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Pubblicazione1-memorie sanluresi- corretta

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Numero – 1

Gennaio 2020

Memorie Sanluresi

“Nella parola scritta un ricordo, nel ricordo un vestito per l’anima.”.

“Ad ogni festa

suona la banda,

sempre, per ogni

festa, ma soprattutto

per i funerali.

C è questa tradizione

a Sanluri,

tanto che un funerale

senza la banda

si dice che “è

morto.”

V O C I D I

S I G N I F I C A T O

Musica

Lettura

Persone, luoghi, eventi di una vita, raccontati

in forma libera da Sergio Usai.

“Sono iscritto all’Università

della Terza Età. Ho tante passioni,

a dirle tutte ci vuole

una giornata intera. Sono un

appassionato di musica, ho

fatto parte della Banda Musicale

di Sanluri, di cui sono

stato presidente per due volte

di seguito. Adesso l ‘ho un pò

abbandonata, a causa dell’

età. Ho 85 anni, il fiato comincia

a diventare grosso,

devo contenermi un pò, ma

non ci riesco! La giornata la

passo così, la mattina mi

alzo verso le 8.00-8.30, non

prima, faccio colazione, compro

i giornali, tre quotidiani: L’

Unione Sarda, il Corriere dello

Sport e la Repubblica. Torno

a casa e mi leggo i tre giornali

con tutta calma, senza fretta.

Poi vado a pranzo da mia

figlia, dopo pranzo riposo un

pò seduto in poltrona e poi

rientro a casa. Se ho da fare,

sono impegnato con le attività

della filodrammatica, del

teatro, se non c’è quello

rientro a casa e leggo. Normalmente

libri sardi, o sulla

Sardegna, se no qualunque

cosa trovi in giro. Alla sera, se

Santa Cecilia

non ho niente da fare come

attività extra, la filodrammatica

o la Banda, che un pò

continuo a seguire, vado al

bar a leggere i quotidiani. La

televisione la guardo di not-

te , prima di cena, dalle sette

in poi. Inizio a vedermi i

telegiornali, Rai 3 e gli altri a

seguire, e chiudo la serata

così. Ma ultimamente non

riesco più a guardare la televisione,

chissà perché. Dopo

cena, mezz ‘ora, tre quarti

d’ ora dopo mi scende il

sonno e me ne vado a letto.

Dormo tutta la notte, bene,

grazie a Dio, il sonno non mi

manca e mi alzo verso le

8.00-8:30. Ho avuto tre

figli, un maschio che abita

a Sanluri, Stefano, una

donna che abita a Sanluri,

Maria Luisa e una terza

figlia che abita a Roma e

lavora in uno studio di noti

avvocati. Mia madre è morta

a 82 anni, faceva la casalinga

, mio padre è morto a 46

anni , era un minatore che

lavorava a Montevecchio. I

Teatro

Famiglia

“ M i o p a d r e e r a u n m i n a t o r e ”

Ascendenti

Figli

Nipoti

nonni li ho conosciuti tutti e

quattro. I nonni paterni erano

Luisiccu Usai e Barbarina

Marras, mia nonna è morta

quando io ero molto piccolo,

mio nonno Luisiccu, invece, è

vissuto più a lungo, forse 85

anni, ho potuto conoscerlo

bene. La mia nonna materna

era Barbarina Urrai, quasi

non ‘ho conosciuta, è morta

quando ero proprio piccolino.

Suo marito era nonno Fenu,

originario di Serramanna,

che ho conosciuto abbastanza.

Non ho però particolari

ricordi coi nonni, ero molto

piccolo e non c’era il rapporto

che c’è oggi tra nonni e nipoti.

Io ho cinque nipoti, tre di

mia figlia Maria Luisa che è

sposata e vive a Sanluri, di

ventuno anni, la grande, diciotto

la seconda e il piccolo

di tredici anni. Poi c’è Stefano,

che ha due figli maschi e

l’altra figlia che è a Roma e


P a g i n a 2

BIBLIOTECA

COMUNALE SANLURI

M e m o r i e S a n l u r e s i

“ H o v i s s u t o l a m i a g i o v e n t ù a R o m a ”

non ha figli, si è dedicata

alla carriera. Quanto a me,

ho vissuto la mia gioventù a

Roma. Ho frequentato il

Ginnasio a Gaeta e il Liceo a

Roma. Ho due fratelli e una

sorella, uno più grande di

me di due anni sta a Milano

e si è sposato con una iglesiente,

hanno tre figli, di cui

una, una bellissima ragazza,

morta prematuramente. Poi

ci sono le sorelle, entrambe

stanno a Sanluri e hanno

rispettivamente una femmina

e un maschio e due maschi.

Tornando alla mia giovinezza,

ho frequentato la

terza media a Santu Lussurgiu

e poi ho proseguito a

Roma, dai Salesiani. Quindi

l’università a Cagliari, dove

sono stato studente per

quindici anni e non mi sono

laureato per ripicca. Infatti

già insegnavo a Villamar

senza titolo, allora si poteva,

nelle scuole medie, undici

anni di insegnamento a

Villamar. Sono stato vicepreside,

in quel periodo

contribuimmo a far nascere

le scuole di Turri, Lunamatrona,

Ussaramanna, Baressa.

Ho concluso la mia carriera

lavorativa a Villamar,

seguendo un po’ tutte le

scuole in qualità di segretario

della scuola di Villamar,

mentre a Sanluri non ho mai

insegnato, non mi piaceva.

Adesso sono vent’anni in

pensione, grazie a Dio. Sono

stato impegnato anche

n e l l ’ a m m i n i s t r a z i o n e

Istituo Salesiano San Pio XI,

Roma

“Non sempre

sono stato

gratificato per

quello che ho

fatto, ma ho

sempre

combattuto

battaglie leali”

H o s e m p r e c o m b a t t u t o

b a t t a g l i e l e a l i ”

politica nel 1970, per qualche

anno come vicesindaco,

un bel ricordo, veramente.

Anche se le difficoltà

erano tante e le potenzialità

poche, nonostante accese

discussioni in amministrazione

e confronti continui con la

popolazione, si riusciva a

lavorare. Si pretendeva tanto

da noi, poi tutto il mio impegno

si è rivolto alle associazioni,

compresa la Pro Loco.

Oggi la mia attività si è diluita,

non sempre sono stato

gratificato per quello che ho

fatto, ma ho sempre combattuto

battaglie leali, dirette,

ricordo che dopo una

discussione anche accesa si

andava al bar. Erano anni di

grande impegno per il nostro

paese, si faceva volentieri.

Nella Banda, ad esempio,

sono stato due volte presidente

e la seguo sempre,

come anche la filodrammatica.

Anche lì ho ricoperto

l’incarico di presidente, nel

nostro repertorio tante opere

dialettali, replicate in giro per

la Sardegna. Gran bella

esperienza, che ogni tanto ci

capita di ripetere tornando

sul palcoscenico. È capitato

tempo fa a Sanluri e anche a

San Gavino, paese di provenienza

di uno dei componenti

la filo—drammatica, con cui

“ M i o p a d r e e r a b a n d i s t a , s u o n a v a i l

c l a r i n e t t o ”

intratteniamo sempre buoni

rapporti. Facendo un salto

indietro nel passato, ricordo

che la mia infanzia nel periodo

di guerra è stata dura.

Mio padre era minatore a

Montevecchio, mia madre

era casalinga, ci siamo sempre

arrangiati come si poteva.

Quando c’erano i soldati

in paese, avevano bisogno

di tante cose, compreso il

mangiare. Mia madre, allora,

faceva i dolci e li vendeva

ai soldati , mentre io

bambino di nove-dieci anni,

mi divertivo a intonare motivetti

con una voce acerba,

da soprano, facendoli piangere

e intrattenendoli. Mi

divertivo. Avevamo sempre

la casa piena di scatolette di

carne dell’esercito, larga

ricompensa del tempo passato

a cantare le canzoni

che gradivano ascoltare. La

guerra mordeva sempre gli

animi e i corpi, ma la vita

proseguiva tenace. Mio padre

si dedicava alla Banda,

ne faceva parte, era un

“bandista”, suonava il clarinetto.

La festa della banda,

Formazione musicale d’epoca.


N u m e r o – 1

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COMUNALE SANLURI

P a g i n a 3

“ N e l l a b a n d a e r a n o s e m p r e d i

p i c c h i e t t a t a ”

La banda musicale sanlurese “Amilcare Ponchielli”(1955)

per santa Cecilia, era partecipata

anche da me, erano dei veri

“ m a n g i o n i ” , s e m p r e d i

“picchiettata”, si dice così. Bel periodo

quello, per la festa si esponeva la

statua di santa Cecilia prestata dalle

suore Salesiane che gestivano l’asilo,

si faceva il pranzo sociale e per finire

il concerto. La Banda suonava sempre

per le feste e su richiesta anche

per i funerali. A Sanluri si diceva che

“un funerale senza la banda era morto!”.

Ma attualmente le uscite della

banda sono diminuite, prima ci chiamavano

anche dal nord Italia, eravamo

l’unica banda musicale rimasta

attiva anche durante la guerra. Animavamo

la festa patronale della Madonna

delle Grazie, la festa di san Lorenzo e

una volta pure quella di san Sebastiano.

La tradizione di chiamare la banda al

funerale fruttava un lauto contributo,

ma oggi è in disuso. Il grosso dell’investimento

era lo strumento musicale, che

costava parecchio. In passato ogni socio

versava un contributo mensile, ora

non più. Si va avanti con contributi e

sovvenzioni per i servizi svolti.

