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Vitae 32 - Marzo 2022

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Trimestrale | Anno XXVII | Marzo 2022 | N. 129

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Trimestrale | Anno XXVII | Marzo 2022 | N. 129

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Direttore Responsabile

Antonello Maietta

Direttore Editoriale

Roberto Bellini

Coordinamento Editoriale

Ilaria Santomanco

Responsabile di Redazione

Emanuele Lavizzari

Editore

Associazione Italiana Sommelier

Viale Monza, 9 - 20125 Milano

tel. +39 02 2846237

fax +39 02 26112328

redazione@aisitalia.it

Tutti i diritti sono riservati

Registrazione del tribunale civile di Milano

al n. 678 del 30/11/2001

Pubblicazione Ufficiale

dell’Associazione Italiana Sommelier

R. Antonelli, R. Bellini, L. Caricato, A. Furesi,

E. Lavizzari, A. Maietta, M. Pecchioli, F. Rizzari,

V.M. Visintin, F. Zaccarelli, M. Zanichelli

Direzione Creativa e Art Direction

Davide Garofalo

concettilaterali - Milano

Grafica

concettilaterali - Milano

Stampa

Ancora Arti Grafiche - Milano

L’analisi organolettica dei vini di tutte le nostre

recensioni è effettuata con il metodo e la scuola

dell’ Associazione Italiana Sommelier.

www.aisitalia.it


c o n t e n u

Editoriale

di Antonello Maietta 4

Rifermento identitario

di Massimo Zanichelli 6

Soffio bianco di Corsica

di Roberto Bellini 20

Un sacco di patate

di Morello Pecchioli 36

Energia pantesca

di Fabio Rizzari 48

Brandy awareness

di Antonio Furesi 56

Una carriera a tutto vapore

di Emanuele Lavizzari 72

Generazioni di Villamagna

di Antonello Maietta 78

2


t i

Criticità gastronomiche

di Valerio M. Visintin 88

La dimensione della macerazione

di Francesca Zaccarelli 92

Goût d’Orval

di Riccardo Antonelli 102

Le sfumature dell’olio

di Luigi Caricato 112

Pas dosé

È tempo della variabilità

di AIS Staff Writer 122

Autori 124

Fotografia & Co. 128


e d i t o r i a

Antonello Maietta

4


l e

A giudicare dalle recenti analisi sull’export del vino italiano nel 2021, sembra che il settore se la

stia cavando piuttosto bene sui mercati internazionali, dimostrando uno stato di salute che non

ricordavamo da tempo. Un dato che deve trasmettere ottimismo sulle prospettive dell’intero

comparto agroalimentare del nostro Paese, in un periodo in cui nulla lasciava presagire una

performance così entusiasmante. Le motivazioni sono varie, tutte riconducibili alla qualità e alla

capacità attrattiva che l’Italia esprime in molteplici settori, dalla moda al design, passando appunto

per l’enogastronomia.

Non è però il momento di abbassare la guardia, perché l’incremento di alcune voci significative nei

bilanci, come i costi energetici e quelli delle materie prime, potrebbe mitigare gli effetti positivi sulle

aziende, ancora alle prese con un lento recupero delle posizioni pre-pandemia. Senza dimenticare

che le instabilità geopolitiche e i conflitti nelle loro drammatiche evoluzioni non generano mai

prosperità.

Un eccellente banco di prova è rappresentato dal Vinitaly, la prima grande opportunità per tutti

gli attori della filiera di riprendere il filo di un dialogo che si era bruscamente interrotto. Se da un

lato le trattative commerciali possono trovare un pratico surrogato attraverso il web, i rapporti

umani – di cui il cibo e il vino costituiscono un efficace volano – necessitano di momenti di

socializzazione e condivisione, poiché questo tipo di relazioni coinvolge molto spesso la sfera dei

sentimenti.

