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Numero – 1
Gennaio 2020
Memorie Sanluresi
“Nella parola scritta un ricordo, nel ricordo un vestito per l’anima.”.
“Ad ogni festa
suona la banda,
sempre, per ogni
festa, ma soprattutto
per i funerali.
C è questa tradizione
a Sanluri,
tanto che un funerale
senza la banda
si dice che “è
morto.”
V O C I D I
S I G N I F I C A T O
Musica
Lettura
Persone, luoghi, eventi di una vita, raccontati
in forma libera da Sergio Usai.
“Sono iscritto all’Università
della Terza Età. Ho tante passioni,
a dirle tutte ci vuole
una giornata intera. Sono un
appassionato di musica, ho
fatto parte della Banda Musicale
di Sanluri, di cui sono
stato presidente per due volte
di seguito. Adesso l ‘ho un pò
abbandonata, a causa dell’
età. Ho 85 anni, il fiato comincia
a diventare grosso,
devo contenermi un pò, ma
non ci riesco! La giornata la
passo così, la mattina mi
alzo verso le 8.00-8.30, non
prima, faccio colazione, compro
i giornali, tre quotidiani: L’
Unione Sarda, il Corriere dello
Sport e la Repubblica. Torno
a casa e mi leggo i tre giornali
con tutta calma, senza fretta.
Poi vado a pranzo da mia
figlia, dopo pranzo riposo un
pò seduto in poltrona e poi
rientro a casa. Se ho da fare,
sono impegnato con le attività
della filodrammatica, del
teatro, se non c’è quello
rientro a casa e leggo. Normalmente
libri sardi, o sulla
Sardegna, se no qualunque
cosa trovi in giro. Alla sera, se
Santa Cecilia
non ho niente da fare come
attività extra, la filodrammatica
o la Banda, che un pò
continuo a seguire, vado al
bar a leggere i quotidiani. La
televisione la guardo di not-
te , prima di cena, dalle sette
in poi. Inizio a vedermi i
telegiornali, Rai 3 e gli altri a
seguire, e chiudo la serata
così. Ma ultimamente non
riesco più a guardare la televisione,
chissà perché. Dopo
cena, mezz ‘ora, tre quarti
d’ ora dopo mi scende il
sonno e me ne vado a letto.
Dormo tutta la notte, bene,
grazie a Dio, il sonno non mi
manca e mi alzo verso le
8.00-8:30. Ho avuto tre
figli, un maschio che abita
a Sanluri, Stefano, una
donna che abita a Sanluri,
Maria Luisa e una terza
figlia che abita a Roma e
lavora in uno studio di noti
avvocati. Mia madre è morta
a 82 anni, faceva la casalinga
, mio padre è morto a 46
anni , era un minatore che
lavorava a Montevecchio. I
Teatro
Famiglia
“ M i o p a d r e e r a u n m i n a t o r e ”
Ascendenti
Figli
Nipoti
nonni li ho conosciuti tutti e
quattro. I nonni paterni erano
Luisiccu Usai e Barbarina
Marras, mia nonna è morta
quando io ero molto piccolo,
mio nonno Luisiccu, invece, è
vissuto più a lungo, forse 85
anni, ho potuto conoscerlo
bene. La mia nonna materna
era Barbarina Urrai, quasi
non ‘ho conosciuta, è morta
quando ero proprio piccolino.
Suo marito era nonno Fenu,
originario di Serramanna,
che ho conosciuto abbastanza.
Non ho però particolari
ricordi coi nonni, ero molto
piccolo e non c’era il rapporto
che c’è oggi tra nonni e nipoti.
Io ho cinque nipoti, tre di
mia figlia Maria Luisa che è
sposata e vive a Sanluri, di
ventuno anni, la grande, diciotto
la seconda e il piccolo
di tredici anni. Poi c’è Stefano,
che ha due figli maschi e
l’altra figlia che è a Roma e
P a g i n a 2
BIBLIOTECA
COMUNALE SANLURI
M e m o r i e S a n l u r e s i
“ H o v i s s u t o l a m i a g i o v e n t ù a R o m a ”
non ha figli, si è dedicata
alla carriera. Quanto a me,
ho vissuto la mia gioventù a
Roma. Ho frequentato il
Ginnasio a Gaeta e il Liceo a
Roma. Ho due fratelli e una
sorella, uno più grande di
me di due anni sta a Milano
e si è sposato con una iglesiente,
hanno tre figli, di cui
una, una bellissima ragazza,
morta prematuramente. Poi
ci sono le sorelle, entrambe
stanno a Sanluri e hanno
rispettivamente una femmina
e un maschio e due maschi.
Tornando alla mia giovinezza,
ho frequentato la
terza media a Santu Lussurgiu
e poi ho proseguito a
Roma, dai Salesiani. Quindi
l’università a Cagliari, dove
sono stato studente per
quindici anni e non mi sono
laureato per ripicca. Infatti
già insegnavo a Villamar
senza titolo, allora si poteva,
nelle scuole medie, undici
anni di insegnamento a
Villamar. Sono stato vicepreside,
in quel periodo
contribuimmo a far nascere
le scuole di Turri, Lunamatrona,
Ussaramanna, Baressa.
Ho concluso la mia carriera
lavorativa a Villamar,
seguendo un po’ tutte le
scuole in qualità di segretario
della scuola di Villamar,
mentre a Sanluri non ho mai
insegnato, non mi piaceva.
Adesso sono vent’anni in
pensione, grazie a Dio. Sono
stato impegnato anche
n e l l ’ a m m i n i s t r a z i o n e
Istituo Salesiano San Pio XI,
Roma
“Non sempre
sono stato
gratificato per
quello che ho
fatto, ma ho
sempre
combattuto
battaglie leali”
H o s e m p r e c o m b a t t u t o
b a t t a g l i e l e a l i ”
politica nel 1970, per qualche
anno come vicesindaco,
un bel ricordo, veramente.
Anche se le difficoltà
erano tante e le potenzialità
poche, nonostante accese
discussioni in amministrazione
e confronti continui con la
popolazione, si riusciva a
lavorare. Si pretendeva tanto
da noi, poi tutto il mio impegno
si è rivolto alle associazioni,
compresa la Pro Loco.
Oggi la mia attività si è diluita,
non sempre sono stato
gratificato per quello che ho
fatto, ma ho sempre combattuto
battaglie leali, dirette,
ricordo che dopo una
discussione anche accesa si
andava al bar. Erano anni di
grande impegno per il nostro
paese, si faceva volentieri.
Nella Banda, ad esempio,
sono stato due volte presidente
e la seguo sempre,
come anche la filodrammatica.
Anche lì ho ricoperto
l’incarico di presidente, nel
nostro repertorio tante opere
dialettali, replicate in giro per
la Sardegna. Gran bella
esperienza, che ogni tanto ci
capita di ripetere tornando
sul palcoscenico. È capitato
tempo fa a Sanluri e anche a
San Gavino, paese di provenienza
di uno dei componenti
la filo—drammatica, con cui
“ M i o p a d r e e r a b a n d i s t a , s u o n a v a i l
c l a r i n e t t o ”
intratteniamo sempre buoni
rapporti. Facendo un salto
indietro nel passato, ricordo
che la mia infanzia nel periodo
di guerra è stata dura.
Mio padre era minatore a
Montevecchio, mia madre
era casalinga, ci siamo sempre
arrangiati come si poteva.
Quando c’erano i soldati
in paese, avevano bisogno
di tante cose, compreso il
mangiare. Mia madre, allora,
faceva i dolci e li vendeva
ai soldati , mentre io
bambino di nove-dieci anni,
mi divertivo a intonare motivetti
con una voce acerba,
da soprano, facendoli piangere
e intrattenendoli. Mi
divertivo. Avevamo sempre
la casa piena di scatolette di
carne dell’esercito, larga
ricompensa del tempo passato
a cantare le canzoni
che gradivano ascoltare. La
guerra mordeva sempre gli
animi e i corpi, ma la vita
proseguiva tenace. Mio padre
si dedicava alla Banda,
ne faceva parte, era un
“bandista”, suonava il clarinetto.
La festa della banda,
Formazione musicale d’epoca.
N u m e r o – 1
BIBLIOTECA
COMUNALE SANLURI
P a g i n a 3
“ N e l l a b a n d a e r a n o s e m p r e d i
p i c c h i e t t a t a ”
La banda musicale sanlurese “Amilcare Ponchielli”(1955)
per santa Cecilia, era partecipata
anche da me, erano dei veri
“ m a n g i o n i ” , s e m p r e d i
“picchiettata”, si dice così. Bel periodo
quello, per la festa si esponeva la
statua di santa Cecilia prestata dalle
suore Salesiane che gestivano l’asilo,
si faceva il pranzo sociale e per finire
il concerto. La Banda suonava sempre
per le feste e su richiesta anche
per i funerali. A Sanluri si diceva che
“un funerale senza la banda era morto!”.
Ma attualmente le uscite della
banda sono diminuite, prima ci chiamavano
anche dal nord Italia, eravamo
l’unica banda musicale rimasta
attiva anche durante la guerra. Animavamo
la festa patronale della Madonna
delle Grazie, la festa di san Lorenzo e
una volta pure quella di san Sebastiano.
La tradizione di chiamare la banda al
funerale fruttava un lauto contributo,
ma oggi è in disuso. Il grosso dell’investimento
era lo strumento musicale, che
costava parecchio. In passato ogni socio
versava un contributo mensile, ora
non più. Si va avanti con contributi e
sovvenzioni per i servizi svolti.
