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Riflessione di un prete 4

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Riflessioni di un prete

“ Troppo spesso la “normalità” resta incompresa …ci vogliono giusti occhi e cuore puro per cogliere i preziosi doni che

essa custodisce. E le sapienti e delicate parole di un sacerdote possono svelare con semplicità tanti apparenti misteri e rendere

gioioso il cammino che porta al Signore”.

Le parole , spesso uniche e rare, di don Fabrizio, prete-poeta, commuovono fino alle lacrime , ma sono lacrime belle che

leniscono , donano speranza e rafforzano la fede.

Le riflessioni….Parole che mettono a nudo le nostre debolezze, parole che “puliscono” la mente da convinzioni e

pregiudizi, parole che diventano unguento per l’anima e avvolgono il cuore come un mantello di gioia assoluta, rivoluzione

d’amore”( Katia).

Grazie per l’attesa visita domenicale sul tema del cibo che non perisce e, attraverso di te , il ringraziamento a don

Fabrizio, ispirato corifeo del pane di vita per la sua ispirazione profetica.

Grazie per il conforto della parola di Dio…avete un prezioso don Fabrizio che ci aiuta a riflettere seriamente con la sue

riflessioni profonde, umane e geniali che aiutano a fare chiarezza.

“…Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna…..”. Le Riflessioni di un prete e la Scuola della parola:

luce per la mente, ristoro per l’anima, cenacolo di condivisione, di gioia, di speranza.

Per la Premessa di questa nuova edizione delle “Riflessioni di un prete”, abbiamo pensato di dare voce ad

alcuni dei tantissimi lettori che attendono questo appuntamento domenicale con interesse, per cogliere

ogni volta sensazioni e sentimenti particolari , che acquistano nuova linfa, se lette in momenti diversi

dell’ordinaria quotidianità.

Da qui la decisione di ricorrere ancora una volta all’edizione cartacea di questo piccolo e semplice sussidio,

facilmente consultabile anche da chi non utilizza altri strumenti di comunicazione.

In stile sinodale: piccoli tesori da non tenere nascosti ma da condividere.

Buona lettura.

- PREMESSA -

Ancora una volta Grazie Don Fabrizio da tutti i tuoi attenti e lettori e...

Buon compleanno

Locri 5 dicembre 2021

Seconda domenica di Avvento

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Riflessioni di un prete

29.11.2020

VEGLIATE

«Fate attenzione, vegliate, perché non sapete

quando è il momento» (Mc 13,33).

L'Avvento è il tempo dell'attesa e con richiami

forti si apre e si chiude il Vangelo di questa prima

domenica del nuovo anno liturgico, con due

imperativi: Fate attenzione! Vegliate!

È l'invito a riscoprire il cuore abitato da guizzi

di luce galoppanti, modellato dai confini immensi

dell'eternità, oscillante tra vita senza fine

e peregrinazione mortale, cullato dall'eco di Parole

di salvezza.

Vegliate nel tendere la mano all'Eterno anche

quando vi sembrerà di non sentirlo vicino e

dalla Scrittura imparerete che l'Amore, Dio non

si può incatenare. Però continuerà sempre ad

esserci anche quando sembrerà tardare.

Si presenterà in borghese, con volto di fratello,

nei panni di una straordinaria ordinarietà.

A volte la sua epifania risplenderà nella luce di

eventi che vi toglieranno il fiato, in altri invece

sembrerà di sentirvi soli, abbandonati e proprio

lì lo scoprirete tenero, quando da Padre, vi porterà

in braccio per sostenervi, perché il vostro

piede non vacilli.

«Fate in modo che, giungendo all’improvviso,

non vi trovi addormentati» (Mt 13,36)

Fatevi pervadere dal balenìo della vigilanza,

dall'inquietudine propria degli innamorati, in

attesa dell'ottavo giorno, quello che più splende

sull'arco di tempo di un'intera esistenza.

Concedete poco tempo al sonno che intorpidisce

l'anima, fate che leggermente vi sfiori le

palpebre per restare sentinelle dal cuore di fanciulle

innamorate.

E se farete attenzione, se vigilerete, lo troverete

perennemente, in filigrana, presente nelle vostre

realtà.

Perché Lui è il Veniente.

Perché Lui non delude mai.

Buon cammino, perciò, nel nuovo anno liturgico.

13.12.2020

LA VOCE CHE ANNUNCIA

"Inizio del vangelo di

Gesù, Cristo, Figlio

di Dio" (Mc 1,1)

Com'è bello l'inizio

di questa avventura

straordinaria chiamata

Vangelo.

È Marco che ne scrive

uno per primo.

È Marco che lo chiama "buona notizia".

E l'inizio è solenne, scarno, profondo e denso.

Ti graffia il cuore perché già dal primo rigo

devi fermarti, sei intrappolato in tanta bellezza,

il fiato ti manca perché comprendi da subito

che qualcosa di grande si sta compiendo.

È l'inizio della lieta novella: Gesù è il Cristo, è il

Figlio, l'Unigenito di Dio.

Una certezza che ha il sapore forte, intenso, di

una professione di fede.

E la Storia di Dio, secondo quanto racconta

Marco, si intreccia con quella degli uomini, una

trama e un ordito che disegnano tragitti di salvezza

trapuntati di scintille.

Compare Giovanni, il precursore, la voce di

Colui che è Parola.

Figura austera, abitata dal roveto ardente dello

Spirito, nato troppo tardi per essere profeta,

troppo presto per essere apostolo.

Ponte sicuro, cerniera di passaggio tra il tempo

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delle antiche promesse e il compimento delle

stesse.

Uomo del deserto, luogo del divino, lontano

dal palcoscenico della vita quotidiana.

Niente affatto lettore del futuro ma capace interprete

del presente che aiuta a leggerne la novità,

cogliendone il senso.

Ascoltatore delle antiche profezie, eco incarnato

di esse.

«E proclamava: "Viene dopo di me colui che è

più forte di me: io non sono degno di chinarmi

per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho

battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in

Spirito Santo"» (Mc 1,7-8)

Viene!

Quant'è bello questo verbo.

Un eterno attimo presente.

Ora è il tempo inderogabile della salvezza.

Ora è il tempo della grazia.

Ora è l'avvento della misericordia di Dio.

Riflessioni di un prete

Questo è il momento dell'Altro che viene,

dell'Amore puntuale che placa l'ansia dei cuori

palpitanti di attesa, è il tempo dello sguardo

sul divino tra le fenditure delle rocce della nostra

umanità.

Sguardi innamorati, lavati nel lavacro dello

Spirito Santo.

È l'arrivo "del più forte" dice Giovanni, di colui

che sa parlare il linguaggio dei miti, che ha parole

di tenerezza manifestando la Paternità di

Dio e toccando il centro dell'umano.

Ora Dio si fa uno di noi.

È l'inizio del Vangelo di Marco e come la buona

notizia del Vangelo, è gravido di speranza,

gravido di futuro.

Ha il profumo del Veniente.

18.12.2020

IL SOGNO DIVENTA SEGNO

«Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere

con te Maria, tua sposa, perchè quel che è generato

in lei viene dallo Spirito Santo» (Mt 1,18-25)

È di fronte al racconto bellissimo del sogno di

Giuseppe che ogni anno mi emoziono.

È un risvegliarsi, il mio, da una specie di torpore

che mi dice che il tempo odora di attesa,

mentre gli occhi già pregustano la gioia scaturente

dall'antica melodia della novena di Natale.

Ci siamo quasi.

Il percorso dell'Avvento volge al termine e mi

ritrovo di fronte alla figura immensamente bella

di Giuseppe.

L'uomo dei sogni.

L'uomo amante.

L'uomo che si fida.

Ho sempre immaginato la tremenda notte di

Giuseppe, abitata dal dubbio e dall'ombra di

un amore tradito.

Un cuore il suo, abbandonato alla tempesta di

sentimenti tumultuosi, colorati dal grigio della

delusione mentre gli occhi, non più abitati dal

guizzo di gioia per le nozze imminenti, stanchi

per i troppi pensieri,

si accasciano al sonno

consolatore.

Ed è nel sonno che

dona pace ad un corpo

sopraffatto dall'inaspettato,

il Dio che

sceglie sempre vie ordinarie,

gli parla per

dare pace al cuore.

Il sonno diventa sogno. Il sogno diventa segno.

E Giuseppe si fida. Ed è così che impara ad essere

padre, custode e marito.

Donami, o giusto Giuseppe, la tua stessa forza

nell'accettare le cose che non comprendo e

a capire, con rinnovato stupore, che dietro c'è

sempre un progetto di Dio.

Fammi dono della forza di fidarmi. Aiutami a

sognare, dammi il coraggio di osare nel seguire

i segni che costellano la mia quotidianità affinché,

proprio come te, io possa vivere un'intera

vita insieme a Gesù, l'Emmanuele, il Dio-connoi.

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20.12.2020

Riflessioni di un prete

CHAIRE KECHAIRITOMENE, gioisci piena di grazia

Come migliaia di artisti nel corso dei secoli, anche

la mia fantasia si sente provocata di fronte

a questo "vangelo" nel Vangelo.

Immagino le strade assolate della Galilea brulicanti

di vita, troppo quotidiane, troppo distanti

dalla nobile Giudea che custodisce nel grembo,

come una perla preziosa, la città santa, Gerusalemme

sede del tempio e casa di Dio.

La Galilea, invece, luogo dove s'incrociano le

razze, si mischiano i linguaggi e la povertà si

mostra sfacciatamente, al pari del lusso sfrenato

del tempio.

Siamo nella minuscola Nazareth, in una mattinata

qualunque mentre le strade polverose,

accarezzate dal tepore del sole, odorano di minestre

e di bucato fresco.

Un giorno qualunque per gli uomini ma meticolosamente

appuntato sull'agenda di Dio: nel

sesto mese (Lc 1,26).

Dio riprende il suo "lavoro" creato, uscito dalle

sue mani, il sesto giorno per le finiture ultime,

gli ultimi ritocchi perché per mezzo del Figlio

si possa definitivamente passare "all'uomo del

settimo giorno" amato, redento, salvato.

E Maria, argilla ancora fresca sotto le mani del

Vasaio divino, sta per diventare vaso di grazia,

ricolmo di ogni benedizione.

Tanto bella da essere interlocutrice degli angeli.

E Gabriele, rapito dalla bellezza di questa creatura,

che fa naufragare ogni pensiero, inanella

il più bel cantico d'amore che una donna possa

mai aver ricevuto semplicemente utilizzando

due parole: chaire Kecharitomene, gioisci piena

di grazia (Lc 1,28).

"Gioisci!". È un imperativo,

un comando.

Maria deve gioire perché

è "colmata, riempita

di grazia".

Dio le ha già detto il suo

"sí", l'ha già scelta e ora,

come un innamorato

galante, invia un suo

emissario mentre rimane

sulla porta socchiusa

a perdersi negli occhi belli e puri di questa fanciulla.

E la giovane Miriam di Nazareth cerca di comprendere,

vuole fidarsi, vuole affidarsi ma stupita

davanti al divino, vuol capire.

Gabriele, l'Angelo latore di lieti annunci la rincuora:

"Fidati! Il Signore è con te".

Lui, il Santo, "l'Io ci sono" è l'Emmanuele, il

"Dio con", il Dio che non ama la solitudine.

E se Adamo cercato da Dio si nasconde, Maria

cercata da Dio, canta il suo "Eccomi!" professandosi

"serva", proprietà di Dio (Lc 1,38).

Se kecharitomene, "colmata di grazia", è il

nome che Dio usa per la sua creatura, la creatura

al cospetto di Dio, deve professarsi, deve

chiamarsi "serva", sua proprietà.

"E l'angelo partì da lei" (Lc 1,38) per andare

per le strade del mondo ad annunciare ad ogni

uomo che siamo amati da Dio, colmati della

sua grazia mentre Dio, in punta di piedi, aspetta

il nostro "eccomi" per festeggiare un amore

che non avrà mai fine.

21.12.2020

LOCRI, LA SIGNORA TUTTA CUORE

Nel primo pomeriggio

di ieri il

mio telefono ha

cominciato a vibrare.

Messaggi e foto.

Una barca arenata sulla spiaggia, un centinaio

di profughi, macchine dei carabinieri e già i

primi volontari capeggiati dal sindaco.

Tutti, grandi e piccoli pronti a dare, pronti a

fare.

I ragazzi scout che cercano di organizzarsi.

I capi scout già sul posto che si alternano con

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gli adulti del Masci per smistare roba e montare

brandine.

I volontari Caritas che vengono a prendere tutto

quello che abbiamo in dispensa.

L'Azione Cattolica che attinge dalla dispensa e

dagli armadi delle proprie case.

E poi Croce rossa, associazioni, volontariato,

amministrazione, cittadini, attività commerciali

e ristoranti.

Tutti, in una gara interminabile di solidarietà.

Mentre celebro Messa, il mio telefono si riempie

di foto, di messaggi, di tanta disponibilità.

Mi arriva la foto di una bambina piccolissima,

dagli occhi scuri e profondi. Scuri come il terrore

da cui scappa. Profondi come la speranza

che già la abita. È scalza. Ha i piedi sporchi.

Ha una busta di plastica in testa. E sfoggia il

più bel sorriso del mondo di fronte ad un pallone

sgonfio.

È già Natale, penso.

Cristo è nato in anticipo e quest'anno ha deciso

di nascere a Locri. E i locresi, dal cuore grande,

inscenano il più bel presepe che questa città

Riflessioni di un prete

abbia mai avuto. Gente che porta doni. Poveri

veri, profughi proprio come Maria e Giuseppe,

che non hanno casa, non hanno nulla e chiedono

di essere ospitati.

Si sente l'odore del sudore, si vedono piedi e

mani sporche, si avverte la gioia di essere comunità.

E anche la chiesa, quella bella, fatta non soltanto

di tonache ma di tanti laici impegnati, stavolta

c'era.

E come per magia la stella cometa della solidarietà

si ferma sul "Palazzetto dello sport" di

Locri mentre, moderni pastori, vanno a rendere

omaggio alle carni vere di Cristo che ieri ci

ha visitato.

Ho il cuore che mi scoppia di gioia.

Onorato di servire questa Comunità.

Fiero di essere con voi, uno di voi.

Locri, quando si tratta di generosità, non delude

mai.

Ha il cuore grande, capace di accogliere il

"mondo".

Perché Locri è la Signora tutta cuore.

27.12.2020

DIO, PADRE CHE AMA

CON CUORE DI MADRE

Dalla mangiatoia di Betlemme dove Angeli,

pastori ed animali si prostrano per adorare il

"segno", il Bambino avvolto in fasce, al tempio

di Gerusalemme, splendente di maestosità e

bellezza.

Una coppia di giovani sposi, Maria e Giuseppe.

Due anziani vegliardi, profeti, Simeone e Anna

dal cuore giovane perché abitato dall'attesa che

rinvigorisce i giorni.

Ad accogliere il Signore non ci sono i sommi

sacerdoti e gli scribi, troppo intenti ad amministrare

il culto che rimpingua le casse, né i farisei

sperduti nei mille meandri di una "legge"

ormai troppo pignola e severa per essere di origine

divina.

Ad accogliere il Dio bambino, braccia stanche

di vecchiaia, rinvigorite dalla gioia, che si spalancano

per accogliere la Promessa mantenuta:

«Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che

non avrebbe visto la morte senza prima aver

veduto il Cristo

del Signore» (Lc

2,26).

Braccia di vecchi

che reggono

tutto il peso di

Dio nascosto in pochi chili di carne umana, in

un fagotto appena nato.

E il canto che sgorga dal cuore, fiorisce sulle

labbra: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo

vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei

occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te

davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e

gloria del tuo popolo, Israele» (Lc 2,29-32).

Mentre Maria e Giuseppe «si stupivano delle

cose che si dicevano di lui» (Lc 2,33) continua

la profezia di Simeone: «Ecco, egli è qui per la

caduta e la risurrezione di molti in Israele e come

segno di contraddizione – e anche a te una spada

trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri

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Riflessioni di un prete

di molti cuori» (Lc 2,34-35).

La fede non ci allontana dalla vita reale, dal dolore,

dalle prove.

La fede non anestetizza la quotidianità ma

come per Maria, anche per noi, il momento

della "spada" lascerà il posto al progetto di Dio:

"Egli è qui per la risurrezione di molti".

Ed Anna «sopraggiunta in quel momento, si mise

anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti

aspettavano la redenzione di Gerusalemme» (Lc

2,38). Abitata da una rinnovata giovinezza dello

Spirito diventa anch'essa "profeta", discepola

e testimone, anticipando, in una società

fortemente maschilista e patriarcale, le scelte di

quel Gesù che avrà cura e rispetto anche per il

ruolo delle donne.

Perché il nostro Dio è il Dio di tutti, è Padre che

ama con cuore di Madre.

30.12.2020

FINISCE IL 2020... AUGURI ?

Mentre l'anno volge al termine, penso a cosa

augurarvi.

In questo anno abbiamo toccato con mano la

nostra fragilità, abbiamo sperimentato la solitudine,

la mancanza di abbracci e l'assenza

di relazioni libere, di una semplice stretta di

mano. Ci siamo persi la serenità che nasce da

una bocca sorridente, la pace che nasce da una

pacca sulle spalle, la libertà di andare a cena

con amici e sentire il vociare e i sorrisi della

gente che, come noi, cercava ristoro nel trascorrere

una "serata diversa".