Per l’Associazione Italiana Sommelier si era già delineato un cauto ottimismo grazie alla ripartenza

di tutte le attività formative e di buona parte degli eventi in presenza, anche se condizionati

dal ridimensionamento dei numeri. Lo scenario che si apre ci responsabilizza maggiormente nel

formare professionisti in grado di intercettare le nuove aspettative della clientela e di ampliare

il bacino dei consumatori. Dal nostro osservatorio privilegiato appare evidente un repentino

cambiamento delle abitudini, orientate su una diversificazione delle scelte, che potrebbe alla lunga

accelerare la contrazione della domanda. È ben vero che nel mondo del vino siamo stati tra i

primi a operare un’opportuna e coraggiosa distinzione tra abuso e consumo moderato, ma il

saldo rimane abbondantemente positivo, perché abbiamo avvicinato generazioni di appassionati

che ne ignoravano il valore culturale. Su questo aspetto possiamo dire di avere anticipato i tempi,

inaugurando più di dieci anni fa la Giornata Nazionale della Cultura del Vino e dell’Olio, quest’anno

celebrata in tutte le regioni il 7 maggio.

Ci aspetta proprio una bella sfida.

Buona lettura e buona Vitae a tutti!

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soffio bianco

Roberto Bellini

Da Livorno a Bastia sono necessarie quattro ore e mezzo di traghetto. Giunti in porto, il mar

Tirreno parla un’altra lingua: non il francese, è la lingua còrsa, assimilabile a tanti dialetti d’Italia,

uno straordinario concentrato di espressioni dialettalmente italiane, diverse tra il nord e il sud

dell’isola (qui sono evidenti similitudini con il sassarese-gallurese). Qualcuno ha definito questa

realtà linguistica un “mondo italo-romanzo”.

Che sia così anche per il vino? Se leggiamo la sua storia, è impossibile non trovare nella viticoltura

della Corsica qualcosa che non rimandi all’Italia. A parte i greci, che introdussero la viticoltura,

e i romani che la svilupparono, passarono gli etruschi, i siracusani, poi i pisani (che cacciarono i

saraceni), e ancora i genovesi che buttarono a mare i pisani, e a loro volta ne subirono e ne fecero

di cotte e di crude, mercanteggiandone la proprietà tra banche, ducati e potenti famiglie genovesi.

Due epoche significative per il vino furono quelle pisane e genovesi: ai primi si può assegnare il

merito di aver dato il via al concetto di cru; i genovesi invece impressero la vera spinta vitivinicola,

emanando nel 1572 un decreto che obbligava ogni famiglia a piantare quattro viti. I francesi, che

acquisirono l’isola nel 1758, dettero impulso al comparto, ma con un indirizzo poco rispettoso

dell’ecosistema viticolo locale, che custodiva un patrimonio ampelografico molto particolare.

D’altronde, affermavano gli indipendentisti, la Francia ha sempre trattato la Corsica come un

tappeto, da spolverare ogni tanto, ma sempre tappeto restava. Questo è accaduto anche con la

viticoltura e con la filosofia enologica basata sulla quantità.

Al di là della crisi d’inizio Novecento, che non fu esclusiva dell’isola, e qui fece perdere oltre il 40%

dei vigneti, negli anni ’30 l’enologia si convertì alla produzione di mosti muti per vin de liqueur. Il

tempo sembrò scorrere di disgrazia in disgrazia, tanto che a partire dal 1960, con il rientro dei

còrsi che si erano stabiliti in Algeria e degli esuli francesi (pieds noirs), il governo centrale attuò una

politica di sviluppo dell’agricoltura, viticoltura inclusa. I vignaioli autoctoni però non ebbero gli stessi

aiuti di quelli “importati”, i quali incrementarono a dismisura la produzione di vino, valorizzando

l’aspetto quantitativo, con impiego di vitigni come il carignan, il grenache, il cinsault e l’alicante

bouchet. Così facendo, dal 70% di vitigni locali presenti nelle vigne nel 1960, nel 1968 ne restavano

appena il 13%. La celebrata “nouvelle viticolture” si trasformò in “vin médicin pour le Continent”,

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di Corsica

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‘o per’ ‘e palummo


racconta Patrick Fioramonti. E quando negli anni ’70 questi “vinoni da tavola” non servirono più

(erano anche poco remunerati), il declino fu irreversibile, e gli ettari vitati scesero da 30.000 a

10.000. Curioso il dato sull’acquisto di zucchero, 50.000 quintali nel 1960, 170.000 nel 1971. Forse

piaceva il caffè molto zuccherato?