“ N e l l a G i o r n a t a d e l l e F o r z e
A r m a t e s u o n a l a b a n d a ”
Per esempio, quando si suona
per la Giornata Nazionale
delle Forze Armate, il 4 novembre,
o al concerto di Capodanno.
Ricordo ancora
come si festeggiava il Natale
un tempo, si andava alla novena
immancabilmente, ora è
troppo se si va alla messa di
mezzanotte. Quindi tutti nelle
case, a vedere i presepi, cosa
che ormai non si fa più, le
tradizioni stanno scomparen-
do. Penso alla benedizione
delle case, delle famiglie,
forse erano meglio i preti che
avevamo in passato. Ora a
Sanluri c’è un parroco del
paese stesso, una rarità di
questi tempi, chissà se sarà
capace di risvegliare un po’
l’animo religioso Tra i luoghi
della mia infanzia ricordo
l’asilo delle suore Salesiane e
il convento dei frati Cappuccini.
Un evento che riaffiora con
piacere è il “Lanternino d’oro”,
una manifestazione canora di cui
ero direttore, organizzata dai Frati
Cappuccini. La mente era padre
Clemente. Era una sorta di
“Zecchino d’Oro” nostrano, a cui
partecipavano tutti i bambini dai
3 ai 10 anni, si preparava durante
l’estate e l’esibizione avveniva a
novembre-dicembre. Bello, un
clima meraviglioso !
“Si suona per la
Giornata
Nazionale delle
Forze Armate, il
4 novembre, o al
concerto di
Capodanno. “
“ I l L a n t e r n i n o d ’ O r o ”
C’era entusiasmo tra i partecipanti,
una cosa incredibile, se
chiamavi un bambino a cantare
veniva accompagnato da
tutta la famiglia, genitori, fratellini
e nonni, per tutto il periodo
delle prove. Il salone non
bastava, infatti i Frati Cappuccini
fecero un soppalco, per
ospitare tutta la gente che
accorreva. Sembrava piccolo,
ma era grande, me ne sono
reso conto di recente
di quanto era grande!. Ricordo
un episodio divertente, un bambino
nonostante io attaccassi
con la musica non voleva iniziare
a cantare; e questo si ripetè
più e più volte, allora gli dissi:-
“Vieni qui e tocca uno strumento
che ti piace!”- Quindi riprendemmo
le prove e il bambino
cominciò a cantare bene, aveva
superato il momento di panico.
Non c’erano premi in palio,
Immagini d’epoca della
manifestazione canora
sanlurese.
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BIBLIOTECA
COMUNALE SANLURI
T i t o l o n o t i z i a r i o
“ O h F r a n t s ì s c u , e s t t e m p u s d e
a c a b b a i ! ”
ma solo caramelle. Durante
l’intervallo si faceva la recita
in sardo, attori io e Francesco
Onnis, un amico oggi
scomparso, a volte si improvvisava
componendo un
testo per l’occasione. Al
convento si recitava tranquillamente,
a me piaceva
molto , ero un patito della
recitazione. Altri tempi, oggi
è difficile trovare passioni
vere, modelli di riferimento
importanti, uomini retti che
ci guidino. In realtà gli uomini
perfetti non esistono,
ognuno ha in sé del buono e
del cattivo, ma è nel gruppo
che si raggiunge il meglio di
sé. Quando dobbiamo scendere
a patti, andare d’accordo,
trovare soluzioni, allora
sì che viene fuori qualcosa
di buono. A volte penso -
“Però, guarda quante cose
abbiamo fatto !” - Ma eravamo
uniti, solidali, eravamo
un gruppo di persone che
agiva insieme, si aiutava. Un
periodo io e Francesco Onnis
facevamo ogni quindici
giorni una recita all’asilo,
per lo più si improvvisava,
qualche volta con l’aiuto
dei testi ma il più delle
volte suppliva la fantasia di
Francesco. Basta leggere il
suo libro “Bellus Tempus”
per accorgersi, per lui i
racconti erano pane quotidiano,
aveva una fantasia
senza limiti . E poi ci guardavamo
in faccia ridendo:-
“Oh, Frantsìscu, est tempus
de acabbai! “-. Ma dai e dai,
invece continuavamo.
“Ognuno ha in sé del buono e
del cattivo, ma è nel gruppo
che si raggiunge il meglio di
sé.”
“Le
passioni
richiedono
impegno”
“ B i s o g n a i m p e g n a r s i ”
Eravamo fidanzati, ma abbiamo
continuato anche da
sposati. Mia moglie era accondiscendente,
anche se
non le piaceva molto l’idea
che noi facessimo ridere gli
altri! Ma si arrese pure lei
alle nostre “imprese”. Una
vita intensa la nostra, non mi
pento, ho tanti bei ricordi, un
figlio ha seguito la mia passione,
ma non si è impegnato
abbastanza, in senso ironico
ovviamente! Dei nipoti,
invece, nessuno. Oggi i giovani
coltivano altri interessi,
certe passioni richiedono
impegno, molto impegno,
non mi sembra che tra di
loro ci sia la voglia d’impegnarsi.
Almeno questo è ciò
che io vedo, forse non né ho
conosciuti abbastanza, ma
credo che siano portati a
chiudersi in sé stessi, a vivacchiare.
Ma se ci si chiude
agli altri, non si fa niente! A
volte penso che forse eravamo
stupidi a spenderci in
così tante cose, ma poi riflettendo
credo che tutto quel
tempo speso con gli altri, per
gli altri, è speso bene! Guai a
chiudersi in sé stessi, si diventa
egoisti, cattivi, ho
provato a fare queste riflessioni
anche con loro, i ragazzi.
Ma le mie parole sono
scivolate lì, noi siamo il
“passato”. Mi conforta, però,
che i miei nipoti ascoltino
quello che dico. Forse ,un
giorno, faranno come noi.
“ N o i s i a m o i l p a s s a t o ”
to . anche da sposati, mia
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BIBLIOTECA
COMUNALE SANLURI
P a g i n a 5
P a r o l e i n . . . l i b e r t à
d i P i n u c c i o T r o n c i
Didascalia dell'immagine o della fotografia
Ricordo che alla nascita i tre
nomi erano di rito. Io presi il
nome del mio padrino, Salvatore
Giuseppe, ma sono conosciuto
come Pinuccio. Facevo il
barbiere, venivo da una famiglia
numerosa, sei figli, quattro maschi
e due femmine, cresciuti
nel cuore della guerra mondiale,
che ha coinvolto anche le
periferie più lontane dal fronte. I
ragazzi di 16-17 anni partivano
e i paesi senza la gioventù diventavano
spettrali, restava
solo la gente anziana e le donne.
Le condizioni di vita erano pessime,
mancavano i servizi igienici, il 90 per
cento delle case era senza energia
elettrica, di notte non si potevano
accendere luci , per oscurare la visuale
agli aerei che sorvolavano.
C’era il coprifuoco, passava la ronda
a controllare, non si poteva parlare
più di tre persone assieme, vietati gli
assembramenti -”Adiosu, a si biri
mellus!-” erano le uniche frasi di
circostanza mentre ci controllava la
ronda. L’energia elettrica ce la sognavamo.
Noi eravamo allacciati alla
casa di uno zio. Commerciava il gra-
“ m i o z i o c o m m e r c i a v a g r a n o e
a v e v a l ’ e n e r g i a e l e t t r i c a ”
no. Poteva contare su un buon reddito. Si muoveva con il carro,
possedeva due cavalli, uno dava il cambio all’altro quando era
stanco. Partiva al lunedì e tornava il venerdì , aveva abbastanza
per permettersi l’energia elettrica, così noi azzardando, ci allacciammo
a lui. Abitavamo dall’altra parte del paese, all’uscita
verso Lunamatrona. C’era vicino la fontanella dell’acqua, dove
mi recavo per fare la scorta, ricordo che aveva quattro rubinetti,
con acqua che usciva in continuazione. Ora non c’è più, era
in località “s’arei”, dove ora c’è il parco “S’arei”. Lo stesso
terreno su cui noi siamo adesso, dove si trova la biblioteca, era
un terreno della Confraternita, “su gramu”, ca si nàrat sa argiola
de su gramu. Le confraternite avevano qualche soldino, ogni
volta che c’era un seppellimento andavano ad accompagnare il
defunto e incassavano le offerte.
“Nosu
naraiausu
s’arei”
“ M a t u i , ì t a a s a b o l l i , c a
s e s n a s c i u i n s ’ a r e i ”
Con questi soldi compravano terreni, che spesso ricevevano anche da persone
ricche, lasciti per impetrare messe al defunto. Tutto quello che produceva il terreno
era per la confraternita, in questo modo avevano comprato questo e altri terreni.
Lo avevano denominato “s’argiola de su gramu”, però il nome “s’arei” rimanda
al tempo in cui lì c’era un esteso allevamento di asini, tanto è vero che a chi nasceva
nella zona di s’arei, si diceva:- “Ma tui ita as a bòlli ca ses nasciu in mesu
de s’arei! !”-. Durante la guerra “no nci fianta nimancu allumìngius”, i cerini non
c’erano, neppure gli zolfanelli, bisognava prenderli con la tessera annonaria che
dava lo Stato. E poi c’era l’arte di arrangiarsi, che sopperiva a tutto , avevamo sistemato
la linea elettrica con l’aiuto
P a g i n a 6
BIBLIOTECA
COMUNALE SANLURI
T i t o l o n o t i z i a r i o
“ Q u a n d o e r a u n l u s s o a v e r e u n a
c a m i c i a d i u n s o l o c o l o r e ”
di un uomo parecchio ingegnoso.
