa,
dove sono state rinvenute delle fondazioni di un edificio a base
quadrangolare oggi convertite in cantina ipogea 14 . La torre aveva
base quadrata e spigoli squadrati, era più bassa e più larga di
quella a valle. Vi si accedeva attraverso un portale incorniciato
e sormontato da un timpano; la luce penetrava attraverso
delle finestrelle ellittiche, anch’esse incorniciate, posizionate
verosimilmente in modo simmetrico una per lato. Per forma e
posizione è difficile ricondurre l’edificio a funzioni difensive e
sembra poco verosimile anche la tradizione che ricorda la torre
come luogo da dove erano fatti segnali di luce verso il castello di
Duino; appare molto più plausibile annoverarla tra le fabbriche
metaforiche che costituivano il landscape garden. Forse, insieme
a una piramide e a un tempietto, era uno dei lavori che Raimondo
IX commissionò allo Ziperla nel 1816; in una nota del Manuale
compare infatti l’appunto: «10 novembre, a Ziperla acconto dei tre
novi lavori: piramide, torre e tempio» 15 . Della piramide non rimane
che questa dichiarazione d’intenzioni, non è dato sapere se venne
effettivamente realizzata o se l’idea venne abbandonata poiché il
conte morì solo pochi mesi dopo.
La villa, protagonista del progetto paesaggistico, dominava
discretamente l’intero giardino dalla facciata che guardava a valle
e allo stesso tempo, dalla facciata rivolta verso i monti, apriva lo
sguardo sul parco agricolo che sorgeva in cima al colle. La vasta
area raggiungeva i comuni confinanti di Sdrausina e Doberdò; era
destinata a pascolo e campi arativi con viti, gelsi e alberi da frutto.
Nell’area del parco agricolo sorgevano come piccoli gioielli
La torre distrutta durante
la Grande Guerra in una
fotografia del 1912.
tre boschetti in asse tra loro. Il boschetto più a sud aveva pianta
quadrata ed era censito come bosco di rubini (robinie) con tempio
nel mezzo. Tutto ciò che si può dedurre dalla mappa riguardo la
costruzione è che insisteva su uno slargo circolare; si trattava forse
del Tempio della Pace 16 segnalato nella ventilazione di morte di
Raimondo, dalla quale si può appurare che l’edificio aveva due
piani collegati da una scala interna. Nel boschetto quadrato più
a nord, censito come bosco di rubini, non è segnalata la presenza
di un tempio, ma al centro è presente uno spazio vuoto quadrato
che probabilmente dialogava simbolicamente con il tempio
circolare. Possiamo supporre che l’area fosse destinata ad ospitare
il tempietto o la piramide commissionati da Raimondo allo Ziperla
nel 1816. Il boschetto superiore, circolare, era censito come bosco
dolce con rubini d’alto fusto.
156 Il giardino di Alcinoo CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
157
17
AST, Fondo Della
Torre Tasso, b. 170.2.
18
M. HOHENLOHE,
1959.
19
G. COLUSSI, 1897.
Quando Raomondo IX morì, la tenuta di Castelnuovo fu ereditata
dal secondogenito Giovanni Battista III, che, oltre a occuparsi di
rimodernare e ampliare la villa, si impegnò fin da subito anche
nella gestione della tenuta agricola. Se dell’amministrazione di
Raimondo è giunta fino a noi una mole consistente di materiali
cartacei, molto poco è pervenuto dell’amministrazione di Giovanni
Battista. Le scarse testimonianze sono però molto significative,
come ad esempio il Promemoria per il Nobil Signor Conte Giò Batta
Turn riguardante la sua Contea di Sagrado datato 20 giugno 1817 17
e prodotto da un certo Giò Batta di Zorzo. Incaricato di proporre
soluzioni per conservare e far rendere al meglio la tenuta, Giò Batta
di Zorzo consigliò al conte di avere particolare cura dei casini e dei
luoghi di delizia nei mesi estivi, poiché soggetti a frequenti uragani.
Suggerì poi di «levare gli olivari dai giardini supperiori poiché non
avevano mai dato gran frutto, non già perché non siano in ottima
località, ma perché il male sta nella qualità della pianta e perché sono
troppo spessi e troppo morbidi». Lo stesso destino doveva essere
previsto anche per molti alberi da frutto che «già invecchiati senza
vegettare erano dei tronchi inuttili piuttosto che avantaggiosi»;
questa penosa loro situazione era derivata dal fatto che furono posti
in un terreno affatto nuovo. Raccomandò di bandire il pascolo delle
pecore dal bosco e propose di inserire nuovi alberi da frutto lungo
le mura di recinzione e a ridosso del viale delle carrozze. Riguardo
i giardini al piano osservò che gli innesti degli alberi da frutto non
erano stati fatti ad arte e che le viti, seppur piantate in un buon
terreno e rampicanti su appositi bastoni, necessitavano di maggior
concimazione. Consigliò calorosamente al conte di prestare grande
attenzione ai terreni sopra il colle […] nati dall’industria e dalle pie
cure del Conte Padre, affidando a mani esperte la condotta dell’area,
perché, se amministrate con avvedutezza, potevano rappresentare
una delle migliori porzioni delle sue rendite.
Veduta del parco di
Castelnuovo in una
fotografia del 1908.
Teresa della Torre, figlia di Giovanni Battista, seguì l’esempio
paterno e fece dirigere dal fattore la produzione agricola della
tenuta. Soggiornando solo per brevi periodi a Castelnuovo ebbe
però poca attenzione per il giardino, come testimoniano i ricordi
adolescenziali della principessa Marie: «Il giardino assomigliava
davvero ad un piccolo angolo di paradiso. Poiché trascorrevamo
così poco tempo alla villa e il giardiniere non se ne occupava
troppo, era piuttosto trascurato, ma in qualche modo ciò lo rendeva
ancora più affascinante.» 18 Il passo fa riferimento alla fine degli anni
Sessanta dell’Ottocento; circa trent’anni dopo, quando la tenuta
era già passata in eredità alla principessa Marie, la situazione era
simile. Giuseppe Colussi, che nel 1897 soggiornò a Sagrado, scrisse:
«Il parco comprende delle magnifiche serre di fiori, un immenso
bosco, una grande quantità di vigneti e frutteti, estesi campi
di grano, orzo, avena. Questa tenuta è veramente principesca,
essa è adorna d’opere pregevoli e nulla vi manca per appagare
ogni moderna comodità, ma purtroppo non è sufficientemente
ben ordinata, il che forse dipende dalla mancata presenza dei
proprietari. Dal culmine del parco si gode un’aria sana e fresca,
mentre l’occhio si perde ammirando i numerosi villaggi, i prati, le
campagne e le possessioni che si estendono davanti.» 19
Nel 1902, quando la tenuta fu acquistata da Spartaco Muratti, il
giardino ricevette certamente maggiori cure, come documentano le
fotografie d’epoca. Pochi anni dopo però a nulla valse la presenza nel
parco del tempio che Raimondo IX volle dedicare alla Pace: la Grande
Guerra non ebbe riguardo per la tenuta principesca di Castelnuovo
e insieme all’ala posteriore della villa andarono perdute la barchessa
e quasi tutti i piccoli edifici inseriti nel giardino di paesaggio. Il loro
posto fu tristemente preso da trincee e postazioni militari.
158 Il giardino di Alcinoo CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
159
Alle pagine precedenti
e alla pagina
Il panorama che si gode dal
belvedere della villa.
Alle pagine seguenti
Veduta della tenuta agricola
che si estende in cima al
colle.
Alcuni esempi di note di
pagamento per i lavori
del giardino di Sagrado
appuntate sul Libro
Confessore di Raimondo
IX documentano l’iniziale
andamento dei lavori del
giardino: «31 maggio
1781, si riceve la nota del
corrente de’ lavori fatti nel
Parco di Sagrao [...]»; «4
ottobre 1781, avendo avuto
dal Sedmak il Conto del
tagliapietre Boschin [...] a
costo del lavoro della fontana
[...] furono notificate nel
saldo de’ lavori p il Casino
del bosco»; «14 dicembre
1781, feci accordo col
Capomastro Crisati p la
scuderia e rimessa ut
Scandaglio in Xbre»;
«20 dicembre 1781, al
Zanetti di Merano […] p le
porte e scuri del giardino»;
«21 dicembre 1781,venne
il giardiniere da Kadmasdorf
mandatomi dal Conte di
Thurn p Sagrado accordate
dallo stesso p £8 al mese
in tutto con la livrea, oggi li
diedi £4 per il viaggio e p er
li persi giorni del corrente
cominciando per il di lui
mese coll’Anno Novo [...]».
Le strutture metaforiche del
Parco Ungaretti, inaugurato
nel 2010, hanno preso il
posto delle piccole fabbriche
del landscape garden andate
perdute come il Tempio della
Pace, la Casa rossa, il Casino
di Venere e il Casino di
Apollo, il mausoleo e i casini
di delizia.
L’area di Castelvecchio
(1818 - 1825)
1
3
2
4
12
2
12
2
13
1. Strada (Fogliano - Sagrado)
2. Strada di collegamento con
la tenuta (costeggiata da
alberi di gelso)
3. Roggia del mulino
4. Fossato
5. Antica torre
6. Pascolo rettilineo con alberi
da frutto
7. Casino per bagni
8. Slargo di Castelvecchio
con edifici rustici (granaio,
cantina ecc.) e orto
9. Bosco
10. Boschetto di robinie con
mausoleo
11. Casino di delizie
12. Campi arativi vitati con
moroni (gelsi)
13. Campi arativi vitati
14. Campi arativi vitati con
alberi da frutto
3
3
5
6
13
4
12
7
13
14
12
8
6
13
13
6
9
13
9
1
13
Dettaglio del Rilievo di Sagrado del 1818 - 1825
(ASGO, Catasti secoli XIX - XX., mappa n.2814)
10
13
168
13
11
L’area di Castelnuovo
(1818 - 1825)
1. Bosco
2. Viale delle carrozze
3. Terrazze con scalinata in pietra
(campi arativi vitati con alberi
da frutto)
4. Tempietto monoptero
5. Cortile d’onore a parterre
6. Villa
7. Cortile rustico con campo
arativo nel mezzo
8. Edificio rustico non censito
9. Scuderia per 12 cavalli
10. Barchessa
11. Edificio rustico non censito (ad
uso rustico)
12. Terrazza sulla cedrera
13. Campi arativi vitati con alberi
da frutto
14. Edificio non censito
15. Parterre con Casino di Apollo e
Casino di Venere
16. Prato con Casa rossa
17. Pascolo con casa diroccata
18. Posizione in cui la tradizione
ricorda la presenza della torre
ottocentesca
2
1
1
2
16
3
13
15
13
2
3 3 3
14
4
13
2
5
2
13
12
8
6
7
9
17
10
11
18
Dettaglio del Rilievo di Sagrado del 1818 - 1825
(ASGO, Catasti secoli XIX - XX., mappa n.2811)
170
1
La tenuta agricola
(1818 - 1825)
3
1. Boschetto di robinie
con tempio nel mezzo
(probabilmente Tempio della
Pace)
2. Boschetto di robinie
3. Boschetto con robinie d’alto
fusto
Il parco agricolo era costituito
prevalentemente da campi arativi
vitati, campi arativi e pascoli.
2
1
Dettaglio del Rilievo di Sagrado del 1818 - 1825
(ASGO, Catasti secoli XIX - XX., mappe n.2811
e 2813)
173
Ode a Sagrado
Nel 1793 Remigio Nordeck,
professore di filosofia pro
tempore delle Scuole Pie, dedicò
un’ode a Raimondo IX Della
Torre. L’ode, composta in latino,
evoca il meraviglioso giardino
di Alcinoo, i Campi Elisi, la
Valle di Tempe e il fiume Lete
mentre fa riferimento, in modo
più o meno esplicito, ad alcuni
edifici che si trovavano realmente
nella tenuta di Castelnuovo,
come ad esempio il Casino
di Venere, il Casino di Apollo,
la casa frondea e il sepolcro
sotterraneo (Casa rossa). È di
difficile comprensione, non solo
per la metrica e le espressioni
poetiche, ma anche per le oscure
allusioni; si tratta di un erudito
componimento in cui di verso
in verso l’autore sottintende
metaforicamente significati
che vanno oltre le apparenze
risultando comprensibile soltanto
agli iniziati.
SPLENDIDISSIMUM SAGRADI
PRAEDIUM / duas circiter horas Goritia,
& Adria dissitum / quod / GENEROSIS
SUMTIBUS, AC SINGULARI INGENIO
/ Excellentissimi, ac Illustrissimi
S. R. I. Comitis / RAYMUNDI / DE
THURN VALSASSINA /SUPREMI
CAPITANEI GORITIENSIS, / in loco
prorsus inculto, ac rupibus horrido
/ ad spectatorum quorumvis
admirationem / non ita pridem e
fundamentis excitatum est,
/ cecinit / Remigius Nordeck e
Scholis Piis / p.t. Philosophiae
Professor / MDCCLXXXXIII /
GORITIAE. Typis Jacobi Tommasini
1
O! Te beatam, Dextera praepotens!
Quae prima pulsis hic tenebris loci
Aulam Deorum fascinantem
Surgere praecipis in Sagrado!
2
Illi vel ipsos crediderim Deos
Dedisse formam; nobilis hic labor
Dum vidit orbem, nigra circum
Invidia labra morsicante.
3
Iactet vetustas Alcinoi nemus?
Sublime quidquid, quidquid amabile
Graecus stupescit segregatum,
huc Charites simul intulere.
4
Ut Flora laetas Naiadibus comes
ducit choreas; ut Satyri leves
Antris Napaeas prodeuntes
In sinuosa vocant viarum.
5
Ut mole Ghotus ridet ab edita
Amplam coronam laude perennium
Cernens virorum in omne tempus
Elysio radiantem in horto.
6
Nil densa Lethes flumina nomini
Claro nocebunt. Mox, ait: O! deus!
O! Diva! Quos hic aeviterno
Condecorat Phidias sepulcro,
7
Desideranti dum patriae satis
Vixistis ambo, tum meritis, velut
Annis onusti gloriosas
Seri abeant cineres in urnas!
8
Isthic profana plebe remotior
Senex, subacto corpore, frondea
Casa quiescit, mente pura
Nectare sed fruitur deorum,
9
Hic et comatas pervolat arbores
fontes anhelans cerva, sequacium
elapsa latratus canum, quae
Victima grata cadit Dianae.
10
Venus lacessit sidera lumine,
Nihil minori templum et Apollinis,
Foecunda vitae blandientis
Illa parens, latitantis urnae
11
Hic certus index. Quis mihi vellicat
Iucundus aures clamor? O collium
Gemmata late pampinatus
Iugera Bacchus ovans pererrat!
12
Neptunus alto caeruleum caput
Tollens amoenis Tempe susurribus
Beat, nec usquam simile spectans
Adriacas petit aeger undas.
13
Quid excitatae vis queat ignea
Mentis, citati fulminis aemulae?
Haud mille nervos concrepando
Rite sonet chelys Orpheana.
____________
Remigio Nordeck, dalle Scuole Pie,
professore di filosofia pro tempore
cantò [in versi] il magnifico
podere di Sagrado [che si trova]
impiantato a circa due ore [di
strada] da Gorizia e dal mare
Adriatico, [podere] che da non
molto tempo è stato innalzato
dal nulla all’ammirazione degli
intenditori di ogni luogo in una
zona del tutto incolta ed irta di
pietre con generoso investimento
e straordinario ingegno di
Raimondo Della Torre Valsassina
conte del Sacro Romano Impero.
Gorizia, Tipografia di Giacomo
Tommasini.
1
Oh, te felice, Destra potentissima,
che qui comandi sorga in Sagrado
l’incantevole dimora degli Dei,
dopo che per prima cacciasti le
tenebre.
2
Avrei creduto persino che gli Dei
stessi l’avessero edificata; mentre
in questo luogo la nobile impresa
veniva alla luce, intorno una nera
invidia si morsicava le labbra.
3
L‘antichità farebbe diminuire il
valore del giardino di Alcinoo? Il
Greco si stupirebbe se una qualsiasi
cosa di sublime e desiderabile
venisse allontanata, verso di essa le
Tre Cariti vanno insieme.
4
Così Flora conduce le liete
graziose danze con le Naiadi;
così i Satiri chiamano sulle strade
tortuose le Napee che lievi escono
dalle grotte.
5
Così il Goto ride scorgendo, dalla
fatica svelata, la grande corona
irraggiante luce nei Campi Elisi a
lode degli uomini la cui memoria
perdura in ogni tempo.
6
Le profonde e scure acque del
Lete non nuoceranno al nome
illustre. Ora dice: Oh, Dio! Oh,
Dea! Che Fidia rappresenta
insieme nell’eterno sepolcro
7
poiché entrambi viveste
abbastanza, ora le ceneri cariche
di meriti come di anni possano
andare tardi nelle urne gloriose
della patria che [le] desidera.
8
Proprio qui il Vecchio, più lontano
dalla plebe non iniziata, domato il
corpo, riposa nella casetta coperta
di fronde, ma con animo puro gode
del nettare degli Dei
9
e la cerva che anela alle fonti
vola verso le chiome arboree,
sfuggita ai latrati dei cani
inseguitori, lei che muore qual
vittima gradita a Diana.
10
Venere sfida le stelle con una
luminosità per nulla minore e lei
che, feconda di vita che lusinga,
genera il tempio di Apollo, qui
è indice certo del sepolcro che
rimane nascosto.
11
Quale giocondo clamore mi
stuzzica le orecchie? Oh, Bacco
abbondantemente coronato di
pampini vaga esultante per i
campi ingemmati dei colli!
12
Nettuno, alzando il ceruleo capo,
rende beata la valle di Tempe con
ameni sussurri, e il triste che in
nessun luogo può vedere una cosa
simile, non cerca [più] le onde
dell’Adriatico.
13
Che cosa potrebbe la forza
infuocata di una mente fervida,
emula del rapido fulmine? La
lira di Orfeo suona ritualmente
pizzicando non mille corde.
1
Fascinantem aulam Deorum: il luogo
immerso nelle tenebre diventa dimora
degli Dei; nel participio presente
174
175
fascinans è espressa l’azione magica che la
dimora degli dei esercita su chi la guarda.
2
L’allusione alla nera invidia è criptica,
non è dato sapere a chi si riferì il poeta.
Certamente l’opera di Raimondo IX,
oltre ad aver suscitato l’ammirazione
degli intenditori, doveva aver suscitato
anche molte invidie.
3
Attraverso un erudito gioco retorico
l’autore assimila il giardino di
Castelnuovo al sublime giardino di
Alcinoo. Secondo la tradizione letteraria
classica (VII libro dell’Odissea) il re dei
Feaci possedeva i più bei giardini del
mondo.
Cariti: corrispondenti alle tre Grazie
latine, sono figure mitologiche legate al
culto della natura e della vegetazione.
4
Flora: antichissima divinità italica, dea
dell’immortale giovinezza del mondo.
Naiadi: ninfe delle fonti, dei fiumi
e delle acque stagnanti; seguivano
il corteo di Bacco insieme ai Satiri.
Napee: ninfe delle valli e dei boschi,
spesso insidiate da Satiri e Fauni.
5
Campi Elisi: dimora eterna degli eroi,
dei poeti e delle anime virtuose, che
vi passavano il tempo interminabile,
senza cure ed affanni, in una perenne
primavera, sui prati d’asfodelo.
Ghotus: il riferimento è oscuro, un Goto
generico in contrapposizione al Greco?
6
Lete: uno dei fiumi degli Inferi, le cui
acque a chi ne avesse bevuto davano
il completo oblio della vita terrena
trascorsa.
O! Deus! O! Diva!: allegorie dei conti
Raimondo e moglie?
Quos hic Phidias condecorat aeviterno
sepulcro: allusione ad una scultura
funeraria di Fidia? Oppure Fidia è il
nome fittizio, a scopo di omaggio, di
uno scultore che scolpì per Raimondo
due statue? Ritornano il tema della
morte e della caducità della vita che
permeavano lo spirito del giardino.
8
Senex: Raimondo?