Per rinascere bisognava prevedere una scelta qualitativa, non una viticoltura speculativa, quindi

valorizzare i vitigni locali, rimodulare e ristrutturare i vigneti e le cantine, recuperare l’identità

terreno-vitigno, per riallacciare il vino còrso a quella storicità che il cartografo Ignazio Danti aveva

descritto così: “… et ses vins, generosissimi, que les princes tiennent en l’estime la plus haute”.

La Corsica ha tutte le potenzialità per produrre vini fortemente caratterizzati, dall’unicità

organolettica che li distanzia dalle vicine isole e dalle fasce costiere del continente. È una terra

molto montagnosa: su 8.722 km 2 di superficie sono venti le montagne oltre i 2000 metri di altezza,

quasi lo stesso numero della Sicilia, che è grande il triplo. È l’isola delle mille vallate, ma le zone

migliori per la vite non sono i pendii scoscesi prossimi alle montagne (il vigneto più alto è a 500

metri, al di sopra il clima è inospitale per la vite), bensì le colline, i pianalti e le pianure vicine al

mare, dove clima di montagna e marino si fondono, generando una proporzionata mescolanza

nell’escursione termica.

Nel complesso il clima è mediterraneo, con specificità in parte correlate alla latitudine, al mare e

ai monti. Nelle aree costiere e in quelle appena nell’entroterra si concentra la maggior parte delle

viti. La combinazione originata dalla brezza marina di giorno e da quelle di terra durante la notte,

nell’insinuarsi tra vallate e sbocchi sulla costa, origina preziosi scrigni microclimatici in cui i vitigni

si differenziano anche tra vigna e vigna. L’assenza di picchi nella temperatura, in alto e in basso,

favorisce un allungamento del tempo di maturazione ed evita alle uve di scottarsi al calore del

sole. Le estati sono calde e secche, e tra i venti, che soffiano anche per 347 giorni l’anno, come a

Cape Corse, il libeccio è quello che disturba maggiormente. Le vigne hanno dunque bisogno di

esser protette.

La disposizione degli areali vitati nell’isola può essere divisa in quattro ampi settori geologici, molto

simili a quelli della Provenza.

Nella parte orientale troviamo suoli argillosi e siliceo-argillosi, colline e piccoli altopiani formatisi

con depositi alluvionali dell’era terziaria. Le vigne sono in grado di produrre vini mediamente

strutturati, che si equilibrano con una certa velocità, evidenziando una personalità gustativa incline

alla morbidezza e profumi orientati verso note floreali.

Sempre a est, nell’areale chiamato Corsica alpina, sono presenti suoli con diverse varietà di scisti

abbinate a carbonato di calcio. Da Cap Corse l’area s’incunea internamente, con maggior presenza

di scisti, scende ad Aleria e si spinge fino a Ghisonaccia, dove le colline e i pianori hanno suoli

alluvionali con calcare, marne e sabbie. Dai vigneti di questa zona non è frequente ottenere vini

ben strutturati e grintosi in tannino e/o acidità.

A occidente, la cosiddetta Corsica antica ha suolo tutto granitico (ottimo per il vitigno sciaccarello)

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soffio bianco di Corsica

mescolato con argilla; si trovano calcio e

potassio, e ci sono sprazzi interessanti di

silice. I vini non mostrano colori concentrati,

ma hanno carattere, abbondano nei profumi,

e nell’evoluzione spuntano tracce olfattive di

pietra focaia e una sapidità che richiama il sale

di roccia.

A nord-ovest il suolo ricorda la Toscana, la

placca è calcarea (Patrimonio), con scisti

e granito. Qui i vini acquistano struttura e

alcol, con profumi fruttati e floreali: vegeta

ottimamente il nielluccio.

L’amalgama tra la composizione del suolo

e del sottosuolo, combinato con infinite

microvariabilità climatiche, dà vita a piccoli

terroir, dove un vitigno a pochi metri di distanza

può produrre un vino di qualità discreta e uno

sorprendentemente superbo.