Inventammo un congegno,
piuttosto pericoloso,
fatto con un pezzo di lamiera
tagliato come una grattugia,
unito a una lastra di
ferro e ad uno straccio bagnato
con petrolio. Avevamo
creato così due poli , che si
attivavano al bisogno, strofinando
lo straccio con forza.
Il risultato era che scintillando
producevano energia,
e con questo sistema improvvisato
si poteva accendere
il forno quando facevamo
il pane e il fuoco, per
riscaldarci d’inverno. Quando
altri sistemi di accensione
scarseggiavano si conservava
la brace, per poter
riaccendere il fuoco alla
bisogna. Tutto questo succedeva,
quando ero piccolo.
Cosa posso dire di una vita
che è stata “trumentàda” e
dell’invidia per quelle poche
famiglie che stavano bene,
che avevano un paio di scarpe,
o una camicia di un unico
colore. La mia unica
camicia era fatta a pezzi di
colori diversi. Ero scalzo,
non conoscevo la frase
“andare a pranzo”, non esisteva.
Ma le famiglie che
vivevano nel rione san Martino,
il nostro “bixinau”, era
come se fossero una sola
grande famiglia, quando si
aveva bisogno si chiedeva al
vicino e ognuno faceva il
possibile per aiutare chi era
in difficoltà - “Pa praxeri, mi
ddu dònas unu tzicheddu de
Camicia sarda ricamata.
“Pa praxeri, mi
ddu donas unu
tzicheddu de
pani, ca pobiddu
meu dépit andai
a traballai, i no
tèngiu nudda de
ddi donai a
papai!”.
“ h o s o f f e r t o p e r l a f a m e ,
n o n c ‘ e r a n i e n t e d a
m a n g i a r e . ”
pani ca pobiddu meu dèpit
andai a traballai i no tèngiu
nudda de ddi donai a papai!”.
Sono molto legato a
quel rione, perché ci sono
ancora persone che ho conosciuto
che vivono lì. Mi ricordo
che se passando non
salutavo un adulto che stava
nella piazza, subito questo si
rivolgeva a mio padre, chiedendo
spiegazioni: - “Nara
Luisiccu! Fillu duu non madi
saludau! Eh Poita, ita tengiu
deu!”- e mio padre per prima
c o s a m i d a v a u n a
“spizzigàda”: - “Poita a su
meri Boicu no dda nau bongiornu!”.
Erano altri tempi,
la disciplina era rigida, gli
adulti si rispettavano, non si
poteva discutere. Ma io non
ho sofferto per la troppa
disciplina quanto ho sofferto
per la fame, non c‘era
niente da mangiare. Avevamo
un pò di grano, ma “fìat a
ddu cuai”, a nasconderlo,
l’unica risorsa certa erano le
galline. Ogni giorno aspettavamo
con ansia che facessero
l’uovo, “no si podia boccì
sa pudda, poita a chi no, no
ci fìada s’ou”.
“ i l g i o r n o d i p a s q u a , q u a n d o m i a
m a d r e r i u s c ì a f a r e u n p o ’ d i r a v i o l i
p e r l a f e s t a . ”
Nel vicinato si commentava
sempre su cosa si faceva
‘”po papai dogna dì”, era la
preoccupazione più grave
per molte famiglie. Racconto
un fatto emblematico che
accadde il giorno di Pasqua,
quando mia madre riuscì a
fare un po’ di ravioli per la
festa. Mio padre era un
uomo carismatico, ogni cosa
che diceva era una sentenza,
e per Sa Pasca Manna lo
sentì parlare preoccupato
con mia madre perché non
sapevano come fare un pranzo
“da festa”, non avevamo
nulla. Mio padrino aveva un
pò di farina, assai preziosa,
visto che il grano era contingentato,
giusto il necessario
per fare il pane, non di più.
Ma mia madre , parsimoniosa,
era riuscita comunque a
fare la pasta dei ravioli, con
quel poco di farina e della
ricotta che mio padre aveva
avuto da tziu Peppinu Usai,
un buon uomo, signoriccu
Peppi- “Luisiccu! Domandamì,
ca su chi tengiu si ddu
potzu donai!”
N u m e r o – 1
BIBLIOTECA
COMUNALE SANLURI
P a g i n a 7
“ M a c u s t u s f u n t c a p e l l u s d e p r e i d i ! ”
Mio padre non poteva chiedere prestiti,
perchè non aveva terreni che
potessero garantire somme di denaro.
Ma ottenne però la ricotta, e mia
madre preparò dei ravioli così grandi
che mio padre disse che sembravano
cappelli dei preti. In breve tempo il
profumo di questa pasta fresca invase
tutta la casa e questi ravioli erano
esageratamente grandi ai nostri
occhi, imploranti di sano appetito
“Ma custus funt capellus de preidi!”-
ebbe a commentare soddisfatto mio
padre. Fatto stà che in piazza Porta
Nuova c’era s’Incontru, in celebrazione
del rito pasquale, e noi vivevamo
a cento metri da Porta Nuova. Mia
madre aveva posizionato una sedia
fuori dalla porta e sopra su scanneddu
unu canesteddu cun is crugugionis
a dda asciutai, comenti si fadìat
unu tempus, e sigomenti no tenìat
su bestidu po andai a sa missa , si
fiat ingenugrada a foras de sa porta
de domu, faci a su simulàcru. In su
frattempu,
Si fiat vultada a manca, i cun
sa cua de s’ògu bidìat a Gigi,
su cani, aici si tzerriàda. in
cussu momentu de s’Incontru,
ingenugrada comenti si
fàit in crèsia, at biu a su cani,
Gigi, bessèndi de domu,
totu cuntentu! Unu arrori
mannu!! Is bestia puru fìant
famias, smarrias, no scopuliànt
òssus, sì depìant arrangiai
cun su chi agatànt! Mamma
mia ia biu ca su cani fìat
G i g i , s u c a n i u
a r r o r i m a n n u , s i
d d u e s t p a p a u
t o t u s ì s
c r u g u r g i o n i s
prenu, e ddi iat nau: “Gigi!!
Gigi!!! Già mi as fatu s’àrragallu
po’ sa dìe de Pasca!!!”-
Una disperatzioni in toda sa
famìlia, “Ohja momia, unu
arrori mannu, si ddu est papau
totus is crugugionis!!”-.
Ita ddi potzu nai, comenti at a
essi mortu in domu sa presona
prus cara chi teniaus. Po
mei, sa dìe no fìat resuscitau
Gesus Cristu, fiat mortu!!! Po’
si cumprendi sa surpresa
manna de babbu, candu ndi
fìat torrau a domu, sa sorpresa
chi iat agatau, abetendi de
intendi su fragu de sa bagnia
e de is crugurgionis, candu
invecias ia bìu sa disperatzioni,
unu a sa destra, i s’àtru a
manca! - Aici cust’òmini at
pigau e si ndi est bessiu a su
sartu, e in su sartu at agattau
unu pastori chi tenìat is brebeis
pò signor Usai, su chi
“Si fiat vultada
a manca, i cun sa
cua de s’ògu
bidiat a Gigi, su
cani”
“ N o s u t e n i a u s a i a i a i n
d o m u , f i a u s o t u
p r e s o n a s . ”
iat donàu s’arrascòtu a babbu,
y custu òmini fùi sceti faci
a soli papendi, at nau ca fiat
papendi una surra de petza e
una crocoriga de binu, ddi
bolliat beni a babbu, chi fiat
unu barzelletieri, unu improvvisadori,
i ddi iat nau:” Luisìccu,
ita teinis?” e si ddu iat
contau su fatu. Angiuèddu,
aici si nàrat, gli disse: “Ascuta
Luisìccu, pigadiddu unu pagu
de cussu!”-, ma babbu fìat
preocupau -“Deu papu, ma in
domu?”.Y Angiuèddu ia segau
bona pati de su chi teniat po
si ddu donai. Nosu teniàus
ajaja in domu, otu presonas
in duas camaras de letu fiaus,
bagnu nò nci fiat, sì crocàt in
terra asuta a unu matalassu
fatu cumenti at a essi fatu, i
deu a sa scola nò seu potziu
andai. Atraversendi totu custu
fatus, sa gherra,
Mussolini, ca nànt
meda piciocus ,-
“deu apu connotu
a Mussolini”-, ca
fìat beniu innoi
puru candu fìu
pitiu, ca nci funt
sa fotografìas .
Gigi, “su cani”.
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COMUNALE SANLURI
T i t o l o n o t i z i a r i o
“ B a b b u f i a t p r i v i l e g i a u p o i t a f i a t
u n u o m i n i s p o r t i v u ”
Babbu fìat antifascista, at
lotau, est stetiu emigrau in
Africa, a Gibuti e Mogadiscio,
innui costruiant istradas
po sa gherra ca iat atacau
Mussolini, i candu ddu
at scipiu nci fìat torrau. Deu
mi arrergodu is fìllus de sa
genti arrica, fìant totus bestius
de balilla, donant cussu
ranciu po is famìlias prus
bisognosas, a mìmmi mi iant
donau unu bonu pò papai in
s’asilu, i a babbu ddi narant
“Luisiccu! Mandaddu a su
piciochedu ca su postu ddu
tenit!”. Babbu fìat privilegiau,
poita fiat unu grandu
omini sportivu, fiat stetiu
unu campioni sradu po tres
annus o cuatru annus, de
marcia, e fìat connotu meda.