Abbiamo gli occhi pieni di notizie che annunciavano

quotidianamente il numero dei decessi

e degli infettati. Abbiamo le orecchie piene del

silenzio assordante di una Piazza San Pietro

deserta mentre il Papa, da solo, benediceva il

mondo intero. Abbiamo nel cuore il brivido di

ricominciare un'apparente normalità quando

nei mesi estivi, per un attimo, pensavamo che

tutto stesse per finire.

Coltiviamo il sogno che, presto, il vaccino possa

restituirci una vita piena.

Il Vangelo di oggi ci presenta l'immagine bella

di Anna, consueta abitante del tempio che, non

risparmiata dalle prove della vita, si dedica

agli altri, all'Altro.

«Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito

sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta

vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non

si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e

giorno con digiuni e preghiere» (Lc 2,36-37).

Mi piacciono le pennellate, brevi, intense, veloci,

con cui Luca ci restituisce il ritratto di questa

donna.

Mi piace interpretare liberamente quanto Luca

dice. "Aveva vissuto

sette anni col marito.

Era poi rimasta vedova".

Sette. Un numero che indica pienezza, perfezione,

completamento.

Poco tempo, sette anni ma vissuti profondamente,

in ogni attimo, in ogni istante, in ogni

respiro, in ogni battito. "Era poi rimasta vedova".

La vita anche a lei non ha risparmiato il dolore.

Eppure diventa maestra dell'accettazione.

Eppure ci insegna l'arte del ricominciare: "non

si allontana mai dal tempio, servendo Dio notte

e giorno". La casa di Dio diventa la sua casa.

Il servizio, lo scopo della sua vita.

E Dio lo si può servire in molti modi, anche attraverso

i fratelli.

Una vita di servizio fatta di preghiere e digiuni.

Bellissimo!

Perché anche il servizio diventa preghiera.

Perché anche il servizio diventa digiuno: si rinuncia

a se stessi, al proprio tempo per metterlo

a disposizione degli altri.

E poi esistono altri digiuni. Anche quello del

parlare. «Sopraggiunta in quel momento, si mise

anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti

aspettavano la redenzione di Gerusalemme» (Lc

2,38). Ed Anna, parca di parole, usa la bocca

per bene-dire. Una donna che parla con Dio o

di Dio. È da questa donna "marginale", presente

nei Vangeli, che scaturiscono i miei auguri

per il nuovo anno.

Ognuno di noi, graffiato dalle prove della vita,

dalle difficoltà di questo "anno strano", possa

reagire come Anna.

Ognuno di noi possa lodare Dio nonostante

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tutto. Ognuno di noi possa scoprire la bellezza

del rapporto con il Signore.

Ognuno di noi possa profumare di diaconia.

Riflessioni di un prete

E alla fine cosa augurarvi, cosa augurarci?

Un ritorno alla vita normale.

01.01.2021

BRILLARE IN MEZZO AL BUIO

Questa notte mentre l'aria si riempiva di frastuono

e colori dei mille fuochi d'artificio che

davano il benvenuto al nuovo anno, per dei

lunghissimi minuti sono rimasto col naso

all'insù (proprio come i bambini) a guardare

una lanterna cinese, che liberata da chissà chi,

si librava lentamente nel cielo.

Una lanterna di carta. Abitata dal fuoco. Sfidando

il freddo e l'oscurità, saliva sempre più

in alto, verso la luna, per poi scomparire nel

cielo. Senza fare rumore. Da sola.

Eppure tra i mille fuochi d'artificio è quella che

mi ha colpito di più, riempiendomi di stupore.

Mi piace immaginarla come metafora dell'uomo.

Dell'uomo buono.

Creatura fragilissima (come la lanterna di carta)

però (anch'esso) abitato dal fuoco che illumina

e riscalda il freddo e il buio di mille notti

da attraversare, da affrontare.

E proprio come la lanterna, è chiamato a librarsi

in altezze inimmaginabili, verso il cielo, senza

fare rumore. Perché il bene non fa rumore.

Eppure lascia indelebile, negli occhi di chi

guarda, la luce e il suo fluire lento e silenzioso,

fino a scomparire

nell'immensità

del Cielo.

La liturgia della

Parola di oggi si apre con queste parole: «Così

benedirete gli Israeliti: direte loro: Ti benedica il Signore

e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere

per te il suo volto e ti faccia grazia» (Nm 6,23-25)

Il Signore comanda di dire-bene. È difficile.

Il male è molto più rumoroso, manifesta con

chiasso l'insoddisfazione di chi parla come se

denunciare, sottolineare il male degli altri, ci

rendesse persone migliori.

Il bene è silenzioso. Perché è difficile anche raccontarlo.

Ma bene-dicendo il Signore fa brillare

il suo volto su di noi, sull'altro.

Ed ecco che diventiamo abitati dalla Luce e, al

contempo, abitatori della Luce.

E piano, piano, silenziosamente, cominciamo

ad elevarci verso altezze inimmaginabili.

E, ve l'assicuro, brillare in mezzo al buio è bellissimo.Questa

notte me ne sono accorto.

03.01.2021

E VENNE AD ABITARE

IN MEZZO A NOI

«E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo

a noi» (Gv 1,14).

Natale, da sempre, è tempo di storie, di racconti.

E Giovanni, nella liturgia di oggi, decide di raccontarci

la Storia, quella di Dio che sceglie di

abbracciare quella dell'uomo profumandola di

salvezza, divinizzandola.

Dio, il totalmente altro si fa prossimamente vicino,

il Dio forte si fa debole, sprofonda nelle

vicende della terra perché la terra si amalgami

definitivamente con il Cielo.

Il Verbo si è fatto carne.

Espressione intensa che ci racconta la solidarietà

di Dio che non diviene soltanto uomo

ma che incarna (appunto) la nostra mortalità,

la nostra fragilità, la nostra esistenza, le nostre

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fatiche.

"Il Verbo si fece carne", verità di fede che ci

dona la solidarietà di Dio.

Il Verbo di Dio, la sua Parola diventa Emmanuele,

Dio-con-noi.

Parola creatrice, la sua, che stabilisce ordine nel

caos che benedicendo crea.

Dio è nato, abbiamo celebrato il Natale.

Ora è tempo di viverlo, è tempo di nascere per

Riflessioni di un prete

l'uomo incarnando nelle nostre vite quella Parola,

quel Verbo affinché anche le nostre parole

possano diventare creatrici annunciando la salvezza,

costruendo relazioni, creando un mondo

nuovo.

Il Verbo è venuto ad abitare in mezzo a noi, in

noi. Ci ha portato la vita di Dio e da allora la

mia umanità, la nostra umanità, intrisa di Dio,

può emanare l'odore del cielo.

17.01.2021

“CHE COSA CERCATE?”

«Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano,

disse loro: "Che cosa cercate?". Gli risposero:

"Rabbì – che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?".

Disse loro: "Venite e vedrete"». (Gv 1,38-39).

È uno di quei brani in cui ogni parola si porta il

fuoco cucito addosso.

Roba forte che ti schianta il cuore se solo pensiamo,

ricordiamo, che anche per noi, nella

nostra vita, c'è stato un istante in cui abbiamo

celebrato questo Incontro.

"Che cosa cercate?"

Dio inizia sempre un rapporto, riconducendoci

alle ragioni della nostra vocazione.

Che cosa cerchiamo? Perché lo cerchiamo? Siamo

disposti a lasciarci mettere in discussione

dalla Sua Parola?

Siamo all'inizio del racconto evangelico di Giovanni,

siamo ai primissimi istanti della vita

pubblica del Rabbì e d'ora innanzi, Gesù, sarà

cercato da una folla famelica di miracoli, segni

e prodigi.

Per questo in modo netto, chiaro, diretto, Gesù

pone una domanda esistenziale che potrebbe

dare senso, profumo, ad una vita intera, ad un

progetto di vita all'insegna della sequela.

Ed è bella e sorprendente la risposta dei primi

discepoli: "Maestro, dove abiti?"

Come pesci sono ormai intrappolati nelle reti

del "ladro di cuori".

La loro è una richiesta pudica che cela desideri

più sfacciati: cerchiamo te, perché vogliamo

stare con te.

E Lui comprende che "l'ora del Regno" è giunta,

capisce che bisogna assoldare vite, cuori,

braccia perché da lì a poco, la messe sarebbe

diventata molta,

perché la folla si

sarebbe evoluta in

Comunità.

E Lui, sapiente costruttore

della casa

sulla roccia, getta

le fondamenta:

"Venite e vedrete".

"Venite": verbo "di

piedi" che mette in

moto tutta la persona che indica (già) una direzione

da seguire.

"Vedrete": verbo di "testa" che dona il sapore

dell'esperienza perché se vedo, conosco.

E se Lo conosco, me ne innamoro.

E tra "piedi" e "testa" si colloca tutta la persona,

tra "piedi" e "testa" vi abita il cuore.

«Andarono dunque e videro dove egli dimorava e

quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro

del pomeriggio» (Gv 1, 39).

Le quattro del pomeriggio.

Un'ora ben precisa che si imprime indelebilmente

nel cuore.

Un'ora ben precisa in cui l'esistenza dei primi

Apostoli ha iniziato ad essere graffiata dalla

Sua presenza.

"Un'ora ben precisa" che, ne sono sicuro, ognuno

di noi conserva nel proprio intimo: l'istante

in cui anche noi abbiamo incontrato il Signore.

Tutti, come custodi gelosi, serbiamo i ricordi

delle nostre "quattro del pomeriggio" del giorno

in cui Lui, fissandoci, ci ha scavato l'anima

con un semplice invito: "Venite e vedrete".

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Riflessioni di un prete

24.01.2021

“VENITE DIETRO A ME”

«Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella

Galilea, proclamando il vangelo di Dio» (Mc 1,14).

Ci sono momenti nella vita che sembrano i

meno opportuni, secondo la logica del mondo.

Ci sono momenti nella vita, quelli che sembrano

i meno opportuni, in cui Dio decide di agire,

di abitare con forza l'ordinario, di manifestarsi

come l'Emmanuele.

Dopo trent'anni di vita privata, mentre Giovanni

viene arrestato, Gesù raccogliendo il testimone

dell'ultimo grande profeta e del primo

dei suoi discepoli, abbandona il silenzio della

sconosciuta Nazareth e sognando in grande,

decide di incendiare il mondo con la gioia della

lieta notizia.

E Lui, Parola incarnata, comincia il ministero

dell'annuncio dei tempi maturi che ormai hanno

l'odore dei frutti di grazia, facendosi eco di

colui che era voce che grida nel deserto: «Il tempo

è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi

e credete nel Vangelo» (Mc 1,15).

Giovanni finisce la sua missione, Cristo ne intesse

gli inizi. Il messaggio è lo stesso, manifesta

la perenna validità della Verità.

E lo immagino col passo infuocato di sollecitudine

evangelica che passa "lungo il mare di

Galilea" mentre affilava le armi della seduzione

per attrarre a sé i cuori di quanti, stanchi ed

oppressi, avrebbero sussultato di vita nell'incrociargli

lo sguardo che proclamava l'inizio

del tempo di grazia.

Passo di fuoco, quello del giovane Rabbí, che

spegne le acque del mare perché Dio tende la

mano, le promesse giungono a compimento e i

cieli, gravidi di attesa, partoriscono grazia.

«Vide Simone e Andrea (...) Venite dietro a me (..)

vide Giacomo, figlio

di Zebedeo, e Giovanni

suo fratello, mentre

anch’essi nella barca

riparavano le reti. E

subito li chiamò. Ed

essi (...) andarono dietro

a lui» (Mc 1,16-

20).

Cristo vide due coppie di fratelli e chiese loro

di voler vivere da figli. Li fissò, ne lesse l'anima

e se ne innamorò perdutamente.

Gente povera, gente di mare temprata dalla

vita che non seppe resistere allo sguardo che

prometteva cose grandi e conquistati, tessono

le fila del canovaccio di ogni chiamata: un incontro

sul mare della vita, uno sguardo che diventa

invito e l'eccomi generoso, realizzato che

diventa gioia.

Abituati a resistere alle bufere marine non seppero

contrastare la tempesta provocata dalla

chiamata, s'arresero alla Parola che aveva la

forza dirompente delle onde di un mare tempestoso

che sgretolava la loro quotidianità di

sabbia, per invitarli a diventare realizzatori del

sogno di Dio.

«Vi farò diventare pescatori di uomini» (Mc 1,17) .

A pescare pesci c'erano abituati.

Troppi sul mare di Galilea condividevano lo

stesso mestiere ma ora, a loro, veniva promesso

l'impossibile: diventare "pescatori di uomini".

Mollano le reti, la barca, gli affetti e, subito,

corresponsabili nel progetto di Dio, scoprono

che l'impossibile umano è il possibile di Dio e

che lasciandosi sedurre diventeranno, alla sua

scuola, seduttori di uomini in attesa, con la forza

della Parola che arreca salvezza.

31.01.2021

FATTI DA PARTE SATANA…

"Giunsero a

Cafàrnao e subito

Gesù, entrato di

sabato nella sinagoga,

insegnava" (Mc 1,21).

Il gruppo dei primi "pescatori di uomini" è

formato e immediatamente, secondo quanto

riportato da Marco, comincia la meravigliosa

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avventura dell'annuncio, abitato dallo stupore,

dalla meraviglia dei suoi ascoltatori.

Parole vive, quelle di Gesù, che svelano gli arcani

misteri del Regno di Dio, presente qui e

ora e che ne rivelano tutta quanta la spavalda

bellezza.

Il suo è un insegnamento autorevole, nuovo

che sostenendoti nel cammino, spalanca gli

orizzonti, rende puro lo sguardo, propone sentieri

di eternità.

E lui, Dio fattosi uomo, cantore di storie di cielo,

scomoda scribi e farisei e persino gli spiriti

impuri gli rinfacciano tanta bellezza abitata da

parole autorevoli: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno?

Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo

di Dio!» (Mc 1,24).

A Cafarnao, terra di confini e di reti riassettate,

lì dove il "mare" lambisce la terra, inizia la vittoria

sul male. Lo sanno i demoni che gli urlano

addosso mentre lui li affronta con la Parola

di Verità, deciso a riscattare per sempre l'uomo

per ricondurlo alla genesiaca bellezza.

La stupidità del maligno, ancora una volta, non

comprende che l'opera di Dio comincia non per

rovinare ma per redimere.

E i demoni, stolti, perdono anche questa occasione.

«Taci! Esci da lui!» (Mc 1,26).

Fatti da parte satana perché è giunto il tempo

di Cristo!

Sono maturati i tempi messianici e il Maestro va

Riflessioni di un prete

a scovare il male per spodestarlo, per sbattergli

sul muso l'inutilità dei suoi sforzi e dei suoi

mille sotterfugi. E la lotta inizia all'interno di

una sinagoga, in un luogo santo perché anche

lì l'antico tentatore, vestito con gli abiti buoni

della domenica, partecipa al culto mentre cerca

pertugi per avvelenare il cuore dell'uomo e

prendervi dimora.

«Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato

con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e

gli obbediscono!» (Mc 1,27).

I primi discepoli non comprendono, la gente

non capisce, scribi e farisei, costernati, hanno

già deciso di non piegarsi di fronte alla sua autorevolezza.

Il suo insegnamento, nuovo, è fatto di gesti cesellati

dalle parole, di sguardi che diventano

tocco, di voce che si trasforma in vita.

«La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la

regione della Galilea» (Mc 1,28).

È il primo intervento di questo giovane Rabbí

che da subito ingaggia la guerra al male mentre

"subito" il bene inizia a diffondersi.

In tutta la regione. In tutta la Galilea.

La luce, pian piano, dirada nubi e tenebre.

E Gesù mentre si affaccia per la prima volta sulla

scena della "vita pubblica", inizia ad essere

una "rovina". Bruttissima per gli iniqui operatori

di male. Bellissima per quanti, innamorati

di lui, decideranno di seguirlo.

07.02.2021

UOMINI E DONNE “IN USCITA”

Come luce che lentamente sorge rischiarando

e avvolgendo il mondo, così inizia a spandersi

il lieto annuncio della novella annunciata dal

giovane Rabbí di Nazaret.

Gesù, cantore di messaggi divini, esce dalla sinagoga

ed entra in casa di Pietro.

Entra definitivamente nella quotidianità, nella

vita degli uomini perché questo, d'ora innanzi,

sarà lo spazio abitato da Dio.

Qui sarà possibile incontrare il Signore.

Il nostro Dio, il Dio di Gesù Cristo, si spoglia

della solennità per vestirsi "in borghese", per

abitare l'ordinario.

Lì trova la suocera

di Pietro ammalata.

I discepoli gliene

parlano, senza

nulla chiedere e il

Maestro di misericordia

si avvicina,

si fa prossimo,

tende la mano

e, letteralmente,

dice il testo, la fa "risorgere".

E lei, toccata dalla grazia, diviene "diacono", si

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mette a servire.

«Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli

portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta

la città era riunita davanti alla porta» (Mc 1,32-33)

La porta di un umile casa di Cafarnao, diviene

"fontana del villaggio" dove tutti gli assetati di

grazia, accorrono per saziare la propria sete.