I vitigni che popolano la Corsica sono numerosi,

se rapportati alla superficie di territorio

disponibile (0,66% dell’estensione dell’isola,

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cioè 5800 ettari). Se ne contano trenta e gli

isolani li considerano tutti autoctoni, lasciando

fuori lista quelli importati, peraltro molto

limitati nella presenza.

Il vitigno più diffuso è il niellucciu, le cui

affinità con il sangiovese sono così strette che

potremmo provocatoriamente rovesciare

l’affermazione: il sangiovese ha stretta affinità

con il niellucciu. In seconda posizione si

posiziona il vermentinu, detto anche malvoisie

de Corse; poi lo sciaccarellu, l’aleatico, il biancu

gentile e il barbarossa, a bacca rosa a dispetto

del nome.

La produzione del vino è fortemente

caratterizzata dall’impiego dei vitigni a bacca

nera, con elaborazione di rossi e rosati; la

versione in bianco è limitata, ma presenta

gemme enologiche molto interessanti,

in particolar modo con il vermentino,

confrontabile con i cugini liguri, toscani e

provenzali. Particolari sono anche i vini bianchi

da vitigni locali, che oltre ad accompagnarsi

al vermentino – si pensi al biancu gentile, al

muscatu, al genovese – creano curiose cuvée

con altri autoctoni, come malvasia, brustiano,

rossola bianca o rossola brandica, riminese,

carcajolu biancu, pagadebbitu e biancone.

Il vermentino fu introdotto nell’isola verso il

1300 e si appropriò immediatamente di una

distinzione: vermentinu nella parte sud, mentre

a nord prese il nome di malvasia o malvoisie

de Corse. L’habitat còrso crea al vermentinu

le condizioni per produrre vini spiccatamente

floreali, con riconoscimenti di acacia,

biancospino, rosa canina, ginestra e mimosa; il

fruttato può caratterizzarsi nelle espressioni di

mela, melone, banana, mandorla fresca; rispetto

al vermentino della costa ligure e toscana non

ha quell’icastica presenza vegetale, di erbe

mediterranee. Il potenziale evolutivo non è più

lungo di quello del vino del continente, salvo

le annate eccezionali, ma è molto attraente la

trasformazione varietale dei profumi, perché

l’affievolimento del floreale trova sostituti nelle

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soffio bianco di Corsica

nuance dell’anice, dell’aneto, del finocchietto selvatico, recuperando quel tratto olfattivo d’erbe

aromatiche che non emerge nella prima fase evolutiva. Dopo tre o quattro anni offre anche

lievissime note di pietra focaia, petrolio, espressioni terpeniche e rimandi al silex. La struttura

non evidenzia un corpo robusto, oscilla dal medio-corpo al di corpo pieno, con fusione frescosapida

(leggera prevalenza in sapidità) e un proporzionato apporto alcolico che aiuta il volume

liquido del vino a modularsi anche nella morbidezza. I còrsi lo vorrebbero emblema enoico della

mediterraneità insulare.

Talvolta al vermentinu si associa il biancu gentile, che richiama il savagnin, anche se la coltivazione

è sporadica, perché si trova più a suo agio in un clima più fresco, pur risiedendo nell’isola fin

dall’Ottocento. Il biancu gentile ha un profilo odoroso segnatamente fruttato, di agrume e frutto

della passione, che sfuma nel litchi e nell’albicocca; la struttura gusto-olfattiva si edifica sulla nota

alcolica e sulla componente acida, con una rotondità equilibratamente gradevole e sfiziosamente

sapida. Per i vigneron còrsi è l’ideale coadiuvante qualitativo del vermentinu.

Molto interessante, seppur poco coltivato, è il riminese, niente a che vedere con Rimini in Romagna.

Si coltiva a Figari, Porto Vecchio, Nebbio e nella regione di Balagne. Il bagaglio olfattivo abbraccia la

sfera floreale e quella fruttata, moderatamente esaltante in complessità; una rimarchevole acidità

riesce a imprimere una scossa vibrante che ravviva il gusto. Un po’ di legno lo aiuta a costruire una

veste organolettica più complessa.