In custa argiola, sa argiola
de su gramu, ncì fìat
una pista fata a sa bella e
mellus, e issu una di aia
fatu, naraiant is antigus, is
amigus de is cosas suas,
una gara scrutzu, in beranu,
nci fìant totus is spinas.
Una di mi narat babbu
:”bai a s’asilu,” e deu
seu andau e ci fìat una
mesa manna, cun dunu
stampu i unu pratu collocau
mei innò, deu nci
fia imbucau bei cun
is’atrus, scrutzu, cun
una bretelledda posta
po travessu, unu prantalloni
fatu da sa bona
anima de sa mamma, i
no m’arragodu ca ci fìat
una mongia chi mi iat
nau: “Poita ses setziu
Camicia sarda ricamata.
“Deu no portat
bonu! Poita
babbu fìat
antifascista,
poita fìat una
cosa sbagliada a
potai cussu
giovanus a morri
a su fronti po sa
gloria
“ s u c h i n a r a n t c u s s u f i a t
s a c r u , f i n t z a s i s p e r s o n a s c a
f i a n t n o t z e n t i s s i p o d i a n t
a g a t a i i n p r e s o n i . ”
innoi!” Deu no portat bonu!
Poita fìat antifascista babbu,
poita fiat una cosa sbagliada
a portai cussu giovanus a
morri a su fronti po sa gloria,
po ddi liai sa fede de pobidda
mia, po comprai armamentus.
Babbu Fìat beniu a
sciri poita deu no fia abbarrau
a prandi ingui, nci fìat
unu omini chi fìat su collocadori,
su podestà Antonicu
Cirroisi, e sigomenti su chi
narat cussu fìa sacru, fintzas
is personas ca fìant notzentis
si podiant agatai in presoni,
chi ddu boliant, puru po
cuatru favas, o una fìgu, su
barraccellu ddu portàt in
bidda, ddu processant y
fadiat una pariga de diis in
presoni. A babbu ddi iant
donau una sienda agricola
po su chi iat fatu comenti
sportivu, ma no ddì donant nudda,
poita no portat sa camisa
niedda. A babbu serbiat su benestari
de su collocadori, ma donnia
borta chi ddu pediat no fiat
prontu, narat chi no teniat su
benestari “dall’alto”, ma custu
omini bolliat sceti unu aragallu,
ma babbu no teniat nudda. I fìat
andau de tziu Peppi Usai, po si
fai donai unu angioni. Nò ia
bofiu
“ F a i d i s i d o n a i s u c h i d d i d e p i d o n a i ,
s a p a g a p r u s b e l l a e s t c u s s a ! ”
nudda in cambiu: “Faidisi
donai su chi ddi depi donai,
sa paga prus bella est cussa!”
Si iat nau tziu Peppi. I
fìat andau a Porta Nuova,
ainnui ci fìat sa domu de
Antonicu Cirroisi, i sa pobidda
parriada practica de custas
cosas. Tzia Bissentica,
aicci si narada-”Bongiornu
tzia Bissentica!”- “Bongiornu
Luisiccu!” –“I Antonicu no
nci est?”- “No, issu est a su
bagnu!”- Ddu teniat una
ritiratedda, issu podiat!
Ddu iat biu ca babbu portat
unu fagotu mannu, aici iat
nau a Antonicu:”Antonicu, la
ca c’est Luisiccu cun dunu
angioni!”- e issu- “Apu cumprendiu!,
bai a su bustu de
Mussolini, la ca c’est totu su
chi srebit!”-, i nci fiat andada
i ddi iat portau su folliu a
babbu. Babbu ia fatu sa
prima elementari, ma postu
a cunfrontu de oi est commenti
chi teniat una laurea.
Iat tentu unu bellu coragiu
a ddi nai: -“Ascutta Bissentica,
portasiddu a Antonicu
mo ca est in bagnu custu
folliu, ca si strexit , chi iat
Busto di Benito Mussolini
N u m e r o – 1
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“ c a s i COMUNALE SANLURI
s t r e x i t !
c h i i a s c i p i u c a f i a t p o
s ’ a n g i o n i , s i d d u ì a p o r t a u d e d i o r a i
t e n i a s u t r a b a l l u ! ”
P a g i n a 9
scipiu ca fiat po s’angioni, si ddu ia
portau de diora i tenia su traballu!”-. I
si fìat fatu cuatru diis de galera, poita
fia cuntrariu a custu fatu, po chi si
ddu spetat una cosa , no tenia che
ddi fai una aragallu, i ia pagau totus,
po custu fatu, deu apu comintzau a
portai crapitas a cuindixi annus. Apustis
deu apu fatu su garzoi de brabe-
ris, fintzas a su 1979, candu apu
comintzau a traballai in fabbrica, si
traballat in custa manera tres diis in
sa braberia i duas diis in su satu. Sa
metadi de su prodotu ddu donaias a
su meri, i in custu periudu apu comintzau
a bì calincunu soddu. Fiaus
imbruttaus a unu talli modu chi is
feminas poniant sa roba ca portaiaus
po si crocai a su soli, poita fiat prena
de priogu asuta. Deu apu fatu sa
segunda elementari, apu fatu su
servu pastori, apu ghetau su lori ,seu
andau a fatu de su cuaddu i de is bois
i candu si torraiat a domu a merì, ca
fìant giai faci a is cincu, ci fadiant
abarrai a segai linna, a pullii su stabi
de is cuaddus. E sa dì a mangianu
depiast andai a su sattu, a traballai,
prima de fai luxi, ca a sa luxi depiast
incomintzai a traballai. Su traballu in
su sattu fiat a fai sa guardia a sas
bingias, i teniat is prantallois fatu cun
dunu arrogu de tenda. In cussu tempus
sa roba no dda portant a sa Caritas.
c u n d u s s a c u s
s e g a u s , s i d d u i a n t
f a t u s u b e s t i d i , c h i
p o r t a i a n t s a s t e l l a d e s u s a c u s
m e s u i n s a s c h i n a ,
Unu capotu, mancai beciu,
chi ddu rivoltant i ddu segant
in cudda manera, po
ddi nai! M’arragodu ca
una depìat fai sa comunioni
i no tenìat sa roba de si
ponni, e is militaris, is americanus,
si diant donau ddus
sacus de farra, de cussa chi
potaiant. I cun ddus sacus
segaus, si dìant fatu su bestidi,
chi porttaia sa stella
de su sacu me su in sa schina,
custu po ddi nai, poisi
cumprendi comenti istaiaus
nosu. Certu, po una femmina
no podiat istai sentza de
si sciacuai, chi portant is
pilus longus, depiant istai
atentas a non portai su
priogu, e in cussu periudu
fìant una esca po is militaris
chi nci fìant in Seddori, prus
de cincuantamila . Nci fìant is
casermeddas, s’ospedali
militari, i totus is cresias fiant
prenas de militaris, is domus
abandonadas fiant prena de
militaris, nosu piciocheddus
agataiamus munitzionis e
armamentus in sa bia, commenti
oi agatant una latina
acuada, e fìat cosa de donnia
u n a f e m m i n a n o
p o d i a t i s t a i
s e n t z a d e s i
s c i a c u a i , c h i
p o r t a n t i s
p i l u s
l o n g u s ,
d e p i a n t
i s t a i
a t e n t a s a
n o n p o r t a i
dii. Candu oberriast una scatuledda
de cerinusu, ci fiat u’u sportellèdu
kun ddùs elàstiku ki sì
aperrìada y cì fìa u’a scritta, komènti
sa publicidàdi de òi-”W il
duce!”-
“Candu oberrìast
una scatuledda de
cerinusu, ci fìat
unu sportelledu cun
ddus elasticus chi si
aperriat e nci fìat
una scrita, comenti
sa publicidadi de oi-
”W il duce!”.
Motocarro carico di
sacchi di farina.
P a g i n a 10
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T i t o l o n o t i z i a r i o
E c a n d u s i COMUNALE SANLURI m b u c a d a a
i s c o l l a
d e p i a s t
s b a t i s u p e i e c u n s a m a n u i n a r t u
d e p i a u s n a i - ” W i l d u c e ! ” - .
Prima de fai sa letzioni narajaus
sa preghiera. Una dii
fìat arribau unu carru militari,
chi portaiat unu tellu,
innui proietanta in pratza
Porta Nuova film de guerra,
contadinus traballendi.
Commenti initziativas Mussolini
ndì tenìat meda, ma
meda, calincuna mabas,
comenti su fatu ca teniat
cussu pelìnu de fai guerras,
po esempiu a fatu fai Arborea,
sa diga de su Tirsu,
Carbonia, ‘nda fata meda de
cosas bellas, ma unu chi
commandat, guai chi no
adessi fatu cosas bellas. Ma
deu no seu potziu andai a
iscolla, po cussu ca immoi
ligiu totu su chi potziu agatai,
librusu, giornali. Po custu
deu bollu donai a is fìllus
totus su chi ddi potziu donai,
deu tenju cuatru fìllus, sette
nebodis e chi deu bollidi, po
Gennaiu seu bisnonnu de
nebodi mia. E qui si apre il
racconto di un momento di
vita unico per Pinuccio,. Ci
racconta un esperienza
di vita senza pari e lo fa
in sardo, nella lingua
madre, la lingua degli
affetti profondi, più
veri. Ci racconta di
quando sua figlia Roberta
ancora ragazza
giovane rimane incinta
e non lascia trapelare
nulla della sua maternità
prossima. Sua madre
è via da casa per
aiutare dei parenti a
seguire una nipote
Camicia sarda ricamata.