“ N e l l a G i o r n a t a d e l l e F o r z e

A r m a t e s u o n a l a b a n d a ”

Per esempio, quando si suona

per la Giornata Nazionale

delle Forze Armate, il 4 novembre,

o al concerto di Capodanno.

Ricordo ancora

come si festeggiava il Natale

un tempo, si andava alla novena

immancabilmente, ora è

troppo se si va alla messa di

mezzanotte. Quindi tutti nelle

case, a vedere i presepi, cosa

che ormai non si fa più, le

tradizioni stanno scomparen-

do. Penso alla benedizione

delle case, delle famiglie,

forse erano meglio i preti che

avevamo in passato. Ora a

Sanluri c’è un parroco del

paese stesso, una rarità di

questi tempi, chissà se sarà

capace di risvegliare un po’

l’animo religioso Tra i luoghi

della mia infanzia ricordo

l’asilo delle suore Salesiane e

il convento dei frati Cappuccini.

Un evento che riaffiora con

piacere è il “Lanternino d’oro”,

una manifestazione canora di cui

ero direttore, organizzata dai Frati

Cappuccini. La mente era padre

Clemente. Era una sorta di

“Zecchino d’Oro” nostrano, a cui

partecipavano tutti i bambini dai

3 ai 10 anni, si preparava durante

l’estate e l’esibizione avveniva a

novembre-dicembre. Bello, un

clima meraviglioso !

“Si suona per la

Giornata

Nazionale delle

Forze Armate, il

4 novembre, o al

concerto di

Capodanno. “

“ I l L a n t e r n i n o d ’ O r o ”

C’era entusiasmo tra i partecipanti,

una cosa incredibile, se

chiamavi un bambino a cantare

veniva accompagnato da

tutta la famiglia, genitori, fratellini

e nonni, per tutto il periodo

delle prove. Il salone non

bastava, infatti i Frati Cappuccini

fecero un soppalco, per

ospitare tutta la gente che

accorreva. Sembrava piccolo,

ma era grande, me ne sono

reso conto di recente

di quanto era grande!. Ricordo

un episodio divertente, un bambino

nonostante io attaccassi

con la musica non voleva iniziare

a cantare; e questo si ripetè

più e più volte, allora gli dissi:-

“Vieni qui e tocca uno strumento

che ti piace!”- Quindi riprendemmo

le prove e il bambino

cominciò a cantare bene, aveva

superato il momento di panico.

Non c’erano premi in palio,

Immagini d’epoca della

manifestazione canora

sanlurese.


P a g i n a 4

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T i t o l o n o t i z i a r i o

“ O h F r a n t s ì s c u , e s t t e m p u s d e

a c a b b a i ! ”

ma solo caramelle. Durante

l’intervallo si faceva la recita

in sardo, attori io e Francesco

Onnis, un amico oggi

scomparso, a volte si improvvisava

componendo un

testo per l’occasione. Al

convento si recitava tranquillamente,

a me piaceva

molto , ero un patito della

recitazione. Altri tempi, oggi

è difficile trovare passioni

vere, modelli di riferimento

importanti, uomini retti che

ci guidino. In realtà gli uomini

perfetti non esistono,

ognuno ha in sé del buono e

del cattivo, ma è nel gruppo

che si raggiunge il meglio di

sé. Quando dobbiamo scendere

a patti, andare d’accordo,

trovare soluzioni, allora

sì che viene fuori qualcosa

di buono. A volte penso -

“Però, guarda quante cose

abbiamo fatto !” - Ma eravamo

uniti, solidali, eravamo

un gruppo di persone che

agiva insieme, si aiutava. Un

periodo io e Francesco Onnis

facevamo ogni quindici

giorni una recita all’asilo,

per lo più si improvvisava,

qualche volta con l’aiuto

dei testi ma il più delle

volte suppliva la fantasia di

Francesco. Basta leggere il

suo libro “Bellus Tempus”

per accorgersi, per lui i

racconti erano pane quotidiano,

aveva una fantasia

senza limiti . E poi ci guardavamo

in faccia ridendo:-

“Oh, Frantsìscu, est tempus

de acabbai! “-. Ma dai e dai,

invece continuavamo.

“Ognuno ha in sé del buono e

del cattivo, ma è nel gruppo

che si raggiunge il meglio di

sé.”

“Le

passioni

richiedono

impegno”

“ B i s o g n a i m p e g n a r s i ”

Eravamo fidanzati, ma abbiamo

continuato anche da

sposati. Mia moglie era accondiscendente,

anche se

non le piaceva molto l’idea

che noi facessimo ridere gli

altri! Ma si arrese pure lei

alle nostre “imprese”. Una

vita intensa la nostra, non mi

pento, ho tanti bei ricordi, un

figlio ha seguito la mia passione,

ma non si è impegnato

abbastanza, in senso ironico

ovviamente! Dei nipoti,

invece, nessuno. Oggi i giovani

coltivano altri interessi,

certe passioni richiedono

impegno, molto impegno,

non mi sembra che tra di

loro ci sia la voglia d’impegnarsi.

Almeno questo è ciò

che io vedo, forse non né ho

conosciuti abbastanza, ma

credo che siano portati a

chiudersi in sé stessi, a vivacchiare.

Ma se ci si chiude

agli altri, non si fa niente! A

volte penso che forse eravamo

stupidi a spenderci in

così tante cose, ma poi riflettendo

credo che tutto quel

tempo speso con gli altri, per

gli altri, è speso bene! Guai a

chiudersi in sé stessi, si diventa

egoisti, cattivi, ho

provato a fare queste riflessioni

anche con loro, i ragazzi.

Ma le mie parole sono

scivolate lì, noi siamo il

“passato”. Mi conforta, però,

che i miei nipoti ascoltino

quello che dico. Forse ,un

giorno, faranno come noi.

“ N o i s i a m o i l p a s s a t o ”

to . anche da sposati, mia


N u m e r o – 1

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COMUNALE SANLURI

P a g i n a 5

P a r o l e i n . . . l i b e r t à

d i P i n u c c i o T r o n c i

Didascalia dell'immagine o della fotografia

Ricordo che alla nascita i tre

nomi erano di rito. Io presi il

nome del mio padrino, Salvatore

Giuseppe, ma sono conosciuto

come Pinuccio. Facevo il

barbiere, venivo da una famiglia

numerosa, sei figli, quattro maschi

e due femmine, cresciuti

nel cuore della guerra mondiale,

che ha coinvolto anche le

periferie più lontane dal fronte. I

ragazzi di 16-17 anni partivano

e i paesi senza la gioventù diventavano

spettrali, restava

solo la gente anziana e le donne.

Le condizioni di vita erano pessime,

mancavano i servizi igienici, il 90 per

cento delle case era senza energia

elettrica, di notte non si potevano

accendere luci , per oscurare la visuale

agli aerei che sorvolavano.

C’era il coprifuoco, passava la ronda

a controllare, non si poteva parlare

più di tre persone assieme, vietati gli

assembramenti -”Adiosu, a si biri

mellus!-” erano le uniche frasi di

circostanza mentre ci controllava la

ronda. L’energia elettrica ce la sognavamo.

Noi eravamo allacciati alla

casa di uno zio. Commerciava il gra-

“ m i o z i o c o m m e r c i a v a g r a n o e

a v e v a l ’ e n e r g i a e l e t t r i c a ”

no. Poteva contare su un buon reddito. Si muoveva con il carro,

possedeva due cavalli, uno dava il cambio all’altro quando era

stanco. Partiva al lunedì e tornava il venerdì , aveva abbastanza

per permettersi l’energia elettrica, così noi azzardando, ci allacciammo

a lui. Abitavamo dall’altra parte del paese, all’uscita

verso Lunamatrona. C’era vicino la fontanella dell’acqua, dove

mi recavo per fare la scorta, ricordo che aveva quattro rubinetti,

con acqua che usciva in continuazione. Ora non c’è più, era

in località “s’arei”, dove ora c’è il parco “S’arei”. Lo stesso

terreno su cui noi siamo adesso, dove si trova la biblioteca, era

un terreno della Confraternita, “su gramu”, ca si nàrat sa argiola

de su gramu. Le confraternite avevano qualche soldino, ogni

volta che c’era un seppellimento andavano ad accompagnare il

defunto e incassavano le offerte.

“Nosu

naraiausu

s’arei”

“ M a t u i , ì t a a s a b o l l i , c a

s e s n a s c i u i n s ’ a r e i ”

Con questi soldi compravano terreni, che spesso ricevevano anche da persone

ricche, lasciti per impetrare messe al defunto. Tutto quello che produceva il terreno

era per la confraternita, in questo modo avevano comprato questo e altri terreni.

Lo avevano denominato “s’argiola de su gramu”, però il nome “s’arei” rimanda

al tempo in cui lì c’era un esteso allevamento di asini, tanto è vero che a chi nasceva

nella zona di s’arei, si diceva:- “Ma tui ita as a bòlli ca ses nasciu in mesu

de s’arei! !”-. Durante la guerra “no nci fianta nimancu allumìngius”, i cerini non

c’erano, neppure gli zolfanelli, bisognava prenderli con la tessera annonaria che

dava lo Stato. E poi c’era l’arte di arrangiarsi, che sopperiva a tutto , avevamo sistemato

la linea elettrica con l’aiuto


P a g i n a 6

BIBLIOTECA

COMUNALE SANLURI

T i t o l o n o t i z i a r i o

“ Q u a n d o e r a u n l u s s o a v e r e u n a

c a m i c i a d i u n s o l o c o l o r e ”

di un uomo parecchio ingegnoso.