Il nome del genovese (ghjenuvese) rimanda direttamente alla bianchetta genovese. Alcuni ettari si

trovano a Balagne e Cape Corse, ma anche nei dintorni di Bastia e a macchia di leopardo lungo la

costa orientale. Non brilla per eleganza, ha un fruttato un po’ indistinto, mentre al gusto la parte

alcolica incide con una certa prepotenza e standardizza l’espressività.

Il pagadebbitu ha un alone di misteriosità ampelografica. Per i còrsi non è apparentabile al vitigno

coltivato in Romagna, piuttosto al biancone di Portoferraio. In passato era diffusissimo, oggi ne

restano alcuni ettari a Figari, Sartène, Porto Vecchio e sulla costa orientale. Al profumo spicca la

sua fragranza floreale (acacia, biancospino, caprifoglio) che sprigiona una discreta finezza, ma non

tale da comporre una qualità da memorizzare; anche al gusto, pur presentando una freschezza

energica, ha un finale di bocca alquanto neutro e spesso sfuma in una scia di mandorla amara.

La rossola bianca o brandica è un vitigno interessantissimo, purtroppo poco diffuso. È finemente

profumato nelle note fruttate degli agrumi (pompia e cedro) e dei fiori bianchi (narciso, acacia,

mughetto), capace di combinare una struttura acida piena di vivacità ai flavour della frutta fresca

(mela verde, pesca di vigna, susina), mai disarmonico nell’equilibrio gusto-olfattivo; lascia spazio alla

finezza del floreale in chiusura.

Nelle cuvée si impiega anche il brustiano (brustianu), che certo non eccelle in nobiltà;

possiede gradevolissime espressioni fruttate (mela e pesca) e floreali (soprattutto rosa

selvatica), che in gioventù sprigionano fragranza, ma al gusto tentenna un po’: spesso è

troppo poco fresco, tanto da dare un’impressione di pesantezza ed eccessiva morbidezza.

Il biancone non ha niente a che vedere con tutti gli altri biancone: è stato riconosciuto nel 1949 e

attualmente è presente nella regione di Balagne. Nel complesso ha un medio interesse qualitativo,

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al profumo e al gusto, adatto come attore comprimario se impiegato con altri vitigni, a cui apporta

poco, ma non sottrae alcunché.

Il panorama ampelografico della Corsica è suggestivo e invita alla scoperta, sia per confrontare il

vermentino, sia per familiarizzare con vitigni alquanto sconosciuti.

Gli stili di vinificazione utilizzati sono molteplici: c’è chi usa solo acciaio, chi si avvale delle barrique

nuove e del bâtonnage, altri miscelano acciaio e legno, qualcuno s’è avventurato nella macerazione

in anfora e alcuni resistono, o meglio insistono, con il cemento (e non è un male). Un aspetto che

accomuna tutti è la sosta sulle fecce fini prima dell’imbottigliamento.

Il primo Vermentino è del Domaine Comte Perald. I vigneti sono adagiati sulle alture di Ajaccio.

Il suolo granitico, con arenaria, dovrebbe assicurare la finezza e un’intensità olfattiva incline a

facilitare una distinguibile personalizzazione dei suoi classici profumi.

Ajaccio Aop Cuvée Clémence 2018 - 13,5% vol. - vermentino 100%

Fermenta in barrique borgognone nuove, a cui segue una maturazione di 9 mesi, sempre in

barrique. Il paglierino ha assorbito accenti giallo dorato. Il naso è inizialmente distratto dai sentori

tostati del legno (un po’ di cocco); dopo qualche minuto, a temperatura rialzata, sbocciano profumi

di fiori di tiglio e ginestra, e di pompia. Al palato è molto più espressivo; freschezza e sapidità

si abbracciano voluttuosamente, creando una ricchezza gustativa di medio-corpo, ma con una

persistenza lunga, ricamata da sprazzi di alghe marine e salsedine.

Il secondo Vermentino è espressione enologica del Domaine Fiumicicoli, e i vigneti si estendono

nella parte sud-ovest dell’isola, tra Sartène e Propriano. Il terreno è dominato dal granito e deve

il nome al piccolo fiume che lambisce i vigneti.