“Pinuccio resta
a casa con i suoi
quattro figli, la
moglie sà di
poter contare sul
suo aiuto e la
sua presenza,
finchè una notte
accade un evento
inaspettato.”
M u s s o l i n i n d i t e n i a t m e d a , m a
m e d a , c a l i n c u n a m a b a s ,
c o m e n t i s u f a t u c a t e n i a t
c u s s u p e l i n u d e f a i
g u e r r a s . ”
disabile in continente. Pinuccio
resta a casa con i suoi
quattro figli, la moglie sà di
poter contare sul suo aiuto e
la sua presenza, finchè una
notte accade l’ evento inaspettato,
Roberta ha le doglie.
Sono le quattro di mattina
e sta partorendo, Pinuccio
viene a saperlo in quel
momento, è sconvolto, ma
assiste la figlia assieme agli
altri figli. Dice che ha appreso
qualcosa riguardo l’assistenza
al parto dal vissuto di
casa, sua moglie ha partorito
i suoi cinque figli in casa
come si faceva una volta, e
anche dalla televisione. Non
si perde d’animo, prepara
l’acqua calda e gli asciugamani
e, nel frattempo, chiama
un parente medico. Il terrore
lo agita, ma il cervello sta
elaborando strategie per soccorrere
al meglio sua figlia. E la
bambina nasce. Il medico arriva
solo per constatare l’avvenuto
parto, pinuccio ha fatto
da “levadore”, e portare roberta
in ospedale. I medici constatano
lo stato di buona salute di
madre e figlia e pinuccio dice “
mi si fiada apertu su cielu”.
i t a m a r a v i g l i a ! m i s i f i a t
a b e r t u s u c i e l u
Pinuccio riesce a far bene
da “levadore” e può portare
Roberta in ospedale, per i
controlli di rito. I medici constatano
lo stato di buona
salute di madre e figlia e
Pinuccio soddisfatto racconta:
“ Ita maraviglia! Mi si fiat
abertu su cielu!”. Oggi, quella
stessa bambina che ha
contribuito a far nascere ha
vent’otto anni e presto lo
renderà bisnonno.
Didascalia dell'immagine o
della fotografia
N u m e r o – 1
I r e n e o M a t t a ,
s a n l u r e s e d o c , c l a s s e 1 9 4 4 .
D a g e n e r a z i o n i a S a n l u r i - “ m i a n o n n a
v e n n e a s ’ a c o d r a i . - ”
Sono Ireneo Matta, sanlurese doc,
classe 1944. Da generazioni a Sanluri,
mia nonna paterna di Mogoro
viene a Sanluri “a s’acodrai”, fare la
serva, da un benestante del posto. In
occasione della morte di mio padre
conosco dei parenti, venuti per l’estremo
saluto. Uno zio così mi racconta
che i fratelli e le sorelle di non-
Lui era versato per il canto
ma noi pensavamo che il
canto e il ballo andassero
bene a braccetto. Così cominciarono
gli attriti, minacciammo
Chinu che se non si fosse
fatto anche il ballo ci saremmo
separati, come avvenne.
Ho sempre coltivato anche la
passione per gli strumenti
musicali, l’ho sempre avuta,
mio padre faceva parte della
no sono ben undici. Ne deduco allora,
che se mia nonna è venuta a
nove anni, sicuramente non ha conosciuto
molti fratelli e sorelle. Mia
nonna muore il 1 agosto del 1944 e
io nasco pochi giorni dopo. Il nonno
materno è sanlurese, ma il bisnonno
è Quartese. Il nonno custodisce
gelosamente la stanza dove dorme,
non fa entrare neanche per le pulizie,
a distanza di tempo scopriamo ben
nascosto il foglio di congedo del
Banda Musicale dall’età di
sedici anni, vi rimase per 62
anni. Mio padre, al secolo
Italo Matta, classe 1916,
faceva parte della Banda,
anche da militare. La passione
ha contagiato me e i miei
fratelli, anche se io non conosco
la musica. Mi aiuto con il
diapason, ho tentato di impararla
ma la mente non si concentra,
sono cose che devi
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“ E ’ s e m p r e
i m p o r t a n t e
r i t r o v a r e l e
o r i g i n i , a v r e i
v o l u t o f a r e
r i c e r c h e p i ù
a p p r o f o n d i t e . ”
imparare
da bambino, però so fare il
fiato continuo. “Se dedichi il tempo
a costruire non riuscirai a imparare
la musica” mi disse il maestro
Burranca nel 1977, quando si
rifece Sa Missa in sradu, di cui
possiedo la registrazione, tramandata
da Peppinu Cirronis, l’originale.
P a g i n a 11
padre, del 1843, per dire come la memoria
si è conserva anche celandola agli
sguardi. E’ sempre importante ritrovare le
origini, avrei voluto fare ricerche più approfondite,
nella memoria affonda le sue radici
anche la mia passione per “is launeddas”.
Sono tra i fondatori della Proloco
sanlurese, is launeddas le ho suonate
insieme a tziu Chinu Congia. Abbiamo
chiamato tziu Chinu Congia a collaborare
con noi, e si era iniziato a costituire il
gruppo folk a Sanluri. Dopo due anni cantando,
volevamo anche
imparare il ballo ma tziu
C h i n u n o n b o l ia t .
“Se dedichi il
tempo a costruire
non riuscirai a
imparare la
musica!” mi disse
il maestro
Burranca nel
1977.
M i o p a d r e , a l s e c o l o
I t a l o M a t t a , c l a s s e
1 9 1 6 , f a c e v a p a r t e
d e l l a b a n d a , a n c h e
d a m i l i t a r e . L a
p a s s i o n e h a
c o n t a g i a t o m e e i
m i e i f r a t e l l i , a n c h e
s e i o n o n c o n o s c o l a
m u s i c a
Strumento sonoro
ancestrale,parte
della collezione
posseduta da Ireneo
Matta.
P a g i n a 12
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T i t o l o n o t i z i a r i o
“ i l m a e s t r o B u r r a n c a
c o n o s c e v a l a
m e s s a i n
s a r d o , p u r n o n a v e n d o v i p r e s o p a r t e
d i p e r s o n a , l a i n s e g n a v a a m e m o r i a . ”
Il maestro Pittau l’ha trascritta
musicalmente e noi
l’abbiamo eseguita in piazza
san Pietro nella chiesa omonima
nel 1977, non abbiamo
foto, almeno chi le ha
non le ha mai date. Sarebbe
bello averne copia. Ma per
ora rimane solo la registrazione,
che la biblioteca potrebbe
catalogare e conservare.
Solo Sanluri e una
frazione di Oristano possiedono
questa memoria della
messa in sardo. Anche il
maestro Burranca conosceva
la messa in sardo, pur
non avendovi preso parte di
persona, a noi la insegnava
a memoria, come la conosceva
tramandata dai suoi
maestri, Francescheddu
Sanna, e Peppinu Cirronis,
uno dei quattro cantori della
messa, tziu Nicu Masala tziu
Ciccitu Spiga e tziu Melidoru,
tutti conoscevano i
versi a memoria. Peppinu
Cirronis riusciva a replicare
in verso cantato tutto ciò
che predicava il prete, faceva
“scattedu e cadinu,”
tutto in lingua sarda. Esiste
però una partitura scritta e
musicata e io la possiedo,
un grande valore per la comunità
che l’ha espressa,
che ha rielaborato il rito
cristiano facendolo proprio.
Oggi la lingua sarda ha
subito una costante evoluzione
.
.
“A Sanluri c’era
Antiogu Sanna ,
cantadori, ha
composto su
frabottu, il medico
sui generis- pro
curai, aveva
composto la
canzone de is
scimmiasa
imbriagasa”
Q u e s t a è l a t e s i d i l a u r e a
f a t t a s u l l a m e s s a i n s a r d o
d a O m e r o C o n g i a .
Tanti i cambiamenti, riguardo
ad esempio alla sua pronuncia
originale, niente è più
uguale a prima, andrebbe
ritrovata—. (intervistatore) Mi
fa vedere una foto di Delfino
Porcu, un grande improvvisatore
di repentina di Terralba.
A Sanluri c’era Antiogu Sanna
, cantadori, che ha composto
su frabottu, il medico
sui generis- po curai, aveva
composto la canzone de is
scimmias imbriagasa. Adesso
c’è solo Remo di Furtei-. Ti
mostro l’archivio dove ho
molto materiale in musicassette
registrate con repentine,
alcune copiate e riversate,
molti spettacoli del gruppo
folk, un vero e proprio
archivio multimediale dell’attività
del gruppo folkloristico
sanlurese. Guarda questa è
la tesi di laurea fatta sulla
messa in sardo da Omero
Congia. Tornando al racconto
della mia vita, quando ero
dodicenne andavo a fare il
sarto da mio zio, così è stato
per vent’anni. Poi il periodo da
militare, e a seguire il concorso
alle poste, dove mi hanno
assunto come portalettere.