La soglia della porta di casa, come Cafarnao, è

luogo di confine, diventa il luogo dell'annuncio,

della realizzazione delle promesse di Dio.

Riflessioni di un prete

In poche righe il Vangelo regalatoci quest'oggi,

tratteggia il volto di tutti coloro che, d'ora innanzi,

si metteranno alla sequela di Gesù: uomini

e donne "della soglia", uomini e donne "in

uscita".

I confini diventano spazi che i discepoli, ormai

risorti, toccati dall' Incontro, sanati dalla carezza

della Parola, devono abitare per annunciare,

dialogare e servire.

14.02.2021

LASCIAMOCI TOCCARE DA DIO

«Venne da lui un

lebbroso, che lo

supplicava in ginocchio

e gli diceva:

"Se vuoi, puoi

purificarmi!"».

(Mc 1,40)

Non esistono malattie

belle ma essere

lebbroso significa

essere un

già morto, un cadavere che cammina.

Hai la pelle che si sfalda, il corpo che si deturpa,

le relazioni vengono meno perché tutti s'allontanano

per non essere contagiati, infettati.

E mi suscita immensa tenerezza quest'uomo

che armato di grande coraggio, sfida le leggi

rituali e va incontro al Signore.

Si avvicina e si inginocchia.

Un gesto di estrema tenerezza che serve a mantenere

le "distanze di sicurezza".

E la preghiera, tanto bella quanto disperata ma,

sempre, rispettosa, diventa canto che commuove

il cuore di Dio: "Se vuoi, puoi purificarmi".

Non chiede la guarigione.

Chiede di essere "puro" perché possa, almeno,

comparire al cospetto di Dio, possa almeno, vivere

di questa relazione.

«Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli

disse: "Lo voglio, sii purificato!". E subito la lebbra

scomparve da lui ed egli fu purificato» (Mc 1,41-

42). Ne ebbe compassione.

È questione di viscere, di cuore, di Dio.

Quando l'Uomo dei miracoli incontra la sofferenza,

sente con la sensibilità di Dio, patisce-con

l'altro, arresta le leggi del mondo, stende

la mano (proprio come il Dio della Genesi)

e tocca. Tocca.

Non basta il guarire. Non basta il farsi prossimo,

il compatire. Vuole esprimere tutta la

vicinanza, la prossimità vera, fatta di sensi,

di fisicità. Ed è lì che sboccia il Regno di Dio,

in un tocco che diventa carezza che lenisce e

guarisce. In un tocco che rende presente, vivo,

vero, un Dio che ormai "c'è" nella storia degli

uomini, che penetra nelle vite che sanguinano

che si sfaldano e che si mescola in esse in nome

di una compassione che gli arde nel cuore.

"E subito la lebbra scomparve" (Mc 1,42)

Oggi è la festa degli innamorati, San Valentino.

Come anime spesso deturpate dalle diverse

forme di lebbra che ormai ammorbano il mondo,

lasciamoci toccare dal Dio che ha i capelli

abitati dalle stelle e i piedi sporchi della nostra

terra.Lasciamoci toccare, guarire, purificare.

E si celebrerà l'amore più bello. Auguri teofili,

innamorati di Dio.

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Riflessioni di un prete

21.02.2021

TEMPO DI “RESTART”,

DI RIPARTENZA

La Quaresima è il tempo del "restart", della ripartenza.

E anche la Parola della prima domenica

di questo tempo santo che stiamo vivendo,

sembra suggerirci che occorre fermarsi e ripartire.

Ricominciamo dai primissimi versetti del Vangelo

di Marco che già ci aveva accompagnato

nelle precedenti domeniche del tempo ordinario.

Ricominciamo a suonare a quattro mani la

melodia della nostra vita con l'aiuto e la compagnia

di Dio.

«E subito lo Spirito lo sospinse nel deserto e nel

deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana.

Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano»

(Mc 1,12-13).

Ricominciamo da dove la "Storia" si era interrotta:

Dio aveva creato l'uomo e l'aveva posto

in uno splendido giardino.

L'uomo, ammaliato dalla tentazione, dalla voce

suadente del serpente che lo invitava a fare a

meno del suo Creatore, aveva tradito Dio.

E in Genesi 3, dopo averci raccontato che Adamo

tradendo Dio scopre soltanto la sua nudità,

ci dice che viene cacciato dall'Eden, da quel

giardino che senza l'uomo, senza l'armonia primigenia,

sarebbe diventato deserto.

Ed eccolo, Lui, il Rabbí di Nazareth che secondo

il racconto di Marco, dopo il battesimo, dallo

stesso Spirito che su di lui era sceso, viene

sospinto nel deserto.

C'è il deserto.

Ci sono gli angeli.

Ci sono le bestie selvatiche.

C'è la tentazione.

C'è anche l'Uomo-Dio.

A cambiare, però, è il finale.

Il deserto rifiorisce, Gesù convive con le bestie

e gli angeli che lo servono e il tentatore inizia a

sperimentare la sua rovinosa sconfitta.

Pochissimi versetti quelli di Marco che si concludono

con una certezza: «Gesù andò nella Galilea,

proclamando il vangelo di Dio, e diceva: "Il

tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi

e credete nel Vangelo"» (Mc 1,14-15).

I tempi sono maturi, il cielo gravido di grazia

partorisce la salvezza.

E il deserto comincia a rifiorire.

28.02.2021

BISOGNA RIDISCENDERE “A VALLE”

Domenica scorsa la Parola ci conduceva nel deserto,

nell'abisso di sabbia e rocce, oggi la liturgia

ci porta "su un alto monte", dove la terra

penetra il cielo.

Domenica scorsa il Vangelo raccontava la bruttezza

della "tentazione", questa Domenica il

Vangelo ci aiuta a intravedere l'infinita bellezza

che alberga nel cuore di Dio.

Una mattina come una di queste, dove ti senti

abitato dalla gioia perché il sole, tiepido, accarezza

le ore e profuma l'aria di fiori, «prese

con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su

un alto monte, in

disparte, loro soli»

(Mc 9,2).

Su un alto monte,

dove occorre "salire"

per lasciarsi

alle spalle la "pianura"

della quotidianità.

«Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne,

una per te, una per Mosè e una per Elia»

(Mc 9,5).

12


Riflessioni di un prete

È Pietro, testa dura e cuore tenero e generoso

che parla anche a nome dei "figli del tuono",

Giacomo e Giovanni che insieme con lui hanno

goduto della "confidenza" dell'Amico che si

mostra, finalmente, in tutta la sua sfolgorante

bellezza.

Tre apostoli su dodici, da Lui scelti, hanno il

privilegio di scalare il crinale del Tabor per far

scorta di bellezza, per trovare il coraggio necessario

per salire, affrontare un altro monte: il

Calvario.

E di fronte all'incanto di un semplice assaggio

di Paradiso su quel pezzo di terra abitato dal

cielo, è comprensibile l'avventata richiesta di

Pietro: "È bello per noi restare qui, vogliamo

fermarci, porvi delle tende".

È una tentazione forte che ci attraversa tutti,

quando pensiamo di fermarci dove assaporiamo

la gioia e ci dimentichiamo, però, che altri

sono rimasti "a valle".

Allora bisogna ridiscendere verso la pianura,

ricominciare il cammino della quotidianità insieme

agli altri, e insieme, in cordata, avviarsi

verso la faticosa salita del Calvario per affrontare

la durezza della Croce e lì, con meraviglia

scoprire che il volto di Dio crocifisso è ancora

più bello, totalmente trasfigurato dall'amore.

Il Tabor è un momento.

Il Calvario è necessario perché la Risurrezione

sia definitiva.

«Venne una nube che li coprì con la sua ombra e

dalla nube uscì una voce: "Questi è il Figlio mio,

l’amato: ascoltatelo!"» (Mc 9,7).

È questione di fiducia.

È sempre questione di "ascolto".

È Parola di Dio.

07.03.2021

DIO NON SI PUÒ COMPRARE

Il tempio aveva ormai raggiunto il massimo

splendore e le pietre di cui era fatto, baciate

dalla luce e carezzate dai pii ebrei, sembravano

rendere gloria più all'uomo che al Dio che doveva

abitarlo.

Pullulante di gente in cerca di perdono e straripante

di animali che già portavano l'odore del

sacrificio.

Una spruzzata di sangue dell'animale scannato

e mentre le casse si riempivano di monete

tintinnanti, gli uomini uscivano alleggeriti dai

peccati mentre le caste sacerdotali diventavano

più appesantite per i grossi introiti.

Non c'era più spazio per Dio in quello che doveva

essere il luogo più sacro della terra in cui

l'Altissimo aveva posto lo sgabello dei suoi piedi.

«Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò

tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi;

gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne

rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse:

"Portate via di qui queste cose e non fate della

casa del Padre mio un mercato!"» (Gv 2,25-16). Ci

prova il Cristo a ridonare la libertà da una novella

forma di schiavitú ammantata di sacro.

Lui abitato da uno zelo furibondo incontra l'interesse

farisaico calcolante: «Quale segno ci mostri

per fare queste cose?» (Gv 2,18).

Bigotti delle abluzioni e di una presunta purità

rituale ma col cuore abitato da contraffazione

e sopraffazione continuano a chiedere un ulteriore

segno e non s'accorgono della Presenza,

del Reale che è ormai manifesto.

«Rispose loro Gesù: "Distruggete questo tempio e in

tre giorni lo farò risorgere"» (Gv 2,19).

Satanasso sconfitto nel deserto trova il modo

per scatenare l'inferno: poche parole di Gesù

che già diventano per Lui capo d'accusa e di

condanna a morte.

Dio non si può comprare, con Lui non è possibile

mercanteggiare perché Lui ama.

Ama follemente. Ama gratuitamente. Tanto da

morirne.

- 13 -


Riflessioni di un prete

08.03.2021

Oggi vorrei ricordarle tutte.

Loro.

Quelle che impugnano i giorni, le ore, i minuti

per farne un capolavoro.

Quelle sicure, graffiate dalla fatica del vivere o

quelle forti che nascondono mondi fragili avvolti

in dolori di seta.

Quelle che in silenzio, per paura, hanno sopportato

e quelle che oggi, finalmente, con dignità

rivendicano diritti col corpo sporcato di

vita. Romantiche ricamatrici di sogni o concrete

esperte del fare.

Di successo, in carriera o quelle cui nessuno

LORO

presta attenzione, abbandonate o dimenticate.

Quelle di strada o mogli devote, consacrate o

abitate dalla libertà, mai perse quelle che usano

bellezza, testa e cuore.

Quelle che sanno ancora volare tra gli alberi

fioriti che intonano per loro melodie o quelle

che nell'anima combattono per riappropriarsi

di un briciolo di serenità.

Mai deboli.

Sempre, semplicemente DONNE.

A loro nessun augurio della durata di un giorno

ma soltanto il mio GRAZIE che dura per

sempre perché la vita dell'uomo, con loro, è

una perenne festa di primavera.

14.03.2021

UN MENDICANTE DI LUCE

È un mendicante di luce, Nicodemo che di notte

va alla ricerca di risposte.

È un dottore della legge che non ha il cuore

abitato da certezze ma dall'inquietudine della

ricerca che gli ottenebra il cuore e che lo spinge

a cercare la Verità.

Lo fa di notte perché ha paura di farsi vedere,

ha paura di "perderci la faccia".

La Verità, rispettosa dei tempi e dei modi di

ognuno, lo accoglie e lo orienta aiutandolo a

comprendere Dio, svelando la perenne novità

dell'inatteso, del suo amore traboccante, straripante:

«Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare

il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non

vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16).

Cristo è inviato, ci tende la mano non per giudicare

il mondo, non per condannarlo ma per

salvarlo.

«E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così

bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché

chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv

3,14-15).

Anche noi dobbiamo porre Gesù al di sopra

dei nostri orizzonti limitati, dei nostri confini

asfissianti e allora,

alzando lo sguardo

verso di Lui,

contemplando

appieno l'amore

manifesto di Dio,

mai più saremo

"morsicati" dai mille problemi, dalle molteplici

dinamiche che avvelenano la nostra vita.

E la meta del cammino quaresimale che stiamo

percorrendo diventa sempre più nitida attraverso

le tappe che la saggezza della Madre

Chiesa ci sta affidando domenica dopo domenica.

Si supera il deserto, le tentazioni se scorgiamo

il volto del Trasfigurato, purifichiamo la nostra

anima dai "mercanti" che barattano gioie fugaci

in cambio di Vita, se guardiamo la bellezza della

croce che diviene salvezza.

Sia impregnato di Vangelo il nostro percorso,

olezzante di gioia e profumato di speranza perché

la mia vita, la nostra vita è già "da salvati".

14


Riflessioni di un prete

21.03.2021

BISOGNA “MORIRE” PER VIVERE

«Tra quelli che erano saliti per il culto durante la

festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono

a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli

domandarono: "Signore, vogliamo vedere Gesù"»

(Gv 12,20-21).

Da sempre i greci, appassionati cercatori di sapienza,

abitati dal desiderio di conoscere Colui

di cui hanno sentito parlare, con-dividono un

sogno.

Lo fanno con Filippo uno degli apostoli che

porta un nome greco: "Vogliamo vedere Gesù!".

Come fosse cosa di poco conto.

Volere è verbo di volontà che implica cuore,

intelletto ed anima. È desiderio che profuma

d'attesa ma che già cerca di realizzare fatti.

Vedere, invece, è spalancare le finestre del cuore

dell'uomo affinché il mondo entri dentro di

lui ma anche perché l'uomo possa andare incontro

al mondo.

Vedere è verbo di relazione, è muoversi verso,

è illuminare ciò che viene guardato per

com-prenderlo.

E il desiderio con-diviso diventa ponte di relazioni:

«Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo

andarono a dirlo a Gesù» (Gv 12,22).

C'è sempre qualcuno che deve accompagnarci

al Signore e solo attraverso il passaparola gioioso

di chi "l'Incontro" l'ha già celebrato che si

giunge a Lui.

E Cristo dal cuore già squarciato affinché tutti

possano entrarvi, tesse il racconto che indica la

via, la giusta direzione

verso cui

guardare con occhi

purificati:

«È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato.

In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano,

caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece

muore, produce molto frutto» (Gv 12,23-24)

Scrutatore e rapitore di cuori, asseconda la richiesta

ma evita fraintendimenti, rifugge l'immagine,

la mentalità comune all'uomo che cerca

gloria nell'autocelebrazione e si svuota, si fa

piccolo come un chicco di grano.

È una piccolezza, la Sua, che deve attraversare

la morte, che deve lasciarsi accogliere nel

grembo fertile della terra per esplodere ancora,

per aprirsi nuovamente alla vita.

La gente ha voglia di "vederlo" e Lui parla di

morte, di terra, di solitudine.

Fa marcire i sogni messianici di quanti lo cercano

per il potere e insegna che quanti lo seguono

devono abbandonare il vedere dei sensi per

affinare lo sguardo, per intra-vedere.

Così, dove tutti vedono morte in un seme che

marcisce, i conquistati, gli attratti da Lui già intra-vedono

spighe cariche di semi.

Perché se "muori" con Cristo, come Cristo, non

rimani solo. Mai!

Produci "frutti" carichi di Vita. Bisogna "morire"

per vivere.

28.03.2021

COME IL SOLE DOPO LA NOTTE

Siamo giunti alla meta dopo aver percorso il

cammino di questi quaranta giorni trascorsi

lentamente, accompagnati dalla liturgia nella

meditazione dei tre capisaldi consegnatici il

Mercoledì delle Ceneri (preghiera, penitenza,

prossimo) e nella comprensione del vero volto

di Dio e dell'uomo. Ora gli eventi precipiteranno,

si succederanno vertiginosamente in un incalzarsi

irruento, da togliere il fiato.

- 15 -

Finalmente

Gerusalemme!

Avanza il Cristo seduto su un puledro, bello

come un Imperatore, osannato dalla gente che

agita palme e canta inni. Il tempo di gustare

questa scena e la gente, questa stessa gente, gli

si rivolterà contro invocando il suo sangue.

Perfino Pietro, nell'orto degli ulivi, già disposto


a perdonare fino a sette volte, estrae la spada

e colpisce il nemico, pronto a imbastire una

guerra e come sempre, da "primo della classe",

prende la parola: "non lo conosco".

Tempo di rinnegarlo tre volte, attimi davanti

ad un fuoco che non è capace di sciogliergli il

gelo dell'anima.

Giuda che gode nel vedere l'ingresso messianico

di un Messia diverso, però, di come se l'era

immaginato, tradisce per soldi. È sempre lo

stesso dilemma: "o Dio, o Mammona".

E Satana scomparso nel deserto, lo insegue fin

sopra il Calvario per "tentare" l'ultima rivincita:

"se sei Figlio di Dio, scendi dalla croce".

Ma Lui, consolato da un malfattore, deciderà di

restarci, di attraversare fino in fondo il mistero

del dolore e della morte, mentre il maligno,

sconfitto, dovrà raccogliere i cocci delle sue

Riflessioni di un prete

mille illusioni frantumate.

Gusteremo la pace del Giovedì Santo, l'intimità

di una Cena che si trasforma in catino e grembiule,

in Pane e Vino.

Vivremo l'angoscia di un Venerdì che si oscura,

ascolteremo il silenzio che diventa attesa trepidante

nel giorno di Sabato.