Corse Sartène Aoc Cuvée Vassilia 2019 - 13% vol. - vermentino 100%

Svolge la fermentazione in barrique nuove; segue una maturazione, con bâtonnage, per 8 mesi. Ha

colore paglierino-dorato molto luminoso. All’olfatto coniuga in modo ottimale la personalità del

varietal e l’uso del legno; le classiche note di mimosa, camomilla ed erbe aromatiche si miscelano

con il cocco, la vaniglia e la crema pasticciera. Al gusto ha sapidità “grassa”, giustamente rinfrescata

dall’acidità, per chiudere con un finale ammorbidente al paté di mango e papaia.

Il Domaine de Tanella è ancora più a sud, a Figari. Qui il vermentino incontra arenaria, argilla,

granito e ciottoli. La brezza del mare, che dista soli tre chilometri, assicura un effetto rinfrescante

e sanificante.

Corse Figari Aoc Cuvée Alexandra 2020 - 13% vol. - vermentino 100%

Fermenta in cemento a temperatura controllata per 18 giorni, poi sosta in acciaio per 4 mesi. Il

giallo paglierino si accende di verdolino, mentre il profumo esprime una disarmante semplicità:

caramella al limone, cedro, pesca, mimosa e lieve suggestione di rosa canina. L’azienda ha

interpretato il vermentino per destinarlo a una beva gioiosa, estiva, d’impatto giovanile; infatti, ha

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soffio bianco di Corsica

gusto moderatamente fresco e sapido, una persistenza media e un finale di bocca pulito, ma un

po’ “artificiale”.

Nella parte sud-est dell’isola, sopra Porto Vecchio, in località Lecci, il Domaine de Torraccia coltiva

il vermentino su suolo di arenaria e granito.

Corse Porto Vecchio Aoc Oriu 2019 - 13,5% - vermentino 100%

La fermentazione è svolta in acciaio e così anche la maturazione con bâtonnage, che si allunga per

6 mesi. Paglierino al colore, ha un’anima olfattiva pura, classica, intensamente agrumata (limone),

sottilmente vegetale (erbe aromatiche: aneto e anice), mandorla e pepe bianco. La freschezza e la

sapidità confluiscono in una liquidità sottile e delicata, e giocano a equilibrarsi con la morbidezza,

edificando un finale lungamente salino e balsamico. Di classe.

Yves Leccia si trova a Bastia, nell’alta Corsica, di fronte all’isola d’Elba, in una conca circondata

da alture in località Poggio d’Oletta. Il Vermentino è ottenuto da uve raccolte in un solo vigneto,

E Croce, che dà il nome al vino, su terreno argilloso-calcareo con stratificazioni scistose. È

interpretato senza l’impiego del legno.

Patrimonio Aoc E Croce 2019 - 13,5% vol. - vermentino 100%

Dopo la chiarificazione a freddo del mosto per 24 ore, fermenta in acciaio, non svolge la malolattica

e sosta per 6 mesi in vasche d’acciaio. Paglierino vivacissimo. Tutto varietal al profumo: cedro,

mandorla bianca, finocchietto selvatico, ginestra e fine salmastro. Il vino accarezza il palato con una

glicerica tattilità che gioca a insaporirsi con un po’ di salinità e adeguata acidità. Il finale di bocca

dà la sponda a un gradevole flavour aromatico che miscela il balsamico con il cedro e un colpo di

fioretto alla liquirizia e pepe bianco.

Ancora a nord, questa volta nella parte occidentale, nell’entroterra di Calvi, si trova il Domaine

Alzipratu. Le vigne alloggiano ai piedi del monte Grossu (1937 m), su terreno prevalentemente

granitico, in una posizione che subisce favorevolmente l’influsso del mare, a otto chilometri, e della

montagna.

Corse Calvi Aoc Pumonte 2012 - 13,5% vol. - vermentino 100%

Fermentazione di tre settimane con bâtonnage; i contenitori utilizzati sono di vario materiale,

dal cemento all’acciaio, da legno alle anfore di terracotta, ma per questa 2012 non ci sono

riferimenti. Ha colore giallo oro, con orlo giallo limone (è un 2012 davvero!), che anticipa un

bouquet sorprendente: mango, papaia, gelsomino, ginestra, cherosene, polvere calcarea, ginepro e

balsamica garrigue. Sorso sontuosamente vellutato, provvisto di sapidità strategica per costruire

una pienezza di gusto con il concorso di una freschezza ancora energica; armonizza un perfetto

equilibrio e un lungo finale arricchito da suggestioni marine: salmastro, iodio e uva di mare.