Inventammo un congegno,

piuttosto pericoloso,

fatto con un pezzo di lamiera

tagliato come una grattugia,

unito a una lastra di

ferro e ad uno straccio bagnato

con petrolio. Avevamo

creato così due poli , che si

attivavano al bisogno, strofinando

lo straccio con forza.

Il risultato era che scintillando

producevano energia,

e con questo sistema improvvisato

si poteva accendere

il forno quando facevamo

il pane e il fuoco, per

riscaldarci d’inverno. Quando

altri sistemi di accensione

scarseggiavano si conservava

la brace, per poter

riaccendere il fuoco alla

bisogna. Tutto questo succedeva,

quando ero piccolo.

Cosa posso dire di una vita

che è stata “trumentàda” e

dell’invidia per quelle poche

famiglie che stavano bene,

che avevano un paio di scarpe,

o una camicia di un unico

colore. La mia unica

camicia era fatta a pezzi di

colori diversi. Ero scalzo,

non conoscevo la frase

“andare a pranzo”, non esisteva.

Ma le famiglie che

vivevano nel rione san Martino,

il nostro “bixinau”, era

come se fossero una sola

grande famiglia, quando si

aveva bisogno si chiedeva al

vicino e ognuno faceva il

possibile per aiutare chi era

in difficoltà - “Pa praxeri, mi

ddu dònas unu tzicheddu de

Camicia sarda ricamata.

“Pa praxeri, mi

ddu donas unu

tzicheddu de

pani, ca pobiddu

meu dépit andai

a traballai, i no

tèngiu nudda de

ddi donai a

papai!”.

“ h o s o f f e r t o p e r l a f a m e ,

n o n c ‘ e r a n i e n t e d a

m a n g i a r e . ”

pani ca pobiddu meu dèpit

andai a traballai i no tèngiu

nudda de ddi donai a papai!”.

Sono molto legato a

quel rione, perché ci sono

ancora persone che ho conosciuto

che vivono lì. Mi ricordo

che se passando non

salutavo un adulto che stava

nella piazza, subito questo si

rivolgeva a mio padre, chiedendo

spiegazioni: - “Nara

Luisiccu! Fillu duu non madi

saludau! Eh Poita, ita tengiu

deu!”- e mio padre per prima

c o s a m i d a v a u n a

“spizzigàda”: - “Poita a su

meri Boicu no dda nau bongiornu!”.

Erano altri tempi,

la disciplina era rigida, gli

adulti si rispettavano, non si

poteva discutere. Ma io non

ho sofferto per la troppa

disciplina quanto ho sofferto

per la fame, non c‘era

niente da mangiare. Avevamo

un pò di grano, ma “fìat a

ddu cuai”, a nasconderlo,

l’unica risorsa certa erano le

galline. Ogni giorno aspettavamo

con ansia che facessero

l’uovo, “no si podia boccì

sa pudda, poita a chi no, no

ci fìada s’ou”.

“ i l g i o r n o d i p a s q u a , q u a n d o m i a

m a d r e r i u s c ì a f a r e u n p o ’ d i r a v i o l i

p e r l a f e s t a . ”

Nel vicinato si commentava

sempre su cosa si faceva

‘”po papai dogna dì”, era la

preoccupazione più grave

per molte famiglie. Racconto

un fatto emblematico che

accadde il giorno di Pasqua,

quando mia madre riuscì a

fare un po’ di ravioli per la

festa. Mio padre era un

uomo carismatico, ogni cosa

che diceva era una sentenza,

e per Sa Pasca Manna lo

sentì parlare preoccupato

con mia madre perché non

sapevano come fare un pranzo

“da festa”, non avevamo

nulla. Mio padrino aveva un

pò di farina, assai preziosa,

visto che il grano era contingentato,

giusto il necessario

per fare il pane, non di più.

Ma mia madre , parsimoniosa,

era riuscita comunque a

fare la pasta dei ravioli, con

quel poco di farina e della

ricotta che mio padre aveva

avuto da tziu Peppinu Usai,

un buon uomo, signoriccu

Peppi- “Luisiccu! Domandamì,

ca su chi tengiu si ddu

potzu donai!”


N u m e r o – 1

BIBLIOTECA

COMUNALE SANLURI

P a g i n a 7

“ M a c u s t u s f u n t c a p e l l u s d e p r e i d i ! ”

Mio padre non poteva chiedere prestiti,

perchè non aveva terreni che

potessero garantire somme di denaro.

Ma ottenne però la ricotta, e mia

madre preparò dei ravioli così grandi

che mio padre disse che sembravano

cappelli dei preti. In breve tempo il

profumo di questa pasta fresca invase

tutta la casa e questi ravioli erano

esageratamente grandi ai nostri

occhi, imploranti di sano appetito

“Ma custus funt capellus de preidi!”-

ebbe a commentare soddisfatto mio

padre. Fatto stà che in piazza Porta

Nuova c’era s’Incontru, in celebrazione

del rito pasquale, e noi vivevamo

a cento metri da Porta Nuova. Mia

madre aveva posizionato una sedia

fuori dalla porta e sopra su scanneddu

unu canesteddu cun is crugugionis

a dda asciutai, comenti si fadìat

unu tempus, e sigomenti no tenìat

su bestidu po andai a sa missa , si

fiat ingenugrada a foras de sa porta

de domu, faci a su simulàcru. In su

frattempu,

Si fiat vultada a manca, i cun

sa cua de s’ògu bidìat a Gigi,

su cani, aici si tzerriàda. in

cussu momentu de s’Incontru,

ingenugrada comenti si

fàit in crèsia, at biu a su cani,

Gigi, bessèndi de domu,

totu cuntentu! Unu arrori

mannu!! Is bestia puru fìant

famias, smarrias, no scopuliànt

òssus, sì depìant arrangiai

cun su chi agatànt! Mamma

mia ia biu ca su cani fìat

G i g i , s u c a n i u

a r r o r i m a n n u , s i

d d u e s t p a p a u

t o t u s ì s

c r u g u r g i o n i s

prenu, e ddi iat nau: “Gigi!!

Gigi!!! Già mi as fatu s’àrragallu

po’ sa dìe de Pasca!!!”-

Una disperatzioni in toda sa

famìlia, “Ohja momia, unu

arrori mannu, si ddu est papau

totus is crugugionis!!”-.

Ita ddi potzu nai, comenti at a

essi mortu in domu sa presona

prus cara chi teniaus. Po

mei, sa dìe no fìat resuscitau

Gesus Cristu, fiat mortu!!! Po’

si cumprendi sa surpresa

manna de babbu, candu ndi

fìat torrau a domu, sa sorpresa

chi iat agatau, abetendi de

intendi su fragu de sa bagnia

e de is crugurgionis, candu

invecias ia bìu sa disperatzioni,

unu a sa destra, i s’àtru a

manca! - Aici cust’òmini at

pigau e si ndi est bessiu a su

sartu, e in su sartu at agattau

unu pastori chi tenìat is brebeis

pò signor Usai, su chi

“Si fiat vultada

a manca, i cun sa

cua de s’ògu

bidiat a Gigi, su

cani”

“ N o s u t e n i a u s a i a i a i n

d o m u , f i a u s o t u

p r e s o n a s . ”

iat donàu s’arrascòtu a babbu,

y custu òmini fùi sceti faci

a soli papendi, at nau ca fiat

papendi una surra de petza e

una crocoriga de binu, ddi

bolliat beni a babbu, chi fiat

unu barzelletieri, unu improvvisadori,

i ddi iat nau:” Luisìccu,

ita teinis?” e si ddu iat

contau su fatu. Angiuèddu,

aici si nàrat, gli disse: “Ascuta

Luisìccu, pigadiddu unu pagu

de cussu!”-, ma babbu fìat

preocupau -“Deu papu, ma in

domu?”.Y Angiuèddu ia segau

bona pati de su chi teniat po

si ddu donai. Nosu teniàus

ajaja in domu, otu presonas

in duas camaras de letu fiaus,

bagnu nò nci fiat, sì crocàt in

terra asuta a unu matalassu

fatu cumenti at a essi fatu, i

deu a sa scola nò seu potziu

andai. Atraversendi totu custu

fatus, sa gherra,

Mussolini, ca nànt

meda piciocus ,-

“deu apu connotu

a Mussolini”-, ca

fìat beniu innoi

puru candu fìu

pitiu, ca nci funt

sa fotografìas .

Gigi, “su cani”.


P a g i n a 8

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COMUNALE SANLURI

T i t o l o n o t i z i a r i o

“ B a b b u f i a t p r i v i l e g i a u p o i t a f i a t

u n u o m i n i s p o r t i v u ”

Babbu fìat antifascista, at

lotau, est stetiu emigrau in

Africa, a Gibuti e Mogadiscio,

innui costruiant istradas

po sa gherra ca iat atacau

Mussolini, i candu ddu

at scipiu nci fìat torrau. Deu

mi arrergodu is fìllus de sa

genti arrica, fìant totus bestius

de balilla, donant cussu

ranciu po is famìlias prus

bisognosas, a mìmmi mi iant

donau unu bonu pò papai in

s’asilu, i a babbu ddi narant

“Luisiccu! Mandaddu a su

piciochedu ca su postu ddu

tenit!”. Babbu fìat privilegiau,

poita fiat unu grandu

omini sportivu, fiat stetiu

unu campioni sradu po tres

annus o cuatru annus, de

marcia, e fìat connotu meda.