Frondea casa: riferimento al Casino
di Delizie che nascondeva l’iniziatico
gabinetto di riflessione (Casa Rossa).
Profana plebe: plebe “non iniziata”.
La locuzione e il riferimento alla Casa
Rossa rimandano al carattere iniziatico
del giardino.
9
Cerva anhelans fontes: reminescenza
del Salmo 42: Come la cerva agogna i
rivi dell’acque, così l’anima mia agogna
te, o Dio.
10
Citazione del Casino di Venere e del
Casino di Apollo presenti nel parterre
adiacente alla Casa Rossa.
12
Tempe: amena valle della Tessaglia,
fra i monti Ossa ed Olimpo, vantata
dagli antichi come la più ridente e, per
questo, scelta dagli dei come luogo di
riposo e di ricreazione.
13
Haud mille nervos: la lira di Orfeo
aveva nove corde; egli ne aveva
aggiunte due alle sette dello strumento
donatogli da Apollo e Mercurio.
Una copia originale dell’Ode è
conservata presso l’Archivio di
Stato di Gorizia (Archivio Storico
Coronini Cronberg, b. 344 f.1007).
Promemoria per il Nobil Signor Conte
Giò Batta Turn riguardante la sua Contea di Sagrado
Un passo tratto dal Promemoria
per il Nobil Signor Conte Giò
Batta Turn riguardante la sua
Contea di Sagrado conservato
presso l’Archivio di Stato di
Trieste (Fondo Della Torre Tasso,
b. 170.2).
In alto
Frontespizio del promemoria (AST, Fondo Della
Torre Tasso, b. 170.2).
Sgnor Conte mio Padrone
Le cose, che sono per esporre
non essendo, che semplici avvisi,
appoggiati da quella poca
esperienza, che posso avere
attraverso il mio soggiorno
campestre da circa quattr’anni
saranno calcolati senza risserva
e sarà fatto di essi quell’uso
che al Signor Conte crederà più
opportuno, giacché non pretendo
di essere un perfetto Agricoltore.
Ciò posto andrò dividendo in più
articoli le cose, che riguardano
la superba, e felice sua tenuta di
Sagrado.
Palazzo, casini e fabbriche
annesse
Questo delicioso fabbricato
merita, che sia conservato con
tutta quella proprietà degna
del rispettabile suo auttore, e
dell’ottimo suo Figlio; i casini,
i luoghi di delizia, devono
avere certamente non solo lo
steso destino, ma siccome sono
qua e là sparsi, è necessaria
una particolare attenzione
nell’estate, che atteso le improvise
alterazioni dell’aria, potrebbero
soffrire quando specialmente
succedono degli uragani e per
cui è necessaria una pronta
mano per poter garantire da
ogni accidentale eventualità
questi luoghi deliziosi. Ciò posto
si vede necessaria una persona,
che oltre ai serviggi che potrebbe
prestare in altri oggetti, abbia
specialmente cura in custodia,
e sia sua special cura un tale
serviggio. Vedremo in seguito se
ciò possa esser unito alla cura
dell’Ortolano, che io sarei d’avviso
di ritenre, oppure se altra persona
dovrebbe essere di ciò incaricata.
Le fabbriche annesse, cioè stale,
fenili, luoghi per gli Ortolani, ed
altro servir potranno oltr all’uso
familiare, a tener le raccolte, e
li foraggi, che ritirar si potranno
dal bosco, quando una mano
economa, attiva, e conoscitrice
sappia ritrarre tutti i profitti, che
esso presenta, e di ci in seguito n
parlerò.
Giardini supperiori
Non essendo questi stati formati
che per aver più comodi che
176 177
utilità, non saranno mai di un
gran vantaggio, quando si voglia
conservarli nel modo che sono,
e dall’altro canto non saprei
suggerire, che con mio dispiacere
una rifforma, che levar dovesse
un’infinità di piante, che ora
impediscono ai vegetabbili la
vista del Sole, e che ritardano
la loro maturità: non di meno
una mano giudiziosa potrebbe
conservare tutte le delizie di
questi e migliorare in qualche
parte i prodotti col togliere ciò
che è inutile e che forse invece di
abellire impedisca questo scopo.
Per esempio si potrebbero levare
gli olivari, li quali non hanno
fatto mai nulla, non già perché
non siano in ottima località, ma
il male sta nella qualità della
pianta, e perché sono troppo
spessi e, troppo morbidi. Lo
stesso destino dovrebbe avere
molte piante di frutta, che già
invecchiati senza vegettare sono
dei tronchi inuttili piuttosto che
avantaggiosi; questa penosa
loro situazione è derivata perché
furono posti in un terreno affatto
nuovo, senza che fosse stato
ventilato dagli accidenti delle
meteore, ed in conseguenza
ancora selvaggio. Sopra luoco
poi farò meglio vedere cosa si
potrebbe levare, cosa sostituirvi, e
quali vantaggi ne risulterebbero.
Qualunque fosse il piano che il
Signor Conte fosse per prendere,
sia affittando, sia tenendo un
Ortolano per questi giardini,
egli deve aver presente, che il
tener gli alberi nella forma, che
sono tanto nelle camere silvestri,
quanto nei stradoni, che l’aver
cura delle viti, e degli alberi da
frutta, è un opera lunga, penosa, e
che non porterebbe verun profitto
all’affittuale al quale si dovrebbe
ancor dare nell’affitanza un
compenso. Che se poi fosse
ritenuta per conto economico,
si dovrebbe avere in riflesso che
all’Ortolano lavorando in una
località, non potrebbe esser in
un’altra, e che se qualche volta si
dovesse dal Fattore prender delle
opere giornaliere, si renderebbero
necessarie per supplire ai lavori
utili non eseguiti dall’Ortolano
occupato in quelli di semplice
abelimento. Questa spesa, sotto
l’uno o l’altro aspetto, deve esser
sempre considerata.
Bosco
Questa amena località arrecar
deve dei vantaggi nell’andar del
tempo, ritenuto per altro sempre,
che conviene bandir le peccore, e
non permettere il pascolo. In esso
si potrebbe annualmente ripporre
nei lunghi [?] lasciati dalle
quercie dagli albori da frutta, che
poco costano, e quasi veruna cura
apportano. Vicino alla muraglia,
e lungo lo stradone delle carrozze,
nonché in quello dei pedoni si
potrebbe a preferenza farne
più impianti. Adottando questo
sistema, saprò io il modo di
render facile e di quasi nessuna
spesa questa piantaggione. La
qualità del fieno, che in esso fino
ad ora si è raccolto, non deve
esser stata corrispondente alla
qualità che ne nasce, giacché
cammin facendo, osservasi,
che in più parti era stato
negletto il taglio, o mal eseguito,
riconoscendosi ancora l’erba
secca dell’anno scorso. Questo
foraggio mi sembra di buona
qualità, e specialmente pei bovi,
e se vero sia come dice il fattore,
che ha il difetto di tagliar le
labbra all’armente, si può ciò
ripparare col tagliarlo per tempo,
e non tanto maturo. Se io fossi
il padrone di questa località
certamente non mi sfugirebbe
l’altro vantaggio, che ritirar
si potrebbe col tener diverse
armente, e molto vitelli, che in
seguito cresciuti porterebbero con
piciolissima spesa un utile non
indiferente.
Giardini al piano
Questi due pezzi di terreno
oltre l’uva, e la frutta potranno
somministrare molti grani,
legumi, vegetabili, ed altro, e
rendere molto di più di quello
che hanno fino a ora prodotto.
Osservate minutamente queste
località, ritrovo che le piante della
frutta sono troppo spesse, e che
molte si preparano a perire in
breve, ciò deriva perché devono
avere del male nelle radici sia
per la troppa loro proffondità,
sia perché si passò vicino ad
esse coll’aratro senza aver
certi riguardi. Osservai anche
che gl’incalmi in molte di esse
non furono fatti con l’esattezza
prescritta; a tutto ciò con l’andar
del tempo si potrà provedere
col levarne alcune, sostituire
dell’altre, e molte riddarle
miglior forma, e poi regolare. Le
viti son bastonate, ma devono
esser meglio dirette, il terreno è
buono, ma non è sufficientemente
ingrassato. La porzione riddotta
in orto, dovrebbe in seguito esser
inutile, attesoché non vi abita il
Padrone, e basterebbe lasciarne
un pezzo sufficiente per l’uso
giornaliero del Fattore. Gl’agrumi
meritano qualche maggiore
atenzione se si vuole conservarli.
Terreni sopra il colle
Questi fondi nati dall’industria,
e dalle pie cure del Conte Padre,
il quale calcolando da un latto
i vantaggi avvenire, cercava
dall’altro di procurar lavori
negl’anni sterili ai poveri Villici,
aumentano alla giornata il di
lei patrimonio, e formeranno un
giorno una delle migliori porzioni
delle sue rendite, se una mano
intelligente saprà concorrere
colla natura e secondare gli sforzi
dell’[?]. In un terreno nuovo, e
sopratutto posto in una situazione
alpestre, occorre, che l’agricoltore
conosca perfettamente tutte le
variazioni delle staggioni, quali
piante siano le più adatte, quali
viti germogliano con più facilità, e
quali sono atte a rendere miglior
vino; quali siano i grani, che
riescono più facilmente, e quali
i legumi, che possono meglio
convenire. Queste osservazioni
sono necessarissime, poiché
trattandosi specialmente di
formare impianti, che sussister
devono molti lustri, occorre
farne una scielta addattata,
poiché un giorno non si abbia a
incolpare il terreno o il clima, o
la mano dell’Agricoltore; quando
la mancanza derivò soltanto
dal non aver saputo ritrovare
le piante adatte al fondo. Ho
osservato per altro, che tutte
queste particolarità al momento
degli impianti degli alberi e viti,
non devono esser state del tutto
diligentemente esaminate, ma ciò,
che non si è fatto si può ancora in
qualche parte eseguire.
Terreni nei contorni di Sagrado
Questi beni furono da me veduti
in più circostanze, e posso
assicurarla, che essendo li suoi
Colloni stati sotto un padrone
benefico, ed attivo come era il
Signor Conte Padre, avrebbero
potuto riddur ancor meglio i suoi
fondi e sta nel Fattor a spingerli a
questo punto.
[...]
Gio Batta di Zorzo
178 179
L’arrivo alla tenuta nelle memorie di Marie Hohenlohe
Da Memoirs of a Princess di
Marie Hohenlohe
[…] I cancelli in ferro venivano
aperti e chiusi dietro di noi.
Su entrambi i lati alti cipressi
facevano da sentinelle. Eravamo
entrati nell’incantata proprietà
di Sagrado e respiravamo il suo
incomparabile profumo. Una
strada rettilinea e ripida che
correva tra i vigneti ci portava
al nostro paradiso; potevamo
vedere un’ampia scalinata che
conduceva a un tempio circolare
alla fine della strada e al di sotto
l’incantevole e incantato bosco.
I magnifici alberi formavano
un tetto di ombra e filtravano
migliaia di raggi di sole dorati
sull’ampio viale carrozzabile
che imboccavamo salendo
dolcemente; ai piedi dei grandi
alberi erano cresciute felci,
intorno c’erano grandi pietre
ricoperte di muschio e le rose
selvatiche che sembravano
stelline luminose ricoprivano
il manto erboso. Dopo aver
attraversato il sentiero ombroso,
oltrepassata una scultura
bizantina che uno dei nostri
antenati aveva probabilmente
preso ad Aquileia, passavamo un
alto muro coperto di edera e alla
fine raggiungevamo la scala di
pietra che avevamo visto fin dal
basso.
La bassa e larga scalinata,
attraverso due file di terrazze
bordate da balaustre, fioriture
di piante di rose e grandi urne
di terracotta scura, decorate con
amorini e contenenti alberi di
limone, portava su in cima dove
c’era il piccolo tempio colonnato
dal quale si godeva una
meravigliosa vista della pianura
attraversata dall’Isonzo azzurro
con le Alpi sullo sfondo. Al di là
del tempietto c’era un grande
prato ovale bordato da fitte siepi
di faggio, al centro c’era una
fontana. Poi tre scalini di pietra e
circa venti iarde dopo la facciata
della villa tanto amata.
Disegno a matita con veduta del parco di Sagrado
realizzato da Marie Hohenlohe o da uno dei fratelli
(AST, Fondo Della Torre Tasso, b. 176.1).
180
La Casa rossa nelle memorie di Marie Hohenlohe
La Casa rossa nelle memorie di Spartaco Muratti
[…] Scendendo di terrazzamento
in terrazzamento, si raggiungeva
infine una radura di pini e allori
e attraverso il reticolo di rami
si intravedeva la Casa rossa.
Era un elemento di oscurità e
mistero nell’incantevole giardino
abbandonato. L’edificio era molto
piccolo, le pareti rosse quasi
scomparivano sotto i rampicanti
rigogliosi, consisteva in un
piano supportato da una cripta
sotterranea. La chiave della porta
era nascosta sotto il muschio
sulla soglia, e quando il pesante
portone si chiudeva alle spalle
il mio cuore batteva sempre più
veloce. All’interno il silenzio era
così profondo, il freddo così gelido
che noi chiamavamo “cripta della
sepoltura” questa strana stanza
circolare che non aveva finestre
ma era circondata da uno stretto
passaggio coperto di affreschi
e innumerevoli citazioni in ogni
lingua viva e morta. Sopra la porta
a ogiva c’era un’iscrizione che
recitava “Ex omnibus una”.
Il riflesso del raggio di sole che
entrava attraverso la porta
aperta illuminava a malapena il
sarcofago che stava da una parte,
sormontato da una statua di una
giovane donna seduta ai piedi
della quale era accoccolato un
amorino piangente. Dalla parte
opposta al sarcofago c’era un
grande affresco in grisaille che
raffigurava il Tempo con la sua
falce mentre portava via con sé
una graziosa figura femminile -
forse intendeva simboleggiare la
giovinezza o la bellezza? Non lo
so. Nessuno poteva dirmi nulla di
preciso sul significato della tomba
vuota. Tutte le iscrizioni sulle pareti
richiamavano espressamente la
dipartita dal mondo, parlando
della pace della campagna,
della solitudine del saggio, della
spregevolezza e della vacuità dello
sfarzo e delle gioie terrene.
Sopra questa cripta, rispetto alla
quale è stato suggerito che servisse
come luogo d’incontro per un
gruppo di Rosacrociani, c’era un
piccolo salotto. Il rivestimento a
pannelli era rotto, i bassi mobili
Luigi XV cadevano a pezzi, e così
ciò che restava delle fatiscenti
dorature del soffitto annerito,
intorno al quale girava sempre
un gran numero di pipistrelli
che mi spaventavano. In questo
luogo l’odore del passato, l’odore
della muffa e dell’umidità
ti prendevano alla gola. La
Casa rossa mi affascinava e mi
faceva venire i brividi. Studiai le
iscrizioni – citazioni di Platone,
dall’Ecclesiaste, di Marco Aurelio,
Dante e Montaigne – e arrivai alla
conclusione che tutti questi uomini
devono essere stati profondamente
infelici. Vorrei leggere ad alta voce
e ascoltare le parole solenni che
vibravano attraverso il buio con un
insolito suono sordo. Poi in fretta
vorrei di nuovo tornare al sole
caldo sotto il ridente cielo azzurro
e correre su per le scale che dal lato
opposto portavano alla terrazza.
[…]
Il passo è ancora una volta tratto
da Memoirs of a Princess di Marie
Hohenlohe.
Nel 1957 Lina Gasparini lesse
alcuni brani di Spartaco Muratti
a Radio Trieste in occasione del
ventennale della morte dello
scrittore; il testo qui riportato
fu fatto pervenire al figlio di
Muratti.
In fondo ad un vecchio giardino,
sulla vetta di un colle che sovrasta
l’Isonzo, tra il fogliame denso dei
tigli e delle roveri centenarie, tra
il viluppo delle rose inselvatichite,
dei bossi giganti, dei lauri
arborescenti, nella rovina dei
balaustri sgretolati dalle piogge
e dal gelo, ammantati d’edera
rigogliosa, sorgeva anni sono una
costruzione misteriosa e bizzarra
fiancheggiata da due chioschi in
rovina.
Col pronao a colonne quadre, la
scala a due rampate, le finestrelle
a sesto acuto, poteva sembrare
a prima occhiata una chiesetta
campestre, e l’illusione durava,
nonostante l’assenza di ogni
contrassegno esteriore del culto,
se si fosse discesi per pochi e
malformi gradini nel sotterraneo
scarsamente illuminato da due
pertugi ingraticciati.
Qui un muro circolare coperto di
strane epigrafi latine, italiane,
francesi e tedesche ricordanti la
fugacità della vita, l’ingratitudine
degli uomini e l’incostanza
della fortuna, limitava una
cella, una cripta funeraria. In
fondo un sarcofago, alle pareti
medaglioni dipinti: Virgilio,
Abelardo ed Eloisa; la giovinezza
che in pessimi versi tentava
di arrestare il tempo: “Ferma
crudel, pietade almen perdono”
ai quali l’inesorabile vegliardo
ingenuamente opponeva: “S’io
perdonassi non sarei chi sono”.
Qui l’illusione cadeva, non
tanto per le grate di legno che
similavano il ferro, non pei marmi
che si palesavano biacca o
gesso, non per i soggetti profani
che istoriavano le pareti, pel
cantore della misera Didone,
per i leggendari amanti effigiati
quasi martiri e profeti della
religione pagana dell’amore;
per l’effluvio di sensualità che
aleggiava nell’aria morta di quel
mausoleo di stucco e di calce,
che mai aveva sepolto un corpo o
forse solo commemorava la morte
di una speranza e l’angoscia di
un’anima.
Tempio dunque, ma tempio
profano, sacro alla divinità triste
delle memorie, forse alla dea
di Cnido, se pur non mentivano
le dorature sbiadite, i lussuosi
mobili sfondati, le cornici cadenti
della sala soprastante.
Dedicato anche allo splendido
padre delle Muse, se la siringa
arcadica di gesso, dimenticata
in un canto era stata, più che un
fregio, un’insegna e un simbolo.
Probabilmente quel rifugio
grottesco e macabro di ragni
e di uccelli notturni era stato
un ritrovo dell’inclita Sonziaca
Colonia dell’insigne Arcadia di
Roma. E una data dipinta sotto la
simbolica zampogna rafforzava
tale supposizione: 1792.
182 183
L’incantevole
dimora degli dei
A fronte
Particolare della nicchia
con la personificazione
del dio romano Saturno.
Durante gli anni della Grande Guerra, quando la villa fu
convertita in ospedale militare, le pareti delle stanze furono
interamente ricoperte da uno strato di calce usata come
disinfettante anticoleroso. Unica testimonianza della presenza degli
affreschi del salone del primo piano fu, fino al 2009, una fotografia
d’epoca scattata subito dopo il bombardamento che distrusse l’ala
posteriore dell’edificio. La fotografia inquadra due delle quattro
pareti del salone, decorate con trompe l’oeil raffiguranti antichità
romane inserite in finestroni ad arco delimitati da coppie di
colonne corinzie poggianti su uno zoccolo, collegate superiormente
dalla trabeazione e da due cornici con motivi fitomorfi.
Nel 2009, sulla base della fotografia d’epoca, fu tentata
un’indagine volta a verificare se, sotto i vari strati d’intonaco
depositati sulle pareti nel corso di quasi un secolo, esisteva ancora
traccia degli affreschi. Con grande sorpresa l’indagine portò alla
luce il palinsesto architettonico descritto, all’interno del quale
però, al posto delle antichità romane, comparvero pitture di una
fase precedente raffiguranti dodici allegorie e divinità classiche in
altrettante nicchie.
CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO 185
A un primo sguardo si intuisce la maestosità dell’opera, ma
non se ne coglie il senso; poi, concentrando l’attenzione su ogni
figura, ci si scopre affascinati da sagome e simboli che lentamente
prendono forma e riemergono sulle pareti, come in un gioco
di Gestalt. E insieme agli affreschi emergono anche nuove
inaspettate questioni. A che epoca risalgono? Chi fu l’autore e chi li
commissionò? Cosa rappresentano? Quando, perché e per volontà
di chi le dodici figure furono sostituite con antichità romane?