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soffio bianco di Corsica

Una versione in anfora del Vermentino è prodotta da Clos Canereccia, con vigneti nella parte

occidentale dell’isola, vicino ad Aleria, su suolo di argilloso-calcareo.

Vin de France Amphore Vermentinu Blanc 2018 - 13,5% vol. - vermentino 100%

Dopo un raffreddamento per 24 ore, le uve sono sgranellate manualmente; a seguire, macerazione

pellicolare in anfora per 25 giorni, poi ancora anfora per 5 mesi favorendo la fermentazione

malolattica. Un’interpretazione estrema del Vermentino. Alla vista si accende un oro rosa con

screziature color buccia d’arancia secca. La complessità olfattiva è ampia e variegata: confettura

di nespole, sorba, cera d’api, scorza di arancia candita, erica secca, odore di pineta e di canfora,

cardamomo e un soffio salmastro. Ricco di sapidità, ha una leggera astringenza che favorisce una

moderata vibrazione in freschezza; il finale si lascia ammaliare da una scia glicerica e chiude con un

ritorno delicatamente agrumato e un persistente flavour di rabarbaro.

Oltre che in purezza, il vermentino è impiegato insieme ad altri vitigni, soprattutto autoctoni. Un

esempio è offerto sempre dal Clos Canereccia.

Vin de France Cuvée Sophie Blanc s.a. - 13,5% vol. - biancu gentile, genovese e vermentino in

parti uguali

La vinificazione prevede una fermentazione con macerazione a contatto con le bucce per un

terzo, in botti; anche la maturazione avviene in legno. La veste è paglierino con nuance oro. Al

naso l’excursus vegetale ammalia con note di pino, di pigna e di timo, seguite da narciso, elicriso

e una nuvola di polvere di sale. Il gusto è premiato da una sostanza liquidamente salina, un’acidità

al gusto di cedro fusa in un’equilibrata struttura con l’aiuto della morbidezza; chiude con un lungo

finale dai toni balsamici e iodati.

Christian Zuria, del Domaine Zuria, possiede vigne sull’altopiano calcareo di Bonifacio, di fronte a

Santa Teresa di Gallura.

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Ile de Beauté Igp DZ 2019 - 13,5% vol. - vermentino 60%, biancu gentile 30%, genovese 10%

Tutta la vinificazione si svolge in acciaio. Il vino ha un delicato colore giallo paglierino. Il profumo

è timido, con appena accennati sentori di ginestra e gelsomino, cedro, mango e papaia. Il palato è

accarezzato da una struttura delicata, in cui coabitano sia freschezza sia sapidità, un po’ soggiogate

dall’alcol; la persistenza fatica ad allungarsi e il finale è di mandorla bianca. Non è al meglio.

Il Domaine Casa Guelfucci si trova nel centro della Corsica, a Corte e ha vigne su terreno

alluvionale con scisti, solidamente strutturato in una miscela di granito e arenaria.

Vin de France Maria Antonia 2018 - 13% vol. - vermentino 60%, biancu gentile 30%, moscato 10%

Giallo paglierino vivido, esprime un impatto minerale di carburo, calce, poi ginestra e camomilla,

paglia e leggero iodio. Ha una paritaria intensità in freschezza e sapidità, ben equilibrata dall’alcol,

per un finale lungo ma non del tutto convincente nel ventaglio aromatico, chiuso tra un’ariosità

marittima, come di pineta, e una sfumata nota di girasole.

Jean-Charles Abbatucci del Domaine Comte Abbatucci, nella parte sud-ovest dell’isola, coltiva le

sue vigne in regime biodinamico a Casalabriva.