In custa argiola, sa argiola

de su gramu, ncì fìat

una pista fata a sa bella e

mellus, e issu una di aia

fatu, naraiant is antigus, is

amigus de is cosas suas,

una gara scrutzu, in beranu,

nci fìant totus is spinas.

Una di mi narat babbu

:”bai a s’asilu,” e deu

seu andau e ci fìat una

mesa manna, cun dunu

stampu i unu pratu collocau

mei innò, deu nci

fia imbucau bei cun

is’atrus, scrutzu, cun

una bretelledda posta

po travessu, unu prantalloni

fatu da sa bona

anima de sa mamma, i

no m’arragodu ca ci fìat

una mongia chi mi iat

nau: “Poita ses setziu

Camicia sarda ricamata.

“Deu no portat

bonu! Poita

babbu fìat

antifascista,

poita fìat una

cosa sbagliada a

potai cussu

giovanus a morri

a su fronti po sa

gloria

“ s u c h i n a r a n t c u s s u f i a t

s a c r u , f i n t z a s i s p e r s o n a s c a

f i a n t n o t z e n t i s s i p o d i a n t

a g a t a i i n p r e s o n i . ”

innoi!” Deu no portat bonu!

Poita fìat antifascista babbu,

poita fiat una cosa sbagliada

a portai cussu giovanus a

morri a su fronti po sa gloria,

po ddi liai sa fede de pobidda

mia, po comprai armamentus.

Babbu Fìat beniu a

sciri poita deu no fia abbarrau

a prandi ingui, nci fìat

unu omini chi fìat su collocadori,

su podestà Antonicu

Cirroisi, e sigomenti su chi

narat cussu fìa sacru, fintzas

is personas ca fìant notzentis

si podiant agatai in presoni,

chi ddu boliant, puru po

cuatru favas, o una fìgu, su

barraccellu ddu portàt in

bidda, ddu processant y

fadiat una pariga de diis in

presoni. A babbu ddi iant

donau una sienda agricola

po su chi iat fatu comenti

sportivu, ma no ddì donant nudda,

poita no portat sa camisa

niedda. A babbu serbiat su benestari

de su collocadori, ma donnia

borta chi ddu pediat no fiat

prontu, narat chi no teniat su

benestari “dall’alto”, ma custu

omini bolliat sceti unu aragallu,

ma babbu no teniat nudda. I fìat

andau de tziu Peppi Usai, po si

fai donai unu angioni. Nò ia

bofiu

“ F a i d i s i d o n a i s u c h i d d i d e p i d o n a i ,

s a p a g a p r u s b e l l a e s t c u s s a ! ”

nudda in cambiu: “Faidisi

donai su chi ddi depi donai,

sa paga prus bella est cussa!”

Si iat nau tziu Peppi. I

fìat andau a Porta Nuova,

ainnui ci fìat sa domu de

Antonicu Cirroisi, i sa pobidda

parriada practica de custas

cosas. Tzia Bissentica,

aicci si narada-”Bongiornu

tzia Bissentica!”- “Bongiornu

Luisiccu!” –“I Antonicu no

nci est?”- “No, issu est a su

bagnu!”- Ddu teniat una

ritiratedda, issu podiat!

Ddu iat biu ca babbu portat

unu fagotu mannu, aici iat

nau a Antonicu:”Antonicu, la

ca c’est Luisiccu cun dunu

angioni!”- e issu- “Apu cumprendiu!,

bai a su bustu de

Mussolini, la ca c’est totu su

chi srebit!”-, i nci fiat andada

i ddi iat portau su folliu a

babbu. Babbu ia fatu sa

prima elementari, ma postu

a cunfrontu de oi est commenti

chi teniat una laurea.

Iat tentu unu bellu coragiu

a ddi nai: -“Ascutta Bissentica,

portasiddu a Antonicu

mo ca est in bagnu custu

folliu, ca si strexit , chi iat

Busto di Benito Mussolini


N u m e r o – 1

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“ c a s i COMUNALE SANLURI

s t r e x i t !

c h i i a s c i p i u c a f i a t p o

s ’ a n g i o n i , s i d d u ì a p o r t a u d e d i o r a i

t e n i a s u t r a b a l l u ! ”

P a g i n a 9

scipiu ca fiat po s’angioni, si ddu ia

portau de diora i tenia su traballu!”-. I

si fìat fatu cuatru diis de galera, poita

fia cuntrariu a custu fatu, po chi si

ddu spetat una cosa , no tenia che

ddi fai una aragallu, i ia pagau totus,

po custu fatu, deu apu comintzau a

portai crapitas a cuindixi annus. Apustis

deu apu fatu su garzoi de brabe-

ris, fintzas a su 1979, candu apu

comintzau a traballai in fabbrica, si

traballat in custa manera tres diis in

sa braberia i duas diis in su satu. Sa

metadi de su prodotu ddu donaias a

su meri, i in custu periudu apu comintzau

a bì calincunu soddu. Fiaus

imbruttaus a unu talli modu chi is

feminas poniant sa roba ca portaiaus

po si crocai a su soli, poita fiat prena

de priogu asuta. Deu apu fatu sa

segunda elementari, apu fatu su

servu pastori, apu ghetau su lori ,seu

andau a fatu de su cuaddu i de is bois

i candu si torraiat a domu a merì, ca

fìant giai faci a is cincu, ci fadiant

abarrai a segai linna, a pullii su stabi

de is cuaddus. E sa dì a mangianu

depiast andai a su sattu, a traballai,

prima de fai luxi, ca a sa luxi depiast

incomintzai a traballai. Su traballu in

su sattu fiat a fai sa guardia a sas

bingias, i teniat is prantallois fatu cun

dunu arrogu de tenda. In cussu tempus

sa roba no dda portant a sa Caritas.

c u n d u s s a c u s

s e g a u s , s i d d u i a n t

f a t u s u b e s t i d i , c h i

p o r t a i a n t s a s t e l l a d e s u s a c u s

m e s u i n s a s c h i n a ,

Unu capotu, mancai beciu,

chi ddu rivoltant i ddu segant

in cudda manera, po

ddi nai! M’arragodu ca

una depìat fai sa comunioni

i no tenìat sa roba de si

ponni, e is militaris, is americanus,

si diant donau ddus

sacus de farra, de cussa chi

potaiant. I cun ddus sacus

segaus, si dìant fatu su bestidi,

chi porttaia sa stella

de su sacu me su in sa schina,

custu po ddi nai, poisi

cumprendi comenti istaiaus

nosu. Certu, po una femmina

no podiat istai sentza de

si sciacuai, chi portant is

pilus longus, depiant istai

atentas a non portai su

priogu, e in cussu periudu

fìant una esca po is militaris

chi nci fìant in Seddori, prus

de cincuantamila . Nci fìant is

casermeddas, s’ospedali

militari, i totus is cresias fiant

prenas de militaris, is domus

abandonadas fiant prena de

militaris, nosu piciocheddus

agataiamus munitzionis e

armamentus in sa bia, commenti

oi agatant una latina

acuada, e fìat cosa de donnia

u n a f e m m i n a n o

p o d i a t i s t a i

s e n t z a d e s i

s c i a c u a i , c h i

p o r t a n t i s

p i l u s

l o n g u s ,

d e p i a n t

i s t a i

a t e n t a s a

n o n p o r t a i

dii. Candu oberriast una scatuledda

de cerinusu, ci fiat u’u sportellèdu

kun ddùs elàstiku ki sì

aperrìada y cì fìa u’a scritta, komènti

sa publicidàdi de òi-”W il

duce!”-

“Candu oberrìast

una scatuledda de

cerinusu, ci fìat

unu sportelledu cun

ddus elasticus chi si

aperriat e nci fìat

una scrita, comenti

sa publicidadi de oi-

”W il duce!”.

Motocarro carico di

sacchi di farina.


P a g i n a 10

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T i t o l o n o t i z i a r i o

E c a n d u s i COMUNALE SANLURI m b u c a d a a

i s c o l l a

d e p i a s t

s b a t i s u p e i e c u n s a m a n u i n a r t u

d e p i a u s n a i - ” W i l d u c e ! ” - .

Prima de fai sa letzioni narajaus

sa preghiera. Una dii

fìat arribau unu carru militari,

chi portaiat unu tellu,

innui proietanta in pratza

Porta Nuova film de guerra,

contadinus traballendi.

Commenti initziativas Mussolini

ndì tenìat meda, ma

meda, calincuna mabas,

comenti su fatu ca teniat

cussu pelìnu de fai guerras,

po esempiu a fatu fai Arborea,

sa diga de su Tirsu,

Carbonia, ‘nda fata meda de

cosas bellas, ma unu chi

commandat, guai chi no

adessi fatu cosas bellas. Ma

deu no seu potziu andai a

iscolla, po cussu ca immoi

ligiu totu su chi potziu agatai,

librusu, giornali. Po custu

deu bollu donai a is fìllus

totus su chi ddi potziu donai,

deu tenju cuatru fìllus, sette

nebodis e chi deu bollidi, po

Gennaiu seu bisnonnu de

nebodi mia. E qui si apre il

racconto di un momento di

vita unico per Pinuccio,. Ci

racconta un esperienza

di vita senza pari e lo fa

in sardo, nella lingua

madre, la lingua degli

affetti profondi, più

veri. Ci racconta di

quando sua figlia Roberta

ancora ragazza

giovane rimane incinta

e non lascia trapelare

nulla della sua maternità

prossima. Sua madre

è via da casa per

aiutare dei parenti a

seguire una nipote

Camicia sarda ricamata.