Partiamo dall’analisi iconografica dei temi figurativi. Lo schema
pittorico è diviso verticalmente in cinque fasce. Uno zoccolo
continuo in policromia riproduce i plinti delle colonne rudentate
con capitello corinzio, che a due a due delimitano dodici nicchie
centinate con semicatino a conchiglia dorato e diviso in sette
spicchi. All’interno delle nicchie compaiono altrettante figure
allegorico - mitologiche in policromia: i soggetti (due maschili
ai lati di una porta, due maschili ai lati dell’altra porta, quattro
femminili tra le finestre di un lato e quattro femminili tra le finestre
dell’altro lato) erano individuati dai nomi scritti in capitale nera
sul basamento. Sopra ogni nicchia sono disposti dodici pannelli
decorativi in monocromia su sfondo rosso intervallati da sette (in
origine otto) scene bucoliche in grisaille. Una cornice con festoni
collega i capitelli corinzi e una seconda cornice con un motivo di
anelli e gigli sovrasta la trabeazione retta dalle colonne.
Le dodici figure inserite nelle nicchie erano le protagoniste
della narrazione. Entrando nel salone dalla porta d’accesso in
comunicazione con la torretta postbellica, il primo personaggio che
compare sulla parete maggiore di destra è una figura femminile
stante, in posizione frontale, abbigliata con una leggera tunica
che lascia scoperta la gamba destra dal ginocchio. Il nome sul
piedistallo è quasi del tutto illeggibile, si riconoscono chiaramente
In alto
Gli affreschi del salone in una fotografia d’epoca
scattata subito dopo i bombardamenti che
distrussero l’ala posteriore della villa.
Alle pagine seguenti
Due vedute del ciclo pittorico del salone al primo
piano.
186 L’incantevole dimora degli dei
solo le ultime due lettere della parola, cioè ZA, mentre si può
supporre che la terzultima sia una N. L’unico attributo ben
riconoscibile assegnato alla figura è un mazzo di papaveri rossi
e spighe di grano portato con il braccio sinistro; sembra di poter
distinguere un serpente attorcigliato al braccio destro. Altri
attributi, non più riconoscibili, erano probabilmente raffigurati
ai piedi del personaggio, che potrebbe dunque rappresentare la
personificazione della Sapienza.
Nella nicchia adiacente è raffigurata la personificazione
della Provvidenza; lo si può affermare con certezza perché sul
piedistallo si leggono chiaramente le iniziali PR e i segni residui
delle altre lettere permettono di riconoscere appunto la parola
PR[OVVIDENZA]. La figura femminile è rappresentata in piedi,
di tre quarti, volta verso destra, con la gamba sinistra leggermente
piegata, come se il piede poggiasse su qualcosa. Indossa una
lunga veste drappeggiata e legata sotto il seno; le ampie maniche
lasciano scoperte le braccia dal gomito. Con la sinistra regge una
grande cornucopia che parte dalla spalla e si apre ai piedi; sembra
che dalla cornucopia fuoriescano dei frutti, ma l’immagine è troppo
poco leggibile per stabilirlo senza dubbi. L’attributo che la figura
tiene con la mano destra non è riconoscibile.
Accanto alla Provvidenza compare la Prudenza. Il nome della
personificazione è leggibile sul piedistallo, sebbene la scritta sia
molto sbiadita. É rappresentata come una giovane donna a piedi nudi
che indossa una lunga tunica; è in posizione frontale, con il volto
leggermente reclinato a sinistra e le braccia scoperte. Porta la mano
sinistra al volto e sembra sigillare le labbra con il dito indice indicando
l’atto del silenzio. La mano destra, chiusa a pugno, è appoggiata sul
fianco e sembra reggere un attributo non più leggibile.
Nella nicchia successiva, l’ultima della parete, è rappresentata
Alla figura femminile
sono assegnati come
attributi un mazzo di
papaveri rossi e spighe
di grano; attorno
al braccio destro è
attorcigliato un serpente.
Si tratta forse della
personificazione della
Sapienza.
192 L’incantevole dimora degli dei
Personificazione della
Provvidenza; l’attributo
assegnato alla figura è
una grande cornucopia.
Personificazione della
Prudenza; la figura porta
il dito indice al volto
suggerendo il gesto del
silenzio.
Personificazione
dell’Occasione; la
figura femminile, in
equilibrio instabile,
poggia con un solo
piede su una semisfera
che rappresenta il globo
terrestre.
1
La sovrapposizione
delle lettere sul
basamento fa pensare
alla correzione del
posizionamento
del nome che
probabilmente, in un
primo momento, non era
stato ben centrato.
la personificazione dell’Occasione; la figura femminile è posta di
tre quarti, rivolta verso destra, e poggia con un solo piede su una
semisfera che emerge dal basamento. Con il braccio destro alzato
tiene in mano una vela agitata dal vento. Sul basamento si leggono
con sufficiente chiarezza le lettere iniziali OCA e si riconoscono
nei residui delle lettere sbiadite una S, una I, e l’asta centrale di una
N; è perciò verosimile interpolare e riconoscere appunto il nome
OCASI[O]N[E], che ben si accompagna con l’iconografia classica
dell’allegoria 1 .
Sulla parete lunga opposta, di fronte ai quattro personaggi
femminili appena descritti, sono raffigurate simmetricamente altre
quattro personificazioni.
Di fronte all’Occasione è rappresentata di tre quarti, rivolta
verso destra, una figura femminile che tiene un timone e porta
nella sinistra una doppia cornucopia dalla quale fuoriescono
copiosi frutti. Sotto il tallone sinistro è posizionato un mannello di
frumento. Sul piedistallo si leggono le ultime tre lettere del nome,
cioè UNA. Si tratta della personificazione della [FORT]UNA.
Accanto alla Fortuna, di fronte alla Prudenza, è rappresentata
l’INNOCENZA, identificata chiaramente dal nome scritto sul
piedistallo. La figura è molto rovinata, non si distinguono attributi,
compaiono solo i tratti sommari di una silhouette femminile
abbigliata con una lunga tunica che copre braccia e gambe.
Sulla destra sembra di riconoscere la sagoma di una colonna con
capitello.
Molto rovinata è anche la figura successiva, posizionata di fronte
alla Provvidenza. Il personaggio femminile vestito con una lunga
tunica sembra tenere qualcosa in grembo con entrambe le braccia;
sulla destra compare una sagoma flessuosa che parte da terra e si
CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO 197
Personificazione della
Fortuna. Alla figura sono
assegnati tre attributi: il
timone, la cornucopia e
il mannello di frumento.
Personificazione
dell’Innocenza; la figura
è poco leggibile, alla sua
destra sembra di poter
riconoscere la sagoma
di una colonna.
La figura è molto
rovinata; si tratta forse
della personificazione
dell’Amicizia.
L’attributo assegnato alla
figura, singolarmente
abbigliata con un
costume popolare,
è una torcia accesa;
si tratta forse della
personificazione della
Conoscenza.
avviluppa intorno a un sostegno, come il tronco di una vite. Sul
basamento, sebbene molto sbiadita e rovinata, sembra di poter
interpretare la scritta AMICIZIA.
L’ultima personificazione femminile, posizionata di fronte
alla figura che tiene nella sinistra il mazzo di papaveri e spighe
di grano, si discosta completamente dalle altre per le vesti che
indossa: non una classica tunica lunga e finemente drappeggiata,
ma un costume contadino, con grembiule, maniche corte a sbuffo e
fazzoletto al collo. Alla figura, vista di profilo, è assegnato l’attributo
della torcia accesa. Purtroppo sono andate perdute le lettere del
nome tracciate sul piedistallo; si riconosce solo una A posta al
termine della parola. Dato l’attributo potrebbe rappresentare
l’allegoria della Conoscenza.
Sulle pareti minori del salone compaiono le quattro figure
maschili. Partendo sempre dall’accesso in comunicazione con la
torretta, nella nicchia di sinistra si trova la personificazione del
dio romano Saturno, identificabile grazie al nome leggibile sul
piedistallo (SATUR[NO]) e al tipico attributo della falce che regge
con entrambe le mani. La divinità romana è raffigurata di profilo
come un uomo maturo con barba e capelli lunghi; indossa una
tunica che lascia scoperte braccia e gamba destra poggiata con il
piede nudo su una roccia spoglia emergente dal basamento.
Accanto a Saturno è rappresentata di tre quarti una possente
figura maschile barbuta che indossa una veste lunga dalle ampie
maniche drappeggiate chiuse ai polsi. Questa porzione di affresco
è più rovinata delle altre; sono irrimediabilmente perdute parte
della figura e del piedistallo. Nonostante lo stato di conservazione
si vede che il personaggio regge con il braccio sinistro una
cornucopia aperta verso l’alto dalla quale fuoriescono dodici anelli
di una catena con pendente ovale metallico. All’interno della
cornucopia sembra di poter scorgere anche altri due elementi, non
perfettamente riconoscibili, forse una corona e uno scettro. Del
nome scritto sul piedistallo si leggono solo la lettera finale, una E, e
la grazia inferiore della penultima lettera che potrebbe essere una
C, una L o una R; considerato lo spazio che occupa sul piedistallo
il nome certamente doveva essere breve, circa cinque o sei lettere.
Piuttosto che un’allegoria questa figura doveva rappresentare
una divinità, come le altre tre raffigurate sui lati corti della sala. A
partire da queste deduzioni si è messa in relazione la figura con
il contesto iconologico generale, più avanti meglio delineato, e si
propone di identificare la personificazione con il semidio Ercole.
Sulla parete opposta, di fronte a Saturno, troviamo il dio romano
MARTE, il cui nome si riconosce con certezza sul basamento
nonostante le lettere risultino molto sbiadite. È rappresentato
frontalmente come figura possente fornita di scudo, schinieri e
lancia, della quale si vedono bene la punta a foglia d’alloro e il
puntale all’estremità dell’asta.
Sebbene molto deteriorata, nella nicchia accanto a Marte si
delinea la sagoma di una maestosa figura maschile seduta su
un trono; tiene un lungo scettro nella mano sinistra, mentre la
destra è poggiata in grembo su un oggetto non riconoscibile.
Sembra portare sul capo una corona raggiante. Sul piedistallo non
è rimasta che qualche traccia del nome; considerati gli attributi,
l’identificazione più probabile è quella con Giove. In grembo
la figura potrebbe tenere l’aquila, tipico attributo della divinità
romana.
202 L’incantevole dimora degli dei CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
203
La figura è molto
rovinata; si tratta forse
della personificazione
del semidio Ercole. Dalla
cornucopia fuoriesce
una catena con dodici
anelli.
Personificazione del dio
romano Saturno a cui
è assegnato l’attributo
della falce.
Personificazione del
dio romano Marte con
lancia, scudo e schinieri.
La figura è molto
rovinata; si tratta forse
della personificazione
del dio romano Giove
seduto in trono.
Passiamo ora all’analisi iconografica dei pannelli che creano
una fascia superiore alle nicchie. Il primo pannello che si incontra
partendo dalla parete maggiore di sinistra rappresenta un busto
femminile in monocromia su sfondo rosso. Il personaggio, con le
braccia a squadra, porta entrambe le mani al petto chiuse a pugno
e lascia scoperto il ventre tornito; i fianchi sono coperti da tre foglie
di acanto, da cui fuoriescono due tralci che si sviluppano in doppie
volute simmetriche ai lati della figura. Il pannello si ripete identico
per dodici volte sovrastando ogni nicchia ed è inframmezzato
da otto pannelli con scene di gusto arcadico - mitologico in
corrispondenza delle finestre e delle porte. Questi ultimi, in
chiaroscuro, simulano dei bassorilievi.
Il primo della serie raffigura una scena con sei personaggi,
ambientata in esterno come tutte le altre. Sulla sinistra si
distingue la sagoma di un fanciullo con mani aperte alzate al
cielo; in secondo piano compaiono un uomo e una donna rivolti
l’uno verso l’altra. Il giovane uomo, con i capelli lunghi mossi
dal vento, indossa una veste che lascia scoperta parte del petto e
con il braccio destro teso all’indietro sembra reggere o indicare
qualcosa con la mano. La figura femminile, seduta, indossa una
veste ampiamente drappeggiata e legata sotto il seno; ha il volto
drammaticamente proteso verso l’uomo e porta la mano sinistra
al petto. La figura centrale, che doveva essere il fulcro della scena,
purtroppo non è riconoscibile. L’uomo a petto nudo che compare
sulla destra guarda la figura al centro della scena mentre con
entrambe le braccia tende con slancio verso l’alto un oggetto non
leggibile. Due putti ai piedi dell’uomo paiono impauriti dal gesto di
quest’ultimo: uno, seduto, sembra volerlo fermare o proteggersi con
la mano, l’altro preferisce voltarsi e non guardare.
Nel pannello successivo un gruppo di quattro donne e un uomo
reca offerte all’erma di una divinità. L’erma è collocata a destra, su
Pannello con busto femminile in monocromia su
sfondo rosso ripetuto per dodici volte sopra ogni
nicchia.
208 L’incantevole dimora degli dei
un’aretta. L’uomo guida il gruppo; indossa una exomis (corta tunica
che lascia scoperto mezzo busto) e tiene un bastone in spalla, alla
cui estremità doveva forse esserci legato un fagotto. Un bovino
cammina alla sua destra. Le donne indossano tuniche legate sotto
il seno e mantelli. L’ultima della fila regge sulla testa un vaso, la
terzultima è colta nell’atto di sistemare il mantello della figura
femminile che la precede. Le prime due sembrano portare delle
offerte.
Nell’ultimo pannello della parete di sinistra è rappresentato il
dialogo tra un personaggio maschile coronato seduto all’aperto e
una figura femminile che sembra apparsa in cielo per indicare un
bovino all’ombra di un alberello sulla sinistra. Ai piedi dell’uomo
ci sono due putti e un’aquila con le ali spiegate. La scena è
incorniciata da due alberelli simmetrici.
Nel pannello sopra la porta comunicante con le stanze del primo
piano della villa è raffigurata un’edicola con colonne e frontone, che
accoglie probabilmente l’immagine di una divinità. Due uomini
vestiti con corte tuniche si avvicinano all’edicola da sinistra. Le
figure a destra sono poco leggibili: accanto all’edicola si intuisce la
sagoma di una donna vista di profilo che sembra porgere un’offerta.
Un uomo, in piedi, ha il braccio destro teso in avanti con in mano
un oggetto simile a un drappo; è rivolto verso destra dove compare
una figura completamente rovinata.
Proseguendo in senso orario si raggiunge il primo pannello della
parete maggiore di destra che presenta due gruppi di personaggi.
A sinistra compaiono due figure (forse tre) all’ombra di un albero,
di cui una maschile certamente barbata e una seduta a terra con
il braccio alzato. I due personaggi sembrano guardare la donna a
destra che, seduta con l’abito che lascia scoperte le gambe dalle
ginocchia, tiene alzata con la mano destra una ghirlanda, o forse un
cembalo. Alle spalle della donna è appoggiato un fanciullo in piedi.
Il pannello successivo presenta un gruppo di quattro figure
all’aperto. Una donna adagiata a terra all’ombra di un alberello
sembra appoggiarsi ad un oggetto, forse un’anfora rovesciata (la
personificazione di una fonte?), mentre due personaggi sembrano
spiarla alle spalle: il primo, maschile, tiene una mano sul tronco
dell’alberello; il secondo, femminile, è seduto a terra e tiene il busto
sollevato appoggiandosi al terreno con la mano. A sinistra una
figura maschile un po’ china in avanti si allontana indicando con il
braccio teso un punto davanti a sé.
Nell’ultimo pannello della parete si individuano quattro figure
all’aperto. A destra un uomo sta seduto su una roccia; ha il braccio
destro alzato e nella sinistra tiene un’asta appoggiata alla spalla. Di
fronte, al centro della scena, c’è una donna in piedi con cui sembra
dialogare. Sulla sinistra, all’ombra di un alberello, si distinguono
altre due figure femminili che partecipano al colloquio.
Anche sopra la porta d’accesso della parete in comunicazione
con la torretta c’era sicuramente un pannello simile a quelli
appena descritti, completamente perduto a causa dei danni subiti
negli anni della Grande Guerra; ne è testimonianza la porzione
che si intravede nella fotografia d’epoca scattata subito dopo il
bombardamento che distrusse l’ala posteriore della villa.
A causa delle lacune figurative è difficile stabilire se le scene
siano parte di una o più serie narrative a soggetto mitologico.
Nella parte superiore del palinsesto architettonico si sviluppano
due cornici decorative inframmezzate dalla trabeazione sorretta
dalle colonne. I capitelli corinzi sono collegati da festoni costituiti
da foglie d’alloro legate con nastri che tengono insieme copiosi
frutti. Sopra la trabeazione corre lungo tutto il perimetro del salone
una catena i cui anelli sono collegati da gigli.
210 L’incantevole dimora degli dei CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
211
Alle pagine precedenti
Successione dei sette pannelli
in grisaille con scene di gusto
arcadico mitologico.
Alla pagina
La parte superiore del palinsesto
architettonico con le due cornici
decorative inframmezzate dalla
trabeazione sorretta dalle colonne.
In alto resti di un’ulteriore fase
decorativa.
A fronte
Il soffitto del salone in
un bozzetto di metà
Ottocento (AST, Fondo
Della Torre Tasso, b.
170.2).
2
AST, Fondo Della
Torre Tasso, Carte
d’amministrazione di
Giovanni Battista III, b.
170.2.
Grazie ad un bozzetto ottocentesco fatto realizzare da Giovanni
Battista III in occasione dei lavori di restauro della volta del salone
possiamo avere anche un’idea di com’era affrescato il soffitto 2 .
Il bozzetto raffigura metà volta, è possibile dunque dedurre che
l’altra metà fosse simmetrica: vi è rappresentato un cielo rosato che
richiama l’alba, con al centro quattro putti alati che reggono una
ghirlanda e a lato una coppia di putti alati che regge un oggetto
in cui si può riconoscere una fiaccola. Simmetricamente, dal lato
opposto, doveva probabilmente comparire un’altra coppia di putti.
Intorno alla porzione di soffitto dipinta correva una doppia cornice
di stucchi, quella interna composta da greche e rosette, quella
esterna da foglie d’acanto e festoni che nei lati minori del perimetro
erano retti da putti alati. Ai quattro angoli erano rappresentate
delle lire.
Se l’analisi iconografica risulta complessa a causa del delicato
stato di conservazione degli affreschi, altrettanto spinosa è la
definizione del progetto iconologico.
Chi accede al salone oggi ha quasi l’impressione di entrare
in uno spazio senza tempo che custodisce memorie sfuggenti.
Le ombre delle figure che istoriano le pareti un tempo ricche di
colore sembrano essere lì da sempre, come se fossero rimaste
pazientemente coperte nella fiduciosa attesa che qualcuno
restituisse loro storia, significato, vita.
Quali furono dunque le ragioni contestuali, filosofiche e
religiose che indussero il committente a tenere insieme divinità
classiche come ad esempio Saturno e Marte con personificazioni
di virtù cardinali come la Prudenza e allegorie come la Fortuna e
l’Innocenza? Qual è la chiave di lettura, la parola perduta, che mette
in relazione una simbologia così copiosa e composita?
L’insieme sembra rimandare alla definizione di un sistema di
CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO 223
valori morali, una sorta di codice etico proposto in chiave simbolico
- allegorica che richiama in modo non troppo velato anche temi
iniziatici.
Ripercorriamo brevemente il ciclo pittorico esaminando
dal punto di vista iconologico le allegorie a partire dalla
personificazione in cui si è proposto di riconoscere la Sapienza.
