OPUSCOLO FESTIVAL 2004 - Campus Internazionale di Musica

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25.12.2012 Views

Salutato dalla critica europea come una rivelazione, Rosario Giuliani impressiona l’ascoltatore fin dal primo momento per la facilità con cui sa trarre dai suoi sassofoni un fraseggio fluido, nervoso, a tratti vorticoso, allacciandosi con naturalezza a grandi sassofonisti come Julian “Cannonball” Adderley, Art Pepper, John Coltrane. Ha al suo attivo numerose incisioni con maestri di fama internazionale come Ennio Morricone, Luis Bacalov, Nicola Piovani, Ritz Ortolani. Ha suonato in molti festival internazionali e numerose sono le sue collaborazioni nell’ambito del jazz con prestigiosi musicisti come: Kenny Wheeler, Randy Brecker, Bob Mintzer, Enrico Pierannunzi, Enrico Rava, Roberto Gatto e molti altri. Nel ’96 è stato vincitore del premio intitolato a Massimo Urbani e l’anno seguente dello “Europe Jazz Contest” in Belgio, sia nella categoria dei solisti che in quella dei gruppi. Nel settembre del 2000 ha firmato un importante contratto discografico con la prestigiosa etichetta francese “Dreyfus Jazz”, per la quale hanno registrato musicisti del calibro di Michel Petrucciani e Marcus Miller, incidendo due album: “Luggage” uscito nell’aprile del 2001 e “Mr. Dodo” dell’ottobre del 2002, registrato a Roma con Marcello di Leonardo alla batteria, Dario Rosciglione al contrabbasso, Pietro Lussu al pianoforte (Rosario Giuliani Quartet). C’era una volta in America di Ennio Morricone, brano di apertura, è stato rielaborato dal M° Giuliani e presentato in Francia nel corso della manifestazione “Victoires de la Musique”; Lennie’s Pennies, anch’esso rivisitato dal Maestro, conclude il concerto ed è un omaggio al famoso duo Lee Konitz e Lennie Tristano, entrato di diritto nel Gotha della musica jazz. Le composizioni che verranno eseguite questa sera appartengono a un album che uscirà nel settembre di quest’anno dal titolo “More than ever”, registrato a Parigi ed al quale hanno collaborato musicisti di grande prestigio quali: Richard Galliano (fisarmonica), Jean Michel Pilc (pianoforte), Rémi Vignolo (contrabbasso), Benjamin Henocq (batteria). Tutte le musiche partono da una struttura di base sulla quale si fonda l’improvvisazione dell’autore-esecutore. Il brano è quindi un contenitore che viene riempito di volta in volta con elaborazioni che nascono sul momento, rendendo lo svolgimento musicale un fatto unico ed irripetibile, non scritto, ma che si può fissare nella memoria solo attraverso la registrazione. Piergiorgio Ensoli 30 30 luglio VENERDÌ ore 21.00 Fondi, Auditorium S. Domenico ROSARIO GIULIANI sax PIETRO LUSSU pianoforte ENNIO MORRICONE (1928) C’era una volta in America ROSARIO GIULIANI (1967) London by night By night forever From the Ashes Francy’s song Bianco e nero More than ever Monsieur Martinica MICHEL PETRUCCIANI (1962 - 1999) Home LENNIE TRISTANO (1919 - 1978) Lennie’s Pennies CONCERTI DEL COMPRENSORIO AURUNCO A CURA DI ROBERTO PROSSEDA