Tutto diventerà "passione" di un Dio che, letteralmente,

patisce un amore sconfinato per

l'uomo.

Un Dio che patisce.

Sembra bestemmia eppure è realtà.

Reale come l'Amore.

E poi...l'urlo di Pasqua che ci dice che è vero:

ucciso una, dieci, cento, mille volte, Lui ri-sorge.

Sempre!

Come il sole dopo la notte.

11.04.2021

E SI PONE NEL MEZZO

Erano scappati da sotto la croce, s'erano mischiati

con la folla per sfuggire all'arresto e ora, giorno di

Pasqua, mentre la sera sembra prendere il sopravvento

sulla luce del giorno, li troviamo chiusi in

quella che era "la stanza al piano superiore", abitati

dalla paura e con i sogni sbriciolati, non più capaci

di volare, con le ali tarpate.

Una sera, però, che sarà piena di luce, preludio del

giorno senza tramonto.

«Venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: "Pace a voi!"»

(Gv 20,19).

Ritorna il Signore, ladro di cuori, fedele alle sue

promesse, per insegnare l'arte d'amare, per dimostrare

che il suo è un amore fedele che, anche se

tradito, Lui non abbandona mai.

Infrange le sbarre della paura, scardina le porte

dell'incertezza, apre i cuori e le vite chiuse.

Torna per ricordare, per insegnare come si diventa

pescatori di uomini. E si pone nel mezzo. Non

davanti, non dietro. In mezzo perché possa essere

ugualmente vicino a tutti.

E in quei cuori terremotati pianta il seme della

pace. Ne manca uno, però.

Tommaso non era "con".

L'unico, mi piace pensare, che non è abitato dalla

paura che è capace di uscire dal cenacolo per sconfiggere

il timore che paralizza e non fa vivere.

Se si è da soli, però, se non si è "con", non fai l'esperienza

del Risorto.

Perde l'appuntamento, arriva in ritardo: «Se non

vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il

mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano

nel suo fianco, io non credo» (Gv 20,25).

Ma il Risorto, otto giorni dopo, ri-torna.

Torna e tornerà.

Torna ogni qualvolta la Comunità si raduna, tornerà

alla fine dei tempi.

Fedele come un innamorato.

«Disse a Tommaso: "Metti qui il tuo dito e guarda le

mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e

non essere incredulo, ma credente!"» (Gv 20,27).

Di fronte a tanta fedeltà, di fronte a quel corpo risorto

che mantiene i segni della "passione" di Dio

per l'uomo, Tommaso blocca la mano, ritrae il

dito, apre il cuore e le braccia mentre le ginocchia

si piegano e la lingua si scioglie in una professione

di fede che ha l'intensità bruciante di una dichiarazione

d'amore: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20,28).

Un possessivo reciproco.

16


Dio è veramente "mio" quando comprendo che io

sono di Dio.

Allora non serve più il tocco delle mani, bastano

Riflessioni di un prete

gli occhi.

E il cuore.

E la gioia di Pasqua si rinnova.

18.04.2021

«PACE A VOI!»

«Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un

fantasma» (Lc 24,37).

È di una tenerezza sconfinata il Vangelo di

queste domeniche che insiste nel rincuorarci:

"È risorto! Veramente!".

Perché noi, proprio come i primi "discepoli del

Venerdì Santo", discesi dal Calvario, siamo perennemente

pronti a rassegnarci all'immagine

di un Dio ormai morto, con la stessa facilità con

cui accettiamo le pessime notizie mentre fatichiamo

a credere che nulla è impossibile a Dio.

Ed ecco che Luca imbastisce un ennesimo racconto:

loro, i discepoli che si portano il ricordo

di Lui cucito nelle loro vite, sedotti dal Suo

sguardo, mentre pensano di ritornare alle frustranti

occupazioni di un tempo, con la fatica

di chi ha sperato che veramente il Paradiso fosse

sceso in terra.

E mentre i ricordi inanellano immagini, profumi

e parole di quei tre anni vissuti affianco

all'Operatore di miracoli, rigustano l'eternità

dell'attimo in cui erano stati chiamati, scelti.

E se Lui li aveva scelti, era altrettanto vero che

loro, singolarmente, avevano scelto Lui, gli

avevano creduto, ci avevano messo l'anima nel

seguirlo.

Poi in tre giorni tutto è sembrato sgretolarsi:

una cena, un boccone di pane intinto, l'oscurità

della notte, fiaccole e catene, lance, chiodi,

martelli.

Tradimento, rinnegamento

e gallo che canta.

Una croce e una pietra

che rotolando sigilla

sogni e speranze.

«Pace a voi!» (Lc 24,36).

Tre parole, una voce

familiare e il cuore sussulta.

Ma la paura di un'ulteriore delusione fatica a

diradare le tenebre del cuore.

«Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio

io! Toccatemi e guardate» (Lc 24,39).

Quelle mani che hanno il tocco di Dio, quei piedi

che lo rendono davvero l'Emmanuele, il Dio

con noi che ci accompagna sulle strade polverose

della nostra umanità.

È Lui davvero.

«Per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di

stupore» (Lc 24,41).

L'hanno lasciato morire da solo e mentre ora

sono loro che rischiano di morire annegati nello

scoraggiamento, Lui con le cicatrici spalancate,

li ri-sceglie, li ri-chiama per ri-inviarli.

Si erano persi per un attimo per poi ritrovarsi

per l'eternità: «Di questo voi siete testimoni»

(Lc 24,48).

Per sempre!

25.04.2021

DIO CI SPIAZZA. SEMPRE

«Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria

vita per le pecore» (Gv 10,11).

È un attento osservatore Gesù.

Sa leggere nei segreti di cuori, li vaglia per coglierne

la bontà, è un attento ricercatore di tenerezza

e per questo nel raccontarci che il Re-

- 17 -


Riflessioni di un prete

gno dei cieli è realtà che impregna tutta la vita,

coglie immagini che hanno il gusto del quotidiano:

parla di pescatori, di vigne e tralci, di

farina e lievito, di chiocce e nidiate, di acqua

che disseta e pane che sfama.

E si schiera.

La sua Parola è chiara, netta, senza compromessi.

Talvolta la sua è denuncia che diventa

annuncio, mira a scardinare i ruoli di chi si ammanta

di giustizia, riabilita gli ultimi vestendoli

di misericordia.

Così è per i pastori. Bistrattati, ultimi perché

costretti a vivere con gli animali, perennemente

impuri secondo le prescrizioni legalistiche

del tempio. Lontani da Dio.

Eppure Dio ci spiazza, ci scandalizza, ci sorprende.

Sempre. Persino nell'immagine del pastore

che ha l'odore del gregge, che ha le mani

sporche di fatica e gli occhi appesantiti dalle

veglie, proprio in essi, Gesù scorge la bellezza

della tenerezza, il profumo di una vita spesa.

Il pastore viene riabilitato.

Trattato al pari dei pubblicàni e delle prostitute,

indegno di accostarsi a Dio, diventa il primo

ad accogliere l'annuncio di salvezza, interlocutore

di angeli che recano la lieta novella: "oggi

vi è nato un Salvatore".

E Lui che di vita se ne intende, sa che dietro le

mani sporche si nasconde un cuore grande.

Ecco allora che Lui, Dio, si appropria dell'immagine

del Pastore.

Il Pastore bello, dice il testo, che ama le sue pecore

e che per difenderle dona la sua vita.

Un dono che diventa vita a sua volta.

Offerta di Vita autentica, vera, piena, realizzata.

Pastore buono che cammina in mezzo alle

sue pecore, le precede per tracciare la via, per

spianare la strada, le segue per sospingerle e

incoraggiarle nel cammino.

E nei tratti più duri, quando il cammino è irto

di difficoltà, le prende in braccio, le accosta al

petto dove è possibile sentire il battito del cuore

di Dio che senza posa ripete: "Non abbiate

paura! Io sarò con voi".

Fino alla fine dei giorni.

02.05.2021

POTATURE …. FERITOIE

In un post pubblicato ieri sera, leggevo che gli

odori più buoni al mondo sono due: quello del

pane e quello della terra bagnata.

È vero!

Sarà per questo che ho sempre immaginato che

questi sono gli odori arcaici, profumi di cui è

intrisa tutta la Sacra Scrittura.

Cristo stesso se ne appropria, li interpreta, li

usa per descrivere le realtà alte/altre.

Proprio nei Vangeli di questo tempo di Pasqua

ha chiarito: "Io Sono il Pane che scende dal cielo",

profumo di pane non di manna.

Ed oggi ci fa assaporare la bellezza della terra

impreziosita dalla Vigna.

«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore.

Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e

ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più

frutto» (Gv 15,1-2).

Parole gravide di dolcezza proprio come gli

acini d'uva

che mi

immergono

nella

storia

di famiglia,

quando andare tra i filari era già gioia pregustata

nell'attesa del raccolto.

Ma prima della vendemmia, necessaria è la potatura

sapiente di mani esperte che riesce a intravvedere

(vedere dentro) una realtà che sarà

manifesta nel futuro.

Potare è arte.

È la stessa arte degli scultori che non aggiungono

ma tolgono gli eccessi della pietra perché

emerga la bellezza di un'opera d'arte.

All'opposto c'è un altro verbo: tagliare.

Significa troncare, rompere una relazione, produrre

un distacco mortifero.

18


Riflessioni di un prete

Potare e tagliare sono i due verbi su cui si staglia

il Vangelo di questo domenica.

Entrambi esprimono la logica di un Dio-viticoltore

che ragiona con la logica del togliere.

Pota e toglie affinché il frutto sia più abbondante.

Taglia e toglie tutto ciò che assorbe linfa di

vita divina e non produce frutti di com-Unione.

Entrambi i verbi, però, esprimono la cura di

Dio per la sua vigna.

Amore che passa anche attraverso i tagli, le ferite,

le sfoltiture.

Noi non dobbiamo aggiungerci nulla, dobbiamo

solo permettere alla linfa divina di scorrere

nelle nostre vene e, docili, accettare le potature

di tutti quegli spigoli che rischiano di renderci

sterili.

Ed è bello costatare dalle parole di Gesù questa

certezza: non dobbiamo correre il rischio di

pensare che da soli possiamo correggere i nostri

limiti.

Sarebbe un'inutile distrazione, un distoglierci

dall'impegno di portare frutti, un ripiegarsi su

noi stessi che ci svierebbe dal vero obiettivo:

frutti di comunione.

Ecco, allora, la frase che ci ricolloca, ci aiuta a

prendere la giusta distanza da noi stessi, ci fornisce

consapevolezza: «Chi rimane in me, e io

in lui, porta molto frutto, perché senza di me

non potete far nulla» (Gv 15,5).

L'uomo, insomma, è una vera opera d'arte su

cui Dio costantemente si piega.

E la sua carezza continua a perfezionarne i particolari,

le sue potature sono feritoie da cui permea

quella grazia che ci pervade.

09.05.2021

L’ODORE DELLA

GIOIA PIENA

Ci sono pagine evangeliche che più di altre

hanno l'odore della gioia piena. Lo avverti che

quando le leggi ti impregnano di quel profumo,

senti la necessità di soffermarti per gustare

ogni singola parola, accuratamente scelta,

scrutata, pronunciata e che ti cesella l'anima, la

vita, il cuore.

Di questa stoffa è fatto il Vangelo di oggi imbastito

da termini che parlano di scelta, di amicizia,

di gioia e poi ricamato con la parola amore

che apre e chiude il discorso ritornandovi per

ben nove volte.

E poi vi è uno sbocciare continuo di seduzione

da parte di Dio: «Rimanete nel mio amore» (Gv

15,9).

"Rimanete" perché già ci siete.

Restateci, è l'invito di Gesù, perché Dio per primo

ha fatto un passo verso di voi ed è pazzo

d'amore per voi.

Vi ama da Dio!

«Voi siete miei amici» (Gv 15,14)

"Amici", parola bella che dice intimità, fiducia.

"Amici" è sinonimo di amore, anzi, ne ha la

stessa radice.

«io ho scelto voi» (Gv 15,16)

Scelti da Dio!

Selezionati, chiamati, amati!

Appunto, scelti per essere amici, per essere

amati.

E dopo tanta rassicurazione da parte di Cristo,

il Vangelo si conclude con questo comandamento,

sintesi di tutta la Legge: «Questo vi

comando: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv

15,17)

Ecco, Cristo prima ci presenta il suo amore e

poi ci chiede di assumere uno stile di vita inarginabile,

straripante proprio come il suo.

Ci mostra come si ama e poi ci rincuora: ora

potete amare anche voi così.

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Riflessioni di un prete

16.05.2021

ASCENDERÒ ANCH’IO,

OLTRE IL MIO IO?

Piedi che si staccano da terra, mani protese

verso l'alto, nubi che spalancano l'ingresso del

cielo.

Occhi che si sgranano, bocche sbigottite, cuori

che avvertono un distacco.

Forse peggiore di quello del venerdì santo.

Modi diversi per descrivere l'Ascensione.

Io preferisco pensarla come "festa della fiducia

di Dio nei confronti degli uomini".

«Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo

a ogni creatura» (Mc 16,15)

Mentre Gesù ascende al cielo, si forma la Chiesa,

comunità dove continua a vivere il Risorto,

uomini a cui il Signore si consegna e, al contempo,

consegna una missione, la sua missione.

«Allora essi partirono e predicarono dappertutto,

mentre il Signore agiva insieme con loro

e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano»

(Mc 16,20).

È Lui che conferma l'annuncio della Parola con

i segni che da essa scaturiscono: amore, perdono,

condivisione.

Perché lì dove la Parola arriva sboccia l'amore,

fruttifica il perdono, nasce la condivisione.

Lì dove la Parola attecchisce germoglia la Comunità,

cambia la realtà perché un annuncio

che non modifica le cose non è mai annuncio.

E questo è il modo in cui l'Asceso rimane in

mezzo a noi e continua a consegnarci la lieta

novella di un Dio che ci ama infinitamente.

A noi il compito di scegliere di restare in questo

amore lasciandoci convertire.

Una conversione, però, che non mi porta a concentrarmi

su me stesso, che non mi chiede di

continuare a lavorare sugli aspetti meno nobili

che mi abitano, ma una conversione autentica

che mi porta a dirottare il mio sguardo non più

su me stesso ma verso gli altri.

Conversione che mi traghetta dall'essere amato

verso l'amare.

Ascenderò anch'io, oltre il mio io, ogni volta

saprò dirigermi verso il prossimo per scoprire,

insieme, che il Risorto è qui.

20.05.2021

UNITÀ, LEGGE DI DIO!

«E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro,

perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu

in me, perché siano perfetti nell'unità» (Gv 17,22-23).

Chissà quanti, negli anni, nei secoli, hanno letto

queste Parole.

Di mano in mano.

Milioni di cuori.

Chissà quanti, oggi, le leggeranno.

Chissà in quanti fioriranno le stesse mie emozioni,

gli stessi sentimenti, i medesimi pensieri.

Eppure sarebbe sufficiente partire da questo

per scoprire un ponte, da attraversare insieme,

verso l'unità.

Lo stesso cielo,

lo stesso

sole, le stesse

stelle, ci accomunano.

Il vento che oggi mi accarezza il volto è lo stesso

che lambisce migliaia di persone.

A ben pensarci sono più le cose che ci associano

che quelle che ci dividono.

Unità, legge di Dio!

20


Riflessioni di un prete

24.05.2021

È LO STARE “INSIEME”

CHE ATTRAE LO SPIRITO

Siamo ancora a Gerusalemme! È da qui che

bisogna ripartire perché chi vuol conoscere il

vero volto di Dio, il suo amore, deve partire

sempre dai piedi della croce.

«Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire,

si trovavano tutti insieme nello stesso luogo»

(At 2,1).

Nel momento in cui stanno insieme, in comunione,

cominciano a capire l'amore di Dio.

È lo stare "insieme" che attrae lo Spirito.

E così si "compie" la Pentecoste.

La Pentecoste giunge a compimento e la Chiesa

inizia, comincia, nasce.

«Venne all'improvviso dal cielo un rombo,

come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì

tutta la casa dove si trovavano. Apparvero

loro lingue come di fuoco» (At 2,2-3)

Un rombo.

Lingue di fuoco.

Udito e vista.

Perché l'esperienza dello Spirito coinvolge tutto

il nostro essere.

Prima l'ascolto, poi la vista.

All'inizio c'è la Parola creatrice, poi dopo aver

ascoltato, vedo e comprendo, con stupore, la

meraviglia della Croce.

Ecco allora che il fuoco scende, mi infiamma,

mi infonde coraggio, spalanca le porte e mi libera

dalle paure.

«E cominciarono a parlare in altre lingue come

lo Spirito dava loro il potere d'esprimersi» (At

2,4)

È il miracolo dell'annuncio: da destinatari a latori,

collaboratori, cantori di questa Parola udita,

vista, contemplata.

Finalmente annunciata.

Annunciata in "altre lingue", accomunate

dall'unico linguaggio dell'Amore.

«Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase

sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare

la propria lingua» (At 2,6)

Di fronte a tanto amore, impastato di comunione,

profumato di croce, abitato dalla libertà che

allontana le paure, rispettoso delle diversità,

nasce la meraviglia.