Il papavero fin dall’antichità classica è simbolo del sonno che
conduce all’oblio, del passaggio da un livello profano a uno stato
superiore. Accostato al fascio di spighe di grano ricorda un celebre
passo del Vangelo di Giovanni: «In verità, in verità, vi dico che se il
grano di frumento, caduto in terra, non muore, rimane solo; ma, se
muore, produce molto frutto» (Giovanni 12, 24). La simbologia degli
attributi porta al concetto di morte concepita come nuova nascita,
come rinnovamento dello spirito, iniziazione a una conoscenza
superiore. Come il chicco di grano lascia operare dentro di sé le
trasformazioni che preparano la sua capacità di ascendere verso
la luce, così l’iniziato si identifica con la spiga di grano che dovrà
lottare contro le avversità, anelare alla luce per ottenere maturità
e acquisire forza. Anche il simbolo del serpente è collegato al
concetto di rinascita: come il rettile si spoglia della vecchia pelle
rinnovandosi, così l’iniziato rinasce a nuova vita. Il serpente,
simbolo ctonio per eccellenza, riunisce in sé numerosi significati
positivi e negativi: richiama una conoscenza che può essere
pericolosa e deleteria se perseguita con imprudenza e finalità
egoistiche. È proprio a partire da queste considerazioni che si è
inteso riconoscere nella figura femminile la personificazione della
Sapienza.
Non sapendo quale attributo porta nella destra la personificazione
della Provvidenza, è difficile capire quale significato abbia voluto
dare l’autore all’allegoria nel contesto complessivo; la cornucopia,
generalmente simbolo di abbondanza, è interpretabile in diversi
3
Iconologia del
Cavaliere Cesare Ripa
Perugino Notabilmente
Accresciuta d’Immagini,
di Annotazioni, e
di Fatti dall’Abate
Cesare Orlandi.
Perugia, Stamperia
di Piergiovanni
Costantini, 1764-67.
Dall’Iconologia di Ripa,
edita per la prima volta
a Roma nel 1563, poi
ampliata e più volte
ristampata, attinsero a
piene mani generazioni
di artisti e poeti.
4
Nell’Iconologia di
Cesare Ripa ad esempio
la Prudenza viene
descritta come una
donna con due facce,
che si specchia tenendo
una serpe avvolta intorno
al braccio: le due facce
alludono al fatto che la
prudenza nasce dalla
considerazione delle
cose passate e quelle
future; lo specchiarsi
allude alla conoscenza
di se stessi, poiché per
regolare con prudenza
le proprie attitudini è
necessario conoscere i
propri difetti; il serpente
è una citazione di un
passo del Vangelo di
Matteo che dice «Siate
prudenti come serpenti»
(Matteo 10,16).
modi. Ci si può ad esempio riferire al concetto di Provvidenza
divina che nutre e sostiene l’uomo, o alla qualità morale di
essere provvidente, ovvero di saper prevedere e provvedere,
con saggezza e avvedutezza, alle proprie e alle altrui necessità.
Interessante in proposito un passo tratto dall’Iconologia di Cesare
Ripa che riferendosi alla Provvidenza dice: «Basta sapere, che
è virtù, che deriva dalla Prudenza» 3 . Figurativamente accostata
alla Provvidenza, e forse non a caso l’una è rivolta verso l’altra, è
proprio la Prudenza, che nella teologia cattolica è una delle virtù
cardinali insieme alla Giustizia, alla Fortezza e alla Temperanza.
Tra le quattro virtù è quella che dirigere l’intelletto nelle singole
occasioni in modo da discernere tra bene e male. La Prudenza non
è raffigurata secondo l’iconografia classica, ad esempio bifronte
o con specchio e serpente 4 , bensì il gesto che le è attribuito è,
singolarmente, quello del fare silenzio. Il valore iconologico
dell’allegoria sembra dunque carico di un significato che va
oltre al concetto di virtù cardinale: il gesto del silenzio richiama
l’avvedutezza di essere prudente nelle parole, non solo negli atti,
richiama l’ascolto della parte più profonda di se stessi e forse indica
anche il segreto che l’iniziato deve mantenere.
Se la Prudenza è la virtù che guida l’azione dell’uomo nel dominio
cieco e mutevole della sorte, ecco rappresentate l’una di fronte
all’altra le personificazioni dell’Occasione e della Fortuna, la prima
in balia del vento e in equilibrio instabile, la seconda alla guida
di un timone. La figura femminile che si regge solo su una gamba
appoggiando il piede ad una sfera, simbolo della Terra, è la classica
rappresentazione della Fortuna intesa nel senso di opportunità,
spesso associata, come anche in questo caso, al simbolo della vela
spiegata al vento che allude alla variabilità della sorte. L’altra figura,
associata agli attributi di timone, cornucopia e spighe di grano,
riprende l’iconografia della primigenia Fortuna romana derivata
224 L’incantevole dimora degli dei CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
225
da Iside e da Tyche; rappresenta il destino, il caso, il bene e il male
che accade senza il controllo dell’uomo. Ritorna particolarmente
significativo un altro passo tratto dall’Iconologia di Cesare Ripa
riferito alla Provvidenza, che associa la virtù alle rappresentazioni
che troviamo nel salone: «Il timone ci mostra ancora nel mare
adoprarsi Providenza in molte occasioni, per acquistarne ricchezze,
e fama, e ben spesso ancora solo per salvar la vita, e la Providenza
reggere il timone di noi stessi, e dar speranza al viver nostro, il
quale quasi nave in alto mare sollevato, e scosso da tutte le bande
da’ venti della Fortuna».
Segue la personificazione dell’Innocenza che non è raffigurata
secondo i canoni classici, ad esempio associata ad un agnello o
all’acqua. Poiché l’attributo accostato alla figura sembra essere una
colonna, l’iconografia porterebbe piuttosto a identificare l’allegoria
con la Costanza. Forse l’autore/committente anche in questo caso
ha inteso operare una sintesi simbolica di diversi significati che
vanno oltre il tradizionale piano iconologico. Solo conservando
con costanza la purezza dello spirito ci si può conservare mondi
dal peccato e dal vizio: è questo il significato? È un’interpretazione
plausibile, ma certamente non l’unica.
Di interpretazione altrettanto complessa è la presenza della
personificazione dell’Amicizia. Essendo la figura così rovinata da
non riconoscere gli attributi a cui è associata, difficilmente la si può
collocare correttamente nel contesto iconologico; intendeva forse
rappresentare la fratellanza tra gli iniziati.
Simbolo per eccellenza della Conoscenza è la torcia accesa
che l’ultimo personaggio femminile tiene in alto con la sinistra;
illumina i passi dell’uomo e lo rende libero. L’attributo della torcia
nell’iconografia pagana era associato ad Aurora, che precedeva
il carro del Sole e annunciava una nuova alba, un nuovo giorno,
una nuova era. In questo senso ben si relaziona con i concetti di
rinascita dello spirito e morte iniziatica espressi dalla figura che le
sta di fronte e ben dialoga anche con Saturno che le sta accanto.
Saturno, il dio del tempo, con l’attributo della falce ricorda all’uomo
di usare bene i propri giorni, per essere pronto alla morte del
corpo. La Morte, con inesorabile rapidità, visiterà sia il palazzo del
principe che la capanna del villano, ma colui che sarà riuscito a
oltrepassare la soglia della Sapienza giungendo alla Conoscenza e
avrà vissuto secondo virtù non avrà paura.
Marte, il dio della guerra, inserito nel contesto iconologico finora
interpretato, sembra imbracciare le armi in una pugna spiritualis
che lo vede combattere contro il mare delle avversità e dei
turbamenti senza lasciarsi scuotere da alcun pericolo.
Ercole invece, che come anticipato si propone di riconoscere
nella figura maschile molto rovinata che si trova accanto a Saturno,
potrebbe incarnare il prototipo dell’iniziato. Il semidio, che come
tale tiene in sé il lato umano e quello divino, attraverso le dodici
fatiche procede sul sentiero iniziatico spogliandosi delle schiavitù
terrene simboleggiate dalle catene che porta nella cornucopia. Il
numero dodici degli anelli ricorda le dodici fatiche che dovette
compiere l’eroe. Di fronte a Ercole potrebbe sedere in trono il padre
Giove, a simboleggiare il lato divino del semidio.
La scelta di rappresentare dodici personaggi in altrettante nicchie
probabilmente non è casuale o determinata solo dall’architettura
del salone; il dodici è simbolo dell’eterno ciclo cosmico,
rappresenta lo spazio e il mondo.
L’interpretazione proposta è solo una delle tante possibili; per
sua natura il simbolo sfugge a tutte le definizioni, apre a infinite
possibilità concettuali e proprio in ciò sta il fascino del ciclo
pittorico del salone di Castelnuovo.
Il committente e l’ideatore dei contenuti della prima fase
226 L’incantevole dimora degli dei CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
227
5
AST, Fondo Della Torre
Tasso, Libro Confessore,
b. 247.1.
6
Cfr. G. BRUMAT 2001,
p. 56.
7
Cfr. M. MALABOTTA
1930, p. 371.
pittorica, cioè del palinsesto architettonico abbinato alle
personificazioni, fu con ogni probabilità lo stesso Raimondo
IX che il 5 luglio 1802 nel Libro Confessore annotò: «Avendo il
pittore Furlanetto terminato il suo lavoro qui di Sagrado, cioè le
tre camere della contessa, la cappella e la sala grande apprezzato
il tutto a f. 700 oltre i colori e tavola per un anno somministratagli,
ed avendo egli in più volte ricevuto da [?] f. 375 così io lo saldo
con f. 325» 5 . L’autore dell’opera sembra dunque essere il pittore
Matteo Furlanetto, che già in precedenza aveva lavorato per il
conte a Gorizia ed era tenuto in grande considerazione sia dal
fratello Francesco Della Torre che da altri nobili del goriziano che
gli avevano commissionato la decorazione delle pareti delle loro
ville e dei loro palazzi. Come si deduce dalla nota di Raimondo,
Furlanetto lavorò a Sagrado per un intero anno e oltre a decorare il
salone si occupò anche della cappella e delle stanze della contessa,
purtroppo andate perdute.
A causa delle devastazioni della Grande Guerra sono rimasti ben
pochi esempi delle opere murali di Furlanetto: due di questi sono
le decorazioni del salone di villa De Ritter ad Aquileia e il soffitto
della chiesa parrocchiale di Turriaco, entrambi recentemente
restaurati. Il confronto tecnico e stilistico con tali soggetti porta a
confermare l’attribuzione del lavoro di Sagrado al pittore. Anche
a Castelnuovo, come nella parrocchiale di Turriaco, Furlanetto
utilizzò una tecnica mista di pittura a fresco e a secco 6 . Il migliore
stato di conservazione del palinsesto architettonico rispetto alle
figure delle nicchie e ai pannelli con scene mitologiche fa pensare
che le prime siano state dipinte con affresco, mentre le seconde
siano state eseguite con tempera a secco. Probabilmente le parti
architettoniche, ripetute per più volte, furono realizzate dalla
bottega, mentre le più complesse figure allegoriche e le scene
mitologiche in grisaille furono dipinte dal maestro.
L’autoritratto di Matteo
Furlanetto nel dipinto
San Rocco che conforta
gli appestati sul soffitto
della chiesa parrocchiale
di S. Rocco di Turriaco
(1813).
Il confronto con i dipinti di villa De Ritter porta ad attribuire a
Furlanetto anche la seconda fase dell’opera, cioè la sostituzione
delle figure nelle nicchie con i trompe l’oeil di antichità romane
immortalate nella fotografia d’epoca del salone. L’attribuzione
dei trompe l’oeil a Furlanetto è suffragata anche da una nota del
1930 di Manlio Malabotta 7 scovata in un contributo dedicato
alla fanciullezza di Giuseppe Lorenzo Gatteri. Malabotta,
probabilmente sulla base di fonti orali che considerò sicure,
sostiene che il salone centrale di Castelnuovo fu dipinto nel 1802
da Matteo Furlanetto con pannelli raffiguranti le antichità di Roma
228 L’incantevole dimora degli dei CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
229
Lo stemma dei Della
Torre nella chiave di volta
del portale d’accesso
alla villa.
come ad esempio le terme di Caracalla e di Diocleziano, gli archi di
Tito, di Costantino e di Settimo Severo. Egli era sicuro anche che i
dipinti, o colpiti dalle granate o coperti da un denso strato di colore,
fossero ormai irrimediabilmente perduti.
È verosimile immaginare che Furlanetto nel 1802, su
commissione di Raimondo IX, abbia dipinto le pareti del salone
decorandole con le personificazioni, firmando e datando l’opera
1802 e che in una seconda fase molto ravvicinata abbia sostituito
le figure allegoriche con le antichità romane, lasciando inalterate
firma e data 8 . Malabotta, ignaro della prima fase pittorica, la cui
memoria era andata completamente perduta fino al 2009, datò 1802
i trompe l’oeil.
Non è dato sapere quando avvenne la sostituzione tra allegorie
e antichità classiche. Nel Manuale di Raimondo IX sono
documentati altri pagamenti al pittore per lavori a Sagrado: «28
giugno 1816 al pittore Furlanetto acconto dei suoi lavori (26f)»;
«27 luglio 1816 al pittore Furlanetto ut 28 giugno acconto (21f)»,
«29 luglio 1816 allo stesso saldo delle sue fatture (82f) e mancia al
Giovanni di Furlanetto (4f)»; «9 maggio 1817 al pittore Furlanetto
acconto lavori da farsi (21f)» 9 . Quella del maggio 1817 fu una delle
ultime note di Raimondo che morì a Sagrado il primo giugno
dello stesso anno. Non sappiamo con precisione a che lavori si
facesse riferimento: si trattava forse della sostituzione delle figure
allegoriche nelle nicchie con i trompe l’oeil? Rimane un’ipotesi. È
possibile, anche se pare meno verosimile, che la sostituzione sia
stata voluta dal figlio Giovanni Battista subito dopo la morte del
padre; nel 1817 Furlanetto era ancora vivo e operativo, ma era già
in età avanzata. Sembra del tutto improbabile l’ipotesi che la prima
fase sia precedente al 1802 perché nelle accurate note di rendiconto
di Raimondo IX non compaiono altri pagamenti a Furlanetto o
pittori diversi in relazione al salone di Sagrado. Va ricordato che il
8
Firma e data erano
forse collocate sotto il
basamento della nicchia
con Saturno, dove
si riconoscono delle
lettere che potevano
formare il cronogramma
M[ATTHAEUS]
F[URLANETTUS]
PINX[IT] AN[NNO].
9
AST, Fondo Della
Torre Tasso, Manuale,
b. 246.4.
10
Interessante notare
che tra il 1795 e il 1802
Furlanetto fu impegnato
nella decorazione del
piano terra della sede
del Nobil Casino.
1801, anno in cui iniziarono i lavori, è anche l’anno in cui Raimondo
IX si ritirò dalla vita politica ed ebbe il tempo di dedicarsi all’amata
tenuta di Castelnuovo per portare a completamento i lavori che non
erano ancora stati terminati.
Rimane ancora un dubbio da sciogliere, che però non sarà
possibile colmare se non con delle semplici ipotesi. Perché le figure
allegoriche furono coperte con i trompe l’oeil? Forse si deteriorarono
presto? E in questo caso, perché cambiare completamente soggetto
e non restaurarle? Dopo qualche anno non erano più di gusto di
Raimondo IX? O fu il figlio Giovanni Battista a farle sostituire
subito dopo la morte del padre? La ragione va forse cercata nei
contenuti delle allegorie, a cui, come abbiamo visto, fa da sfondo
un carattere iniziatico legato alle società più o meno segrete di
fine Settecento? Forse il simbolo del compasso che compare nello
stemma del casato posto nella chiave di volta del portale d’ingresso
va associato al contenuto degli affreschi? Se delle società segrete
goriziane non rimangono che scarse tracce e nessuna riconducibile
direttamente a Raimondo IX, è invece noto che egli fu fondatore nel
1780 dell’Accademia Goriziana degli Arcadi Romano Sonziaci con lo
pseudonimo di Filoresio Eleoneo, fece parte della Nobile Società de’
Cavalieri dell’Ordine di Diana Cacciatrice e fu promotore del Nobile
Casino di Gorizia 10 . I temi figurativi degli affreschi rimandano al
sapore arcadico comune al gusto dell’epoca, alle accademie e alle
società che Raimondo frequentò, ma non è dato sapere perché in
pochi anni le figure allegoriche vennero destinate all’oblio e ciò non
fa che rendere ancora più suggestiva l’aura di mistero che avvolge il
salone di Castelnuovo. Ciò che si può affermare con certezza è che il
ritrovamento degli affreschi non solo mette in luce un’opera inedita
dall’evidente valore storico, ma apre nuove interessanti prospettive
di studio su Furlanetto.
230 L’incantevole dimora degli dei
231
Matteo Furlanetto: note biografiche e notizie inedite
Il recupero degli affreschi
di Castelnuovo marca un
passo significativo per lo
studio dell’operato di Matteo
Furlanetto, pittore di cui
sono giunti fino a noi solo
pochi lavori, ma che fu molto
apprezzato dai contemporanei,
tanto da segnare il profilo
artistico tardo settecentesco del
Goriziano e dell’Isontino. Il ciclo
pittorico del salone al primo
piano della villa è, ad oggi,
l’opera più preziosa a carattere
laico attribuibile all’artista; dato
l’alto lignaggio del committente
Raimondo IX e i rimandi
simbolico - iniziatici del ciclo
rappresenta sicuramente anche
una delle più rilevanti.
Nato a Venezia tra il 1751
e il 1755, Matteo si formò
presumibilmente alla bottega
del padre Domenico. Tra i venti
e i trent’anni si trasferì in Istria,
territorio all’epoca soggetto al
dominio della Serenissima; di
questo periodo sono note due
opere, ovvero il quadro con la
Madonna e Santi per la chiesa
di S. Stefano di Pirano (1778) e il
quadro coevo con la Madonna
del Rosario per la chiesa di S.
Giorgio di Portole.
Il pittore arrivò a Gorizia,
dove si stabilì definitivamente,
intorno al 1783 - 1784.
Nel 1785 operò a Piuma nel
castello del conte Francesco
V Della Torre, fratello di
Raimondo IX. Francesco V
dovette essere molto soddisfatto
del lavoro svolto da Furlanetto,
tanto da concedergli l’onore
di tenere a battesimo il figlio
Francesco Vincenzo nel 1786.
Purtroppo il castello di Piuma
andò distrutto e dell’opera
non è rimasta che la memoria.
La maggior parte dei lavori
di Furlanetto subì la stessa
sorte; la fiorente attività del
maestro come pittore, ritrattista,
scenografo e decoratore nel
Goriziano e nella Bisiacaria
è testimoniata da fonti
documentarie, ma fino ad oggi
erano note, tra le pervenute fino
ai nostri giorni, solo nove opere:
un residuo di affreschi con
motivi architettonici nel palazzo
De Fin-Patuna di Gradisca
(1789 circa); gli affreschi del
salone della villa De Ritter di
Monastero (Aquileia, circa
1790); il grande dipinto a tecnica
mista San Rocco che conforta
gli appestati sul soffitto della
chiesa parrocchiale di S. Rocco
di Turriaco (1813); la pala d’altare
di S. Giuseppe a Begliano
con I santi Agata, Apollonia,
Silvestro papa e il transito di
S. Giuseppe (1815), due tele
con il Martirio delle quattro
Vergini Aquileiesi e i Santi
Ermacora, Fortunato, Crisogono,
Zoiolo ed Anastasia nella
parrocchiale di San Canzian
d’Isonzo (1815). Le comparazioni
e i riscontri stilistici hanno
portato gli storici ad attribuire
a Furlanetto anche la tela San
Martino a cavallo che divide
il mantello con il mendicante
posta dietro l’altar maggiore
della chiesa di San Martino
a Tapogliano e il dipinto con
Sant’Ilario e Taziano presso la
Castagnevizza.
Le opere documentate ma
andate perdute sono invece
l’Arma della Contea e stemma
del vescovo Francesco Filippo
Inzaghi a Gradisca (1789); il
sipario, tre scenari obbligati,
ornamentazioni e armi del
principe Serafino di Porcia per
il teatro di Gradisca (1792); i
ritratti dell’imperatore Leopoldo
II e dell’arciduca Francesco
per il Consiglio Capitanale di
Gorizia (1792); l’affresco con
l’Assunzione della Vergine nel
catino dell’abside della basilica
patriarcale di Aquileia (1793) e
le decorazioni al piano terra del
Nobile Casino di Gorizia (1795
– 1802).