MARIANA SIRBU violino BARBARA TOLOMELLI pianoforte LUDWIG VAN BEETHOVEN (1770 - 1827) Sonata op. 12 n. 2 in la magg. Allegro vivace Andante, piuttosto allegretto Allegro Sonata op. 30 n. 1 in la magg. Allegro Adagio, molto espressivo Allegretto con variazioni Sonata op. 47 in la magg. Adagio sostenuto, presto Andante con variazioni Finale: Presto 31 31 luglio SABATO ore 21.00 Sermoneta, Castello Caetani Le tre Sonate op. 12, composte da Beethvoen nel 1798, derivano dal rapporto diretto dell’autore con le ultime sonate violinistiche di Mozart. Esse furono dedicate a Salieri, con il quale Beethoven stava studiando composizione vocale e metodi per la versificazione italiana, con il chiaro intento d’ambizioni operistiche. A parte il caso della dedica dell’op. 2 ad Haydn, l’op.12 rappresenta l’unica testimonianza in cui Beethoven dedicò un lavoro con un numero d’opera ad un insegnante. In considerazione della posizione di Salieri, che era compositore di corte, e del suo ruolo politico nella vita musicale viennese, questa dedica aveva ovvie implicazioni di carriera, sebbene da ciò Beethoven non ottenne nulla. Salieri, come l’altro insegnante di Beethoven, Albrechtsberger, trovava Beethoven ostinato e difficile, ed era probabilmente sconcertato dai nuovi tratti di questi lavori. La Sonata in la maggiore combina un primo movimento brillante con un desolato ma espressivo Andante in la minore, che si conclude con un corposo Allegro piacevole. Il primo movimento mostra la precoce facilità di Beethoven nel realizzare un tema dalle ripetizioni arpeggiate di una semplice figura di due crome nella mano destra del pianoforte, mentre il violino pulsa sui gradi fondamentali nel registro medio. In questo modo uno strumento tiene “il timone” armonico, mentre l’altro ne attraversa lo spazio. Il periodo che corre dal 1800 al 1805 fu particolarmente fecondo nella composizione di Sonate per violino. Beethoven scrisse tra il 1800 ed il 1801 l’op. 23, l’op. 24 (la cosiddetta “Primavera”), tra il 1801 ed il 1802, le tre sonate dell’op.30, e tra il 1802 ed il 1803, la popolare op. 47 “Kreutzer”. Queste sei Sonate rappresentano il suo più ampio repertorio solistico scritto in così poco tempo. Esse differiscono fortemente una dall’altra per caratteri stilistici e mezzi d’organizzazione, ma condividono lo stesso problema di base, che è quello di condividere un equilibrio di sonorità tra il violino, considerato nel suo registro medio-acuto, e il pianoforte con la sua pienezza di registro. L’op. 47 rappresenta il punto più alto quanto a difficoltà e brillantezza strumentale. Sul suo frontespizio si legge “scritta in uno stilo (sic) molto concertante, quasi come d’un concerto”, e fu originariamente scritta per il violinista George Augustus Polgreen Bridgetower, che la suonò con l’autore nel 1803. Più tardi la dedica fu offerta a Rodolphe Kreutzer, violinista che insegnava al Conservatorio di Parigi, conosciuto da Beethoven a Vienna nel 1798. Questa sonata ebbe, lungo tutto l’Ottocento, un’enorme popolarità, e per Tolstoj, nel suo omonimo racconto, rappresenta l’esempio supremo del potere fascinatorio della musica. Con questo lavoro Beethoven raggiunse l’ultimo stadio della sua prima grande fase compositiva sonatistica, toccando limiti fino a quel tempo mai ascoltati, molto lontani dai modelli mozartiani. Luca Della Libera

MARIANA SIRBU violino<br />

BARBARA TOLOMELLI pianoforte<br />

LUDWIG VAN BEETHOVEN (1770 - 1827)<br />

Sonata op. 12 n. 2 in la magg.<br />

Allegro vivace<br />

Andante, piuttosto allegretto<br />

Allegro<br />

Sonata op. 30 n. 1 in la magg.<br />

Allegro<br />

Adagio, molto espressivo<br />

Allegretto con variazioni<br />

Sonata op. 47 in la magg.<br />

Adagio sostenuto, presto<br />

Andante con variazioni<br />

Finale: Presto<br />

31 31 luglio<br />

SABATO ore 21.00<br />

Sermoneta, Castello Caetani<br />

Le tre Sonate op. 12, composte da Beethvoen nel 1798, derivano<br />

dal rapporto <strong>di</strong>retto dell’autore con le ultime sonate violinistiche<br />

<strong>di</strong> Mozart. Esse furono de<strong>di</strong>cate a Salieri, con il quale<br />