“Pinuccio resta

a casa con i suoi

quattro figli, la

moglie sà di

poter contare sul

suo aiuto e la

sua presenza,

finchè una notte

accade un evento

inaspettato.”

M u s s o l i n i n d i t e n i a t m e d a , m a

m e d a , c a l i n c u n a m a b a s ,

c o m e n t i s u f a t u c a t e n i a t

c u s s u p e l i n u d e f a i

g u e r r a s . ”

disabile in continente. Pinuccio

resta a casa con i suoi

quattro figli, la moglie sà di

poter contare sul suo aiuto e

la sua presenza, finchè una

notte accade l’ evento inaspettato,

Roberta ha le doglie.

Sono le quattro di mattina

e sta partorendo, Pinuccio

viene a saperlo in quel

momento, è sconvolto, ma

assiste la figlia assieme agli

altri figli. Dice che ha appreso

qualcosa riguardo l’assistenza

al parto dal vissuto di

casa, sua moglie ha partorito

i suoi cinque figli in casa

come si faceva una volta, e

anche dalla televisione. Non

si perde d’animo, prepara

l’acqua calda e gli asciugamani

e, nel frattempo, chiama

un parente medico. Il terrore

lo agita, ma il cervello sta

elaborando strategie per soccorrere

al meglio sua figlia. E la

bambina nasce. Il medico arriva

solo per constatare l’avvenuto

parto, pinuccio ha fatto

da “levadore”, e portare roberta

in ospedale. I medici constatano

lo stato di buona salute di

madre e figlia e pinuccio dice “

mi si fiada apertu su cielu”.

i t a m a r a v i g l i a ! m i s i f i a t

a b e r t u s u c i e l u

Pinuccio riesce a far bene

da “levadore” e può portare

Roberta in ospedale, per i

controlli di rito. I medici constatano

lo stato di buona

salute di madre e figlia e

Pinuccio soddisfatto racconta:

“ Ita maraviglia! Mi si fiat

abertu su cielu!”. Oggi, quella

stessa bambina che ha

contribuito a far nascere ha

vent’otto anni e presto lo

renderà bisnonno.

Didascalia dell'immagine o

della fotografia


N u m e r o – 1

I r e n e o M a t t a ,

s a n l u r e s e d o c , c l a s s e 1 9 4 4 .

D a g e n e r a z i o n i a S a n l u r i - “ m i a n o n n a

v e n n e a s ’ a c o d r a i . - ”

Sono Ireneo Matta, sanlurese doc,

classe 1944. Da generazioni a Sanluri,

mia nonna paterna di Mogoro

viene a Sanluri “a s’acodrai”, fare la

serva, da un benestante del posto. In

occasione della morte di mio padre

conosco dei parenti, venuti per l’estremo

saluto. Uno zio così mi racconta

che i fratelli e le sorelle di non-

Lui era versato per il canto

ma noi pensavamo che il

canto e il ballo andassero

bene a braccetto. Così cominciarono

gli attriti, minacciammo

Chinu che se non si fosse

fatto anche il ballo ci saremmo

separati, come avvenne.

Ho sempre coltivato anche la

passione per gli strumenti

musicali, l’ho sempre avuta,

mio padre faceva parte della

no sono ben undici. Ne deduco allora,

che se mia nonna è venuta a

nove anni, sicuramente non ha conosciuto

molti fratelli e sorelle. Mia

nonna muore il 1 agosto del 1944 e

io nasco pochi giorni dopo. Il nonno

materno è sanlurese, ma il bisnonno

è Quartese. Il nonno custodisce

gelosamente la stanza dove dorme,

non fa entrare neanche per le pulizie,

a distanza di tempo scopriamo ben

nascosto il foglio di congedo del

Banda Musicale dall’età di

sedici anni, vi rimase per 62

anni. Mio padre, al secolo

Italo Matta, classe 1916,

faceva parte della Banda,

anche da militare. La passione

ha contagiato me e i miei

fratelli, anche se io non conosco

la musica. Mi aiuto con il

diapason, ho tentato di impararla

ma la mente non si concentra,

sono cose che devi

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COMUNALE SANLURI

“ E ’ s e m p r e

i m p o r t a n t e

r i t r o v a r e l e

o r i g i n i , a v r e i

v o l u t o f a r e

r i c e r c h e p i ù

a p p r o f o n d i t e . ”

imparare

da bambino, però so fare il

fiato continuo. “Se dedichi il tempo

a costruire non riuscirai a imparare

la musica” mi disse il maestro

Burranca nel 1977, quando si

rifece Sa Missa in sradu, di cui

possiedo la registrazione, tramandata

da Peppinu Cirronis, l’originale.

P a g i n a 11

padre, del 1843, per dire come la memoria

si è conserva anche celandola agli

sguardi. E’ sempre importante ritrovare le

origini, avrei voluto fare ricerche più approfondite,

nella memoria affonda le sue radici

anche la mia passione per “is launeddas”.

Sono tra i fondatori della Proloco

sanlurese, is launeddas le ho suonate

insieme a tziu Chinu Congia. Abbiamo

chiamato tziu Chinu Congia a collaborare

con noi, e si era iniziato a costituire il

gruppo folk a Sanluri. Dopo due anni cantando,

volevamo anche

imparare il ballo ma tziu

C h i n u n o n b o l ia t .

“Se dedichi il

tempo a costruire

non riuscirai a

imparare la

musica!” mi disse

il maestro

Burranca nel

1977.

M i o p a d r e , a l s e c o l o

I t a l o M a t t a , c l a s s e

1 9 1 6 , f a c e v a p a r t e

d e l l a b a n d a , a n c h e

d a m i l i t a r e . L a

p a s s i o n e h a

c o n t a g i a t o m e e i

m i e i f r a t e l l i , a n c h e

s e i o n o n c o n o s c o l a

m u s i c a

Strumento sonoro

ancestrale,parte

della collezione

posseduta da Ireneo

Matta.


P a g i n a 12

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T i t o l o n o t i z i a r i o

“ i l m a e s t r o B u r r a n c a

c o n o s c e v a l a

m e s s a i n

s a r d o , p u r n o n a v e n d o v i p r e s o p a r t e

d i p e r s o n a , l a i n s e g n a v a a m e m o r i a . ”

Il maestro Pittau l’ha trascritta

musicalmente e noi

l’abbiamo eseguita in piazza

san Pietro nella chiesa omonima

nel 1977, non abbiamo

foto, almeno chi le ha

non le ha mai date. Sarebbe

bello averne copia. Ma per

ora rimane solo la registrazione,

che la biblioteca potrebbe

catalogare e conservare.

Solo Sanluri e una

frazione di Oristano possiedono

questa memoria della

messa in sardo. Anche il

maestro Burranca conosceva

la messa in sardo, pur

non avendovi preso parte di

persona, a noi la insegnava

a memoria, come la conosceva

tramandata dai suoi

maestri, Francescheddu

Sanna, e Peppinu Cirronis,

uno dei quattro cantori della

messa, tziu Nicu Masala tziu

Ciccitu Spiga e tziu Melidoru,

tutti conoscevano i

versi a memoria. Peppinu

Cirronis riusciva a replicare

in verso cantato tutto ciò

che predicava il prete, faceva

“scattedu e cadinu,”

tutto in lingua sarda. Esiste

però una partitura scritta e

musicata e io la possiedo,

un grande valore per la comunità

che l’ha espressa,

che ha rielaborato il rito

cristiano facendolo proprio.

Oggi la lingua sarda ha

subito una costante evoluzione

.

.

“A Sanluri c’era

Antiogu Sanna ,

cantadori, ha

composto su

frabottu, il medico

sui generis- pro

curai, aveva

composto la

canzone de is

scimmiasa

imbriagasa”

Q u e s t a è l a t e s i d i l a u r e a

f a t t a s u l l a m e s s a i n s a r d o

d a O m e r o C o n g i a .

Tanti i cambiamenti, riguardo

ad esempio alla sua pronuncia

originale, niente è più

uguale a prima, andrebbe

ritrovata—. (intervistatore) Mi

fa vedere una foto di Delfino

Porcu, un grande improvvisatore

di repentina di Terralba.

A Sanluri c’era Antiogu Sanna

, cantadori, che ha composto

su frabottu, il medico

sui generis- po curai, aveva

composto la canzone de is

scimmias imbriagasa. Adesso

c’è solo Remo di Furtei-. Ti

mostro l’archivio dove ho

molto materiale in musicassette

registrate con repentine,

alcune copiate e riversate,

molti spettacoli del gruppo

folk, un vero e proprio

archivio multimediale dell’attività

del gruppo folkloristico

sanlurese. Guarda questa è

la tesi di laurea fatta sulla

messa in sardo da Omero

Congia. Tornando al racconto

della mia vita, quando ero

dodicenne andavo a fare il

sarto da mio zio, così è stato

per vent’anni. Poi il periodo da

militare, e a seguire il concorso

alle poste, dove mi hanno

assunto come portalettere.

Con la Banda Ponchielli

andammo a Cremona. E li

una folgorazione, vidi i violini

di Stradivari. Uscito da

quella sala, cercai subito un

edicola dove spesi 500 mila

lire in libri sulla liuteria, e

cominciai a leggere .Ma

non capivo i termini che

venivano usati, io ho solo la

M a i t a s e s m a c u ! -

E h , m a c u s e u o i ! .

terza elementare. Ho cominciato

con il maestro Angelo

Vinci, ricordo che gli dissi-

“Dai che cominciamo a costruire

violini!”- “ Ma ita ses

macu!”-” Eh, macu seu oi!”-.