Si ristabilisce la fraternità che presuppone l'unità.

Solo allora, ieri come oggi, lo Spirito scende.

Buona Pentecoste a voi tutti con l'augurio che

anche voi possiate "udire" e "vedere".

30.05.2021

IL “ FINE “ DELLA STORIA

Questa domenica ci

viene offerto il brano

finale del Vangelo di

Matteo e mi piace rileggerlo

non come "la" fine

di "una" storia ma "il"

fine "della" Storia.

Tutto si svolge «sul

monte che Gesù aveva loro indicato» (Mt 28,16)

ed è bello pensare che il Signore, per poterlo

incontrare, ci inviti a camminare in verticale, a

salire in alto.

Perché in fin dei conti è questa la nostra vocazione,

raggiungere e conquistare vette altissime.

Solo dall'alto possiamo, poi, vedere le cose degli

uomini, ridimensionandole e capendo che

le realtà "altre", sono anche quelle più "alte".

Ancora più bella appare la sottolineatura di

Matteo che lungi dall'essere una sbavatura, ci

fornisce un'indicazione importante: nella salita

dobbiamo portarci tutto il peso della nostra

- 21 -


Riflessioni di un prete

umanità. «Quando lo videro, si prostrarono. Essi

però dubitarono» (Mt 28,17).

L'umanità vede.

L'umanità dubita.

Eppure Lui, fedele e puntuale come uno Sposo, decide

di spalancare le porte del cuore: «A me è stato

dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque

e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel

nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo,

insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato»

(Mt 28,18-20).

Ed è così che gli Undici superstiti si trovano, a

quell'altezza, a contemplare Altezze vertiginose.

Entrano, sospesi tra cielo e terra, nella vita

intima del Dio Trino, ne diventano collaboratori,

inviati nuovamente a discendere dal monte

per dire a tutti la bellezza di Dio.

Con la testa verso il cielo ma con i piedi e le

mani sporche di fango.

Protesi verso il Paradiso ma fortemente radicati

nella vita.

Con una grande certezza: «Ed ecco, io sono con

voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt

28,20).

Per sempre, ormai, siamo nel cuore di Dio tanto

che, anche quando il dubbio sembra avere il

sopravvento, Lui continua ad invitarci, si mostra,

ci sceglie come collaboratori, ci invia e ci

accompagna.

Perché se l'uomo dubita di Dio, Dio non dubiterà

mai dell'uomo.

E mi piace immaginarli, gli Undici, con il naso

all'insù mentre Gesù presenta l'intera famiglia,

la Trinità, essi imparano il segno della croce:

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito

Santo.

Una presentazione della Trinità che si allarga a

dismisura per far posto, per accogliere l'uomo.

Ogni uomo.

Esiste notizia più bella di questa?

06..06..2021

IL PERCORSO DEL

CELESTE PELLEGRINO

Ci sono cose, eventi nella vita che hanno una

straordinaria forza evocativa.

Ed è per questo che ogni anno, in occasione del

Corpus Domini, i ricordi mi portano a quando,

da bambino, partecipavo alla solenne processione.

Era l'occasione in cui le tre Parrocchie del paese

si univano. Una folla interminabile, stendardi

colorati di ogni associazione, petali di fiori per

le strade, canti e preghiere e mentre l'incenso,

come le nostre suppliche, saliva verso il cielo,

dai balconi venivano buttate cascate di fiori,

quasi fossero grazie esaudite.

Anche le strade dove sarebbe passata la processione

erano un brulicare di vita già nel primo

pomeriggio: si puliva insieme, tutto il vicinato,

con mille scope che sembravano voler lucidare

l'asfalto mentre si buttava acqua affinché non

restasse nemmeno un briciolo di polvere.

Ogni famiglia metteva fuori le proprie piante

per rendere i marciapiedi un unico, lungo,

giardino, mentre ai balconi e alle finestre si appendevano

i pezzi più belli del corredo: lini finissimi,

quasi trasparenti, candidi come la luce

sfolgorante; ricami e merletti che parevano fatti

di ragnatela, impalpabili; broccati in seta e damaschi

preziosi per le coperte più importanti.

Tappeti per terra a coprire il percorso del Celeste

Pellegrino e bandierine festose, nei loro

mille colori, per rendere vivace il blu del cielo.

E poi il baldacchino grande, bianco, immacolato,

con tutti i suoi ricami dorati e, finalmente,

l'imponente ostensorio decorato con smalti e

pietre luccicanti.

Ma in mezzo a tutto quello splendore, gli occhi

di tutti erano puntati sulla "cosa" più semplice

ma anche la più preziosa: un Pane bianco che

racchiudeva tutta l'umanità e la divinità di Nostro

Signore.

Ricordo ancora, quante ginocchia si piegavano

al suo passaggio, quante mani, incrociandosi, si

adagiavano sul petto, quante labbra socchiuse,

in abbandono e fiducia, confidavano preghiere

22


Riflessioni di un prete

e affidavano vite, persone, situazioni.

Solo da prete, però, ho saputo cogliere il significato

più bello, più profondo di tutto questo.

«E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò

la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo:

"Prendete, questo è il mio corpo"» (Mc

14,22).

Prendere, mangiare, dare.

Tre verbi che hanno la capacità di fare sintesi

di tutta la storia della salvezza e che mi hanno

aiutato a capire (forse) il significato più bello di

quelle splendide processioni.

Prendere, mangiare, dare.

Eva prende, mangia e dona ad Adamo il frutto

dell'albero che doveva garantirgli l'uguaglianza

con Dio.

Il suo è un gesto furtivo, nato dalle parole sibilate

dal tentatore: "Dio è geloso! Ti proibisce

di mangiarne perché, qualora ne mangiassi, diventeresti

come Lui".

Eva, con Adamo, ruba ciò che già era in loro

possesso.

Anche nel Vangelo di oggi, vengono ripetuti

gli stessi verbi per indicare le azioni di Gesù.

Ma mentre Eva e Adamo rubano, Gesù dona.

Si dona.

Mentre Adamo ed Eva cercano di rubare ciò

che già possedevano, Gesù si lascia rubare, offrendosi,

per restituire ciò che ormai era perso.

E proprio perché tutti possano ricevere questo

dono, nessuno escluso, ecco che una volta

l'anno, nella solennità del Corpus Domini,

l'Eucaristia attraversa le strade, ci raggiunge

nella nostra quotidianità, va incontro ai lontani

per ripetere, sempre, lo stesso messaggio: sono

qui, "rubami", prendimi, mangiami e vivrai

della stessa Vita di Dio.

13.06.2021

L’INFINITAMENTE PICCOLO DIVENTA

MERAVIGLIOSAMENTE GRANDE

«Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il

seme sul terreno... È come un granello di senape»

(Mc 4,26;31)

L'ho sempre saputo.

Il Cristo aveva un cuore da poeta, di quelli che

s'accorgono del particolare, che sanno ascoltare

l'odore della luce, che annusano la musica

della brezza leggera, che amano lasciarsi pettinare

dal vento.

E mentre noi continuiamo, col naso all'insù, a

fantasticare sull'immensità, la vastità del Regno

celeste, Lui per spiegarne l'essenza, si china

nella concretezza a guardare per terra e, ancora

una volta, il Vangelo diventa canto della

fragilità, della piccolezza.

Ecco, allora, che la storia del cielo, diventa storia

di terra senza, però, perdere l'esplosione

della sua vitalità dove l'infinitamente piccolo

diventa meravigliosamente grande.

E per poterlo comprendere, anche noi dobbiamo

abbassarci, guardare rasoterra la puntina

verde di un tenero germoglio per lasciarsi percorrere

dal brivido della meraviglia di fronte

alla vita che sboccia, cresce e fruttifica.

È la grandezza

di Gesù che

ama scegliere

parole oculate, di orto, di mare, di casa, di vita

quotidiana, tra viti e grano, tra barche e reti, tra

sale, luce e lievito, mentre per la strada racconta

che nel piccolo è già, da sempre, racchiuso il

grande.

«È il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno;

ma, quando viene seminato, cresce e diventa più

grande di tutte le piante dell’orto» (Mc 4,31-32).

È il miracolo del nostro Dio che avvalendosi

dell'infinitamente piccolo compie le gesta immensamente

grandi, partendo dall'effimero realizza

capolavori di salvezza.

Un po' come la nostra fragile, piccola fede che

se gettata sul terreno buono del Vangelo, nell'ascolto

fedele della Sua Parola, inizia a risplendere

e giorno dopo giorno, mette radici, germoglia

cresce, diventa arbusto, poi albero per

offrire sostegno e riparo a noi e agli altri.

Ed è così che nella storia germoglia l'eternità.

Piccole cose.... roba da brividi.

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20.06.2021

Riflessioni di un prete

“PASSIAMO ALL’ALTRA RIVA”

«In quel medesimo giorno, venuta la sera, disse loro:

"Passiamo all’altra riva". E, congedata la folla, lo presero

con sé, così com’era, nella barca» (Mc 4,35-36).

Apparentemente un giorno come tanti altri ma

già in molti si sono accorti che un Affabulatore

di cuori è capace di raccontare storie di cielo

sporcandole con la vita della terra. Ha appena

terminato di rivelare che il Regno, quello immenso

che è casa di Dio e degli uomini, è simile

ad un granello di senape che, cresciuto, diventa

arbusto in grado di accogliere gli uccelli del

cielo. Tutti.

Si è fatta sera e il tempo, quando si è abitati

dalla gioia, quando questa stessa gioia la si

vuole condividere e moltiplicare, stringe, incalza.

Ecco allora, l'invito: passiamo all'altra riva,

andiamo incontro ai pagani, ai senza Dio per

raccontare che Dio c'è e li cerca per amarli sempre

di più. È necessario "passare" ad un'altra

mentalità, abbandonare le proprie rive sicure

e annunciare che il Regno è già germogliato e

cerca di radunare tutti, nessuno escluso, sotto i

suoi rami. E i discepoli lo presero con sé, dice

Marco. "Lo presero", quasi volessero trattenerlo

dopo aver congedato la gente.

La barca si muove e la chiesa inizia a salpare

sul mare della storia carica di uomini, discepoli,

che faticano a comprendere lo Spirito di

tanta apertura.

Gesù parla di Regno di Dio,

loro continuano a parlare del regno di Israele.

Qui, quasi

fosse immagine

visibile

di questa incomprensione,

si scatena una grande tempesta

con un mare burrascoso, mentre Lui dorme,

stanco del suo lavoro di infondere speranza.

«Maestro, non t’importa che siamo perduti (Mc

4, 38)

È l'urlo di chi cerca la salvezza.

Ma quale salvezza?

Il Signore quando ci conduce su "altre rive",

quando ci destabilizza portandoci in mezzo

alle tempeste, quando sembra che dorma... ci

chiede di fidarci.

Dorme perché Lui, già, si fida di noi.

Ci lascia alle nostre responsabilità perché ci

vuole marinai capaci di affrontare le tempeste

dei mari burrascosi, armati solo di fiducia.

La fiducia che scaturisce, germoglia da quel

seme piantato in noi dalla Parola di Dio.

È il miracolo della fede.

Vuole plasmarci a sua immagine, coscienti che

le tempeste esistono e che anche quando il Signore

sembra dormire, è comunque con noi,

sulla barca della nostra vita.

«Poi disse loro: "Perché avete paura? Non avete

ancora fede?"»

E pian piano, "l'altra riva" diventa visibile all'orizzonte.

27..06..2021

«TALITÀ KUM»

Etereo, bello

come un Dio

avanza tra la

folla che costeggia

le sponde

del lago.

Cammina tra la gente, è uno di loro e si lascia

"mangiare" dalle mille richieste, Lui, la Vita che

attraversa quelle mille vite grondanti di suppliche

che accalcandosi attorno hanno sete di

grazia.

Il suo sguardo ha guizzi di maestà che accarezza,

dovunque si posi, con la stessa dolcezza

della misericordia.

Ed è proprio sulle strade arse dal sole, polverose

come le vite di coloro che sono lontani da

Dio che sbocciano i miracoli più belli.

Un uomo, una donna, una bambina.

24


Riflessioni di un prete

Giairo, capo della sinagoga che non permette

all'ombra della morte di abitargli il cuore, diradando

le paure con la speranza che diventa

fede, abbandono, affidamento.

Una coraggiosa emorroissa, impura che, sfidando

la Legge, s'aggrappa al lembo del suo

mantello.

Una bambina dodicenne sfiorata dal sonno della

morte che riprende a vivere di Vita donata.

È un Vangelo, quello di oggi, fatto di gesti che

parlano, che annunciano il compimento del

tempo di grazia.

La legge vietava all'emorroissa di toccare gli

altri.

La legge vietava di toccare i morti.

Tutto un divieto che tronca relazioni, alza steccati,

spegne ogni barlume di speranza che può

essere rinfocolato da un tocco che diventa carezza.

Ma il Rabbí di Nazareth ha la vita intrisa di libertà,

si lascia toccare dalla donna che aveva

perdite di sangue, tocca la figlia ormai morta

di Giairo.

Sgorga la guarigione, sboccia la vita.

«Talità kum» (Mc 5,41), parole che continuano

a riecheggiare nel tempo, nelle vite di chiunque

le abbia ascoltate perché hanno lo stesso

effetto di allora.

Ad ognuno, il Signore dice: rialzati, vivi, risplendi,

lascia che la Vita esploda in te.

«Prese la mano della bambina» (Mc 5,41) è

l'immagine più dolce di Dio.

Un Dio-con-noi che portandoci per mano ci rialza,

sempre, anche dal sonno della morte, per

accompagnarci verso la pienezza di vita.

04.07.2021

L’INCREDULITÀ DEI “COMPAESANI”

«Partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli

lo seguirono» (Mc 6,1)

Un sentimento tanto umano, quello di Gesù,

da avere il retrogusto del divino. Tornare nella

sua terra, nella sua casa, in quei vicoli che

l'hanno visto scorrazzare bambino, fermarsi

agli incroci delle strade dove Miriam, sua

mamma, come ogni mamma del paese faceva

col proprio bambino, gridava a squarciagola il

suo nome per farlo smettere di giocare quando

era ora di mettersi a tavola.

Tornare nella sua Nazareth, gustare i profumi,

gli orizzonti dalle tinte calde, le pendici delle

colline ricolme di ulivi svettanti verso il cielo,

in quella terra che per trent'anni lo aveva

nascosto agli occhi del mondo, custodendolo

come perla preziosa.

«Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga»

(Mc 6,2)

Un cammino a ritroso il suo, un immergersi

nella memoria ritornando in quei luoghi familiari

che avendo l'odore di casa hanno la capacità,

come per magia, di tenere bloccati ricordi,

sensazioni, momenti che ti attanagliano il cuore

nel morso della dolcezza.

Quella sinagoga

in

cui le prime

volte,

era entrato

stringendo le forti mani di Giuseppe, odorose

di resina e legno.

Quella sinagoga in cui migliaia di volte aveva

ascoltato la Legge e i testi profetici, in cui mille

volte gli era toccato l'onore di proclamare la

Parola di Dio.

Ora torna da Rabbí con una piccola ciurma di

uomini al seguito. Torna, forse per affetto e riconoscenza,

per annunciare anche a loro che "il

tempo di grazia è compiuto".

E mentre i nazaretani scrutano il cielo, con il

naso all'insù, alla ricerca di un Dio-totalmente-altro,

non si accorgono che Dio è sceso in

terra, ha abbandonato la sacralità del tempio

per calcare le strade del mondo, è fuggito dalle

nuvole d'incenso per odorare di umanità.

E anche lí, lui fa quello che gli riesce meglio:

annuncia.

Annuncia il tempo di grazia, canta che è il momento

della libertà, grida a tutti che Dio è ac-

- 25 -


Riflessioni di un prete

cessibile, straordinariamente vicino e che ama,

ama follemente e perdona.

Ma un Dio così non rientrava nelle pagine del

loro vecchio catechismo olezzante di stantio.

«E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano:

"Da dove gli vengono queste cose? E

che sapienza è quella che gli è stata data? E i

prodigi come quelli compiuti dalle sue mani?

Non è costui il falegname, il figlio di Maria,

il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di

Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da

noi?"» (Mc 6,2-3)

I "compaesani", però, mancano l'appuntamento

con l'evidenza mentre preferiscono amoreggiare

col pettegolezzo, con la pre-comprensione,

permettendo solo allo stupore di farsi spazio

tra le tante domande. E lo stupore che non è

ancora fede, non è sufficiente perché i miracoli

accadano.

«E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma

solo impose le mani a pochi malati e li guarì»

(Mc 6,5)

Lui, non accolto, continua ad accogliere, aspetta

e dove è possibile, compie guarigioni.

Non compreso continua, comunque, a tentare

di dispensare grazie.

E si meraviglia della loro incredulità mentre

loro perdono l'occasione di ri-conoscere Dio

nella persona, nelle opere e nelle parole di

Gesù.

Troppo normale per poter essere Dio.

11.07.2021

CURARE, PRENDERE A CUORE

Ti si terremota il cuore tutte le volte che il Vangelo

racconta il mistero immenso della chiamata

perché tutti ne siamo coinvolti.

Chiamati alla vita, chiamati all'amore, chiamati

al servizio.

Li chiama, ci chiama per restare con Lui.

È la fase del discepolato, dell'ascolto, della comunione,

della formazione.