La decorazione della villa
di Castelnuovo non fu l’unica
occasione in cui Furlanetto
lavorò per Raimondo IX. Il
primo lavoro che il conte gli
commissionò risale al 1790,
come si evince da una nota
del 5 marzo di quell’anno
appuntata sul Manuale: «Al
pittore Furlanetto per Gorizia
ori otto». Purtroppo la nota
non specifica di che lavoro si
trattò. Oltre al già citato passo
del Confessore datato 1802 in
cui Raimondo IX documenta il
pagamento al pittore per aver
decorato il salone, la cappella
e le tre camere della contessa
a Castelnuovo, dal Manuale si
evincono i seguenti compensi:
«5 luglio 1802, al pittore
Furlanetto per saldo oltre l’avuto
dall’Urbani ut Confessore»
(sempre in riferimento alla villa
di Castelnuovo); «26 novembre
1802, mediante Furlanetto
all’impotente Deperis» (si
tratta di beneficienza che
Raimondo IX volle fare per
mano di Furlanetto a Guglielmo
Deperis, pittore goriziano che
per lui aveva lavorato e che
evidentemente era in cattive
condizioni di salute); «4 agosto
1814, a Furlanetto per incolorir
a olio porte, scuri, scale tutte
del orto»; «28 giugno 1816, al
pittore Furlanetto acconto dei
suoi lavori»; «27 luglio 1816,
al pittore Furlanetto ut 28
giugno acconto»; «29 luglio
1816, allo stesso saldo delle sue
fatture e mancia al Giovanni
di Furlanetto» (forse un
figlio, un nipote o un giovane
lavorante nella bottega del
pittore); «9 maggio 1817, al
pittore Furlanetto per acconto
lavori da farsi». Le note del
Manuale degli anni 1816 e 1817
si riferiscono tutte a Sagrado;
sebbene non chiariscano quali
lavori furono commissionati
a Furlanetto, sono rilevanti
perché documentano che in
quegl’anni il pittore non solo
era ancora vivo, ma era anche
professionalmente attivo. Nel
1817 Matteo Furlanetto è citato
nella ventilazione di morte
di Raimondo IX, fu infatti
chiamato a valutare il valore
dei quadri presenti a Sagrado.
Presumibilmente Furlanetto
morì a Gorizia, ma non è dato
sapere né come né quando. Per
integrazioni sulla biografia, la
critica e le opere del pittore si
rimanda a F. Šerbelj 2002 e G.
Brumat 2001 e 2006.
233
Osservazioni su alcune note di pagamento
di pittori che lavorarono per Raimondo IX
Il Manuale riporta numerose
note relative a pittori che, oltre
a Matteo Furlanetto, lavorarono
per Raimondo IX a Gorizia,
Duino e Sagrado. Eccone un
elenco.
1782
3 luglio, al pittore Deperis / 31
luglio, al pittore Checco per
Sagrado / 31 luglio, al Deperis
per saldo per Sagrado
1784
31 agosto, saldo al pittore Pietro
Zardi
1785
10 giugno, alli pittori di Gorizia
per la camera della contessa in
Sagrado / 17 settembre, pagato
acconto a Comelli / 19 settembre,
pagamento a Comelli / 8 ottobre,
Pagamento a Comelli per fatture
qui di Sagrado
1786
ottobre, acconto spese quadro
ritratti al pittore Francutti
1789
16 luglio, pagamento al pittore
Caretti / 28 ottobre, per saldo al
pittore Deperis [per Sagrado] /
24 dicembre, al pittore Caretti
1790
15 febbraio, al pittore Caretti /
15 marzo, al pittore Furlanetto
per Gorizia ori otto
1793
Ottobre, al pittore Paroli per
Sagrado e pel biroccio /
Dicembre, al pittore Paroli per la
carrozza da 4 piazze color rosso
1795
24 Gennaio, al pittore Paroli per
dare il colore alla rastellata del
cortile di Studeniz / 21 luglio,
al pittore Deperis / 11 agosto,
al pittore Liechtenrait mediante
Calice per la Madonna della
Seggiola / 4 ottobre, al pittore
Paroli per la scuderia di
Studeniz / 27 ottobre, al pittore
Deperis per accomodare i
due quadri Suppani / 15 - 22
novembre, al pittore Paroli per
oriuolo e sale
1796
30 aprile, al pittore Paroli per
lavori specificati in lib. Conf
[cioè lavori nella stalla] /
31 maggio, al pittore Paroli
per colore dato al portale in
Studeniz
1799
Giugno, al pittore Paroli per
varie fatture fatte in Sagrado
1800
Maggio, ai pittori Paroli per due
stanze della contessa in Sagrado
1802
9 gennaio, al pittore Zanut
acconti dei suoi lavori di Duino
/ 27 febbraio, al pittore Deperis
per soccorso ed aggiunta a
Degrandi / 5 luglio, al pittore
Furlanetto per saldo oltre l’avuto
dall’Urbani ut confessore / 26
novembre, mediante Furlanetto
all’impotente Deperis
1803
1 giugno, al pittore Bonaventura
Pescanti acconto / 9 agosto
saldo
1810
3 settembre, al pittore Carlo
Liechtenreit acconto di sue due
fatture / 29 settembre, al sig.
Carlo Liechtenreit per acomodar
tutti i quadri di Sagrado
1811
10 febbraio, al pittore Carlo
Liechtenreit per li quadretti
delle belle arti per Sagrado
1814
4 Agosto, a Furlanetto per
incolorir a olio porte, scuri, scale
tutte del orto
1815
27 febbraio, al pittore Deperis
per soccorso ed aggiunta a
Degrandi
1816
28 giugno, al pittore Furlanetto
acconto dei suoi lavori
/ 27 luglio, al pittore Furlanetto
ut 28 giugno acconto / 29
luglio, allo stesso saldo delle sue
fatture e mancia al Giovanni di
Furlanetto
1817
9 maggio, al Pittore Furlanetto
per acconto lavori da farsi
Di alcuni pittori nominati
per cognome da Raimondo
IX si può risalire all’identità.
Di Federico Comelli, pittore
goriziano, si hanno saltuarie
notizie dal 1786 al 1802; il
Deperis citato è probabilmente
Guglielmo Antonio Deperis;
Carlo Lichtenreiter (1742 –
1817) è il noto primogenito
e successore di Johann
Michael; uno dei Paroli cui si
fa riferimento è probabilmente
Michele, citato tra il 1791 e il
1810 in documenti d’archivio
come pittore di second’ordine
che aveva lavorato insieme
al Furlanetto in occasione
della decorazione del Casino
Nobile di Gorizia. Riguardo
Michele Paroli è interessante
citare Ferdinad Šerbelj: «Non
conosciamo i legami di
parentela del nostro pittore con
i tre Paroli citati dal Cossar:
Antonio, Michele Giuseppe. […]
Antonio e Michele vissero a
cavallo del XIX secolo. Antonio
fu maestro; Michele invece fu
pittore ed è citato nei documenti
degli archivi goriziani tra il
1792 e il 1810. A giudicare dalle
commissioni e dai pagamenti
doveva essere un pittore
decoratore: un probabile aiuto
nella bottega del Paroli. La sua
presenza sarebbe stata possibile,
visto che la bottega nel 1763
operava ancora, come attestato
da un’opera datata» (Antonio
Paroli, Musei Provinciali, Gorizia
1996, p. 43).
Sebbene diversi dei pittori qui
citati abbiano prestato opera
a Sagrado, rispetto a nessuno
di queste note di pagamento,
tranne quella del 1802 riferita a
Furlanetto, viene mai specificato
con dovizia di particolari il
motivo del pagamento nel Libro
Confessore.
234 235
Il vino:
vocazione di un territorio
A fronte
Scorcio della cantina
ipogea dell’azienda
Castelvecchio.
I documenti amministrativi del casato comitale dei Della Torre,
conservati nel fondo Della Torre Tasso presso l’Archivio di Stato
di Trieste, e gli elaborati catastali del XIX secolo, conservati
presso l’Archivio di Stato di Gorizia, sono preziosi strumenti che
permettono di ricostruire la storia della coltivazione della vite
a Sagrado. La produzione del vino in questo territorio ha infatti
origini molto antiche e una tradizione che perdura, documentata,
almeno dal XVI secolo.
Il territorio coltivato era ed è adagiato sul declivio carsico salubre
e soleggiato che scende alla pianura alluvionale della sponda
sinistra dell’Isonzo, dominato dall’alto dalla villa di Castelnuovo.
Il capitolo si propone di offrire una rapida panoramica di quanto
è possibile scoprire e documentare, in relazione all’appassionante
tema, a partire dalla fine del XVI secolo, quando il feudo di
Sagrado era amministrato dal conte Raimondo VI Della Torre.
Per avere un’idea di come si presentava il territorio all’epoca
del conte, cioé tra la fine del Cinquecento e il primo ventennio
del Seicento, possiamo far nuovamente riferimento alla mappa
CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO 237
Dettaglio di una pagina
dei Conti de me
Bernardino Adecanis
del anno 1578 (AST,
Fondo Della Torre Tasso,
b.220.4.5).
1
AST, Fondo Della Torre
Tasso, b. 242.3.1, Piano
del tracciato di confine
tra l’Isonzo e il lago di
Pietrarossa.
2
AST, Fondo Della Torre
Tasso, b.220.4.5, 1578.
3
AST, Fondo della
Torre Tasso, b.220.4.7,
1641, Rendiconto
dell’amministrazione
di Giovanni Filippo
Della Torre tenuta da
Francesco Franceschinis
(1640 – 1644).
4
Fascicolo di piani
con descrizioni dei
terreni di Francesco
Ulderico Della Torre siti
in territorio di Sagrado,
1677 (AST, Fondo Della
Torre Tasso, b.241.3.2).
del XVII secolo in cui compare il Pallazzo di Sagrado 1 : i terreni
coltivati si estendevano tra la strada e l’Isonzo, in cima al monte
invece si trovava il bosco recintato da mura. La mappa non
fornisce indicazioni relative alla tipologia di coltura adottata, ma
lo studio di alcune note tratte dai libri contabili e dagli urbari dei
conti permette di ricavare diverse interessanti informazioni. Il
documento più antico finora trovato, riguardante la produzione
del vino, risale alla seconda metà del XVI secolo e si riferisce
alle rendite di Raimondo VI. Si tratta del Libro dei Conti de me
Bernardino Adecanis del anno 1578 in cui, tra le entrate della
Camera Fiscalle per Sagrado e Gradisca, viene citato l’ammontare
della produzione vinicola, oltre a quello del frumento, dell’avena,
del miglio, del sorgo, delle uova e degli animali da cortile, quali
capponi, galline e pernici 2 . Una nota compilata dal fattore di
Sagrado al servizio di Giovanni Filippo, figlio ed erede di Raimondo
VI, datata 20 settembre 1640, riporta anche la distinta delle spese
per far accomodar le bote e tinazzi nel pallazzo di Sagrado 3 .
Erede di Giovanni Filippo fu il figlio Francesco Ulderico, cui si
deve il primo prezioso documento che permette di valutare con
precisione l’incidenza della vite nelle colture del territorio nella
seconda metà del Seicento. Si tratta del rilievo mappale fatto
redigere dal conte nel 1677 4 , dove l’agrimensore disegna la pianta
di ogni appezzamento, ne dà le dimensioni in pertiche di Gradisca,
riporta il nome del colono affittuario, i confini e il genere delle
coltivazioni; in particolare, riguardo alle viti, specifica il numero
di piante. Confrontando il documento con la mappa del XVII
secolo e considerando i toponimi citati, è possibile stabilire che
all’epoca gli appezzamenti erano collocati ai piedi del monte, nei
pressi di Castelvecchio. Dalla serie di mappe emerge che il sistema
colturale adottato era misto, ovvero le viti crescevano nei campi
coltivati principalmente a frumento, probabilmente lungo i confini,
Due pagine del rendiconto dell’amministrazione
di Giovanni Filippo Della Torre tenuta da
Francesco Franceschinis datate 1640 (AST,
Fondo della Torre Tasso, b.220.4.7).
238 Il vino: vocazione di un territorio
5
Le misure degli
appezzamenti vengono
riportate in campi,
quarti e tavole. Campo,
quarto e tavola erano
misure di superficie
venete. Un campo
(C) era equivalente a
840 tavelle, pari a mq
3656,60; un quarto
(q.to), era equivalente
a 210 tavelle, pari a
mq 914,15; una tavella
(detta anche tavola o
pertica), era pari a mq
4,35.
6
La coltivazione
dell’ulivo, insieme a
quella della vite, era
presente in tutto il
territorio friulano fin
dall’epoca romana,
come testimoniano
le fonti latine, alcuni
significativi reperti
archeologici del
Museo di Aquileia e
la toponomastica. Nel
XVIII secolo una forte
gelata distrusse tutti gli
ulivi e la coltivazione
plurisecolare scomparve
per molti anni. A
Sagrado fu ripristinata
dal conte Raimondo IX a
partire dagli ultimi anni
del Settecento.
7
«Udine, 1 Giugno
1611. Mentre che alcuni
uomini della villa di
Fogliano […] il di 6 del
passato della terra sopra
il monte della chiesa di
detta villa per riponerla
d’intorno di olivari
d’essa chiesa, furono
impediti, e fatti cessar
aggrappate ad alberi da frutto. L’uso di far sostenere la pianta di
vite da un albero da frutto o da un gelso - sostegno vivo - era di
antichissima tradizione, ne parla addirittura Virgilio nel II libro
delle Georgiche; rimase in auge a Sagrado almeno fino al XIX
secolo. In dieci degli undici appezzamenti rilevati dall’agrimensore
di Francesco Ulderico era presente la vite; ad esempio, la frazione
di 8 campi e 171 tavole (circa 3 ettari 5 ) condotta (come si diceva
allora) da Zuane Vittor, confinante a est con il Broglio e a nord con
la Roglia del Molin, contava 43 piante; la braida chiamata Trezzo
di mezo, di 6 campi, 3 quarti e 201 tavole (2, 5 ettari) confinante a
nord e a ovest con la Roglia, a est con la strada del Pallazzo e a sud
con il Broglio, condotta da Batta Furlano, contava 10 piante ed era
coltivata anche a stropari, cioè a vimini, tradizionalmente usati dai
contadini per la legatura dei tralci di vite, nonché dai cestai il cui
artigianato era diffuso ed apprezzato; lo stesso colono conduceva
anche la braida chiamata Dietro al molin che contava 14 piante e
confinava a nord con la strada e la Roglia, a est con la strada, a sud
con la strada del Pallazzo e a nord con il molin; la braida sotto il
monte condotta dagli eredi di Gioseffo Furlani, confinante con le
mura del Pallazzo a sud, a ovest con la stradella, a est con il monte
delli Olivari, contava 24 piante, posizionate a sud est; la braida
presso la casa dove abita Antonio Vittor condotta da lui medesimo,
confinante a ovest con la strada e a est con la Roglia, era piantata
a mezodì con piante vinifere n.7; Antonio Vittor conduceva anche la
Comugna che confinava a sud con la strada e che contava 11 piante.
In totale, su una superficie di 141 campi, 1 quarto e 117 tavole (circa
50 ettari) si contavano 195 piante di vite. Interessante notare come
uno dei lotti rappresentati confinasse con il monte delli Olivari,
notazione, questa, molto significativa in quanto documenta la
coltivazione dell’ulivo nel territorio considerato durante il XVII
secolo 6 . La coltivazione dell’ulivo è comprovata anche da un altro
Dettaglio di una pagina
dei Conti con messer
Angelo Cecchin per
l’amministrazione
havutta della robba del
conte Raimondo (AST,
Fondo Della Torre Tasso,
b.220.4.9, 1669-1688).
dal lavoro da tre uomini
mandati a tale effetto dal
conte Raimondo della
Torre patrone de luoco
de Sagrà […]» (ASVE,
Fondo provveditori ai
confini, B 141).
8
Conti con messer
Angelo Cecchin per
l’amministrazione
havutta della robba del
conte Raimondo (AST,
Fondo Della Torre Tasso,
b.220.4.9, 1669-1688).
documento secentesco, ovvero una relazione del 1611 stilata dal
luogotenente veneto dell’epoca in merito ad una controversia nata
tra Raimondo VI e gli abitanti di Fogliano, a cui il conte aveva
proibito con la forza di piantare ulivi nelle vicinanze della chiesa
parrocchiale del paese posta sul colle, l’attuale chiesa di Santa
Maria in Monte 7 .
Sebbene la serie mappale analizzata sia ricca di informazioni, non
fornisce indicazioni sulla quantità di vino prodotta annualmente;
per questo si è ritenuto interessante confrontarla con le note
riportate in un libro dei conti relativo agli anni 1669 - 1688 8 . Queste
240 Il vino: vocazione di un territorio CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
241
9
Da M. Stanisci,
Appunti di metrologia,
C.D.C. Udine 1984,
2° ed., p. 87: «In
Friuli le misure
erano moltissime, né
l’influenza veneziana
le aveva molto
unificate; piuttosto,
dal secolo XVIII, nel
Friuli Orientale s’era
sentita quella austriaca,
evidentemente tesa
alla germanizzazione
anche in quel settore. Si
avevano, logicamente
quasi sempre con
valori diversi, […] il
cuinz, la sele, il bocal,
la pinte, l’orne per i
liquidi, e nell’Isontino,
di derivazione austriaca
l’èmar[…]».
le annotazioni significative: le vendemmie di Sagrado del 1670
produssero 24 orne, vendute nel 1671; nel 1671 non si produsse nulla
(verosimilmente a causa di una grandinata o di prolungata siccità);
nel 1672 si produssero 28 orne, vendute nel 1673, anno in cui si
ottennero 27 orne vendute nel 1674. Come appare da un ulteriore
libro dei conti, nel 1691 si produssero 6 orne di vino. Il conzo era
un sottomultiplo dell’orna, unità di misura di capacità per liquidi
comunemente usata in Friuli; il valore dell’orna però (e quindi
del conzo) non era uniforme, variava da una località all’altra 9 . Per
esempio, l’orna nuova di Vienna, usata nei territori dell’Impero, era
equivalente a 56,589 litri; un conzo dunque, che corrispondeva alla
sesta parte dell’orna, equivaleva a 9,4 litri. Si può quindi dedurre
che mediamente con il frutto delle vendemmie si producevano
annualmente dai 24 ai 28 conzi di vino, sebbene in alcuni anni a
causa delle condizioni meteorologiche sfavorevoli si produceva
poco o addirittura nulla. Con un conto approssimativo basato sul
numero delle piante contate nel 1677, cioè 195, e la produttività
pari a 28 orne del 1672, è possibile calcolare che in quel torno
di tempo (1672-77) ogni pianta di vite produceva pressappoco 8
litri di vino. Questo dato, confrontato con la produttività attuale,
appare decisamente modesto, ma bisogna tener conto del metodo
di coltivazione. Le viti crescevano in terreni sfruttati al massimo,
in consociazione con altre piante (frumento, sorgo, miglio…),
aggrappate a “legno vivo” (alberi da frutto), in carenza di concime,
in assenza di anticrittogamici.
Nel corso del Settecento la coltivazione della vite venne
incentivata ed aumentata, tanto che le terre di Sagrado risultano
essere in questo periodo notevolmente produttive ed ambite: nel
1723 sono le più redditizie tra i Beni sotto il Principal Contado di
Gorizia e Gradisca, ovvero rispetto a Bruma, Mariano, Romans,
Moraro, San Nicolò di Levata, Ruda, Tapogliano, Fauglis, Carlins,
10
AST, Fondo Della
Torre Tasso, b.230.1.6,
1723.
11
AST, Fondo Della
Torre e Tasso, b.154.1.
La proprietà dei beni
di Sagrado era passata
a Filippo Giacomo,
fratello di Francesco
Ulderico, poiché questi,
non essendosi mai
sposato, dichiarò eredi
universali il fratello e il
figlio di quest’ultimo,
Luigi Antonio, con la
condizione che qualora
questa linea si fosse
estinta tutti i beni
sarebbero dovuti passare
alla linea dell’altro
fratello Raimondo
Bonifacio.