Il primo è questo che vedi,

in abete, paridi una racchetta

da tennis, ma ad Angelo

Vinci non piaceva approfondire

le cose, a me invece si,

allora piano piano ho costruito

altri strumenti, sempre cercando

di migliorare. Nel 1995

questa viola l’ha costruita Giorgio

Dore, viola a sedici corde,

sei suonano per simpatia. Questi

strumenti hanno tutti suonato,

in alcuni non ci sono le

corde perchè costano un

patrimonio.


N u m e r o – 1

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COMUNALE SANLURI

P a g i n a 13

migliora con l’età. Ti mostro i

violini che conservo nella

vetrina, questo violino è scavato

con la sgorbia fine e

riempito con la polvere di

ebano, come un intarsio, poi

ne ho un altro con la navicella

nuragica, anche il violoncello

e il contrabbasso li ho fatti io,

quest’ultimo ha suonato ant

r a g l i

s t r u m e n t i c ’ è

u n m a n d o l i n o f o r m a S t r a d i v a r i , m o l t o

i n v o g a n e l l ’ 8 0 0 .

Tra gli strumenti ho un mandolino

forma Stradivari, molto in voga

nell’800. Tornando alle Launeddas,

non si finisce mai di imparare, vedi

queste, quella al centro è il prototipo

giusto, tutti gli altri sono a scendere

di cinque punti, come è normale,

questo è un quarantesimo ad esem-

pio. Un suonatore deve possederle

tutte e dieci, le launeddas sono strutturate

così, sono chiamate sonus de

ascutai, sonus de cresiam sonus de

baddai, sonus de cantidu, e sonus de

is arricus. Succedeva infatti che chi

era benestante chiamava il suonatore

per suonare strumenti acuti che

imitassero il pianto del neonato ogni

volta che nasceva un bambino in

famiglia, per fare festa. Adesso suono

un contrappunto in fa, uno di questi

che imita il pianto del bambino, lo

strumento va accordato con la cera, è

uno strumento che esiste da più di

quattromila anni, la materia prima è la

canna, tre sezioni diverse su cannisoni,

la canna normale, per fare le ance invece

c’è la canna più piccola, va tagliata a

gennaio, a luna piena, o a fine di luna,

ho ancora canne tagliate dal 1972 in

poi per fare altre launeddas, si conservano,

non si usurano, la canna va fatta

stagionare per almeno due anni. Io

possiedo strumenti di più di cento anni,

è come il violino, il suono

l e l a u n e d d a s s o n o

c h i a m a t e s o n u s d e

a s c u t a i , s o n u s d e c r e s i a m s o n u s

d e b a d d a i , s o n u s d e c a n t i d u , e

s o n u s d e i s a r r i c u s

che ad Atene. Portato da

Omero Bandinu, il contrabbassista

dell’orchestra. Ricordo

che un costruttore di launeddas

, tale Mallocci, mi ha

lasciato gli strumenti di lavoro

per costruire le launeddas,.

Un altro, Salvatore Leccis,

anche lui mi ha lasciato i suoi

attrezzi. Questo è uno strumento

che ha più di cento

anni, l’ho fatto restaurare,

l’ho pagato cento mila lire e

ho speso seicento euro per

restauralo. E’ una fisarmonica

che potrebbe essere

usata con il mantice originale,

in pelle e stoffa impermeabilizzata.

Poi ce n’è

anche un altro recuperato,

“sonus de is

arricus, quelli corti,

perché i benestanti

chiamavano il

suonatore per

suonare strumenti

acuti che imitassero

il pianto del

neonato,”

I l c o n t r a b a s s o h a

s u o n a t o a n c h e a d A t e n e ,

p o r t a t o d a O m e r o

B a n d i n u .

Omero Bandinu


P a g i n a 14

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COMUNALE SANLURI

T i t o l o n o t i z i a r i o

Dir

i c o r d o

c h e s i n o

a l l ’ e t à d i 1 7

- 2 0 a n n i , c i

s i s e d e v a n e l v i c i n a t o f i n o a l l a s e r a

t a r d i

di Putzu, di un materiale

freddo, con un suono metallico

scialbo, seppur perfetto,

poi ci sono le ciaramelle,

suonano con la zampogna,

fatti da Giorgio Dore, apu

fatu sa cassanuxi primitiva,

funziona per caduta. Adesso

ti racconto qualcosa di

più del contesto sanlurese,

la vita di comunità è un po’

difficile, molti tendono ad

essere individualisti, non

lasciano spazio, dipende

dalla presunzione, purtroppo.

Prima non era così, c’era

più solidarietà, fratellanza,

oggi lascia molto a desiderare,

per esempio ricordo sino

all’età di 17-20 anni ci si

sedeva nel vicinato fino alla

sera tardi, chi giocava con

sa barruffa, chi chiacchierava,

oggi tutto questo non c’è

più, il benessere ha portato

egoismo e diffidenza. Io

accompagnavo mia mamma

negli anni ‘50 all’unico rubinetto

paesano in s’Arei, mia

mamma con sa mariga e io

con un barattolino di conserva

a prendere l’acqua. Mia

mamma scendeva lungo la

strada per Furtei, prima

della curva, a lavare i panni,

a Riu ‘e Piras, duadia pedra

manna e lì facevano su stresciu.

Io ho vissuto la mia

infanzia in povertà ma fuori

dalla guerra, oggi ci sono

molte famiglie

.

Io accompagnavo

mia mamma negli

anni ‘50 all ’unico

rubinetto paesano

in s’Arei, mia

mamma con sa

mariga e io con

un barattolino di

conserva a

prendere l ’acqua”

Manoscritti. Se digiti nel pc

Saragat poesie te ne appaiono

dodici, io in originale

ne ho 47. Era fratello

dell’ex Presidente della Repubblica,

Giuseppe Saragat.

Questo libretto, originale, lo

volevano mettere al fuoco e

allora io con questo amico lo

conservammo, guarda che

S a r e b b e b e l l o s e i l c o m u n e s i

f a c e s s e c u s t o d e d i t u t t o

q u e s t o , p o s s i e d o a n c h e d e l l e

b e l l e r a c c o l t e d i p o e s i e .

benestanti, ci sono molte più

cose, ma c’è degenerazione

sociale. Dove ritrovo la comunità

oggi, mah, secondo

me non c’è più. Nella banda

musicale è cambiato tutto,

oggi non mi ci ritrovo. Custodisco

comunque con passione

e dedizione una grande

raccolta multimediale sul

cosa scriveva quest’uomo,

su seddoresu - filosofia rusticana

-Timmi e poderabiblioteca

de su circulu, con

il verbale in sardo. “Unu

studiu appu fattu de sa genti,

de su modu e bivi e de

trattai”, inizia così questo

componimento in versi di

Cesare Saragat, sanlurese.

U n u s t u d i u a p u

f a t u d e s a g e n t i , d e

s u m o d u d e b i v i

e d e t r a t a i Giuseppe

Saragat

sodalizio e la sua attività, dal

1987-88 sino al 2010-12,

periodi di cui possiedo tutte

le registrazioni. Mio fratello ,

tecnico radio tv, mi ha organizzato

tutta la parte del

laboratorio per le registrazionini

. A chini, ma a chi trasferirò

il mio sapere la mia raccolta?

Mah, per ora a nessuno!

Sarebbe bello se il comune

si facesse custode di tutto questo,

possiedo anche delle belle

raccolte di poesie, ho tante

cose, persino una rassegna

stampa a tema, il testo de Su

Seddoresu- canzone a ballo,

composto da tsìu Chinu Congia,

molte poesie di Antiogu Sanna,

.seddoresu. Di quest’uomo mi

diedero cinque manoscritti, ma

siccome io non avevo soldi per

fare le fotocopie, glieli resi e

sicuramente finirono bruciati, o

buttati. Alcune erano poesie di

Cesare Saragat.


N u m e r o – 1

BIBLIOTECA

COMUNALE SANLURI

P a g i n a 15

C a r m i n e t t a P i l l o n i n a s c e a B a r e s s a , i l

7 d i c e m b r e 1 9 2 2

Carminetta Pilloni nasce a Baressa, il

7 dicembre 1922. Lì le usanze erano

molto diverse, rispetto a Sanluri. Si

viveva da paese piccolo, tanto che

quando mi sono sposata venire qui è

stato per me un’esperienza impor-

tante. A Baressa dall’età di dodici

anni si lavorava in campagna, tutti.

C’era anche chi stava bene, però tutti

lavoravamo, non c’era distinzione, il

lavoro era la campagna. Da piccoli, a

sette anni, si andava ad accompagnare

il bestiame, secondo le capacità

di ognuno. Quando mi sono sposata,

mi piaceva andare in campagna

a raccogliere le olive, ma a Sanluri

era sconveniente per una donna

sposata bene fare i lavori della campagna.

Mio marito non mi voleva mai

portare-” Se ti vedono in campagna ti criticano,

dicono che sono io che ti costringo a

lavorare!”-, ma a me piaceva, d’inverno e

d’estate. Da piccola, quando andavamo a

raccogliere le spighe, io andavo assieme

alle mogli dei dipendenti, perchè anche

mio padre ne aveva di dipendenti, e spesso

le donne portavano i bambini piccoli

con loro. A me facevano tenerezza, ma

erano organizzati per preparare una sorta

di riparo su misura per loro .Portavano le

lenzuola, le tendevano con delle canne, e

quello diventava il loro riparo dal sole.