Con la Banda Ponchielli
andammo a Cremona. E li
una folgorazione, vidi i violini
di Stradivari. Uscito da
quella sala, cercai subito un
edicola dove spesi 500 mila
lire in libri sulla liuteria, e
cominciai a leggere .Ma
non capivo i termini che
venivano usati, io ho solo la
M a i t a s e s m a c u ! -
E h , m a c u s e u o i ! .
terza elementare. Ho cominciato
con il maestro Angelo
Vinci, ricordo che gli dissi-
“Dai che cominciamo a costruire
violini!”- “ Ma ita ses
macu!”-” Eh, macu seu oi!”-.
Il primo è questo che vedi,
in abete, paridi una racchetta
da tennis, ma ad Angelo
Vinci non piaceva approfondire
le cose, a me invece si,
allora piano piano ho costruito
altri strumenti, sempre cercando
di migliorare. Nel 1995
questa viola l’ha costruita Giorgio
Dore, viola a sedici corde,
sei suonano per simpatia. Questi
strumenti hanno tutti suonato,
in alcuni non ci sono le
corde perchè costano un
patrimonio.
N u m e r o – 1
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P a g i n a 13
migliora con l’età. Ti mostro i
violini che conservo nella
vetrina, questo violino è scavato
con la sgorbia fine e
riempito con la polvere di
ebano, come un intarsio, poi
ne ho un altro con la navicella
nuragica, anche il violoncello
e il contrabbasso li ho fatti io,
quest’ultimo ha suonato ant
r a g l i
s t r u m e n t i c ’ è
u n m a n d o l i n o f o r m a S t r a d i v a r i , m o l t o
i n v o g a n e l l ’ 8 0 0 .
Tra gli strumenti ho un mandolino
forma Stradivari, molto in voga
nell’800. Tornando alle Launeddas,
non si finisce mai di imparare, vedi
queste, quella al centro è il prototipo
giusto, tutti gli altri sono a scendere
di cinque punti, come è normale,
questo è un quarantesimo ad esem-
pio. Un suonatore deve possederle
tutte e dieci, le launeddas sono strutturate
così, sono chiamate sonus de
ascutai, sonus de cresiam sonus de
baddai, sonus de cantidu, e sonus de
is arricus. Succedeva infatti che chi
era benestante chiamava il suonatore
per suonare strumenti acuti che
imitassero il pianto del neonato ogni
volta che nasceva un bambino in
famiglia, per fare festa. Adesso suono
un contrappunto in fa, uno di questi
che imita il pianto del bambino, lo
strumento va accordato con la cera, è
uno strumento che esiste da più di
quattromila anni, la materia prima è la
canna, tre sezioni diverse su cannisoni,
la canna normale, per fare le ance invece
c’è la canna più piccola, va tagliata a
gennaio, a luna piena, o a fine di luna,
ho ancora canne tagliate dal 1972 in
poi per fare altre launeddas, si conservano,
non si usurano, la canna va fatta
stagionare per almeno due anni. Io
possiedo strumenti di più di cento anni,
è come il violino, il suono
l e l a u n e d d a s s o n o
c h i a m a t e s o n u s d e
a s c u t a i , s o n u s d e c r e s i a m s o n u s
d e b a d d a i , s o n u s d e c a n t i d u , e
s o n u s d e i s a r r i c u s
che ad Atene. Portato da
Omero Bandinu, il contrabbassista
dell’orchestra. Ricordo
che un costruttore di launeddas
, tale Mallocci, mi ha
lasciato gli strumenti di lavoro
per costruire le launeddas,.
Un altro, Salvatore Leccis,
anche lui mi ha lasciato i suoi
attrezzi. Questo è uno strumento
che ha più di cento
anni, l’ho fatto restaurare,
l’ho pagato cento mila lire e
ho speso seicento euro per
restauralo. E’ una fisarmonica
che potrebbe essere
usata con il mantice originale,
in pelle e stoffa impermeabilizzata.
Poi ce n’è
anche un altro recuperato,
“sonus de is
arricus, quelli corti,
perché i benestanti
chiamavano il
suonatore per
suonare strumenti
acuti che imitassero
il pianto del
neonato,”
I l c o n t r a b a s s o h a
s u o n a t o a n c h e a d A t e n e ,
p o r t a t o d a O m e r o
B a n d i n u .
Omero Bandinu
P a g i n a 14
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T i t o l o n o t i z i a r i o
Dir
i c o r d o
c h e s i n o
a l l ’ e t à d i 1 7
- 2 0 a n n i , c i
s i s e d e v a n e l v i c i n a t o f i n o a l l a s e r a
t a r d i
di Putzu, di un materiale
freddo, con un suono metallico
scialbo, seppur perfetto,
poi ci sono le ciaramelle,
suonano con la zampogna,
fatti da Giorgio Dore, apu
fatu sa cassanuxi primitiva,
funziona per caduta. Adesso
ti racconto qualcosa di
più del contesto sanlurese,
la vita di comunità è un po’
difficile, molti tendono ad
essere individualisti, non
lasciano spazio, dipende
dalla presunzione, purtroppo.
Prima non era così, c’era
più solidarietà, fratellanza,
oggi lascia molto a desiderare,
per esempio ricordo sino
all’età di 17-20 anni ci si
sedeva nel vicinato fino alla
sera tardi, chi giocava con
sa barruffa, chi chiacchierava,
oggi tutto questo non c’è
più, il benessere ha portato
egoismo e diffidenza. Io
accompagnavo mia mamma
negli anni ‘50 all’unico rubinetto
paesano in s’Arei, mia
mamma con sa mariga e io
con un barattolino di conserva
a prendere l’acqua. Mia
mamma scendeva lungo la
strada per Furtei, prima
della curva, a lavare i panni,
a Riu ‘e Piras, duadia pedra
manna e lì facevano su stresciu.
Io ho vissuto la mia
infanzia in povertà ma fuori
dalla guerra, oggi ci sono
molte famiglie
.
Io accompagnavo
mia mamma negli
anni ‘50 all ’unico
rubinetto paesano
in s’Arei, mia
mamma con sa
mariga e io con
un barattolino di
conserva a
prendere l ’acqua”
Manoscritti. Se digiti nel pc
Saragat poesie te ne appaiono
dodici, io in originale
ne ho 47. Era fratello
dell’ex Presidente della Repubblica,
Giuseppe Saragat.
Questo libretto, originale, lo
volevano mettere al fuoco e
allora io con questo amico lo
conservammo, guarda che
S a r e b b e b e l l o s e i l c o m u n e s i
f a c e s s e c u s t o d e d i t u t t o
q u e s t o , p o s s i e d o a n c h e d e l l e
b e l l e r a c c o l t e d i p o e s i e .
benestanti, ci sono molte più
cose, ma c’è degenerazione
sociale. Dove ritrovo la comunità
oggi, mah, secondo
me non c’è più. Nella banda
musicale è cambiato tutto,
oggi non mi ci ritrovo. Custodisco
comunque con passione
e dedizione una grande
raccolta multimediale sul
cosa scriveva quest’uomo,
su seddoresu - filosofia rusticana
-Timmi e poderabiblioteca
de su circulu, con
il verbale in sardo. “Unu
studiu appu fattu de sa genti,
de su modu e bivi e de
trattai”, inizia così questo
componimento in versi di
Cesare Saragat, sanlurese.
U n u s t u d i u a p u
f a t u d e s a g e n t i , d e
s u m o d u d e b i v i
e d e t r a t a i Giuseppe
Saragat
sodalizio e la sua attività, dal
1987-88 sino al 2010-12,
periodi di cui possiedo tutte
le registrazioni. Mio fratello ,
tecnico radio tv, mi ha organizzato
tutta la parte del
laboratorio per le registrazionini
. A chini, ma a chi trasferirò
il mio sapere la mia raccolta?
Mah, per ora a nessuno!
Sarebbe bello se il comune
si facesse custode di tutto questo,
possiedo anche delle belle
raccolte di poesie, ho tante
cose, persino una rassegna
stampa a tema, il testo de Su
Seddoresu- canzone a ballo,
composto da tsìu Chinu Congia,
molte poesie di Antiogu Sanna,
.seddoresu. Di quest’uomo mi
diedero cinque manoscritti, ma
siccome io non avevo soldi per
fare le fotocopie, glieli resi e
sicuramente finirono bruciati, o
buttati. Alcune erano poesie di
Cesare Saragat.
N u m e r o – 1
BIBLIOTECA
COMUNALE SANLURI
P a g i n a 15
C a r m i n e t t a P i l l o n i n a s c e a B a r e s s a , i l
7 d i c e m b r e 1 9 2 2
Carminetta Pilloni nasce a Baressa, il
7 dicembre 1922. Lì le usanze erano
molto diverse, rispetto a Sanluri. Si
viveva da paese piccolo, tanto che
quando mi sono sposata venire qui è
stato per me un’esperienza impor-
tante. A Baressa dall’età di dodici
anni si lavorava in campagna, tutti.
C’era anche chi stava bene, però tutti
lavoravamo, non c’era distinzione, il
lavoro era la campagna. Da piccoli, a
sette anni, si andava ad accompagnare
il bestiame, secondo le capacità
di ognuno. Quando mi sono sposata,
mi piaceva andare in campagna
a raccogliere le olive, ma a Sanluri
era sconveniente per una donna
sposata bene fare i lavori della campagna.
Mio marito non mi voleva mai
portare-” Se ti vedono in campagna ti criticano,
dicono che sono io che ti costringo a
lavorare!”-, ma a me piaceva, d’inverno e
d’estate. Da piccola, quando andavamo a
raccogliere le spighe, io andavo assieme
alle mogli dei dipendenti, perchè anche
mio padre ne aveva di dipendenti, e spesso
le donne portavano i bambini piccoli
con loro. A me facevano tenerezza, ma
erano organizzati per preparare una sorta
di riparo su misura per loro .Portavano le
lenzuola, le tendevano con delle canne, e
quello diventava il loro riparo dal sole.