Beligna (Aquileia) e San Giorgio di Nogaro 10 . In un documento del
1753, la Specifica di tutti li beni fra li quattro figliuoli del fu conte Luigi
Della Torre e Valsasina (figlio ed erede di Filippo Giacomo I, nipote di
Francesco Ulderico I), divisibili cioè fra il fu conte Giovanni Filippo (II)
ora conte Francesco Ulderico (II) suo figlio, il conte Francesco Annibale,
il conte Turrismondo Ignazio ed il conte Federico Luigi […] 11 , vengono
confrontate le rendite di questi territori tra il 1723, anno in cui morì
il conte Luigi Antonio, e il 1753, anno in cui evidentemente i quattro
eredi si contendevano ancora i possedimenti. Il calcolo tiene conto
delle rendite in formento, avena, fava, fagiuoli, vino, capponi, pollastri,
galli d’India, galline, quaglie della stanga, anguilla fresca, formaggio,
agnelli, animal porcino, legna, fieno, carreggi e denaro in natura;
Sagrado si classifica al primo posto per la produzione di frumento,
staccando di parecchio le altre terre, e al terzo posto per la produzione
di vino. La terra che produceva più vino era quella della commenda di
San Nicolò di Levata che rendeva al casato 188 conzi, seguivano Ruda
con 133 conzi e appunto Sagrado con 105 conzi; venivano poi Moraro
con 81 conzi, Bruma e Farra con 43 conzi, Tapogliano con 20 conzi,
Mariano con 18 conzi, Fiumicello con 9 conzi e Romans con 7 conzi. I
conzi vanno moltiplicati per due per ottenere all’incirca il quantitativo
totale di vino prodotto nel 1723; i coloni infatti pagavano al conte
per l’affitto dei terreni la metà del vino prodotto. Nel 1723, dunque,
a Sagrado furono prodotti pressapoco 210 conzi, pari a circa 19,80
ettolitri: è evidente che rispetto a cinquant’anni prima la coltivazione
della vite era stata incentivata notevolmente, probabilmente
migliorando i sistemi di coltivazione, incrementando il numero delle
piante e degli spazi ad esse dedicati.
Nella seconda metà del Settecento i beni di Sagrado confluirono nel
patrimonio del conte Raimondo IX che, come abbiamo visto, a partire
dagli anni Settanta del secolo, convertì la proprietà in una tenuta
agricola che si estendeva dalla piana isontina alle alture carsiche,
242 Il vino: vocazione di un territorio CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
243
12
ASGO, Catasti del
XIX-XX secolo, mappe
n. 2810, 2811, 2812,
2813, Sagrado, 1818 -
1825; Elaborati, b. 63,
Protocollo dei terreni,
1818.
13
AST, Fondo Della Torre
Tasso, b. 251.3, 1783,
Libro locazioni della
tenuta di Sagrado.
14
AST, Fondo Della Torre
Tasso, b. 247.1.1.
15
Memorie per il Fattore
di Sagrado da restargli
ben impresse nella
memoria e da porle in
opera ogni qual volta
gli prema d’ubbidire
agl’ordini del Padrone e
restare al di Lui Servizio!
(AST, Fondo Della Torre
Tasso, b. 251.3, 1782).
16
Ibidem.
fino a raggiungere Doberdò. Per capire appieno la trasformazione
paesaggistica voluta e attuata da Raimondo IX è indispensabile
far riferimento alle mappe censuarie di Sagrado del 1818 – 1825
e ai relativi elborati 12 : tutta la pianura è rappresentata come una
distesa di campi arativi vitati con frutti (appezzamenti piccoli)
e campi arativi vitati con moroni (appezzamenti molto estesi
con piante di vite e gelsi); tra il bosco e la villa si estendono i
terrazzamenti artificiali censiti come campi arativi vitati con frutti
(solo un terrazzamento è censito come campo arativo con frutti)
e sulla vasta area alle spalle della villa è collocata una fascia di
campi arativi vitati con frutti, dietro alla quale si trovano ampi
campi arativi e pascoli, punteggiati da piccole aree circoscritte
censite come boschetti di robinie. Certamente, data l’estensione, la
produzione del vino era considerata di primaria importanza. Non
esistevano ancora a Sagrado delle vigne in senso moderno; infatti
l’antico, tradizionale metodo promiscuo che vedeva le viti coltivate
in campi arativi mai lasciati riposare persisteva ancora. Rispetto
ai campi del Distretto di Monfalcone, però, quelli della Comune di
Sagrado erano concimati più spesso (ogni anno) e proprio al conte
Raimondo va il merito di aver incentivato l’uso dei pali “morti”
per sostenere le viti 13 . La fertilità delle viti durava ordinariamente
vent’anni e il numero di piante presenti in ogni appezzamento
risulta essere notevolmente maggiore rispetto a quelle rilevate nel
1677.
Raimondo IX sovrintendeva personalmente alle vendemmie;
una nota tratta dal Libro Confessore, datata 1 ottobre 1781, recita:
«Mi portai a Sagrado ad accudire alle vendemie per istruire il
novo fattore, e delucidare varie cose col vecchio» 14 . Il conte era
intransigente in merito alla condotta del fattore e dei coloni; oltre
a pretendere che ogni ordine dato fosse eseguito tempestivamente
e che i libri contabili fossero tenuti con massima cura e diligenza,
Una pagina dell’Operato
d’estimo catastale della
comune di Sagrado,
dettaglio del paragrafo 9
(ASGO, Catasti XIX - XX
sec., Elaborati, b. 63
f.190/23- Sagrado,
anno1823).
ricordava al fattore che «doveva tenere tutto serrato a chiave,
tanto cantine, folladore (cioè il vasto ambiente dove si effettuava
la pigiatura delle uve), magazeni che scuderia e rimessa» 15 e
soprattutto che era chiamato a «fare frequenti visite alle terre de
colloni per obbligarli a ben lavorarle assistendo alla seminazione
del primo grano, all’accomodo delle viti, ed a darli la terra non
meno che alla piantagione di novi rasoli» 16 . I coloni firmavano un
contratto d’affitto delle terre che prevedeva un canone in frumento
e vino, cioé un quantitativo fisso da specificarsi e «la giusta metà
di tutto il rimanente vino racolto nelle affittate terre». Avevano
anche una serie di obblighi: l’uva doveva essere condotta nel
244 Il vino: vocazione di un territorio CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
245
17
AST, Fondo Della Torre
Tasso, b. 153.1.
18
Libro Confessore (AST,
Fondo Della Torre Tasso,
b. 247.1.2).
19
ASGO, Catasti del
XIX-XX secolo, Elaborati,
b. 63 f. 190/23.
20
Cfr. PUNTIN, 2003 e
DESINAN, 1983.
21
Libro Confessore
(AST, Fondo Della Torre
Tasso, b. 247.1.2).
22
ASGO, Tribunale
Civico di Gorizia,
Ventilazione di morte di
Raimondo IX, Inventario
dei beni di Sagrado,
b.166 f.357 s.1817-5-9.
23
Promemoria per il
Nobil Signor Conte Giò
Batta Turn riguardante la
sua Contea di Sagrado
(AST, Fondo Della Torre
Tasso, b. 170.2).
folladore padronale, «senza osar vindemiare ne tutta, ne in parte,
prima del positivo ordine ed intervento o assistenza del fattore»;
[…] non si doveva «far danno col taglio agl’alberi delle viti, ma
pigliare il puro superfluo, cercando anzi di mantenere il legname,
e custodirlo […]»; era obbligatorio «dare ogni anno la terra alle
viti ed aver cura nel tagliarle, procurando anzi di moltiplicarle,
dovendosi perciò provedere delli occorrevoli e sufficienti pali per
sostenerle» 17 . Raimondo provvide a far impiantare nuove vigne,
come viene ad esempio documentato anche da un contratto del
febbraio 1788 denominato Condotta delli sassi per il muro della
nova vigna Reffosco e loro scavatione: «Zuane e Francesco Visintin
di Pollazzo e Compagnia (Andrea Zimulo) si obbligano di condurre
li sassi grezzi per fabbrica del palazzo vecchio di Sagrado nel così
detto Broilo lungo il muro da farsi di misura della nova vigna
per il prezzo accordato di lire cinque al clafter e con un regalo di
zecchino uno in proporzione di clafter cento, da cominciarsi subito
il lavoro [...]». Si occupò inoltre di far scavare diverse cisterne
per la raccolta dell’acqua piovana da cui partivano dei condotti
per l’irrigazione della terra; ne è riprova ad esempio l’accordo del
26 aprile 1784 fatto per l’Escavazione del buco della cisterna del
Casino di Sagrado 18 ; con buone probabilità il contratto si riferisce
alla cisterna fatta scavare alle spalle della villa, recentemente
convertita in cantina della tenuta Castelvecchio. L’attenzione e la
cura che Raimondo pretendeva per le sue coltivazioni di vite non
rimasero senza frutto, perché, come si evince dall’Operato d’estimo
catastale della Comune di Sagrado 19 , davano un vino rosso di gran
pregio, paragonabile quasi col migliore prodotto delle Comuni
del Distretto medesimo (Distretto di Duino). Si produceva quasi
esclusivamente Vino Nero, mentre il Vino Bianco e il Vino Rossiccio
erano prodotti in quantità decisamente minore e con risultati medi;
la loro qualità era paragonabile a quella dei corrispondenti del
Su un foglietto
conservato tra le pagine
dello Scartafazzo
d’alcuni miei crediti di
Raimondo IX è appuntata
la vendita di sei botti di
vino nero di Sagrado
(A.S.T., Fondo Della
Torre Tasso, b. 220.1
f.3).
Distretto. Sembra pertinente questa osservazione. Il Vino Nero e il
Vino Bianco dovevano essere uvaggi ricavati dagli antichi vitigni
che andarono irrimediabilmente distrutti alla fine dell’Ottocento
a causa della comparsa e diffusione della peronospora. Le fonti
ricordano i nomi di tali vitigni: pignòla, rossara, corvìn, zividìn,
glera, slancamenea e perfino pagadebiti… La microtoponomastica
documenta parzialmente le località in cui tali vitigni venivano
coltivati 20 . Dalla citazione della vigna Reffosco possiamo invece
intuire che questo particolare vino veniva prodotto solo con uve
refosco.
Un passo del Libro Confessore datato 19 novembre 1784 riporta un
appunto significativo che permette di affermare che a Sagrado era
coltivato anche il prezioso Picolit: «Venni la mattina al mio Sagrado
ove ritrovai impiantati i [?] di Picolit e Refosco nelli giardini, come
avevo alla mia partenza ordinato» 21 . Il Picolit veniva torchiato in
un torchio speciale, di cui esisteva un esemplare nella cantina del
conte 22 . Da questo Picolit, Giovanni Battista III, figlio prediletto
ed erede universale di Raimondo IX, otteneva anche un liquore,
certamente una grappa come avviene anche oggi 23 . Giovanni Battista,
pur risiedendo spesso a Venezia, trascorse ogni estate a Sagrado
insieme alla famiglia. Anch’egli, come il padre, si impegnò affinché
la tenuta continuasse ad essere produttiva e fu promotore di diversi
lavori di sistemazione della villa e dei giardini. Giovanni Battista
morì nel 1849 e fu l’ultimo discendente maschile della stirpe duinate
dei Della Torre. Il patrimonio, compresa le proprietà di Sagrado, fu
ereditato dalla figlia Teresa e fu incamerato nel patrimonio degli
Hohenlohe. Teresa, a differenza di suo padre e di suo nonno, preferì
soggiornare tra Duino e Venezia; a Sagrado veniva con la famiglia
solo per trascorrere brevi periodi di villeggiatura, in primavera o in
autunno. La villa dunque rimaneva quasi sempre chiusa e la gestione
della tenuta agricola era affidata alle cure del fattore.
246 Il vino: vocazione di un territorio CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
247
Suggestiva immagine
delle vigne della tenuta
Castelvecchio.
24
Rivista Amici della
natura, anno 1887.
25
Historia Naturalis, XIV
8,60.
Nel 1887 i vini di Sagrado ricevettero un prestigioso
riconoscimento grazie a Marie Hohenlohe, figlia di Teresa, che
in qualità di amministratrice della tenuta ereditata dalla madre
volle partecipare all’Esposizione - fiera dei Vini organizzata
in quell’anno dalla Società Agraria di Trieste con l’intento di
promuovere la conoscenza e lo smercio dei vini del territorio.
L’esposizione, tenutasi in giugno presso il Politeama Rossetti,
ospitò centoventiquattro espositori provenienti da Trieste, Gorizia,
Istria, Dalmazia, Carniola, Tirolo, Stiria, Austria inferiore, Boemia e
Ungheria; furono presentate quattrocento qualità di vini, assaggiati
e giudicati da un’esperta commissione. Marie gareggiò con i
bianchi Malvasia e Verdiso e con il rosso Terrano. Il Malvasia
venne giudicato vino buono, mentre il Verdiso e il Terrano vini
molto buoni; ottenne la medaglia d’argento dell’esposizione e la
medaglia di bronzo dello Stato 24 .
Il Terrano, frutto del vitigno originato probabilmente dal
Refosco d’Istria, è un vino caratteristico del Carso e racchiude in
sé l’antichissima tradizione della viticoltura in queste terre. Al
tempo di Aquileia romana, infatti, era celebre il vino Pucinum
prodotto, come scrive Plinio il Vecchio nella sua Historia Naturalis,
nei pressi di Duino: «Gignitur in sinu Adriatici maris, non procul
a Timavo Fonte, saxeo colle, maritimo afflatu paucas coquente
amphoras» (viene prodotto nel golfo altoadriatico, non lontano
dalle Bocche del Timavo, su di un colle sassoso dove alla brezza
marina si matura [uva sufficiente] per poche anfore) 25 . Nel corso dei
secoli, e fino a tutt’oggi, gli studiosi hanno tentato di identificare
il vitigno del Pucinum in base a diverse osservazioni di carattere
filologico-naturalistico. Le varie ipotesi sono rimaste arroccate
saldamente su due fronti: da una parte si schierano i sostenitori
dell’identificazione Pucinum - Prosecco, asserendo che l’antico vino
era bianco; dall’altra si contrappongono coloro che identificano
il Pucinum con il Terrano, sostenendo che doveva essere invece
un vino rosso. Al primo gruppo appartengono, per esempio, i
due illustri eruditi del Cinquecento Pietro Andrea Mattioli e
Volfango Lazio, a cui si accoda il conte Pietro Coronelli (1793); al
secondo gruppo, lo storico Ireneo della Croce, l’archeologo Carlo
Marchesetti e, per i tempi più vicini, lo scrittore Silvio Benco. La
vexata quaestio rimane aperta. Certo è un fatto: il Pucinum doveva
possedere qualità terapeutiche straordinarie, dato che Livia, moglie
di Augusto, ogni anno si faceva inviare a Roma alcune anfore del
famoso vino, a cui riferiva la sua longevità (morì ultraottantenne,
un gran bel traguardo per quei tempi).
A conclusione di queste brevi note si può certamente affermare
che la tradizione vinicola di Sagrado ha fatto da trait d’union
per le generazioni che si sono avvicendate in tanti secoli tra
Castelvecchio e Castelnuovo. La vocazione di questo territorio è
divenuta anello di congiunzione tra passato, presente e futuro, fiore
all’occhiello dell’economia del territorio.
250 Il vino: vocazione di un territorio CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
251
Progetto per una cantina
Nel fondo Della Torre Tasso
(AST, b. 242.2.1) è conservato un
interessante disegno a penna
e acquerello che rappresenta
il progetto per una cantina di
grandi dimensioni, l’edificio
offriva infatti spazio sufficiente
per almeno 34 botti. Purtroppo
non è possibile stabilire con
precisione la località per cui
era stato pensato il progetto,
l’unica informazione che riporta
il disegno è la dicitura Faciata
verso il palazo che fa presumere
la vicinanza a una residenza
padronale da cui si poteva
comodamente controllare il
prezioso patrimonio.
Il documento non è datato,
ma risale alla fine del XVIII
secolo, è molto probabile
dunque che facesse parte delle
carte d’amministrazione di
Raimondo IX, realizzato forse
per la tenuta di Sagrado.
In alto
Progetto per una cantina (AST, Fondo Della Torre
Tasso, b. 242.2.1), fine XVIII secolo.
Alle pagine seguenti
Interno della cantina della tenuta agricola
Castelvecchio ricavata sotto terra all’interno della
cavità della cisterna settecentesca costruita per la
raccolta dell’acqua piovana.
252
Mirella Della Valle
Dal 2006
PRESENTE E FUTURO
256 Castelnuovo: sede pacifica di poesia, cioè fede e amore CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
257
Castelnuovo:
sede pacifica di poesia,
cioè fede e amore
A fronte
Giuseppe Ungaretti
nella scultura di Paolo
Annibali.
Il presente di Castelnuovo ebbe inizio nel 2006 con una frase:
«Mamma, l’anno prossimo mi sposo». Così in famiglia fu deciso di
iniziare il recupero dell’edificio chiamato “barchessa” dell’antico
possedimento situato sopra Sagrado in località Castelnuovo,
dove è collocata l’azienda agricola Castelvecchio. Avremmo
dunque festeggiato il matrimonio nella barchessa e nell’antica
villa veneta attigua. Tuttavia, prima di iniziare il recupero degli
edifici, sentimmo l’esigenza di effettuare una piccola ricerca, non
immaginando tutto il materiale storico che sarebbe emerso negli
anni successivi.
Avevamo acquistato nel 1987 l’azienda agricola e a distanza di
quasi trent’anni non conoscevamo a fondo la sua importanza. Ci
trovavamo tra le mani il passato della proprietà dei Della Torre di
Valsassina che attendeva da cento anni di essere recuperata per
tornare finalmente alla luce.
La ricerca ebbe inizio da una ventina di foto scattate dai fratelli
Treves tra il 1915 e il 1918. Le foto erano in una custodia in un
cassetto di una scrivania nell’ufficio di Castelvecchio. Erano foto
CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO 259
della Grande Guerra che testimoniavano le ferite che il conflitto
aveva arrecato agli edifici presenti nell’area denominata Carso di
Castelnuovo. Vi erano varie foto: del fronte principale della villa
veneta sbrecciato, dell’ala nord della villa completamente distrutta,
dei dipinti del salone degli Ambasciatori, del tempietto con la
cupola sventrata, degli accampamenti militari, dei generali con
il re Vittorio Emanuele III ed il Duca d’Aosta, delle varie trincee,
dei camminamenti e delle cerimonie di consegna delle medaglie
al valore alle varie brigate ed infine delle barchesse distrutte.
Indubbiamente bisognava andare molto più a fondo per ricostruire
esattamente le vicende che la colpirono così da vicino.
Intanto, nell’ottobre del 2006, iniziammo la pianificazione della
ristrutturazione della barchessa che in realtà scoprimmo essere
stata una scuderia di stalloni lipizzani allevati per il governo
austriaco. Per anni, l’Azienda agricola utilizzò l’edificio della
barchessa come barriqueria e come cantina di invecchiamento
vini. C’era dunque anche la necessità di spostare da un’altra parte
le botti e quindi si doveva costruire una nuova cantina. Estirpando
il vigneto di Terrano ci accorgemmo di un muretto in pietra
situato nel posto dove le antiche mappe rilevavano l’esistenza
di un grande quadrato che poteva riferisi ad una torre o ad una
cisterna di raccolta d’acqua. Si fecero degli scavi in profondità e
si aprì una grande voragine di pietra antica nella quale potevamo,
con opportuni arrangiamenti, collocare la nuova barriqueria e la
nuova cantina. Qualche storico si chiedeva se potessero essere
le fondamenta della vecchia torrazza che compare in alcune foto
d’archivio.
La scoperta di questo grande buco ci fece risparmiare tempo e
denaro. Oggi possiamo ammirare questa nuova cantina inserita
nella roccia carsica, dotata di un cunicolo che probabilmente
serviva da collegamento con altre parti della proprietà. Dopo
una accurata riconversione, la cisterna divenne la nuova cantina
di invecchiamento vini e vi furono collocate le botti tolte dalla
barchessa.