E poi, però, «prese a mandarli a due a due» (Mc

6,7)

Da discepoli si diventa apostoli-inviati, angeli-portatori-del-lieto-annuncio,

testimoni, missionari.

A due, a due perché la testimonianza sia "rafforzata",

sia più credibile attraverso la bellezza

della comunione di vita, già parvenza di comunità

che germogliando dall'essere figli di un

unico Padre, si trasforma in fraternità.

Si parte, inviati, con il peso del cuore leggero,

con il potere che deve diventare servizio nell'eliminare

il male, in ogni forma.

E quando l'inevitabile stanchezza sopraggiunge,

ecco il corredo da viaggio: un bastone, sostegno

per il corpo, un fratello che ti sorregga

il cuore e l'animo quando l'insuccesso, la non

accoglienza (inevitabili) sembrano avere il sopravvento.

Tante le indicazioni contenute in appena sette

versetti: comunione, condivisione, essenzialità,

dimorare, annunciare.

Ma più di tutti mi "graffia" il cuore un'espressione

dell'ultimo versetto: «ungevano con olio

molti infermi e li guarivano» (Mc 6, 13).

Ungere. È l'arte del tocco delicato, della carezza,

del farsi prossimo.

Più che "guarire" si tratta di curare, di prendere

a cuore.

Infin dei conti siamo invitati ad imparare l'arte

di Dio: nella tenerezza, farsi prossimi degli ultimi,

ungere con l'olio della consolazione che

impregna le dita, il cuore e la vita sia di chi annuncia,

sia di chi è curato.

E la testimonianza diffonde nel mondo il profumo

della fraternità.

26


Riflessioni di un prete

18.07.2021

VENITE IN DISPARTE

«Gli apostoli

si riunirono

attorno a Gesù

e gli riferirono

tutto quello che

avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed

egli disse loro: "Venite in disparte, voi soli, in un

luogo deserto, e riposatevi un po'"» (Mc 6,30-31)

Li immagino i Dodici che pieni di entusiasmo e

stanchezza, fanno rientro dalla fatica missionaria.

Li aveva inviati "a due a due" perché nella

Chiesa non importa la bravura del singolo ma

la bellezza della condivisione, dello stare insieme,

della testimonianza della fraternità.

Hanno "curato", hanno preso a cuore le vicende

degli altri, hanno "scacciato" il male.

Hanno cantato la bellezza del Vangelo.

Ma ora, Lui che è Padre con cuore di madre, li

riconduce a sé per "farli riposare".

È il segreto dell'annuncio: ritornare ai piedi del

Signore, dopo ogni fatica ritornare discepoli,

non sentirsi mai "arrivati" ma sempre, perennerete,

bisognosi di ascolto.

Venite in disparte. Da soli, con il Signore.

Per ri-centrarsi, per comprendere che più che il

"fare" è importante riprendere (sempre) la relazione

con Lui, "sale" che dà sapore ad ogni

nostra attività.

«Sceso dalla barca, egli vide una grande folla,

ebbe compassione di loro, perché erano come

pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare

loro molte cose» (Mc 6,34)

È la sorpresa di chi si mette alla Sua sequela.

Avere poco tempo per se stessi perché se si è

con Lui, se si ha Lui, c'è una irresistibile attrazione

dei cuori.

In molti accorrono, in molti chiedono. E allora

si ricomincia capendo che il nostro riposo non

è un luogo, non ha un tempo ma è il Signore

stesso. E la compassione sarà la forza per ricominciare.

25.07.2021

NULLA È IMPOSSIBILE A DIO

«C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo

e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?»

(Gv 6,9)

Che Dio possa fare l'impossibile ce lo hanno insegnato

al catechismo.

Ce lo siamo sentito ripetere dai pulpiti delle

chiese, nei momenti più bui della nostra vita

e, magari, nelle difficoltà, ci abbiamo sperato

anche per un attimo.

Anche i discepoli, la folla che lo seguiva, hanno

tratto speranza dalle sue parole, ci hanno

creduto e hanno gustato la gioia ogni qualvolta

sbocciava un miracolo davanti ai loro occhi,

eppure, puntualmente, dinanzi ai problemi, la

ragione ha sempre il sopravvento.

Ed ora c'è un problema.

Cinquemila uomini da sfamare e, solo, cinque

pani a disposizione.

Poca roba.

Ma ripercorrendo

la storia

della salvezza, mi meraviglio sempre nel vedere

come Dio sceglie la "roba da poco" per farne

un capolavoro.

Un pizzico di lievito per fermentare l'intera

massa.

Un granello di senape per ospitare "tutti gli uccelli

del cielo".

Un uomo vecchio, Abramo, per creare una nazione.

Un pastore, Davide, per regnare su Israele.

Uno schiavo, Mosè, per liberare un popolo.

Una ragazza, Maria, per donare una Madre a

Dio. Pochi litri d'acqua per ridonare la gioia

perduta alle nozze.

Un bicchiere d'acqua per poter avere la vita eterna.

Il mio poco... per annunciare il Vangelo.

- 27 -


Perché le mani di Dio cesellano, affinano, creano opere

d'arte.

E moltiplicano a dismisura. Sempre. Perché quando Dio

dona, dona sempre con larghezza. In sovrabbondanza.

«E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: "Raccogliete

Riflessioni di un prete

i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto". Li raccolsero e

riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo,

avanzati a coloro che avevano mangiato» (Gv 6,12-13).

Perché, veramente, nulla è impossibile a Dio.

01.08.2021

È QUESTIONE DI VITA

Con cinque pagnotte

d'orzo aveva

sfamato cinquemila

uomini.

Un "segno" che doveva,

ieri come oggi, rimandare alle realtà alte,

alle realtà altre.

E invece la gente, ieri come oggi, preferisce

fermarsi al soddisfacimento di un bisogno, a

placare una fame soltanto fisica e non s'accorge

che tutto il Nazareno, tutta la sua storia, tutta

la storia della salvezza ci presenta questo "segno",

da capire, da com-prendere, da prendere

con... gli altri. Perché il vero miracolo non è la

moltiplicazione ma la condivisione.

Pane che nasce da mille chicchi macinati, che

frantumati, "muoiono" per essere trasformarsi

in polvere, farina bianca che, però, risorge

quando viene abitata dal lievito per trasformarsi

in pane che a sua volta è destinato a donare

forza, energia, Vita.

Ed è tra le mille molliche che rileggo la storia

di un Dio che prontamente provvido, sfama di

manna il popolo che guida nel deserto verso

terre che odorano di libertà.

Ed è a Betlemme, casa-del-pane che questo Dio

nasce per farsi "mangiare" fin da subito, posto

in una "mangiatoia".

È tra molliche condivise, passate di mano in

mano che scorgo, nel Vangelo di Domenica

scorsa, il miracolo di una folla che diventa comunità

che, appunto, con-divide.

È tra pezzi di pane spezzato che scorgo questo

Dio che "scompare dalla vista", che si dona,

proprio come nel cenacolo, proprio come ad

Emmaus, per restare in mezzo a noi, dentro di

noi, con noi.

E i Cristiani, proprio per questo, saranno chiamati,

diventeranno "mangiatori" di Pane, memori

della Parola di Colui che ha l'odore più

buono del mondo, quello del pane fragrante,

appena sfornato affinché ricordino che la vita

ricevuta diventa piena solo se offerta, donata.

Si riceve un Pane per ricordarci che dobbiamo

diventare pane per gli altri, "dando noi stessi

da mangiare".

Ed è proprio Lui a ricordarcelo: «Io sono il

pane della vita; chi viene a me non avrà fame e

chi crede in me non avrà sete, mai!» (Gv 6,35).

Allora è tutta questione di Pane.

È questione di Vita.

Un Pane, quello disceso dal cielo, che dona la

Vita. La dona, la offre al Padre.

Si dona, si offre a noi.

E noi, a nostra volta, siamo chiamati ad offrirla

agli altri. E il miracolo della condivisione, non

della moltiplicazione, continua a ripetersi.

08.08.2021

TERRA E CIELO

«E dicevano: "Costui non è forse Gesù, il figlio di

Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre?

Come dunque può dire: Sono disceso dal cielo?"»(-

Gv 6,42).

A circolare

sono sempre

28


Riflessioni di un prete

le errate immagini di Dio.

Allora come ad oggi.

E di fronte ad una errata interpretazione di

Dio, del suo messaggio, Egli fugge.

La folla lo acclama, lo cerca per farlo re perché

li ha sfamati.

Lui, risolutore di problemi. "Alzati!" e gli interpellati

si svegliano dal sonno della morte.

"Guarda!" e gli occhi si dischiudono alla primigenia

bellezza. "Cammina!" e il paralitico riacquista

la libertà indipendente.

Lui, invece, alla ricerca del "necessario", si ritira,

tutto solo, a pregare.

Ma Lui inevitabilmente, come sempre, lascia

un frammento di Bellezza in chiunque lo incontri.

Lo rincorrono, lo cercano.

Persino i suoi avversari si mettono, come segugi,

a seguirne le orme, per raccogliere ogni

Parola, per scrutarne ogni gesto.

Vogliono comprendere.

Ma nonostante l'evidenza, lo hanno già condannato.

Va bene ogni cosa ma questo è troppo:

"Io sono il pane disceso dal cielo"

«Allora i Giudei si misero a mormorare contro di

lui perché aveva detto: "Io sono il pane disceso dal

cielo"» (Gv 6,41).

È impossibile che il Dio che con le mani ha ricamato

il creato, trapuntando di stelle il cielo,

abbia deciso di abitare tra i selciati di Nazareth

per lasciarsi baciare dalla pioggia o accarezzare

dai raggi del sole.

Hanno già deciso come dev'essere il loro Dio.

Metterne in discussione l'immagine significa

mettere in discussione la loro fede, il loro ruolo,

il loro culto.

È l'errore di ogni uomo di ogni tempo: cercatori

di Bellezza per natura, si corre il rischio di

fermarsi di fronte agli abbàgli.

Gli sono vicini fisicamente ma non compiendo

mai il salto della fede, non arriveranno mai a

Dio.

È un salto di abbandono fiducioso: «In verità,

in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna»

(Gv 6,47).

Non una promessa da conseguire in futuro.

Dio vuole subito la felicità dell'uomo.

Chi crede "ha" già, qui e ora la pienezza di vita.

L'errore, ieri come oggi, consiste nel cercare un

Dio isolato nei cieli, avvolto nello straordinario

e non accorgersi che ieri come oggi, Dio continua

a parlare sotto voce, in punta di piedi, passandoci

accanto.

"Pane disceso dal cielo".

In Lui, il Nazareno, la terra del Pane, s'intreccia

con l'immensità del cielo.

Terra e cielo.

Perché ogni dono divino passerà sempre attraverso

la mediazione della nostra umanità.

Terra e cielo, impastati di quella Vita che solo

quel Pane sa donare.

10.08.2021

10 AGOSTO

Capaci di sognare, col desiderio di provare meraviglia,

tutti con gli occhi rivolti al cielo nella

notte in cui le stelle decidono di abitare sulla

terra.

Cadono le stelle, senza far rumore eppure le si

cerca, le si osserva mentre tracciano, silenziosamente,

sentieri di luce.

Si lasciano morire affinché l'uomo possa, per

un attimo, ritornare bambino, col fiato sospeso,

capace ancora di esprimere desideri.

È l'unica notte, questa, in cui tutti, credenti e

non, adulti e bambini, vecchi e giovani, hanno

il volto che fissa il cielo, mentre nel cuore di

tutti abita lo stupore.

Morire, spegnersi per dare gioia agli altri.

Messaggio profondamente evangelico.

Le stelle ce lo insegnano.

In silenzio.

- 29 -


Riflessioni di un prete

11.08.2021

UN PARADISO ABITATO

DALLE FIAMME

Ore 05:30. Locri

Il cielo appariva stranamente plumbeo.

Insolitamente il sole non si era ancora affacciato.

Ci ho messo poco a capire che non erano le nuvole

a rendere cupa l'aria ma il fumo, il cui odore

acre, ancora, si percepiva a malapena.

Ore 09:30. Grotteria.

Sceso dalla macchina sono stato investito da una

forte ondata di calore.

Rispetto alla "marina", sembrava che il "caldo

grotterisano" avesse una maggiore intensità.

Ogni tanto, un fiocco di "neve", volteggiava

nell'aria.

Era la danza macabra della cenere che in breve,

con il fumo, ha invaso il piccolo centro abitato.

Il cielo si è oscurato, la gente per strada non parlava

d'altro mentre una luce giallastra ha ricoperto

come un velo, ogni cosa.

L'aria puzzava di fumo e con il passare del tempo,

sembrava farsi spazio tra le narici e i polmoni,

l'odore di bruciato.

Finalmente si odono le sirene dei vigili del fuoco,

dei carabinieri che corrono tra i vicoli stretti

riempiti di macchine dei vacanzieri che hanno

fatto ritorno nella loro amata terra.

Non si parla d'altro.

Ore 11:15 inforcando la nuova 106 vedo che il

fuoco, indistintamente, lambisce tutte le colline

mentre un alone di caligine sembra sovrastare

le terre.

Facebook è piena di "fuoco". Dall'Aspromonte a

Polsi, da Grotteria a Mammola, da Gioiosa, Roccella

arrivano immagini di fiamme.

Ore 11:30 anche a Locri arrivano "fiocchi" di cenere.

Ho scelto questa terra.

Ho deciso di svolgere in questa terra il mio ministero.

Me ne sono innamorato tanto quanto coloro che

qui sono nati.

Con una differenza: loro ci sono nati, io l'ho scelta.

Ho imparato ad apprezzarne la storia, la cultura,

i monumenti.

L'ho sempre considerata benedetta da Dio che

ne ha dipinto il mare, ne ha ricamato le coste, ha

cesellato le montagne.

Quelle montagne

a cui non ero abituato e che sono diventate

oggetto del mio amore spassionato, riempite di

boschi, luogo in cui "scappo" ogni qualvolta cerco

solitudine e ristoro.

Il mio luogo sicuro, capace di rasserenarmi.

Montagne rocciose, ricoperte di vegetazione,

dai toni cangianti.

Ricoperte di felci che odorano di muschio o di

gialle ginestre che dipingono l'allegria nel cuore.

Colline ricoperte di ulivi secolari, verdi che si

stagliano sul blu cristallino del mare che si fonde

con l'azzurro del cielo. Quel cielo che tante

volte ho visto tingersi di arancio mentre il sole

sembrava aprire una voragine nell'acqua, all'orizzonte,

per sorgere e scalare, ogni mattina, le

vette del cielo.

Quel cielo che di sera si veste di toni rosati e che

soprattutto in primavera, quando l'aria è intrisa

di zagara, riesce a mettere pace al cuore.

Una terra baciata perennemente dal sole, attraversata

da rivoli d'acqua che tracciano sentieri

che uniscono la montagna al mare.

Un paradiso.

In tutto questo paradiso, oggi, ho visto il sopravanzare

dell'inferno.

Ho visto la lotta impari degli uomini contro le

fiamme.

Ho visto, ho sentito la disperazione della gente

che, in un attimo, ha visto scomparire terreni

coltivati, "luoghi del cuore" devastati.

Ho assistito, inerme, di fronte alla paura di chi

vedeva con terrore le fiamme avvicinarsi alle

proprie abitazioni.

Ettari di bosco bruciati insieme a migliaia di animali.

Danni ovunque.

Si conta già qualche vittima.

Muore un pezzo di Calabria.

E con essa, i calabresi, la loro storia.

Anche quella di chi, come me, ha deciso di diventarlo.

30


Riflessioni di un prete

15.08.2021

E ANDÒ IN FRETTA

«In quei giorni Maria si

alzò e andò in fretta verso

la regione montuosa, in

una città di Giuda» (Lc

1,39)

Che bello, nel cuore

dell'estate, rileggere

questo Vangelo che,

personalmente, mi ricolloca nel periodo natalizio

quando, con maggiore forza siamo chiamati

a ripensare all'origine di tutta la nostra storia

di salvezza.

Quella salvezza che oggi, nella solennità

dell'Assunzione, vediamo perfettamente realizzata

in Maria.

Quant'è bello quel "in fretta" utilizzato da Luca

che racconta la sollecitudine di Colei che da lì

a poco avrebbe cantato tutta la sua gioia nel

Magnificat.

Un "in fretta" che serve ad evangelizzarci lo

sguardo.

Un "in fretta" che ci dice come andare incontro

al prossimo.

Corre da Elisabetta e il risultato di questo incontro,

illuminato dalla "lieta novella" è una

gioia che fa sobbalzare.

Come, da quel momento, accadrà in ogni incontro

che profuma di Spirito Santo.

Un viaggio, quello di Maria che inizia da Nazareth

per continuare in tutta la sua vita.

Un viaggio, quello di Maria che porta in dono

lo Spirito, fonte di esultanza e di vita.

Un viaggio, quello di Maria che ha un'unica

meta: il cielo.

Quel cielo che spalancandosi diventa segno

tangibile della sua Pasqua.

Quel cielo che da oggi in poi è segno di sicura

speranza per noi tutti.

Gioiosi sulla terra, inabitati dallo Spirito vivificante,

che dona vita, per accedere, in cielo, alla

Vita senza tramonto.

Eternamente felici, beati.