Ma alla fine dell’estate altro
che negretti, erano cotti dal
sole, che filtrava attraverso le
lenzuola, mentre noi cercavamo
di proteggerci con i fazzoletti,
mettendoci anche del
finocchio in testa per una
protezione sul viso più efficace.
Da noi non si usava abbronzarci,
come si usa adesso,
a me si spellava tutta la
faccia, quando siamo cresciu-
S e t i v e d o n o i n
c a m p a g n a t i
c r i t i c a n o , d i c o n o
c h e s o n o i o c h e
t i c o s t r i n g o a
l a v o r a r e
ti un po’, a dodici anni sono
andata a trebbiare il grano, e
a seminare, una volta passati
i buoi e fatto il solco. Una
volta sono andata che nevicava,
allora non c’erano i grani
tardivi e si seminava anche
con il freddo. A ottobre iniziava
la semina e mamma gli
diceva a mio padre -” Ma
porti quella bambina in campagna?”-.
C’era povertà, famiglie
numerose senza neanche
il pane, le donne al
rientro dalla raccolta delle
spighe dovevano pulire il
grano, macinare subito e
fare il pane. Un lavoro duro,
meno male che in quei
tempi ci si dava una mano
l’un l’altro, perché la situazione
era difficile. Una volta
con mia comare, che era in
attesa siamo andate al
“Erano organizzati
per preparare una
sorta di riparo per i
più
piccoli .Portavano le
lenzuola le tendevano
con delle canne, e
quello diventava il
riparo .“
A o t t o b r e i n i z i a v a l a
s e m i n a e m a m m a g l i d i c e v a
a m i o p a d r e - ” M a p o r t i
q u e l l a b a m b i n a i n
c a m p a g n a ? ”
P a g i n a 16
BIBLIOTECA
COMUNALE SANLURI
T i t o l o n o t i z i a r i o
I n c a m p a g n a p o r t a v i u n a c i p o l l a e u n
p e z z e t t i n o d i f o r m a g g i o
era in attesa, siamo andate
al campo per le spighe e
abbiamo fatto sei chilometri
per arrivare. Il giorno dopo
siamo tornati e l’abbiamo
trovata che aveva partorito
durante la notte. Due donne
l’assistevano al parto, immagina
che voglia aveva
questa donna di inchinarsi a
raccogliere spighe, ma c’era
necessità. Oggi è più quello
che buttano, in campagna
portavi una cipolla un pezzettino
di formaggio e il pane,
acqua calda perché non
teneva la temperatura.
Quando sono arrivata a
Sanluri, mi sono sposata
bene , con un ricco proprietario
terriero, e mio marito
non mi portava in campagna
per paura delle critiche. Poi
la perdita di un figlio mi fece
ammalare di depressione, e
per star meglio chiedevo
ripetutamente a mio marito
di portarmi in campagna per
distrarmi, ma non mi voleva
portare mai. Ma io feci in
modo di andarci lo stesso, per dodici giorni, in
campagna contro il suo volere. Lì c’era chi parlava,
chi scherzava, e così questa frequentazione mi ha
fece riacquistare la salute, distratta dal pensiero di
mio figlio. In casa facevo tutto, non obbligata ma
per mia volontà, sapevo che quello era un mio dovere,
per questo mio marito non diceva mai una
parola contraria su di me, mai una parola di male,
quello che ho potuto fare l’ho fatto, per quello che
ho fatto. Ho avuto
Andavo a letto
anche all ’una, mi
alzavo alle sei per
mungere, ma non
mi sono mai
lamentata, la mia
fortuna era che
mia suocera era
molto brava.
I n c a s a
f a c e v o t u t t o , n o n o b b l i g a t a
m a p e r m i a v o l o n t à , s a p e v o
c h e q u e l l o e r a u n m i o
mia suocera per otto anni, e
ho accudito una cognata
malata di schizofrenia per 43
anni, ma dio mi sta ricompensando
per quello che ho
fatto. Avevamo le vacche per
23 anni, mi alzavo presto al
mattino per mungere. Lavavo
i recipienti a mano, e andavo
a letto anche all’una Mi alzavo
alle sei , ma non mi sono
mai lamentata, la mia fortuna
era che mia suocera era
molto brava, affidavo a lei i
bambini che stavano benissimo.
Io, oltre alla cucina,
potevo dedicarmi a tutto.
Avevo trovato un’altra mamma.
Mi sono sposata a 35 anni, lui
ne aveva 36, del ‘22 e del ‘21,
veniva a Baressa ogni anno
perchè aveva un gregge e il
servo pastore aveva diritto a un
paio di pecore quando entrava,
ad agosto, e venivano a cercare
pecore da comprare .
i o e r o d i e t r o a l l a p o r t a e m i a
m a m m a o s s e r v a v a m i o p a d r e c h e
d i s c u t e v a c o n l o r o
E allora che veniva a Baressa
e ci siamo incontrati in
strada. Cercavano mio padre
per chiedergli se aveva
pecore da vendere, io stavo
dietro la porta e mia mamma
osservava mio padre
che discuteva con loro, contrattando.
Quando se ne
furono andati, mia mamma
disse tra sè con aria convinta–
“Cussu no est cichèndi
brebei, cussu est cichendi
femina!”.
N u m e r o – 1
t r e m e s i
p r i m a d i
d a r g l i l a r i s p o s t a , p r i m a c i s i a m o
i n f o r m a t i p e r s a p e r e c h e r a g a z z o e r a
d a l p a r r o c o
E aveva ragione. Colpo di fulmine,
hanno chiesto quando poteva rientrare
mio padre, che tornò dopo il 15
settembre, mio padre mi chiamò per
offrirgli qualcosa, a me che ero la più
grande di sei, e dopo mi disse che
era venuto per me. Ma io sono rima-
nella lettera si poteva scrivere
molto di sè, ma poteva
essere falso. Era cosi tanta la
severità che un giorno, che
giocavamo con delle bambine
nel giardino, si affacciò un
cugino a guardare cosa facevamo
e mio padre si arrabbiò.
Disse che lui non ci faceva
niente con noi. Spazi divisi ,
le donne e gli uomini non
dovevano incontrarsi, troppa
BIBLIOTECA
COMUNALE SANLURI
sta tre mesi prima di dargli risposta,
ci siamo informati per sapere che
ragazzo era, anche chiedendo al
parroco, prima non si viaggiava come
adesso, non c’erano mezzi e spostarsi
da Baressa richiedeva tempo. Noi
ci siamo conosciuti con le lettere,
ne ho una scatola piena ,ho
passato tredici mesi scrivendo!
Io non andavo in nessun posto
se non lo avvertivo, la prima
volta da soli c’era una zia di
N o i c i s i a m o
c o n o s c i u t i c o n
l e l e t t e r e , n e
h o u n a
s c a t o l a , h o
p a s s a t o t r e d i c i
m e s i s c r i v e n d o !
confidenza. Un mio fratello,
un giorno, andò a raccogliere
corbezzoli con delle altre
ragazze e queste rimasero
segnate per sempre. Se sapevano
che qualche ragazza
aveva avuto parole con un
altro ragazzo era segnata.
Quando mio marito seppe
che uno di Ussaramanna mi
corteggiava andò subito da
lui, a chiedere che rapporti
avessimo, per sincerarsi
che non ci fosse niente. Mio
marito non cercava donne a
Sanluri perchè in quel periodo
nelle famiglie molti
ospitavano militari e lui non
voleva rischiare di chiedere
in sposa una donna compromessa.
Ricordo che a
Baressa eravamo molto
solidali, ricchi e poveri eravamo
uguali, - nosu fiausu
P a g i n a 17
mia nuora, ci siamo incontrati a Sardara, mi
ha fatto un improvvisata. E’ stata la prima
volta che ci siamo incontrati personalmente
dopo tante lettere. Lui veniva a Baressa ma
non mi aveva mai visto, una volta a ottobre
stavamo rientrando dalla vigna e ho sentito
la motocicletta che arrivava. Era lui, ma lo sa
che avevo in testa un cestino di uva e a momenti
mi cadeva il cestino dalla testa per
l’emozione, e non ci siamo nemmeno presentati.
Ma ai tempi nostri era così, non ci
fermavamo neanche in strada a parlare con
un cugino, c’era tanta severità.
Non sapevi chi andavi a
sposare, non avendoci mai
Mio fratello un
giorno andò a
raccogliere corbezzoli
con delle altre
ragazze e queste
rimasero segnate per
sempre.
m i o m a r i t o
n o n c e r c a v a
d o n n e a
s a n l u r i
p e r c h è i n
q u e l p e r i o d o
n e l l e f a m i g l i e m o l t i
o s p i t a v a n o m i l i t a r i . M i o
m a r i t o n o n v o l e v a
r i s c h i a r e d i c h i e d e r e i n
s p o s a u n a d o n n a
c o m p r o m e s s a .