Potevamo così finalmente iniziare la ristrutturazione della
barchessa, anche se in mano non avevamo un progetto che ancora
ci convinceva.
Sempre in quel periodo visitammo una ristrutturazione di
un’azienda agricola nel Veneto e fummo colpiti dalla semplicità
e dall’utilizzo dei materiali: ferro, legno grezzo di vecchi tronchi
e vecchi mattoni. Ricordiamo con grande piacere quel periodo
perché partecipava alle nostre peregrinazioni anche la sorella
Marinella che si aggregava alle nostre ricerche. Decidemmo di
fare un viaggio di ricerche di qualche giorno e ci recammo a Este
da un restauratore, Serafino, esperto di restauri di dipinti antichi e
di restauro di ville venete. Ci recammo poi all’Archivio di Stato di
Venezia alla ricerca di documentazione storica sulla villa. A Cerea
visitammo alcune fabbriche di mobili del Settecento veneto, a
Cittadella, Treviso e Bassano ci recammo da antiquari specializzati
sempre dello stesso periodo storico. Infine, a Mogliano Veneto,
incontrammo l’architetto Paolo Bornello che aveva restaurato
una vecchia cascina a Valdobbiadene. Ci entusiasmò subito il suo
lavoro e decidemmo di affidare a lui il restauro della barchessa.
Egli accettò e apportò delle modifiche ai progetti che erano già
stati redatti da due architetti che lo avevano preceduto. In seguito
il contributo di Bornello sarebbe andato ben oltre questo restauro.
Abbiamo una grande nostalgia di quella settimana trascorsa
con Marinella, perchè fu l’ultimo piacevole periodo che abbiamo
trascorso con lei prima della sua improvvisa scomparsa. In
macchina ascoltavamo radio Birikina, canzoni anni Sessanta e
260 Castelnuovo: sede pacifica di poesia, cioè fede e amore CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
261
ridevano per qualsiasi situazione buffa. Senza nessuna fretta, senza
preoccupazioni, ma felici di quell’avventura insieme, complici e
solidali nella ricerca di documenti e persone che potevano aiutarci
a recuperare il valore di questa splendida e antica tenuta. Marinella
amava Castelvecchio e spesso ci diceva: «Quando i miei figli
saranno tutti sistemati e non avranno più bisogno di me, andremo a
vivere in qualche angolino di Castelvecchio».
Abbiamo conosciuto durante quel viaggio anche Carlo Canato,
direttore dell’Istituto Ville Venete di Venezia. Era molto informato
sul valore storico della villa e ci rilasciò molte informazioni utili.
Ci inviò la copia dell’iscrizione della tenuta presso l’Istituto
Regionale Ville Venete di Venezia. Fummo entrambi sorpresi
quando scoprimmo che al Centro di Catalogazione di Villa Manin
non eravamo ancora registrati. Da un’indagine scoprimmo che
risultavano iscritti alcuni edifici di Sagrado risalenti alla fine
Ottocento, mentre invece la villa di Castelnuovo, risalente alla
fine del Settecento, non era iscritta. Esisteva tuttavia un bellissimo
volume, commissionato dall’Istituto di Villa Manin, sui parchi e
le ville venete del Friuli Venezia Giulia che mostrava delle foto
della proprietà e parlava dell’importanza storica di Castelnuovo.
La studiosa Paola Tomasella, che aveva curato la pubblicazione,
asseriva che il parco di Castelnuovo, anticamente, era considerato
tra i più belli del Friuli Venezia Giulia.
Devo ringraziare ancora oggi lo storico Silvo Stok. Fu lui a
redigere la scheda che ci permise l’iscrizione all’Istituto di Villa
Manin. Stimo Silvo per la sua onestà intellettuale e per la sua
grande competenza sulle ville e sulla storia della Grande Guerra.
Dovevamo dunque iniziare il restauro della barchessa e la sua
valorizzazione storica. Fu mantenuto inalterato l’impianto originale
così come risultava dalle antiche mappe, con l’unica aggiunta di
In alto
Interno della nuova
cantina ipogea.
Alle pagine seguenti
La barchessa, ex
scuderia, restaurata.
una grande veranda che si apre verso il bosco carsico. la Regione
affidò alla Provincia di Gorizia il compito di recuperare il valore
storico della Grande Guerra sul Carso, in vista delle celebrazioni
del centenario 2014 - 2018. Furono posti diversi cartelli nei luoghi
dei combattimenti, ma nessuno di fronte a Castelnuovo, teatro
dove furono combattute dal 24 giugno 1915 fino all’agosto del 1916
ben sei battaglie. La villa in quell’epoca divenne ospedale degli
262 Castelnuovo: sede pacifica di poesia, cioè fede e amore CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
263
intrasportabili, il bosco divenne accampamento militare e retrovia
di rifornimento del fronte che avanzava, la scuderia degli stalloni
lipizzani divenne sede del comando della Terza Armata del Duca
Amedeo di Savoia. Sul Carso di Castelnuovo, in un anno di guerra
tra i due schieramenti che si fronteggiarono, si contarono 300.000
soldati feriti, o dispersi o morti. Avevamo la solidarietà di diverse
persone che si affiancarono a noi affinchè fosse riconosciuto
il valore storico e militare di quell’area. Con loro fu deciso di
costituire un’associazione no profit di volontari che avrebbero
lavorato per fare emergere la verità storica di quei luoghi. Il Carso
di Castelnuovo ha pieno titolo per essere annoverato tra i luoghi
storici più significativi della provincia di Gorizia. Le autorità
dovranno commemorare i luoghi dove si svolsero i combattimenti
e non luoghi privi del valore della memoria. I progetti di recupero
dei luoghi della Grande Guerra dovrebbero essere lasciati nelle
mani delle associazioni storiche locali, che da decine di anni hanno
valorizzato la zona e conoscono i luoghi di combattimento, palmo
a palmo, sentiero per sentiero. Ne potrei citare a decine, anche dei
bravissimi architetti che avrebbero realizzato progetti nel rispetto
storico dei luoghi.
Fortunatamente per noi, ci fu un periodo in cui alla Direzione
delle Attività Produttive venne nominato un direttore che,
conoscendo il valore storico del luogo, concesse alla nostra
associazione una piccola somma che ci permise di mettere in
sicurezza i terrapieni della zona bellica, di aprire delle riservette
militari, di ristrutturare l’ufficio telegrafico e telefonico e di
recuperare alcune trincee ed i luoghi dell’accampamento militare.
L’architetto Adriano Zuppel compilò la mappa con tutti i resti delle
strutture militari esistenti e sparsi un po’ ovunque all’interno della
tenuta. Lo studio di architetti Francesca Vecchi e Roberto Ferigutti,
con l’ingegner Lorenzo Marini, eseguirono i suddetti lavori di
restauro e di messa in sicurezza, consentendoci oggi di visitare il
Parco Grande Guerra in tutta la sua semplicità e autenticità.
Recuperata la memoria bellica, c’era necessità di riordinare tutti
i documenti che la nostra Associazione aveva acquisito nei vari
archivi, in particolare nell’Archivio di Stato della Grande Guerra. Ci
furono donate dall’Archivio Militare di Stato quattrocento pagine
che descrivevano i combattimenti su tutto il Carso di Castelnuovo,
minuto per minuto, nelle varie doline e trincee, e nuovi documenti
fotografici sulla Grande Guerra. Trovare chi potesse impegnarsi
a riordinare quei documenti e renderli fruibili e comprensibili al
pubblico si rivelava un’impresa ardua. Andammo a Udine da un
noto editore per avere suggerimenti ed eventualmente affidargli
tale lavoro. L’editore espose delle proposte di collaborazione che
valutammo inacettabili. In pratica il suo era un netto rifiuto.
Sembrava impossibile trovare chi si potesse dedicare alle carte
dell’Archivio militare in nostro possesso, con dedizione, tempo e
passione. Probabilmente non saremmo riusciti a venirne a capo
se non avessimo incontrato Sergio ed Elisa Vittori, degli storici
appassionati e capaci che dopo un anno di costante lavoro hanno
consegnato nelle nostre mani uno scrigno prezioso di memoria e
di amore verso tutti i caduti in Castelnuovo. Oggi il loro libro La
Grande Guerra sul Carso di Castelnuovo nelle prime sei battaglie
dell’Isonzo è divenuto la Bibbia delle battaglie sul Carso di
Castelnuovo. Ancora una volta siamo riusciti nell’opera grazie
anche alla sensibilità della Fondazione Cassa di Risparmio di
Gorizia.
Man mano che realizzavamo un progetto si allentava in noi la
tensione e la paura di non farcela. Capivamo che c’erano forze
avverse ai nostri progetti di recupero della memoria storica di
Castelnuovo; forse timore che il riportare la storia nel luogo dove
270 Castelnuovo: sede pacifica di poesia, cioè fede e amore CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
271
Memorie storiche della
Grande Guerra.
Faccaiata dell’ufficio
telegrafico.
si svolsero i combattimenti poteva entrare in competizione con
il turismo storico che si muove tra Redipuglia e San Michele. In
realtà, con il recupero della memoria di Castelnuovo, abbiamo
creato nuove oppurtunità per una fascia di “incoming storico”
che nulla toglie a ciò che già esiste, ma che semmai valorizza e
incrementa ancor piu l’interesse storico per tutta l’area.
Il recupero però non era ancora terminato. Infatti, all’interno della
villa, emersero sotto gli intonaci scrostati delle scritte appartenti
ai militari ricoverati quando l’edificio fu adibito ad ospedale per
gli intrasportabili. Informai del ritrovamento l’Associazione del
Gruppo Storico di Ricerca che ben volentieri ci diede un valido
aiuto per la pulizia di tutti i graffiti. Vennero messe in luce oltre
duecento scritte di soldati che volevano lasciare testimonianza
del loro ricovero in Castelnuovo. Nomi e cognomi, battaglione di
appartenenza, data e luogo di nascita, descrizione di battaglie poi
puntualmente ritrovate nell’archivio di Stato, disegni, commenti
sulla guerra e incitazioni alla vittoria finale. Un vero diario scritto
sui muri del salone centrale della villa con un carbone di legna. Una
scritta fra tutti è particolarmente significativa, quella del 151 della
Sassari, l’arma segreta che di fatto riuscì a conquistare la dolina
Trincea delle Frasche.
La nostra associazione aveva dunque messo in luce ciò che
per cento anni rimase seppellito nell’oblio e nell’incuria sia dei
proprietari che si avvicendarono in questa tenuta sia dai libri della
storia della Grande Guerra. Sentivamo di avere adempiuto il nostro
dovere. Solo delle persone eccezionali come Ernesto e Roberto
Zorzi, che abitavano in Castelnuovo dal 1970, avevano capito il
valore di quel luogo. Infatti ancor prima che noi iniziassimo il
nostro progetto, avevano raccolto pazientemente e conservato
innumerevoli testimonianze delle cruenti battaglie che si svolsero
CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO 273
in quell’area. Dobbiamo molta riconoscenza alla famiglia Zorzi
per l’amore che nutrono e che ci ha permesso di trovare su loro
indicazione le varie memorie che erano custodite sotto la coltre
degli anni.
La notizia del ritrovamento dei graffiti nel salone a piano terra
della villa, giunse all’attenzione dell’assessore Roberta De Martin
che aveva il compito di portare avanti il progetto Carso Grande
Guerra. Per dare risonanza al ritrovamento l’assessore organizzò
la presentazione del progetto dell’architetto paesaggista Kipar
proprio nella sala dei graffiti ritrovati. Viviamo ancora nella
speranza che Castelnuovo possa essere inserita nel percorso
storico Grande Guerra sul Carso. Ad oggi però, ancora nessuna
amministrazione ci ha mai parlato di un eventuale futuro
inserimento e le motivazioni di tale diniego sono a noi sconosciute.
Abbiamo recuperato quest’area principalmente per un dovere verso
tutti i giovani che qui sono morti, che qui furono feriti, che qui
furono dichiarati dispersi.
Anche sulla villa, che fino al 2006 era adibita a magazzino, c’erano
tantissime notizie storiche e foto scattate già nel 1902 dall’allora
proprietario Spartaco Muratti. La documentazione storica era
davvero notevole. I Della Torre amarono molto questa proprietà.
I Della Torre fuggirono dalla Lombardia e cercarono riparo e
protezione presso il loro Patriarca Raimondo I, già Vescovo di
Como. Nel 1557 acquistarono questa proprietà che divenne, già
da allora, la loro azienda agricola per la produzione di olio e vino.
Gli antichi conoscevano meglio di noi la vocazione agricola delle
terre. Sapevano che per avere delle viti e degli olivi sani si doveva
trovare un terreno che garantiva alle piante il piede asciutto ed il
respiro dell’alito del mare. Fu così che questa località divenne la
loro azienda agricola che produceva vino che veniva premiato nelle
esposizioni di Trieste già dal 1887.
Siamo convinti che mai nulla succede per caso. Tutto avviene
affinchè si arrivi alla conoscenza ed alla consapevolezza.
Incontrammo Teresa Perusini, insegnante di restauro a Cà Foscari
a Venezia. Parlammo della necessità di recuperare il tetto della
villa che perdeva acqua in diversi punti e stava dilavando ciò
che sembrava ai nostri occhi profani “pittura muraria”. Teresa,
incuriosita, visitò la villa e ci assicurò che sotto quelle pitture c’era
un affresco originale. I Della Torre, ci disse, non commissionavano
pitture, ma affreschi! Ci mandò due persone esperte di recupero
che tolsero gli intonaci ed emerse nel salone del primo piano
della villa un impianto architettonico a colonne con nicchie
che contenevano “dei pallidi fantasmi”. Da una foto del primo
dopoguerra, che ritraeva l’interno del salone, si vedeva tutta
l’impalcatura scenica, ma non avevamo mai pensato che potesse
riferirsi a degli affreschi! Diversi esperti che avevano visitato
la villa ci dissero che si trattava di pitture senza alcun valore.
Ora, invece, grazie a Teresa Perusini, potevamo ammirare degli
splendidi affreschi che quasi per magia apparivano come fantasmi
venuti dal passato e nascosti dai precedenti proprietari sotto
quattro strati di intonaco.
Incaricammo Miriam Dellasorte delle ricerche sull’origine
degli affreschi. Miriam era già un’esperta delle proprietà dei
Della Torre di Valsassina poichè fece una tesi di laurea sulle
proprietà del casato e quindi anche sulla villa di Castelnuovo. Fu
anche per lei una scoperta sensazionale perchè ci trovammo di
fronte ad uno dei più importanti ritrovamenti degli ultimi anni
avvenuto nella nostra regione. Abbiamo chiamato diverse autorità
che si occupano di tutela dei beni artistici e attendiamo da loro
solidarietà e collaborazione per il recupero di questo prezioso
274 Castelnuovo: sede pacifica di poesia, cioè fede e amore CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
275
salone iniziatico.
Nel frattempo il tetto della villa faceva acqua da tutte le parti,
pioveva dalla volta del salone degli affreschi, pioveva dal soffitto
della stanza degli stucchi ed apparvero delle enormi macchie di
umido. La spesa per rifare il tetto era molto gravosa. Potevo ora
finalmente avvalermi della legge regionale che attibuiva fondi
per il restauro delle ville venete iscritte al centro di Catalogazione
di Villa Manin. Compilammo la domanda di finanziamento e
invitammo l’assessore responsabile a visitare la villa affinchè si
rendesse conto del cattivo stato in cui si trovava. Fino al 2006
la villa fu un deposito di mobili vecchi di tutti i collaboratori.
C’erano pezzi di barca, stufe, vecchi elettrodomestici, strutture
dismesse di cantina, vecchie porte, caloriferi, ecc. Per far capire che
l’associazione era intenzionata a recuperare la villa e che quindi
ciascuno doveva riprendersi il proprio rifiuto e gettarlo in discarica
ci volle un po’ di tempo. Alla scadenza dell’ultimatum che avevamo
concesso prendemmo tutto il materiale rimasto e lo gettammo
finalmente in discarica. Che liberazione! Anche questo segnò
l’inizio di una nuova epoca per la villa.
Per tutte le operazioni di recupero potevo avvalermi anche del
volontariato di alcuni soci, che nelle ore libere collaboravano
con passione e generosità. Ci venne quindi concesso un mutuo
che garantì la vita alla struttura che oggi è aperta al pubblico.
La villa è oggi la sede della nostra associazione. Anche se priva
di arredo, trasuda storia da ogni suo angolo: la storia dei Della
Torre di Valsassina, che amarono questa casa e la abitarono in
primavera ed in autunno per seguire da vicino i lavori stagionali
legati all’olivo e alla vigna; la storia di Marie Hohenlohe che ce la
descrive chiamandola the enchanted castle, the enchanted garden,
the enchanted wood (“il castello incantato, il giardino incantato, il
bosco incantato”); la storia degli affreschi iniziatici e del giardino
iniziatico; la storia della Grande Guerra che si legge sui muri e
scritta da chi l’aveva combattuta ed era stato ferito gravemente.
Dal 1918 in poi iniziò un declino, nonostante l’impegno dei conti
De Asarta che poi furono costretti ad espatriare.
Non fu certamente facile portare avanti dei progetti per l’area
di Castelnuovo senza incorrere in difficoltà di ogni ordine:
economico, sociale, burocratico. Molti sono gli estimatori che
vengono a visitare quest’area. Questo è un luogo paradisiaco che
ha una delle viste più belle del Friuli Venezia Giulia. Tutta l’area è
circondata a nord dalla Catena delle Alpi, a sud dal Golfo di Trieste,
Grado, Monfalcone, fino a Venezia che si vede in lontananza nelle
giornate di grande luminosità, ad ovest dalla campagna friulana e
le colline vinicole e ad est dal Carso sloveno a perdita d’occhio. È
costantemente visitata dal vento di mare Ostro e dal vento di Bora,
che danno struttura e profumo ai vini. È anche zona ideale per la
cultura dell’olivo che ha il piede asciutto e il respiro dell’alito del
mare degradante a sud e protetto dal vento freddo del nord.
Ma nonostante questi importanti requisiti che fanno di
Castelnuovo un enchanted area, la strada intrapresa per il recupero
si è rivelata irta di ostacoli e di vincoli amministrativi di ogni
ordine e grado. Come abbiamo già detto, tutto il recupero iniziò da
una frase che ormai è divenuta famosa tra i nostri parenti ed amici
«L’anno prossimo mi sposo». Quella frase segnò una nuova vita e
un nuovo destino per Castelnuovo. Il matrimonio era il prestesto
che stavamo attendendo da anni e che ci autorizzava a dare il via
alla ricerca storica, artistica, architettonica prima di iniziare la
ristrutturazione degli edifici. Solo quando tutto si smosse (nuova
cantina per spostare le botti dalla barchessa che veniva restaurata
in vista del matrimonio, recupero della villa, recupero del parco
276 Castelnuovo: sede pacifica di poesia, cioè fede e amore CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
277
storico) il matrimonio perse significato. Abbiamo interpretato
questo episodio come un segno del destino. Senza questo episodio,
non avremmo mai avuto il permesso di occuparci di quest’area. Già
in passato, quando rilevammo la proprietà avevamo manifestato
l’intenzione di occuparci del recupero, ma abbiamo sempre trovato
forze avverse che ci impedivano di mettere piede. Forse, secondo
il cielo, non eravamo abbastanza pronti per affrontare le avversità
che abbiamo in seguito incontrate sia in fase di ricerca che di
recupero storico e architettonico. Questo recupero è avvenuto
con un ritardo di almeno trent’anni. Tali sono gli anni in cui la
Regione iniziò a stanziare fondi attraverso leggi regionali per il
recupero delle dimore storiche, per il recupero dei parchi storici,
per la pulizia dei boschi, per la ricostruzione delle mura storiche,
e dei muretti a secco di cui noi non abbiamo usufruito se non in
minimissima parte in questi ultimi anni.
Continuiamo quindi con determinazione con la nostra
associazione, nella speranza che anche la pubblica amministrazione
convogli la storia di questo luogo all’interno delle reti e dei percorsi
storici che si creeranno in futuro nell’ambito del turismo storico
regionale.