Ma alla fine dell’estate altro

che negretti, erano cotti dal

sole, che filtrava attraverso le

lenzuola, mentre noi cercavamo

di proteggerci con i fazzoletti,

mettendoci anche del

finocchio in testa per una

protezione sul viso più efficace.

Da noi non si usava abbronzarci,

come si usa adesso,

a me si spellava tutta la

faccia, quando siamo cresciu-

S e t i v e d o n o i n

c a m p a g n a t i

c r i t i c a n o , d i c o n o

c h e s o n o i o c h e

t i c o s t r i n g o a

l a v o r a r e

ti un po’, a dodici anni sono

andata a trebbiare il grano, e

a seminare, una volta passati

i buoi e fatto il solco. Una

volta sono andata che nevicava,

allora non c’erano i grani

tardivi e si seminava anche

con il freddo. A ottobre iniziava

la semina e mamma gli

diceva a mio padre -” Ma

porti quella bambina in campagna?”-.

C’era povertà, famiglie

numerose senza neanche

il pane, le donne al

rientro dalla raccolta delle

spighe dovevano pulire il

grano, macinare subito e

fare il pane. Un lavoro duro,

meno male che in quei

tempi ci si dava una mano

l’un l’altro, perché la situazione

era difficile. Una volta

con mia comare, che era in

attesa siamo andate al

“Erano organizzati

per preparare una

sorta di riparo per i

più

piccoli .Portavano le

lenzuola le tendevano

con delle canne, e

quello diventava il

riparo .“

A o t t o b r e i n i z i a v a l a

s e m i n a e m a m m a g l i d i c e v a

a m i o p a d r e - ” M a p o r t i

q u e l l a b a m b i n a i n

c a m p a g n a ? ”


P a g i n a 16

BIBLIOTECA

COMUNALE SANLURI

T i t o l o n o t i z i a r i o

I n c a m p a g n a p o r t a v i u n a c i p o l l a e u n

p e z z e t t i n o d i f o r m a g g i o

era in attesa, siamo andate

al campo per le spighe e

abbiamo fatto sei chilometri

per arrivare. Il giorno dopo

siamo tornati e l’abbiamo

trovata che aveva partorito

durante la notte. Due donne

l’assistevano al parto, immagina

che voglia aveva

questa donna di inchinarsi a

raccogliere spighe, ma c’era

necessità. Oggi è più quello

che buttano, in campagna

portavi una cipolla un pezzettino

di formaggio e il pane,

acqua calda perché non

teneva la temperatura.

Quando sono arrivata a

Sanluri, mi sono sposata

bene , con un ricco proprietario

terriero, e mio marito

non mi portava in campagna

per paura delle critiche. Poi

la perdita di un figlio mi fece

ammalare di depressione, e

per star meglio chiedevo

ripetutamente a mio marito

di portarmi in campagna per

distrarmi, ma non mi voleva

portare mai. Ma io feci in

modo di andarci lo stesso, per dodici giorni, in

campagna contro il suo volere. Lì c’era chi parlava,

chi scherzava, e così questa frequentazione mi ha

fece riacquistare la salute, distratta dal pensiero di

mio figlio. In casa facevo tutto, non obbligata ma

per mia volontà, sapevo che quello era un mio dovere,

per questo mio marito non diceva mai una

parola contraria su di me, mai una parola di male,

quello che ho potuto fare l’ho fatto, per quello che

ho fatto. Ho avuto

Andavo a letto

anche all ’una, mi

alzavo alle sei per

mungere, ma non

mi sono mai

lamentata, la mia

fortuna era che

mia suocera era

molto brava.

I n c a s a

f a c e v o t u t t o , n o n o b b l i g a t a

m a p e r m i a v o l o n t à , s a p e v o

c h e q u e l l o e r a u n m i o

mia suocera per otto anni, e

ho accudito una cognata

malata di schizofrenia per 43

anni, ma dio mi sta ricompensando

per quello che ho

fatto. Avevamo le vacche per

23 anni, mi alzavo presto al

mattino per mungere. Lavavo

i recipienti a mano, e andavo

a letto anche all’una Mi alzavo

alle sei , ma non mi sono

mai lamentata, la mia fortuna

era che mia suocera era

molto brava, affidavo a lei i

bambini che stavano benissimo.

Io, oltre alla cucina,

potevo dedicarmi a tutto.

Avevo trovato un’altra mamma.

Mi sono sposata a 35 anni, lui

ne aveva 36, del ‘22 e del ‘21,

veniva a Baressa ogni anno

perchè aveva un gregge e il

servo pastore aveva diritto a un

paio di pecore quando entrava,

ad agosto, e venivano a cercare

pecore da comprare .

i o e r o d i e t r o a l l a p o r t a e m i a

m a m m a o s s e r v a v a m i o p a d r e c h e

d i s c u t e v a c o n l o r o

E allora che veniva a Baressa

e ci siamo incontrati in

strada. Cercavano mio padre

per chiedergli se aveva

pecore da vendere, io stavo

dietro la porta e mia mamma

osservava mio padre

che discuteva con loro, contrattando.

Quando se ne

furono andati, mia mamma

disse tra sè con aria convinta–

“Cussu no est cichèndi

brebei, cussu est cichendi

femina!”.


N u m e r o – 1

t r e m e s i

p r i m a d i

d a r g l i l a r i s p o s t a , p r i m a c i s i a m o

i n f o r m a t i p e r s a p e r e c h e r a g a z z o e r a

d a l p a r r o c o

E aveva ragione. Colpo di fulmine,

hanno chiesto quando poteva rientrare

mio padre, che tornò dopo il 15

settembre, mio padre mi chiamò per

offrirgli qualcosa, a me che ero la più

grande di sei, e dopo mi disse che

era venuto per me. Ma io sono rima-

nella lettera si poteva scrivere

molto di sè, ma poteva

essere falso. Era cosi tanta la

severità che un giorno, che

giocavamo con delle bambine

nel giardino, si affacciò un

cugino a guardare cosa facevamo

e mio padre si arrabbiò.

Disse che lui non ci faceva

niente con noi. Spazi divisi ,

le donne e gli uomini non

dovevano incontrarsi, troppa

BIBLIOTECA

COMUNALE SANLURI

sta tre mesi prima di dargli risposta,

ci siamo informati per sapere che

ragazzo era, anche chiedendo al

parroco, prima non si viaggiava come

adesso, non c’erano mezzi e spostarsi

da Baressa richiedeva tempo. Noi

ci siamo conosciuti con le lettere,

ne ho una scatola piena ,ho

passato tredici mesi scrivendo!

Io non andavo in nessun posto

se non lo avvertivo, la prima

volta da soli c’era una zia di

N o i c i s i a m o

c o n o s c i u t i c o n

l e l e t t e r e , n e

h o u n a

s c a t o l a , h o

p a s s a t o t r e d i c i

m e s i s c r i v e n d o !

confidenza. Un mio fratello,

un giorno, andò a raccogliere

corbezzoli con delle altre

ragazze e queste rimasero

segnate per sempre. Se sapevano

che qualche ragazza

aveva avuto parole con un

altro ragazzo era segnata.

Quando mio marito seppe

che uno di Ussaramanna mi

corteggiava andò subito da

lui, a chiedere che rapporti

avessimo, per sincerarsi

che non ci fosse niente. Mio

marito non cercava donne a

Sanluri perchè in quel periodo

nelle famiglie molti

ospitavano militari e lui non

voleva rischiare di chiedere

in sposa una donna compromessa.

Ricordo che a

Baressa eravamo molto

solidali, ricchi e poveri eravamo

uguali, - nosu fiausu

P a g i n a 17

mia nuora, ci siamo incontrati a Sardara, mi

ha fatto un improvvisata. E’ stata la prima

volta che ci siamo incontrati personalmente

dopo tante lettere. Lui veniva a Baressa ma

non mi aveva mai visto, una volta a ottobre

stavamo rientrando dalla vigna e ho sentito

la motocicletta che arrivava. Era lui, ma lo sa

che avevo in testa un cestino di uva e a momenti

mi cadeva il cestino dalla testa per

l’emozione, e non ci siamo nemmeno presentati.

Ma ai tempi nostri era così, non ci

fermavamo neanche in strada a parlare con

un cugino, c’era tanta severità.

Non sapevi chi andavi a

sposare, non avendoci mai

Mio fratello un

giorno andò a

raccogliere corbezzoli

con delle altre

ragazze e queste

rimasero segnate per

sempre.

m i o m a r i t o

n o n c e r c a v a

d o n n e a

s a n l u r i

p e r c h è i n

q u e l p e r i o d o

n e l l e f a m i g l i e m o l t i

o s p i t a v a n o m i l i t a r i . M i o

m a r i t o n o n v o l e v a

r i s c h i a r e d i c h i e d e r e i n

s p o s a u n a d o n n a

c o m p r o m e s s a .


P a g i n a 18

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T i t o l o n o t i z i a r i o

Q u e s t e r e l a z i o n i s e n t i m e n t a l i e r a n o

s e m p r e g u i d a t e

traballendi de piticus, io ho

vissuto con una cognata che

ha avuto un matrimonio

sfortunato, il marito non la

accudiva, era un matrimonio

combinato, lei era un ospite

in quella casa. Io piangevo

perché capivo che lei era

gelosa, vedeva l’amore tra

me e mio marito. Lei in periodo

di guerra era stata

innamorata di un ufficiale,

che poi è stato trasferito a

Guspini e nel frattempo ha

avuto questa dichiarazione

da suo marito, che la famiglia

ha accettato, e lei suo

malgrado. Poi è successo

che il suo primo amore è

tornato a cercarla, ma lei

era già impegnata e la famiglia

ci teneva che facesse

un matrimonio importante.