Vin de France Cuvée Général de la Révolution 2017 - 14% vol. - vermentino, carcajolu biancu,

pagadebbitu, riminese, rossola brandica, biancone

La fermentazione avviene in acciaio e la maturazione in vecchie botti (demi-muid) da 600 litri. Il

luccicante dorato alza il sipario su profumate note di acacia, mimosa e biancospino; la parte di

agrumi (pompelmo rosa e cedro) si miscela con susina gialla, pesca e alchechengi, e lascia un angolo

di complessità a una rinfrescante verbena. Al palato la combinazione fresco-sapida è ottimale, così

come appare proporzionato l’apporto dell’alcol per definire un equilibrio gustativo frutto del

geniale mix dei varietal; lunga e stuzzicante la persistenza, ricca di ritorni di erbe aromatiche e

crema di mandorla.

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soffio bianco di Corsica

La Corsica ha una ricca dote di vitigni locali, che la loro lingua caratterizza con speciale riconoscibilità.

Non c’è una grande tradizione di vinificarli in versione monovitigno, forse perché la coltivazione è

limitata, ma per nulla limitata è la gradevolezza che riescono a esprimere quando sono assemblati.

Bernard Renucci ha vigneti nell’entroterra tra Calvi e Isola Rossa, nella parte nord-ovest dell’isola.

I terreni sono argilloso-sabbiosi con base granitica.

Vin de France Blanc Pitraïa 2018 - 13% vol. - malvasia 70%, biancu gentile 30%

Vinificato in legno, vi matura per 12 mesi, e per circa 60 giorni resta a contatto con le fecce fini.

Color oro; all’inizio ha difficoltà a offrirsi, poi in successione elargisce note di iris bianco, mughetto

e acacia, ben rinfrescate da nuance mentolate e da pesca gialla e pera cotogna. Spicca nella

freschezza, si arricchisce in pienezza gustativa per sapidità e morbidezza e abbandona il palato con

una gradevolissima scia di limone e menta fresca: un duetto ampelografico ben riuscito.

Infine, di nuovo, il Domaine Comte Abbatucci di Casalabriva.

Vin de France Diplomate d’Empire 2017 - 14% vol. - brustiano, biancu gentile, genovese, rossola

bianca (tutti da ceppi di sessant’anni)

Vinificato in acciaio, matura poi in legno. A dispetto dell’età, un orlo verdolino fa da contorno a

un acceso giallo paglierino. Complesso al naso, con sentori di mango e ananas, limone ed erbe

aromatiche, salsedine e alghe marine. Il sorso è sottile, espresso in una sapidità che timbra una

nota di mare; acidità e alcol si equilibrano e rilasciano una spinta di persistenza, anticipata da aromi

di liquirizia, macchia mediterranea ed echi di cedro.

In chiusura, l’omaggio che Christian e Sophie Esthéve, del Clos Canereccia, dedicano al biancu

gentile vinificandolo in purezza.

Vin de France Biancu Ghjentile 2018 - 13,5% vol. - biancu gentile 100%

Vinificato e maturato in acciaio per 2/3 e il resto in grandi botti di legno. Ha colore giallo paglierino

con anello dorato. È intensamente agrumato (cedro e pompia), ariosamente floreale (ginestra e

narciso), finemente balsamico (aghi di pino) e chiude con un tocco tropicale di cocco. Ha struttura

sapida, poi si distende con rotondità e il finale si impreziosisce con un sussulto fresco e citrino, che

nella lunga persistenza rilascia una chiusura di salinità iodata e pepe bianco; congeda con fiori di

ginestra e magnolia. Una vera sorpresa.

Il viaggio organolettico nel bianco di Corsica ha evidenziato stili di Vermentino dall’anima più

mediterranea e marina rispetto a quelli della terraferma d’Italia. Confrontati con quelli sardi,

sembrano esprimere una trama meno ammiccante al profilo gusto-olfattivo: si potrebbe dire

che è un Vermentino linguisticamente più dialettale. Invece, lo stacco è quasi abissale rispetto ai

provenzali, così ricchi di garrigue da essersi “saintropetizzati”.

I vini ottenuti da più vitigni sono generalmente molto gradevoli, ma, eccetto due campioni,

sembrano non competere ad armi pari con il Vermentino. Sorprendente è il Biancu Ghjentile,

un’avventura degustativa.

La Corse est vivant! Vive la Corse.

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