Per questo motivo l’Associazione Amici di Castelnuovo ha
invitato diversi rappresentanti pubblici a visitare il luogo nella
speranza di trovare condivisione per il recupero della storia di
Castelnuovo.
Sul libro Trincea delle Frasche di Nicola Persegati e Silvo Stok
trovai la mappa di Dino Grandi del 1915 che indicava la zona di
combattimento dei volontari milanesi di Filippo Corridoni. Nella
mappa era chiaramente evidenziata tutta la zona dove si svolsero
le prime sei battaglie dell’Isonzo e si riferiva a tutta la proprietà
che durante la guerra era ricordata come “Carso di Castelnuovo”
ed era segnata anche la zona di Bosco Cappuccio quota 141 dove
Ungaretti compose il 1° agosto 1916 la poesia C’era una volta.
Con grande sorpresa, confrontando le antiche mappe della
proprietà del Carso di Castelnuovo scoprì che la quota 141 cadeva
all’interno della tenuta dei Della Torre e quindi ancora di proprietà.
Fu così che capimmo che la nostra piccola ricerca avrebbe assunto
tutt’altre dimensioni e ci avrebbe impegnati fino ad oggi con la
stesura di questo libro.
Di questa scoperta fu subito informato un nostro caro amico
“ungarettofilo” che si trovava in quel momento negli USA lungo
i sentieri della poesia di Robert Frost. Iniziò a maturare tra di
noi l’idea di rendere omaggio al più grande poeta Italiano del
Novecento con il primo parco a lui dedicato. L’idea era originale,
nessun privato e nessuna autorità pubblica ci aveva mai pensato.
Dovevamo approfondire la ricerca sulla vita militare del soldato
Ungaretti durante la Prima Guerra sul Carso di Castelnuovo.
L’associazione per ultimo si occupò del Parco dedicato a
Giuseppe Ungaretti. Come poter trasformare un’idea in un
progetto universale se non si hanno appoggi di nessuna natura?
Da quale parte iniziare? Soffiavano già venti avversi ai progetti di
recupero avviati, non potevamo manifestare troppo apertamente
l’importante e massiccio intervento per la realizzazione del Parco
Ungaretti. Però non riuscivamo a rinunciare a questa ossessione
del Parco, dovevamo assolutamente coltivarla e farla accettare.
Presentammo il nostro progetto nel 2008 all’assessore delle
Attività Produttive e ne fu entusiasta. Ci assicurò il suo appoggio e
ci presentò il suo staff di collaboratori che in realtà non ci diedero
nessun tipo di collaborazione. Nel 2008 ci fu il cambio politico e
la somma a noi destinata che era sotto la voce di bilancio delle
278 Castelnuovo: sede pacifica di poesia, cioè fede e amore CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
279
A fronte
Panorama visto da una
delle strutture del Parco
Ungaretti.
attività produttive e che poteva aiutarci a realizzare il Parco
Ungaretti passò, probabilmente, sotto un’altra voce di bilancio e
con ciò sparirono in quel momento anche le nostre speranze di
vedere realizzato il progetto. Non ci siamo scoraggiati e Gianfranco
Trombetta, più di tutti noi associati, si impegnò con grande
dedizione e competenza. Nel 2010 rinunciò alle sua vacanze estive
per seguire da vicino la realizzazione del progetto. La casa editrice
Mondadori che detiene i diritti d’autore delle poesia di Ungaretti
tratte da Vita di un uomo ci autorizzò all’utilizzo delle poesie, delle
immagini e del nome.
Intanto cercavamo di coinvolgere e di sensibilizzare più gente
possibile a collaborare. Incontrammo una sera a palazzo Foscolo
di Oderzo Vittorio Sgarbi e gli sottoponemmo il progetto. Ci
consigliò gli artisti che avrebbero ben figurato con le loro opere
nel Parco Ungaretti. Poi sapendo che eravamo di Gorizia, ci
chiese: «Conoscete Franco Dugo?». «Dugo» disse Vittorio «è il
migliore artista italiano per incisioni a punta secca. Se volete
lo chiamerò e gliene parlerò personalmente». Informammo
immediatamente Dugo che sarebbe stato contattato da Sgarbi.
Fu così che iniziammo una preziosa collaborazione anche con
Franco che continua ancora oggi. Gianfranco Trombetta, Franco
Dugo, Paolo Bornello e Paolo Annibali si impegnarono per la
realizzazione del parco e per trovare appoggi al nostro progetto.
Iniziò così una fervida collaborazione soprattutto con Gianfranco
che, fin dall’inizio, aveva ben chiaro in mente il progetto nel suo
insieme. Per quattro anni fino al giorno in cui inaugurammo il
parco dedicato al grande poeta, che avvenne il 18 settembre 2010,
ci si trovava tutti insieme a discutere quasi quotidianamente del
progetto del Parco Ungaretti.
Con l’architetto Paolo Bornello che curava la realizzazione del
CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO 281
parco cercavamo e trovavamo soluzioni condivise su ogni proposta
che ci sottoponeva. Le pietre su cui dovevamo incidere le poesie
erano troppo cimiteriali e dovevamo assolutamente trovare delle
pietre carsiche uniforni e chiare, con pori chiusi e perfettamente
lisce per incidere in modo chiaro le brevi poesie. Visitammo
diverse cave ed alla fine la pietra della cava di Repen ci era parsa
la più idonea. L’incisione delle poesie venne effettuata dall’unico
scalpellino che conosceva la tecnica orafa degli antichi romani,
che consisteva nell’inserire con un martelletto il piombo in forma
solida e poi lucidarlo con ossi di seppia. Adottammo questa
antica tecnica sia per il risultato estetico, ma soprattutto per la
sua resistenza all’usura ed all’acqua. In pratica con questa tecnica
le incisioni rimarranno inalterate nei secoli dei secoli. Successe
un fatto davvero bizzarro del quale non sappiamo farcene una
ragione. Dopo avere scelto i poemi da incidere, l’architetto Bornello
consegnò ad un assistente di studio la relizzazione in scala delle
lettere delle poesie da consegnare allo scalpellino. Quando ci fu
consegnata la pietra con l’incisione tutti noi notammo che nella
poesia Sono una creatura era incisa la parola “raffreddata” anzichè
“refrattaria”. Nessuno commentò o rilevò l’errore che oggi è
diventato quasi un licenza poetica della nostra associazione .
Una sera dopo una giornata trascorsa alla fiera del vino di
Verona, ci recammo ad un degustazione organizzata da un’amica
in un’enoteca della città. Sul posto trovammo molti giovani,
ma in un angolo della sala era seduto un anziano signore con il
quale iniziammo la conversazione su Ungaretti. Lo sconosciuto si
mostrava molto interessato e sorpreso. Si presentò: «Sono Giorgio
Lotti, fotografo di professione. Possiedo una cinquantina di scatti
inediti del poeta. Ero capo redattore dell’Europeo e la sera dello
sbarco sulla luna ospitavo in casa mia il poeta e lo fotografai».
«Possiedo anche delle foto scattate», ci disse, «durante delle cene in
casa di Leonardo Mondadori. Non le ho mai pubblicate e se volete
potremo fare delle mostre fotografiche». Immaginate la mia gioia.
Inviai subito un sms a Gianfranco, il destino quella sera mi
aveva fatto incontrare un personaggio importante per il nostro
Parco. Gianfranco ricordava che aveva allestito molti anni addietro
una mostra fotografica di Lotti nel comune di Monfalcone.
Si ritrovarono e ottenne la visione delle foto a cui Franco
Dugo s’ispirò per eseguire la sua incisione su ottone. Lavoro
difficilissimo, precisissimo per la cui esecuzione dovette recarsi a
Treviso dove c’era una vasca adatta per le dimensioni dell’incisione:
150x100. La tecnica dell’incisione non consente all’autore di
sbagliare, ogni segno è permanente e non lo si può correggere. In
caso di errore la lastra si deve buttare. La nostra lastra era costosa
e Franco l’ha incisa con mano ferma e precisa. Franco ha realizzato
un’incisione ispirata, unica e realista. Ungaretti ritratto da tre quarti
con lo stesso sguardo che abbiamo conosciuto alla fine degli anni
Sessanta quando alla televisione lo seguivamo mentre ci recitava
brani tratti dall’Odissea. Dopo questa grande fatica Franco si
ammalò e dovette restare per parecchio tempo in ospedale per
complicazioni. L’opera fu poi collocata nell’ultima stazione del
Parco, denominata Commiato. Il Commiato consiste in un recinto
dove sono impiantati cinquanta pali . All’interno l’opera di Dugo
con le poesie Commiato e San Martino.
Il progetto prevedeva inizialmente di realizzare quest’opera
nell’uliveto posto a sud della gradinata. Si accese una forte disputa
che rischiava di rompere l’armonia che si era creata in tre anni di
lavoro. Il Commiato non sembrava abbastanza valorizzato, l’area era
piccola rispetto all’imponenza dell’opera, bisognava assolutamente
cercare una nuova soluzione. Gianfranco dopo una disputa accesa,
uscì sotto la quercia a fumare e gli balenò l’idea, subito condivisa,
282 Castelnuovo: sede pacifica di poesia, cioè fede e amore CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
283
A fronte
Una delle stazioni del
Parco Ungaretti.
di collocare l’opera in fianco alla villa, in un luogo che sulle antiche
mappe era segnato come “orto”.
Nel frattempo, lo scultore Annibali aveva terminato la scultura
in argilla. Prima della fusione bisognava vederla per dare la nostra
approvazione. Decidemmo allora di fare il viaggio a Grottammare.
Andata e ritorno in giornata, 1.200 km, molti sotto la pioggia.
Franco, Paolo, Gianfranco e Mirella. Una grande emozione vedere
l’opera terminata, lo sguardo penetrante di Ungaretti, ironico,
scanzonato e pensieroso di profilo. Ci siamo congratulati con
l’autore. Ora tutti i pezzi erano pronti, ma mancavano i finanziatori
del progetto.
Avevamo informato del progetto un senatore, un consigliere
regionale, un assessore alla cultura, e tutti si mostrarono molto
entusiasti del lavoro che avevamo svolto, ma nessuno di loro era
in grado di garantirci il finanziamento attraverso le leggi regionali
vigenti. Un senatore, innamorato del progetto, si battè come un
leone contro tutte le forze avverse che invece lo contrastavano.
Finalmente ci venne riconosciuto un aiuto pari al cinquanta per
cento della spesa totale. Se il Friuli Venezia Giulia possiede il parco,
unico al mondo, dedicato al più grande poeta del Novecento che
trovò sul Carso “parola originale” lo dobbiamo a quel senatore.
Cinquanta anni fa, tornando per il cinquantesimo dalla fine della
guerra, Ungaretti disse: «Incredibile oggi il Carso non è più un
inferno, oggi il Carso è il verde della speranza, il Carso si farà sede
di poesia, cioè fede e amore». Messaggio che la nostra associazione
ha recepito e che vuole diffondere.
Dopo avere commissionato il lavoro del Parco alle varie imprese,
abbiamo ricevuto dalla presidente della Biennale di Architettura di
Venezia l’invito a presentare il progetto. Il progetto venne anche
pubblicato sui volumi internazionali della Biennale ed abbiamo
284 Castelnuovo: sede pacifica di poesia, cioè fede e amore
Giuseppe Ungaretti
nell’incisione di Franco
Dugo e nella scultura di
Paolo Annibali.
ricevuto i complimenti dei numerosi visitatori che arrivavano da
tutto il mondo. Sgarbi, che fu tra i visitatori, ci promise che sarebbe
venuto personalmente per il giorno dell’inaugurazione. Dopo
varie considerazioni si decise di inaugurare il parco il 18 settembre
del 2010. Il grande giorno arrivò sotto una pioggia da diluvio
universale. Anche Sgarbi arrivò a Gorizia. Alle undici, ora fissata
per l’inaugurazione, mille persone lo attendevano sotto la pioggia,
il peggiore tempo mai visto a Castelnuovo. La pioggia scendeva a
bacinelle e non cessò che a sera inoltrata. Nella presentazione del
Parco oltre a Sgarbi si alternarono l’assessore alla cultura Molinaro,
il direttore della Mondadori Riccardi ed il direttore del Parco
Gianfranco Trombetta, che faceva da moderatore.
La presentazione fu scoppiettante e sfolgorante così come lo
sono tutte le presentazioni di Sgarbi, mai monotone, culturalmente
molto elevate, ma nel contempo divertenti e briose. Girammo poi
per il Parco inzuppati fino al collo, togliemmo i teli dalle strutture
e dalla statua. Il mitico ciuffo di Sgarbi perse il suo fascino. La
preoccupazione di Sgarbi era quella di recuperare la sua chioma
persa e così con insistenza domandava dove poteva trovare un
phon per asciugarsi i capelli. Vittorio, per la sua immensa bravura,
è considerato il massimo esperto d’arte sia in Italia che all’estero.
L’anno successivo fummo invitati a portare il progetto della
Biennale anche nell’Esedra di Villa Manin, nel periodo in cui erano
esposti nelle sale della villa le mostre di pittori friulani.
Contattammo ancora il fotografo Giorgio Lotti per organizzare
una mostra fotografica con i cinquanta scatti inediti del poeta.
Purtroppo però non si trovarono gli accordi finanziari e la mostra
svanì.
Intanto l’associazione procedeva ancora con le ricerche sulla
villa veneta. Riuscimmo a contattare alcuni proprietari che avevano
abitato in Castelvecchio. Conobbi i nobili De Asarta, innamorati
dalle bellezze di Castelnuovo, ma espatriati dall’Italia per il Sud
America. Trovai un contatto molto importante con i discendenti di
Spartaco Muratti proprietari di Castelnuovo dal 1900 fino al 1920.
Spartaco era un irridentista triestino, nipote di Giusto Muratti,
garibaldino che partecipò alla spedizione dei Mille. Spartaco era
poeta e scrittore. Aveva sei figli e durante la Grande Guerra riparò
a Roma. Nel luglio del 1916 compose una poesia dedicata alla sua
casa: Per la mia casa di Castello Novo. Un poema in rima di trenta
pagine per esprimere il dolore per la distruzione della sua cara
Castelnuovo. Qualche giorno dopo, il 1° agosto 1916, Giuseppe
Ungaretti scrisse in Bosco Cappuccio quota 141, nell’area di Carso
di Castelnuovo, la poesia C’era una volta.
Una coincidenza che fa meditare. Castelnuovo è il luogo che vide
nell’arco di pochi giorni la fine di un’antica poetica e la nascita
di una nuova e originale forma poetica .Un destino strano, ma
mai casuale, su cui abbiamo meditato parecchie volte. L’erede di
Spartico Muratti, Ida, una carissima persona, mi inviò molti scritti
e poesie del grande nonno. Con la sua famiglia Ida visitò l’antica
proprietà che era appartenuta al nonno. Scoprì che un’opera
pittorica che si trovava nella loro casa, eseguita dal nonno nel
1934, raffigurava la villa di Castelnuovo, e mi inviò una foto di
tale quadro. È l’unica testimonianza della villa di Castelnuovo a
forma di H prima che un obice austriaco ne distruggesse la parte
posteriore dove c’erano le camere dei bimbi ed una cappella
dedicata a San Michele Arcangelo.
Intanto Miriam Dellasorte, continuava la sua ricerca sugli
affreschi e sul giardino presso il fondo dei Della Torre Tasso
conservato in Archivio di Stato a Trieste, presso la Biblioteca
Civica di Trieste, presso gli archivi di Stato di Gorizia e di Venezia.
288 Castelnuovo: sede pacifica di poesia, cioè fede e amore CASTELNUOVO PASSATO PRESENTE FUTURO
289
A fronte
Una delle stazioni del
Parco Ungaretti.
Nelle Memorie del Castello di Duino che Teresa della Torre di
Valsassina Hofer Hohenlohe commissionò all’abbè Pichler c’è un
capitolo dedicato a Castelvecchio di Duino, ora antico rudere che
un tempo gli antichi Romani chiamavano Castel Pucino.
Diceva Plinio il Vecchio nelle sue Historie Naturalis che ad
occidente della foce del Timavo, a Castel Pucino (Castelvecchio
di Duino) si coltivava il vino Pucinum che Lidia, moglie di Cesare
Ottaviano Augusto, beveva per mantenersi in buona salute. A ciò
ascrisse la promulgazione della sua vita fino all’età di ottantadue
anni. Anche l’abbè Pichler, ospite della serenissima Teresa di
Valsassina beveva di questo nettere alla mensa della castellana che
proveniva, se non proprio da Valcatino, da un vigneto ad “un trar
d’arco di là nascosto”.
Era chiaro che il vino veniva dai vigneti della località
Castelnuovo di cui Maria Teresa era proprietaria. Paola Tomasella
ha studiato le antiche mappe del Catasto ed ha appurato che
l’ottanta per cento delle colture in Castelnuovo era rappresentato
dalla vite ed il rimanente dall’olivo. Ancora oggi le culture
rispettano le antiche mappe e nell’area Castelnuovo si coltiva vite e
ulivo almeno fin dai primi anni del Seicento. Il futuro di quest’area
però non è stato tracciato solo con il reimpianto delle antiche
colture di vite e olivo ma anche dalla nostra associazione Amici
di Castelnuovo che ha restituito la memoria a questo luogo ed ha
chiuso le ferite della guerra, trasformando il Carso di Castelnuovo
in sede pacifica di poesia, cioè fede e amore.
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Mirella Della Valle (Cantù, 1948), sposata con Leopoldo Terraneo, si laurea nel 1971 in Economia e
Commercio presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Insegnante di materie scientifiche ed economiche, dal 1978 si occupò anche dell’attività industriale
di famiglia. è madre di tre figli: Lorenzo, Benedetta e Isabella, che collaborano nell’azienda paterna.
Seguendo una crescita personale, si diplomò naturopata presso il centro Riza di Milano e frequentò
per anni il corso di Iridologia del dottor Padre Emilio Ratti. Sempre per passione e ricerca, aprì uno
spazio dedicato al benessere, all’alimentazione biologica, alla cura con le erbe in Udine e Gorizia.
Per anni, dal 1990 al 1998, fu presidente o vice presidente della Società di Pallacanestro di Gorizia
che militava nei campionati nazionali di massima serie. Nel 1995, con un gruppo di ex allievi
diversamente abili, costituì l’Associazione Polisportiva Nord Est che tutt’ora milita nella serie A del
campionato nazionale di ‘’Basket in carrozzina’’ di cui ha la nomina di “ Presidente Onoraria”.
Nel 2003 partecipa alle elezioni politiche regionali con una lista indipendente del presidente
Riccardo Illy.
Dal 2007 si occupa delle ricerche storiche e del recupero dell’area del Carso di Castelnuovo con
l’Associazione Amici di Castelnuovo.
Miriam Dellasorte (Monfalcone, 1981) si laurea nel 2008 in Architettura presso l’Università degli
Studi di Trieste con una tesi dal titolo Valorizzazione e sviluppo di un territorio attraverso il suo
patrimonio storico culturale. Linee guida per un museo diffuso.
Dal 2003 si occupa di museografia ed editoria come autrice di testi e grafica.
Dal 2006 è impegnata su diversi fronti nella ricerca storica relativa alla dinastia comitale dei conti
Della Torre Hofer Valsassina.
Sposata con Michele Vincenzi, da pochi giorni è madre di Maddalena.
Referenze fotografiche
Fotografie di Mario Pierro.
La riproduzione delle immagini d’archivio è stata
concessa dagli istituti d’apparteneza; le fotografie
sono state scattate da Miriam Dellasorte per conto
dall’Associazione Amici di Castelnuovo.
Alle pagine 57, 104, 111, 117 fotografie di Neva Gasparo
(su gentile concessione).
Alle pagine 152 e 153 fotografia di David Dellasorte.
Abbreviazioni
AAU
ABCGO
ACM
ASGO
ASPGO
AST
ASVE
BCUD
Archivio Arcivescovile di Udine
Archivio della Biblioteca Civica
di Gorizia
Archivio Comunale di
Monfalcone
Archivio di Stato di Gorizia
Archivio Storico Provinciale di
Gorizia
Archivio di Stato di Trieste
Archivio di Stato di Venezia
Biblioteca Civica di Udine
Gennaio 2013