Per me è stato diverso.

Quando ero in età da marito,

avevo un bel rapporto con

mio padre, che non ci obbligava

mai, ma ci informava

su quello che veniva a sapere

sulle persone che domandavano

di noi. Io avevo una fiducia cieca in

mio padre. Le relazioni sentimentali erano

sempre guidate, ma per noi donne l’amore

è troppo importante. Parlando con mia

suocera dell’amore sfortunato di sua figlia

mi disse:-” Non è che noi non accettassimo

questo ufficiale di cui lei era innamorata,

ma la posta in tempo di guerra era vincolata,

e non avendo informazioni su di lui certe,

non potevamo affidare nostra figlia a lui

senza sapere nulla a riguardo.

“Io mi sono

fidanzata e le mie

amiche di una

vita, che poi non

si sono sposate,

non sapevano

niente.”

P o i i l s u o

p r i m o a m o r e è

t o r n a t o a

c e r c a r l a ,

Quando questo primo amore

di mia cognata divenne colonnello

fu trasferito a Cagliari,

e io venni a sapere

che questo colonnello ancora

parlava di lei, pur avendo

ormai una vita diversa. Era

questa la condizione delle

donne, spesso le ragazze

non avevano fiducia una

dell’altra, io mi sono fidanza-

padre parlava di nascosto con mio marito

e si metteva d’accordo con lui. Mio padre

si chiamava Peppino Basile, di origini napoletane

ma vissuto a Cagliari. Poi si stabilirono

a Sanluri, dove iniziarono ad aggiustare

la chiesa, poi il comune. Erano

muratori. Fu mio padre a

dire che avevo l’età per

sposarmi, mi disse :- “Ce

l’ho sempre appresso queta

e le mie amiche di una

vita, che poi non si sono

sposate, non sapevano niente

di me. Ma si accorgevano

che quando lui veniva in

paese, io scappavo a casa e

mia madre diceva:-” Ma asa

a bi ca c’esti cussu seddoresu?”-

Io ero reticente, non

confidavo nulla, neanche alle

mie amiche. Infatti, quando

le ho fatto sapere del fidanzamento

mi hanno preso per

i cappelli, si fa per dire, sgridandomi,

anche se sicuramente

tra sé e sé pensavano

:-” Asa a crei ca nosu no

ddu cumprendiausu!”-.

Fedora Scano 100 anni e

tanti ricordi, una bella famiglia

e nove figli tra i quali

Augusto, Salvatore, Piero,

Ignazio, Cecilia, Maria Grazia.

“Avevo una matrigna

che mi voleva bene, a me e

a mia sorella, la mia vita da

ragazza è trascorsa lavorando,

ho iniziato a 15-16 anni,

F e d o r a S c a n o

1 0 0 a n n i

guardavo i bambini, gli davo

da mangiare, poi andavo a

mietere, a tirare l’erba e a

pulire i campi, con le amiche.

La vita quotidiana era

buona, scorreva bene , insieme

alla mia matrigna, a

cui abbiamo voluto un gran

bene. Io inizialmente non mi

volevo sposare, ma mio


N u m e r o – 1

a v e v o l ’ e t à

p e r

s p o s a r m i , m i d i c e v a - ” c e l ’ h o s e m p r e

a p p r e s s o q u e s t o r a g a z z o ! ” - .

questo ragazzo!”-. Mio marito si chiamava

Giovanni Pillloni, Giuanniccu.

Mio padre mi diceva:- “Fedora! cosa

vuoi fare! Ce l’ho sempre appresso!”-

. Allora Giovanni cominciò a venire a

parlarmi dalla porta, -“E cosa gli dico

io ! ”, pensavo. Così abbiamo comin-

BIBLIOTECA

COMUNALE SANLURI

ciato a parlarci, dopo ho incontrato la

famiglia, anche se già la conoscevamo

per altri legami familiari.

(Intervistatore) Intanto arrivano i

nipoti dal continente, giunti per i suoi

cento anni da Bolzano, Chiara somiglia

molto alla nonna centenaria,

chiede provocatoriamente alla

nonna: -”Nonna, ti ricordi tutti i

nipoti?”-”Eh certo, sono tutti

figli di mio figlio. Io purtroppo

alla festa organizzata per i miei

cento anni in albergo, mi sono

m i s o n o

s p o s a t a i n

c h i e s a e r a v a m o

i n s i e m e a

u n ’ a l t r a c o p p i a

d i s p o s i , u n

s o l o m a t r i m o n i o

P a g i n a 19

sentita male per il freddo. Quando abbiamo

fatto il giro per il paese, invece, no, sono stata

contenta, abbiamo fatto un bel giro con

tutta la gente che gridava e salutava!

(intervistatore) Quindi con Giovanni ti sei

fidanzata che avevi diciassette anni, tuo padre

ha riconosciuto in lui un bravo ragazzo, vi

vedevate alla porta e parlavate -” Si, lui mi

faceva i complimenti per un grembiule con i

fiori ricamati che indossavo, mi diceva che di

quei fiori gliene piaceva uno, in particolare,-”

E quale è questo fiore? “- gli dicevo io, facendo

finta di non capire che si trattava di me, un

bel modo gentile per fare un

complimento, Giovanni era

così, premuroso e gentile.

d’animo

Lui era del 1915, io del 1918,

ci siamo sposati in Chiesa,

assieme a un’altra coppia,

un solo matrimonio per due

coppie. Eravamo intorno al

1933, l’altra sposa abitava

nella Carlo Felice, proprio

dove abitava mia figlia, la

parrucchiera. Un giorno ci

siamo rincontrate al mare e

abbiamo ricordato i bei momenti

vissuti insieme. Ci

siamo ricordate dell’usanza

di mettere la dote della sposa

dentro a dei cesti esposti

fuori dalla casa, lì tutti mettevano

i doni per gli sposi. Ricordo

che venne il padre di

Giovanni a casa nostra, dicendo

che la famiglia non

portava dote, erano persone

semplici. Io davo il mio contributo

alla famiglia andando a

raccogliere le spighe e le

portavo alla mamma di lui, che

gestiva un osteria nel piano terra

di casa. Ricordo i miei anni all’asilo,

ero aspirante Figlia di Maria

Ausiliatrice, quando ero piccolina

ero Angioletta, lì imparavamo a

ricamare, a fare la maglia, l’uncinetto.

Nella mia vita ero abbastanza

felice, la mia matrigna mi comprava

tante cosettine, avevo un

armadio dove conservavo tutto.

Nella vita da sposata ero molto

impegnata e non uscivo

“Ero aspirante

figlia di Maria

Ausiliatrice, da

piccolina ero

Angioletta.”

L a f a m i g l i a

n o n

p o r t a v a

d o t e ,

e r a n o

p e r s o n e

s e m p l i c i .


BIBLIOTECA

COMUNALE SANLURI

U N I O N E C O M U N I M A R M I L L A

Sistema Bibliotecario Marmilla

In collaborazione con

Agorà Sardegna

Redazione dei testi e grafica a cura di

Maria Francesca Meloni, Caterina Boi

Si ringraziano la bibliotecaria Patrizia

Congia, l’assessore alla cultura

Antonella Pilloni, la dottoressa Monica

Lampis dello sportello lingua sarda e

tutte le persone intervistate che

hanno reso possibile la stesura del

periodico della Biblioteca Comunale di

Sanluri

“Ah,

memoria, nemica mortale del

mio riposo!”

(Miguel de Cervantes)

m i h a f a t t o i l m i o p r i m o c a p p o t t o ,

g r i g i o , e l e g a n t e .

più. Mi dedicavo ai figli e al marito.

C’era anche sua mamma con

noi , vicino, che lo coccolava,

vivevamo nella stessa casa, nel

locale dove un tempo c’era l’osteria.

Quando facevo il pane,

delle volte veniva un amica che

era sartina, per aiutare, così io, a

mia volta, la aiutavo. Da lei andavo

per cucire, perché mi aiutava

a fare le cose che non sapevo

fare, lei aveva la macchina da

cucire. Il primo vestito me l’ha

fatto Rosina Melis, che abitava

nella strada verso Furtei, mi ha

fatto il primo cappotto, grigio,

elegante. (Intervistatore) Interviene

la sua assistente - ” Fedora

oggi ha fatto un po' da poltrona ,

ha fatto il bagno con calma, e

non la vogliamo stressare, ma ha le

sue cose da rispettare, lei fa la prima

colazione a letto, come le principesse,

viene suo figlio Ignazio per questo, e la

coccola!. Ogni tanto esce, con la sedia

a rotelle, a passeggio, quando il tempo

è bello. Devi sapere che la notte prima

del suo compleanno era molto emozionata,

quando sono arrivata, ieri, ho

trovato che aveva frugato per cercare le

cose da mettersi, i gioielli da indossare

per la sua festa, tanta agitazione ed

entusiamo. Poi un suo figlio doveva

venire per pettinarla per la festa. E

adesso, se sei d’accordo, con un goccino

di caffè chiudiamo questa chiaccherata,

il caffè è un suo rito quotidiano,

assieme a un piccolo biscotto. Sai,

Fedora, nonostante l’apparenza, è un

generale!”

Didascalia dell'immagine o della fotografia

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