22.08.2021

LA TREMENDA TIRANNIA

DELL’AMORE

«Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato,

dissero: "Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?"».(Gv

6,60)

Il Dio incarnato, da sempre, ha deciso di parlare

all'uomo fissandolo negli occhi.

Ma l'uditorio è composto da uomini costantemente

protesi tra i deserti montuosi e le acque

di un lago che chiamano mare, plasmati dalla

loro storia ma anche dalle tante tradizioni dei

padri e dagli innumerevoli vincoli religiosi.

Eppure il giovane Rabbì li accompagna nella

comprensione, ne rispetta i lentissimi tempi,

convinto che la costante frequentazione del

Dio-con-noi li sostenga nel diventare Uomini e

al contempo, li aiuti a svelare lo straordinario,

vero, volto di Dio offuscato dalla religiosità.

Ne avevano apprezzato il pane condiviso-moltiplicato

ma

ora la Parola

che spiega

il sapore di

quel Pane, è dura per il palato e per il loro cuore

che non è stato mai svezzato dalle autorità

religiose che così facendo, li tenevano costantemente

soggiogati ai precetti.

Lui, invece, che li aveva scelti con sovrana libertà,

continua a volerli liberi: «Volete andarvene

anche voi?» (Gv 6,67)

È Pietro che, come sempre, risponde a nome

del gruppo: «Signore, da chi andremo? Tu hai

parole di vita eterna» (Gv 6,68).

È il guaio della tremenda tirannia dell'Amore.

Quando lo incontri, sei libero.

Libero di non abbandonarlo mai più.

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Riflessioni di un prete

29.08.2021

IPOCRITI, DICE GESÙ, AMATE!

Ha un'attrazione

forte il Cristo predicatore.

Come le api verso i

fiori.

Ascoltarlo è una festa.

Ma ci sono "api" che piuttosto che lasciarsi infarinare

dal polline dei fiori, preferiscono fermarsi

a contemplarne i colori, alla ricerca di

qualche imperfezione.

Assaggiano il miele che sgorga copioso dalle

sue labbra ma non se ne nutrono: «Si riunirono

attorno a lui i farisei e alcuni degli scribi, venuti

da Gerusalemme» (Mc 7,1).

Lui, Sapienza di Dio, attorniato dai dottori della

legge, Lui, venuto a portare una Parola liberante,

circondato da chi è abituato ad innalzare

vincoli, steccati entro cui continuare a perpetuare

un'errata immagine di Dio.

La differenza nasce da scelte di fondo.

Cristo abituato alle strade polverose, ha toccato

con mano le carni piagate dell'umanità, scribi

e farisei arroccati nelle torri auree sinagogali,

contemplano dall'alto il fare del Rabbí Nazareno

per sputare sentenze: «Perché i tuoi discepoli

non si comportano secondo la tradizione

degli antichi, ma prendono cibo [pani] con

mani impure?» (Mc 7, 5)

Ogniqualvolta Cristo dona vita, prontamente i

custodi della legge sentenziano giudizi di morte.

Dall'alto della loro scienza, intenti nel vagliare

ogni "iota" della Scrittura, non s'accorgono

della Parola che sana, guarisce, perdona ogni

spossato dalla vita.

Mentre al passaggio di Cristo fiorisce l'Amore

che si fa perdono, loro denunciano mani non

lavate mentre però i loro cuori rimbombano di

vuoto, eco di una vita non più abitata da Dio.

Perfetti nei loro riti, austeri nella loro litanica

preghiera, occupati costantemente sui mille rotoli

della Torah, hanno dimenticato l'essenziale,

hanno perso di vista l'umanità, quella stessa

in cui Dio ha deciso di abitare.

Intenti a cercare Dio nel tempio non si sono accorti

che, da tempo, Dio percorre le strade polverose

della Galilea.

«Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come

sta scritto:

Questo popolo mi onora con le labbra,

ma il suo cuore è lontano da me.

Invano mi rendono culto,

insegnando dottrine che sono precetti di uomini.

Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate

la tradizione degli uomini» (Mc 7,6-8)

È il dramma di chi ancora oggi, piuttosto che

contemplare Dio che si declina in Misericordia

offerta, continua a sciorinare regole che sono

prive di anima.

Regole che niente più hanno di divino ma che

hanno perso anche ogni connotato di umanità.

Il Vangelo, invece, è notizia lieta perché intriso

di lacrime e sudore degli ultimi, degli "sbagliati"

che in Cristo hanno trovato e, continuano a

trovare, ristoro perché l'Amore non può rinchiudersi

in un precetto osservante un mero

lavaggio di mani.

È inutile lavarsi le mani se la coscienza si sporca

nel non accorgersi della nudità dell'uomo

piagato che desidera essere coperto di misericordia.

Ipocriti, dice Gesù, amate!

Ipocriti - ribatte la Sapienza di Dio - amate e

l'Amore salverà il prossimo e anche te stesso.

Non si può incasellare in precetti Colui che è

libero e liberante.

Perché il Vangelo si pone, da sempre, tra due

estremi: o lavarsi le mani o sporcarsele nella

diaconia, nel servizio.

A voi la scelta.

32


Riflessioni di un prete

05.09.2021

L’INTERVENTO RESTAURATIVO

DI CRISTO

Mi è sempre piaciuto

immaginare quel Dio Creatore che dal

pulviscolo riesce a creare un capolavoro, di cui

Lui stesso si compiace: l'uomo.

Una creatura uscita dalle sue abili mani artigiane

che, con sapienza, ne hanno cesellato le

viscere, ne hanno plasmato i particolari con tocchi

delicatissimi che avevano le stesse premure

di una carezza discreta.

Creatura bella, buona ma fragilissima come la

creta. Ecco, allora, che di fronte alle inevitabili

incrinature, è necessario l'intervento restaurativo

di Cristo.

Un intervento che con gesti intimissimi, ti tocca

la lingua con la saliva, ti mette il dito negli

orecchi mentre pronuncia, in aramaico, una parola

di poche sillabe "Effatá!" che reca in sé un

invito a vivere pienamente, consapevolmente,

responsabilmente: apriti! (Cfr Mc 7,31-37)

Da questo imperativo "Effatá! Apriti!" scaturisce

la gioia incontenibile «e, pieni di stupore, dicevano:

«"Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare

i muti!"». (Mc 7,37)

L'uomo imprigionato nel silenzio viene liberato,si

"apre" alla vita e la guarigione sboccia.

Prima viene guarito l'udito perché solo dopo

aver ascoltato la Parola di salvezza, la lingua si

scioglie in parole di gioia e benedizione.

12.09.2021

UNA POTATURA FINISSIMA

E NECESSARIA

Il pane era stato condiviso, Lui era scampato

alla voglia della gente che voleva farlo re, quasi

fosse la soluzione ad ogni problema.

Il sordo balbuziente aveva imparato ad ascoltare

e la Parola, fluida, aveva cominciato ad

abitargli la vita e il cuore mentre sgorgava lieta

dalle sue labbra facendosi testimonianza.

Ma anche al Cristo capita di avere domande

che abbisognano di risposta: «La gente, chi

dice che io sia?» (Mc 8,27).

Una domanda, la sua, non dettata da curiosità

ma dalla profonda preoccupazione di voler

plasmare i Dodici, quegli uomini che aveva

chiamato "perché stessero con Lui" affinché

non provassero alcun senso di scoraggiamento

di fronte alle ombre dei chiodi, delle spine e

della croce che cominciavano ad allungarsi sulla

strada che li stava portando a Gerusalemme.

Risposte preconfezionate, dal retrogusto stantio

di un catechismo mai capito: «Giovanni il

Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti»

(Mc 8,28).

Risposte tutte rivolte al passato. È l'errore, ieri

come oggi, di chi cerca di intrappolare la novità

dello Spirito in

categorie passate,

già accadute.

Il Nazareno però,

lo sappiamo, è interpellante,

interrogante.

Sempre.

A domanda segue

domanda mentre i piani si sovrappongono.

Si passa dagli altri a loro: «Ma voi, chi dite che

io sia?» (Mc 8,29).

Importa, a Lui, questa risposta.

Loro scelti, chiamati ad essere compagni

nell'avventura del Vangelo, testimoni oculari

della bellezza di un Dio che s'incarna, devono

ben comprenderne la vera portata affinché alla

storia non consegnino le loro attese, i loro sogni

messianici ma l'eco autentico di quella Parola

crocifissa e risorta.

Cala il silenzio e solo Pietro, esperto di pesche

miracolose e di risposte sbagliate, uomo che

parla di fronte a pesci arrostiti e col sottofondo

di galli che cantano, come sempre azzarda una

- 33 -


Riflessioni di un prete

risposta perfetta come una professione di fede:

«Tu sei il Cristo» (Mc 8,29).

È qui che Cristo inabissa l'idea errata del messia

atteso dal loquace Pietro e dai muti compagni

e, lucente come la Verità, fiero come un angelo

latore di messaggi divini, proclama: «che il Figlio

dell’uomo doveva soffrire molto ed essere

rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e

dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere»

(Mc 8,31).

Una potatura finissima e necessaria per correggere

l'immagine che avevano di Lui.

Perché si comprenda che la distanza tra Dio e

l'uomo è possibile colmarla solo attraverso la

Croce, quella scala puntata per terra e issata

verso il cielo da cui Dio discende verso gli uomini

e l'uomo sale verso orizzonti infiniti, divini.

19.09.2021

UN BAMBINO NEL MEZZO

Domenica scorsa il Vangelo ci aveva lasciati

"lungo la strada" di Cesarea dove le confidenze

s'erano fatte profonde, dove Cristo aveva scoperto

le carte parlando del suo essere Messia

che abbraccia la croce e dove Pietro gli aveva

fatto perdere le staffe perché voleva "precederlo"

nel tratteggiare la fisionomia "dell'atteso

dalle genti".

Bello ciò che ci trasmette il Vangelo: i Dodici

sono da Lui scelti, chiamati affinché stessero

con Lui e Lui continua a rispettarne i tempi,

non forza la mano.

Li accompagna con cure paterne, tenendoli per

mano e passo dopo passo con delicata attenzione,

inizia a dire ciò che li attende: «Insegnava infatti

ai suoi discepoli e diceva loro: "Il Figlio dell’uomo

viene consegnato nelle mani degli uomini e lo

uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni

risorgerà"» (Mc 9,31)

Mentre all'orizzonte le porte di Gerusalemme

sono dischiuse e l'acqua già scorre nel catino di

Pilato, mentre il sinedrio affina le tattiche menzognere

intrecciando una corona di rovi e affilando

chiodi e lance, Lui preoccupato, cerca di

spalancare la vita e il cuore dei Dodici su orizzonti

infiniti, divini che mai saranno offuscati

dal grigiore di disegni che puzzano di morte:

"ma dopo tre giorni risorgerà".

È talmente tanta la bellezza che non si comprende,

talmente divina da non apparire possibile.

E dolcissimo appare l'atteggiamento di

quei dodici uomini esperti soltanto di reti e di

mare, delicatissima la pennellata dell'evangelista

Marco che ne delinea la realtà: «Essi però non

capivano queste

parole e avevano

timore di interrogarlo»

(Mc

9,32).

Non comprendono

e un senso di vergogna non gli permette

di porre domande.

Allora i discorsi prendono altre strade, le loro

attese si palesano nelle parole che vanno facendo

tra loro e i loro ideali appaiono ancora

con maggiore evidenza, sempre più distanti

dall'annuncio del Maestro.

E puntualmente l'Incantatore di cuori è pronto

ad interpellare, a mettere a nudo le aspettative

dei dodici così come le nostre: «Quando fu

in casa, chiese loro: "Di che cosa stavate discutendo

per la strada?". Ed essi tacevano. Per la strada infatti

avevano discusso tra loro chi fosse più grande»

(Mc 9,33-34)

Li aveva smascherati, Lui, Uomo dall'orecchio

finissimo che sa ascoltare la voce dell'animo,

li aveva scoperti. Mentre Lui traccia mappe di

cielo, di Vie Infinite, loro restano abbarbicati a

stereotipi di potere.

«E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e,

abbracciandolo, disse loro: "Chi accoglie uno solo

di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi

accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha

mandato"» (Mc 9,36-37).

Un bambino nel mezzo.

Fin dal suo primo apparire nella storia, sono i

piccoli che divengono il centro del mondo, del

Vangelo.

34


Quei piccoli che anche per i discepoli hanno

tanto da insegnare: la capacità di fidarsi, soprattutto.

La purezza di cuore permette loro di

tendere immediatamente la mano per lasciarsi

guidare, accompagnare.

E la statura dei piccoli diventa la misura con

Riflessioni di un prete

cui confrontarsi, il metro di paragone.

Nel Regno dei cieli dove sono le piccole cose

ad avere maggior valore, ci si misura in centimetri.

Lo stesso Dio ce lo insegna quando Lui, l'Infinitamente

grande, decide di farsi bambino.

26.09.2021

UN SEMPLICE SORSO D’ACQUA

«Maestro, abbiamo

visto

uno che scacciava

demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo,

perché non ci seguiva» (Mc 9,38).

È Giovanni, il discepolo amato a parlare, a dare

suono a delle parole la cui eco, ancora oggi attraversa

le navate delle nostre chiese, abita le

nostre riunioni e viaggia sui nostri cellulari,

strumenti sempre più spesso utilizzati per difendere

i nostri "territori".

L'errore degli Apostoli rischia di essere perpetrato

ogni qualvolta si mortificano gli orizzonti

con inutili paletti, si costruiscono muri che non

supportano alcun ponte.

Ogni qualvolta si continua a dividere tra "noi"

e "loro" e si perde l'occasione di un'alleanza

che ha un unico fine: "scacciare demoni", cioè

liberare dal male, da ogni male che spaventa,

opprime l'uomo.

Anche in questo caso, però, le parole, la Parola

di Gesù appare liberante: «Non glielo impedite,

perché non c’è nessuno che faccia un miracolo

nel mio nome e subito possa parlare male

di me: chi non è contro di noi è per noi» (Mc

9,39-40)

Se si illumina il mondo con il bene, se si aiuta

l'uomo a fiorire alla vita, allora si è di Cristo.

E se noi ci liberiamo dall'autopossesso e, a nostra

volta, siamo realmente di Cristo, non avremo

difficoltà a riconoscere gli altri come appartenenti

al gruppo allargato dei "nostri".

Un Vangelo ancora da realizzare in una chiesa

troppo centrata sui confini dei propri campanili,

dei propri gruppi di appartenenza se non,

addirittura, chiusa in fazioni, gruppetti che

piuttosto che "scacciare demoni", proprio come

il Vangelo della scorsa domenica, sono intenti a

"discutere su chi fosse il più grande" (Mc 9,34).

Quando si parla di "grandezza", stranamente,

però, il Vangelo presenta sempre due aspetti

perennemente inscindibili e costantemente

presenti nella lieta novella: il servizio e la semplicità,

la "piccolezza" degli elementi richiamati.

D'altronde tutto il Vangelo profuma di pane.

D'altronde lo stesso Dio si-è-fatto-Pane.

«Chiunque, infatti, vi darà da bere un bicchiere

d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in

verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa»

(Mc 9,41)

Mentre noi discutiamo e dividiamo tra "noi" e

"loro", il Cantore di storie di cielo ci dice che la

salvezza è a portata di credenza.

Basta un bicchiere d'acqua per essere salvati.

Un servizio.

Un semplice sorso d'acqua.

Si acquista un fratello e... si diventa "grandi",

"immensi", "ricompensati", "salvati".

Il Vangelo di oggi termina con parole dure che

graffiano l'anima: "se la tua mano, il tuo piede,

il tuo occhio sono motivo di scandalo, tagliali,

gettali lontano da te".

Meglio una mano in meno che un fratello perso.

È la bellezza delle cicatrici dell'amore che ci ricordano

di "potare" la nostra vita piuttosto che

bloccare quella degli altri.

- 35 -


Riflessioni di un prete

03.10.2021

IL SOGNO DI DIO

«Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla

prova, gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare

la propria moglie» (Mc 10,2)

Per metterlo alla prova.

Letteralmente, per tentarlo.

E la tentazione si pone sempre tra i vincoli della

legge e l'esperienza liberante dell'Amore.

Non hanno compreso, i farisei, che Dio ha l'intuito

dei grandi visionari, guarda l'uomo con

cuore da poeta, intuendone le potenzialità scaturenti

dalla libertà che Lui stesso gli ha donato.

E nel prendere le distanze da chi parla di ripudio,

il Nazareno, ricentra l'uomo collocandolo

nel sogno di Dio: «Ma dall’inizio della creazione

li fece maschio e femmina; per questo l’uomo

lascerà suo padre e sua madre e si unirà

a sua moglie e i due diventeranno una carne

sola. Così non sono più due, ma una sola carne.

Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha

congiunto». (Mc 10,6-10)

L'uomo non divida quello che Dio ha congiunto.

Perché Dio, il nostro Dio, non parla mai di divisione

ma di unione, comunione, amore.

È l'eterno costruttore di ponti, il sarto che cuce

insieme vite ricamandole coi colori dell'amore.

È il sogno di Dio.

Un sogno che l'uomo può infrangere con la

sclerosi del cuore che porta l'amore ad appassire

e le vita ad inaridirsi.