Beethoven stava stu<strong>di</strong>ando composizione vocale e meto<strong>di</strong> per<br />

la versificazione italiana, con il chiaro intento d’ambizioni<br />

operistiche. A parte il caso della de<strong>di</strong>ca dell’op. 2 ad Haydn,<br />

l’op.12 rappresenta l’unica testimonianza in cui Beethoven<br />

de<strong>di</strong>cò un lavoro con un numero d’opera ad un insegnante.<br />

In considerazione della posizione <strong>di</strong> Salieri, che era compositore<br />

<strong>di</strong> corte, e del suo ruolo politico nella vita musicale viennese,<br />

questa de<strong>di</strong>ca aveva ovvie implicazioni <strong>di</strong> carriera, sebbene<br />

da ciò Beethoven non ottenne nulla. Salieri, come l’altro<br />

insegnante <strong>di</strong> Beethoven, Albrechtsberger, trovava Beethoven<br />

ostinato e <strong>di</strong>fficile, ed era probabilmente sconcertato dai<br />

nuovi tratti <strong>di</strong> questi lavori. La Sonata in la maggiore combina<br />

un primo movimento brillante con un desolato ma espressivo<br />

Andante in la minore, che si conclude con un corposo Allegro<br />

piacevole. Il primo movimento mostra la precoce facilità <strong>di</strong><br />

Beethoven nel realizzare un tema dalle ripetizioni arpeggiate<br />

<strong>di</strong> una semplice figura <strong>di</strong> due crome nella mano destra del<br />

pianoforte, mentre il violino pulsa sui gra<strong>di</strong> fondamentali nel<br />

registro me<strong>di</strong>o. In questo modo uno strumento tiene “il timone”<br />

armonico, mentre l’altro ne attraversa lo spazio.<br />

Il periodo che corre dal 1800 al 1805 fu particolarmente fecondo<br />

nella composizione <strong>di</strong> Sonate per violino. Beethoven scrisse<br />

tra il 1800 ed il 1801 l’op. 23, l’op. 24 (la cosiddetta<br />

“Primavera”), tra il 1801 ed il 1802, le tre sonate dell’op.30, e<br />

tra il 1802 ed il 1803, la popolare op. 47 “Kreutzer”. Queste sei<br />

Sonate rappresentano il suo più ampio repertorio solistico<br />

scritto in così poco tempo. Esse <strong>di</strong>fferiscono fortemente una<br />

dall’altra per caratteri stilistici e mezzi d’organizzazione, ma<br />

con<strong>di</strong>vidono lo stesso problema <strong>di</strong> base, che è quello <strong>di</strong> con<strong>di</strong>videre<br />

un equilibrio <strong>di</strong> sonorità tra il violino, considerato nel<br />

suo registro me<strong>di</strong>o-acuto, e il pianoforte con la sua pienezza<br />

<strong>di</strong> registro. L’op. 47 rappresenta il punto più alto quanto a <strong>di</strong>fficoltà<br />

e brillantezza strumentale. Sul suo frontespizio si legge<br />

“scritta in uno stilo (sic) molto concertante, quasi come d’un<br />

concerto”, e fu originariamente scritta per il violinista George<br />

Augustus Polgreen Bridgetower, che la suonò con l’autore nel<br />

1803. Più tar<strong>di</strong> la de<strong>di</strong>ca fu offerta a Rodolphe Kreutzer, violinista<br />

che insegnava al Conservatorio <strong>di</strong> Parigi, conosciuto da<br />

Beethoven a Vienna nel 1798. Questa sonata ebbe, lungo tutto<br />

l’Ottocento, un’enorme popolarità, e per Tolstoj, nel suo omonimo<br />

racconto, rappresenta l’esempio supremo del potere<br />

fascinatorio della musica. Con questo lavoro Beethoven raggiunse<br />

l’ultimo sta<strong>di</strong>o della sua prima grande fase compositiva<br />

sonatistica, toccando limiti fino a quel tempo mai ascoltati,<br />

molto lontani dai modelli mozartiani.<br />

Luca Della Libera

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