10.10.2021

…. “TI MANCA SOLO UNO”

«Mentre andava per la strada, un tale gli corse incontro

e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli

domandò: “Maestro buono, che cosa devo fare per

avere in eredità la vita eterna?”» (Mc 10,17)

Per la strada.

Il luogo in cui, spesso, il Vangelo colloca Gesù.

È il luogo della vita, delle relazioni, degli incontri.

È l’immagine più bella del nostro Dio,

offertaci da Rabbí di Nazareth, che non rimane

rinchiuso nella sacralità del tempio ma che va

in cerca dell’uomo, nei sentieri della vita, per

manifestare costantemente il suo “Io ci Sono”.

Ed qui che si celebra l’incontro con questo tale

che correndogli incontro, si inginocchia e domanda.

Tre azioni belle.

“Correre” come chi ha intravisto l’occasione

per realizzare pienamente la vita.

“Mettersi in ginocchio” è l’atteggiamento di chi

riconosce la propria piccolezza e al contempo

la grandezza di Colui che gli è davanti.

“Domandare” è indice di ricerca.

E la ricerca di questo tale è importante: “che

cosa devo fare per avere la vita eterna?”. Dietro

c’è una domanda più profonda che abita il

36

cuore di ogni uomo:

“che cosa devo fare

per essere felice?”.

«Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non

commettere adulterio, non rubare, non testimoniare

il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre»

(Mc 10,19).

Non una soluzione immediata ma un metodo

che deve investire l’intera esistenza. La felicità

va costruita giorno per giorno e… passa attraverso

gli altri.

Quelli proposti da Gesù sono “comandamenti”

che umanizzano i rapporti tra gli uomini, azioni

che rendono pienamente persona.

«Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla

mia giovinezza» (Mc 10,20).

I comandamenti non sono regole, sono semi

gravidi di felicità. Piantati oggi per fruttare pienamente

domani.

Una semina costante, mai interrotta.

Ma non basta.«Una cosa sola ti manca: va’, vendi

quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in

cielo; e vieni! Seguimi!» (Mc 10, 21).

Aver osservato i comandamenti, equivale ad


aver vissuto pienamente.

Non accumula punteggio.

È pari a zero.

In quest’ottica si comprende la risposta di

Gesù: “ti manca solo uno”.

Quell’uno che anteposto agli zeri, dando valore

ad essi, aumenta il “capitale”, conquista un

Riflessioni di un prete

tesoro.

«Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e

se ne andò rattristato» (Mc 10,22).

Il giovane era andato da Gesù per “avere” e

scopre che il segreto della felicità risiede nel

donare.

16.10.2021

IL DONO PREZIOSO

DELLA PARRESIA

«Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche

il Figlio dell'uomo lo riconoscerà davanti agli

angeli di Dio; ma chi mi rinnegherà davanti agli

uomini sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio»

(Lc 12,8-9)

Mai confondere la “medietà” con la mediocrità.

Non fermarsi mai al “quasi detto”, “quasi fatto”.

In tal caso, ad essere sacrificate, sarebbero sempre

le cose buone.

La Chiesa ha bisogno più che mai di riscoprire,

a tutti i livelli, il dono prezioso della parresia.

Forse perché

ha bisogno

di

riscoprire

l’Amore.

Se fossimo abitati da esso, non ci fermeremmo

mai alle mezze misure.

Perché rinunciare ad una vita abitata dalla luce

del Vangelo per accontentarsi delle zone d’ombra?

17.10.2021

LA PIÙ PESANTE RACCOMANDAZIONE

DELLA STORIA

Abbiamo ancora

negli

orecchi il racconto

della tristezza del giovane che domenica

scorsa, incapace di staccarsi dai suoi beni, è

caduto nel dimenticatoio della storia per non

aver aperto il cuore a quello sguardo che l’aveva

già amato. Era una domanda, la sua, che

cercava la felicità.

E a infinite domande il Cantore del cielo si

sottopone, disponibile a ripetere mille volte

le dinamiche che dovrebbero abitare la vita di

Comunità e che partendo proprio da essa, dovrebbero

rivoluzionare il mondo.

Accade, invece, che talvolta è la logica mondana

che rendendo sordi alla voce del Messia

dai piedi consumati per il suo dirigersi con

fermezza verso Gerusalemme, si insinua nelle

menti, travia i cuori e i desideri di coloro che

avevano lasciato tutto per seguirlo.

Ma “lasciare”, “seguire” sono verbi infiniti, da

declinare sempre al presente, da ripetere con

rinnovata disponibilità di cuore.

«Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di

Zebedeo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia

per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro:

«Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero:

“Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla

tua destra e uno alla tua sinistra”» (Mc 10,35-37).

Sconcerta la richiesta della più pesante raccomandazione

della storia, ci spiazza che a fare

la domanda ci sia anche Giovanni, il teologo

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fine che penetrerà più di ogni altro il Mistero, il

mistico visionario delle realtà alte.

Ma a me consolano sempre gli scivoloni di quei

Dodici scelti, da Lui amati, chiamati e al quale

ha affidato la Chiesa.

Uomini talvolta sbiaditi ma che sono rifioriti

diventando autorevoli, testimoni, evangelicamente

plasmati.

Nonostante tutto, Lui, si è fidato di loro.

Nonostante tutto, loro, sono la prova che è possibile

lasciarsi plasmare dalla grazia.

Ma se sorprende la faccia tosta dei “figli del

tuono”, ancor peggio è la reazione degli altri

dieci: «avendo sentito, cominciarono a indignarsi

con Giacomo e Giovanni» (Mc 10,41)

Si indignano semplicemente perché i “Boanerghes”

li avevano battuti sul tempo.

«Tra voi però non è così» (Mc 10,43)

È vero che la volontà di grandezza è innata nel

cuore dell’uomo ma chi incontra Cristo deve

lasciarsi abitare dall‘inquietudine del servizio:

Riflessioni di un prete

«ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro

servitore» (Mc 10,43)

“Tra voi!” Una differenza abissale tra il mondo

e noi.

“Essere servitore!” Significa porsi al di sotto, rispettare

i tempi e i desideri dell’altro, condividerne

i bisogni per arrivare, insieme, alla stessa

meta: quel “tra voi” che profuma di Comunità.

«Anche il Figlio dell’uomo, infatti, non è venuto

per farsi servire, ma per servire e dare la propria

vita» (Mc 10,45).

Da vertigine!

Un’immagine che anticipa la scena del Cenacolo

che proprio Giovanni saprà cogliere nelle

sue sfumature e consegnare a noi: un Dio in ginocchio,

sotto i piedi degli Apostoli, cinto con

un asciugamano e che passa a lavare i piedi.

Da allora l’uomo ha a disposizione gli strumenti

per dominare il mondo, due verbi divini:

servire-amare.

E Dio in persona ci ha fatto vedere come si fa.

24.10.2021

GERICO!

Nel ministero dell’ascolto, ti capita di entrare,

in punta di piedi, nelle storie delle persone,

delle famiglie.

Storie che hanno un volto, un nome che si portano

appresso i graffi e i travagli della vita, le

piccole gioie del quotidiano. Storie, però, in cui

sempre è possibile scorgere la presenza dello

“Io-ci-sono”, di quel Dio che si è fatto Emmanuele,

Dio-con-noi, compagno silenzioso di

viaggio.

A volte le storie sono talmente belle che vanno

(devono essere) condivise.

Ecco, allora, che mentre mi veniva fatta dono di

questa, ho chiesto al “protagonista” di poterla

partecipare ad altri, raccontare.

Oltre il regalo di questa magnifica storia, mi è

stato accordato il permesso.

È la storia normalissima di uno stimato professionista

che divideva il suo tempo tra gli impegni

lavorativi e la famiglia, tra il suo essere

padre e marito.

Una vita normale, come tante, in cui il sopravvento

della quotidianità può far scolorare l’amore.

Da qui la decisione condivisa da entrambi, di

allontanarsi.

Lui decide di ritirarsi per qualche giorno, nel

silenzio del monastero.

Una nuova esperienza.

Un modo per ritrovare se stessi, per ripartire.

Nel monastero condivide in tutto la vita dei

monaci.

La vita, il lavoro, la preghiera.

Le notti trascorrono insonni, seduti per terra

con l’abate a dialogare, a parlare, a pregare.

“L’esperienza” di qualche giorno, si prolunga.

Si parla della vita.

38


Si parla della Parola di Dio.

Si parla della Vita.

E, come tutte le esperienze, anche quella del

monastero, finisce.

È tempo di ritornare a casa.

Si prende il treno.

Giunto a destinazione, nella stessa stazione di

partenza, in quella che avrebbe dovuto essere

la vita di sempre, sulla panchina, trova seduta

Riflessioni di un prete

sua moglie.

Era lì ad aspettarlo.

Nessuna parola.

Solo un lungo abbraccio.

E lo sbocciare di un magnifico sorriso.

Lo stesso che, ancora oggi, sanno regalare a chi

li incontra.

Due vite ricolorate dall’amore.

Anzi, dall’Amore.

07.11.2021

LA BELLEZZA FURBA

DELLA FEDE BAMBINA

Due scene abitano il brano del Vangelo di questa

Pasqua della settimana.

Due scene contrapposte che, però, ci raccontano

la profonda capacità del giovane Rabbí di

leggere i cuori, di scandagliare le vite, di vagliare

le coscienze.

La prima scena è abitata da uomini onorati che

«amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere

saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe

e i primi posti nei banchetti. Divorano

le case delle vedove e pregano a lungo per farsi

vedere» (Mc 12,38-40).

Uomini che si ammantano di sacro , sfruttano

la Scrittura per ostentare e affermare soltanto il

loro io.

Uomini che riempiono di parole la Parola, che

non la servono ma se ne servono.

È l’immagine orribile dei teatranti del sacro che

sviliscono nell’apparenza tutta la loro vita.

Esseri ancora presenti tra le file del clero o che

vestono gli abiti di falsi laici impegnati. Gente

che è ancora possibile incontrare tra le navate

delle nostre chiese o accovacciati nei vani

delle sagrestie, olezzanti di incenso e dai modi

viscidamente affettati, o intenti a tessere trame

affinché il loro prestigio non venga mai meno.

«Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due

monetine, che fanno un soldo» (Mc 12,42)

Una donna senza nome, persino senza marito,

senza parole ma che predica con i gesti, la cui

voce è la testimonianza.

Un gesto ricolmo di onorevole povertà che attira

lo sguardo del Cristo innamorato della bellezza

e che suscita lo stupore nel cuore di Dio.

Due annotazioni,

quelle di

Marco, che mi stringono il cuore in un impeto

di immensa tenerezza: una vedova povera; due

monetine.

Particolari destinati a restare soffocati nel rumoroso

tintinnio delle laute e ipocrite offerte

di scribi e farisei.

Ma quelle “due monetine” pesano quanto il

mondo, fanno un rumore assordante nel cuore

di Colui che scruta gli animi e attira lo sguardo

del Creatore: «nella sua miseria, vi ha gettato

tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per

vivere» (Mc 12,44)

Due monete.

Tutto quello che aveva per vivere.

Non ne trattiene nessuna e insieme ad esse offre

tutta quanta la sua vita.

È la bellezza “furba” della fede bambina.

Quella bella, semplice, pura.

Ha capito la donna che due spiccioli sono sufficienti

per riscuotere l’eternità.

Calcoli arditi i suoi, che però fanno la più bella

predica che da secoli continua a scuotere le coscienze

di quanti ascoltano il Vangelo.

La vedova povera con le sue monetine ci insegna

che Dio non guarda la quantità ma la qualità.

E stranamente quelle due monetine lasciate cadere

duemila anni fa, con pudica delicatezza

nelle offerte del tempio, continuano a fare rumore

ancora oggi, anche nella mia anima.

- 39 -


Riflessioni di un prete

14.11.2021

È TUTTA QUESTIONE

DI PUNTI DI VISTA

«Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando

ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le

foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi:

quando vedrete accadere queste cose, sappiate che

egli è vicino, è alle porte» (13,28-29).

È un senso di pace che mi pervade l’anima ogni

qualvolta il cuore poetico del Rabbí mi invita

a rileggere la mia quotidianità con gli occhi di

Dio.

È nelle cose semplici, piccole che Dio ci parla, si

comunica. Ecco allora che il fico, ultimo albero

a rivestirsi di foglie, diventa simbolo della sapienza

semplice e genuina del contadino che sa

intra-vedere, sa vedere dentro le cose, la realtà

di un mondo che è fatto a misura d’uomo, è

fatto per parlarci. L’abito di foglie di cui si riveste

il fico è preludio, canto gioioso del tepore

dell’estate, stagione della raccolta, compenso

della lunga attesa e delle tante fatiche.

“Quando vedrete accadere queste cose, sappiate

che egli è vicino”. Un vero e proprio Vangelo,

una lieta novella che ci fa dono degli strumenti

del discernimento per prepararci all’appuntamento

con il Veniente.

Non un qualcosa che deve spaventarci ma una

rassicurazione premurosa da parte del cuore di

Padre che ci assicura che sarà fedele all’appuntamento,

puntuale come un innamorato pronto

a celebrare con noi la gioia dell’incontro in un

mondo rinnovato.

E quali sono i segni da scorgere nell’attesa che

si fa gioia pregustata?

«In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole

si oscurerà, la luna non darà più la sua luce,

le stelle cadranno

dal cielo e le potenze

che sono nei

cieli saranno sconvolte.

Allora vedranno il

Figlio dell’uomo venire

sulle nubi con

grande potenza e

gloria» (Mc 13, 24-

26).

Sono i giorni in cui

finirà la tribolazione

di una Chiesa

perseguitata, insultata, zittita.

Sono i giorni in cui si oscureranno gli idoli di

ogni luogo e di ogni tempo mentre cadranno

dal loro empireo le potenze mondane assetate

di fama, potere e gloria.

Sono i giorni in cui la Parola di Dio risuonerà

in ogni parte del mondo tramite la voce della

testimonianza di quanti canteranno la bellezza

del vivere evangelico.

In questa testimonianza, in queste vite che danno

carne alla Parola, il Cristo è venuto, viene e

verrà.

Un Vangelo che non ci racconta la fine dei tempi

ma il fine della vita di ogni uomo.

È tutta questione di punti di vista.

Sta a noi scorgere nella Parola di questa domenica,

intravvedere nella lieta novella di oggi,

con la sapienza contadina, la fine o il fine del

nostro essere.

È questione di sguardo, non solo di articoli.

40


Riflessioni di un prete

21.11.2021

UN RE ATIPICO

Pilato se l’è trovato di fronte, sbeffeggiato,

umiliato, odiato.

E lui che di re se ne intendeva, cerca di

scorgere la brama di potere in quegli occhi

che, come due finestre, lasciano intravvedere

un cuore grande, immenso, libero e

liberante.

Pilato, lui stesso assetato di gloria, guardandolo,

pensa ai grandi imperatori romani, alle coorti

da lui frequentate, agli intrighi dei palazzi

che falsano rapporti, avvelenano vite, soffocano

l’onestà.

E invece, di fronte, si trova il Cristo che non

si difende ma neanche attacca, semplicemente

dialoga, non ha nulla da dimostrare perché è

realmente Onnipotente.

Talmente grande è il suo Potere che non ha bisogno

di servi, non è circondato da cortigiani,

non è accompagnato da lacchè.

«Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e

per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza

alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta

la mia voce» (Gv 18,37).

È realmente Re ma la sua regalità lo porta ad

inginocchiarsi per lavare, sciacquare e baciare i

piedi e le vite degli ultimi.

Usa strumenti semplici per “imporre” il suo

potere: un catino e una brocca, un asciugamano

per divisa, un calice e un pezzo di pane

mentre si prepara a salire sul “trono” di legno

da cui, per sempre, continuerà a regnare.

Un re dalle mani che odorano di legno e resine,

dai piedi consumati e senza un cuscino su

cui posare il capo che, però, riesce a fare breccia

nei cuori delle meretrici, dei ladri seduti ai

banchi delle imposte, degli uomini potenti che

cercano di vederlo arrampicandosi sugli alberi.

Un Re che rapisce i cuori che, come nell’ultima

notte nel cenacolo, si abbassa a livello della

polvere per scrivere, con il dito nella sabbia, la

dignità di ogni uomo e di ogni donna che incrocia

nel suo percorso.

Ed è “a quelle altezze”, a livello di pavimento,

che si misura la statura di questo giovane Rabbí:

“Tu lo dici: io sono re!”.

Pilato, l’uomo del potere, resta disarmato,

destinato a cadere nell’oblio della storia, viene

ricordato per la sua codardia nel rompere

i compromessi e si rivela schiavo, schiavo di

quel potere che crede di possedere.

Cristo, in catene, appare libero come non mai e

da duemila anni, senza esercito alcuno, continua

a conquistare i regni più preziosi: le vite, i

cuori e le anime degli uomini.

Un Re atipico quello che il Vangelo ci presenta

e che Pilato si trova di fronte: conquistatore per

la sua innata, disarmante, debolezza; eterno

ma confinato nella storia e nella carne; a tratti

invisibile ma perennemente presente, nascosto

nelle vite in cui si insinua.

Aveva ragione Pilato, quel giovane Nazareno

che si trova ad avere di fronte, è un re atipico.

Non si accorge Pilato che quel giorno, lui era di

fronte ad un Dio.

- 41 -


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