P a g i n a 18
BIBLIOTECA
COMUNALE SANLURI
T i t o l o n o t i z i a r i o
Q u e s t e r e l a z i o n i s e n t i m e n t a l i e r a n o
s e m p r e g u i d a t e
traballendi de piticus, io ho
vissuto con una cognata che
ha avuto un matrimonio
sfortunato, il marito non la
accudiva, era un matrimonio
combinato, lei era un ospite
in quella casa. Io piangevo
perché capivo che lei era
gelosa, vedeva l’amore tra
me e mio marito. Lei in periodo
di guerra era stata
innamorata di un ufficiale,
che poi è stato trasferito a
Guspini e nel frattempo ha
avuto questa dichiarazione
da suo marito, che la famiglia
ha accettato, e lei suo
malgrado. Poi è successo
che il suo primo amore è
tornato a cercarla, ma lei
era già impegnata e la famiglia
ci teneva che facesse
un matrimonio importante.
Per me è stato diverso.
Quando ero in età da marito,
avevo un bel rapporto con
mio padre, che non ci obbligava
mai, ma ci informava
su quello che veniva a sapere
sulle persone che domandavano
di noi. Io avevo una fiducia cieca in
mio padre. Le relazioni sentimentali erano
sempre guidate, ma per noi donne l’amore
è troppo importante. Parlando con mia
suocera dell’amore sfortunato di sua figlia
mi disse:-” Non è che noi non accettassimo
questo ufficiale di cui lei era innamorata,
ma la posta in tempo di guerra era vincolata,
e non avendo informazioni su di lui certe,
non potevamo affidare nostra figlia a lui
senza sapere nulla a riguardo.
“Io mi sono
fidanzata e le mie
amiche di una
vita, che poi non
si sono sposate,
non sapevano
niente.”
P o i i l s u o
p r i m o a m o r e è
t o r n a t o a
c e r c a r l a ,
Quando questo primo amore
di mia cognata divenne colonnello
fu trasferito a Cagliari,
e io venni a sapere
che questo colonnello ancora
parlava di lei, pur avendo
ormai una vita diversa. Era
questa la condizione delle
donne, spesso le ragazze
non avevano fiducia una
dell’altra, io mi sono fidanza-
padre parlava di nascosto con mio marito
e si metteva d’accordo con lui. Mio padre
si chiamava Peppino Basile, di origini napoletane
ma vissuto a Cagliari. Poi si stabilirono
a Sanluri, dove iniziarono ad aggiustare
la chiesa, poi il comune. Erano
muratori. Fu mio padre a
dire che avevo l’età per
sposarmi, mi disse :- “Ce
l’ho sempre appresso queta
e le mie amiche di una
vita, che poi non si sono
sposate, non sapevano niente
di me. Ma si accorgevano
che quando lui veniva in
paese, io scappavo a casa e
mia madre diceva:-” Ma asa
a bi ca c’esti cussu seddoresu?”-
Io ero reticente, non
confidavo nulla, neanche alle
mie amiche. Infatti, quando
le ho fatto sapere del fidanzamento
mi hanno preso per
i cappelli, si fa per dire, sgridandomi,
anche se sicuramente
tra sé e sé pensavano
:-” Asa a crei ca nosu no
ddu cumprendiausu!”-.
Fedora Scano 100 anni e
tanti ricordi, una bella famiglia
e nove figli tra i quali
Augusto, Salvatore, Piero,
Ignazio, Cecilia, Maria Grazia.
“Avevo una matrigna
che mi voleva bene, a me e
a mia sorella, la mia vita da
ragazza è trascorsa lavorando,
ho iniziato a 15-16 anni,
F e d o r a S c a n o
1 0 0 a n n i
guardavo i bambini, gli davo
da mangiare, poi andavo a
mietere, a tirare l’erba e a
pulire i campi, con le amiche.
La vita quotidiana era
buona, scorreva bene , insieme
alla mia matrigna, a
cui abbiamo voluto un gran
bene. Io inizialmente non mi
volevo sposare, ma mio
N u m e r o – 1
a v e v o l ’ e t à
p e r
s p o s a r m i , m i d i c e v a - ” c e l ’ h o s e m p r e
a p p r e s s o q u e s t o r a g a z z o ! ” - .
questo ragazzo!”-. Mio marito si chiamava
Giovanni Pillloni, Giuanniccu.
Mio padre mi diceva:- “Fedora! cosa
vuoi fare! Ce l’ho sempre appresso!”-
. Allora Giovanni cominciò a venire a
parlarmi dalla porta, -“E cosa gli dico
io ! ”, pensavo. Così abbiamo comin-
BIBLIOTECA
COMUNALE SANLURI
ciato a parlarci, dopo ho incontrato la
famiglia, anche se già la conoscevamo
per altri legami familiari.
(Intervistatore) Intanto arrivano i
nipoti dal continente, giunti per i suoi
cento anni da Bolzano, Chiara somiglia
molto alla nonna centenaria,
chiede provocatoriamente alla
nonna: -”Nonna, ti ricordi tutti i
nipoti?”-”Eh certo, sono tutti
figli di mio figlio. Io purtroppo
alla festa organizzata per i miei
cento anni in albergo, mi sono
m i s o n o
s p o s a t a i n
c h i e s a e r a v a m o
i n s i e m e a
u n ’ a l t r a c o p p i a
d i s p o s i , u n
s o l o m a t r i m o n i o
P a g i n a 19
sentita male per il freddo. Quando abbiamo
fatto il giro per il paese, invece, no, sono stata
contenta, abbiamo fatto un bel giro con
tutta la gente che gridava e salutava!
(intervistatore) Quindi con Giovanni ti sei
fidanzata che avevi diciassette anni, tuo padre
ha riconosciuto in lui un bravo ragazzo, vi
vedevate alla porta e parlavate -” Si, lui mi
faceva i complimenti per un grembiule con i
fiori ricamati che indossavo, mi diceva che di
quei fiori gliene piaceva uno, in particolare,-”
E quale è questo fiore? “- gli dicevo io, facendo
finta di non capire che si trattava di me, un
bel modo gentile per fare un
complimento, Giovanni era
così, premuroso e gentile.
d’animo
Lui era del 1915, io del 1918,
ci siamo sposati in Chiesa,
assieme a un’altra coppia,
un solo matrimonio per due
coppie. Eravamo intorno al
1933, l’altra sposa abitava
nella Carlo Felice, proprio
dove abitava mia figlia, la
parrucchiera. Un giorno ci
siamo rincontrate al mare e
abbiamo ricordato i bei momenti
vissuti insieme. Ci
siamo ricordate dell’usanza
di mettere la dote della sposa
dentro a dei cesti esposti
fuori dalla casa, lì tutti mettevano
i doni per gli sposi. Ricordo
che venne il padre di
Giovanni a casa nostra, dicendo
che la famiglia non
portava dote, erano persone
semplici. Io davo il mio contributo
alla famiglia andando a
raccogliere le spighe e le
portavo alla mamma di lui, che
gestiva un osteria nel piano terra
di casa. Ricordo i miei anni all’asilo,
ero aspirante Figlia di Maria
Ausiliatrice, quando ero piccolina
ero Angioletta, lì imparavamo a
ricamare, a fare la maglia, l’uncinetto.
Nella mia vita ero abbastanza
felice, la mia matrigna mi comprava
tante cosettine, avevo un
armadio dove conservavo tutto.
Nella vita da sposata ero molto
impegnata e non uscivo
“Ero aspirante
figlia di Maria
Ausiliatrice, da
piccolina ero
Angioletta.”
L a f a m i g l i a
n o n
p o r t a v a
d o t e ,
e r a n o
p e r s o n e
s e m p l i c i .
BIBLIOTECA
COMUNALE SANLURI
U N I O N E C O M U N I M A R M I L L A
Sistema Bibliotecario Marmilla
In collaborazione con
Agorà Sardegna
Redazione dei testi e grafica a cura di
Maria Francesca Meloni, Caterina Boi
Si ringraziano la bibliotecaria Patrizia
Congia, l’assessore alla cultura
Antonella Pilloni, la dottoressa Monica
Lampis dello sportello lingua sarda e
tutte le persone intervistate che
hanno reso possibile la stesura del
periodico della Biblioteca Comunale di
Sanluri
“Ah,
memoria, nemica mortale del
mio riposo!”
(Miguel de Cervantes)
m i h a f a t t o i l m i o p r i m o c a p p o t t o ,
g r i g i o , e l e g a n t e .
più. Mi dedicavo ai figli e al marito.
C’era anche sua mamma con
noi , vicino, che lo coccolava,
vivevamo nella stessa casa, nel
locale dove un tempo c’era l’osteria.
Quando facevo il pane,
delle volte veniva un amica che
era sartina, per aiutare, così io, a
mia volta, la aiutavo. Da lei andavo
per cucire, perché mi aiutava
a fare le cose che non sapevo
fare, lei aveva la macchina da
cucire. Il primo vestito me l’ha
fatto Rosina Melis, che abitava
nella strada verso Furtei, mi ha
fatto il primo cappotto, grigio,
elegante. (Intervistatore) Interviene
la sua assistente - ” Fedora
oggi ha fatto un po' da poltrona ,
ha fatto il bagno con calma, e
non la vogliamo stressare, ma ha le
sue cose da rispettare, lei fa la prima
colazione a letto, come le principesse,
viene suo figlio Ignazio per questo, e la
coccola!. Ogni tanto esce, con la sedia
a rotelle, a passeggio, quando il tempo
è bello. Devi sapere che la notte prima
del suo compleanno era molto emozionata,
quando sono arrivata, ieri, ho
trovato che aveva frugato per cercare le
cose da mettersi, i gioielli da indossare
per la sua festa, tanta agitazione ed
entusiamo. Poi un suo figlio doveva
venire per pettinarla per la festa. E
adesso, se sei d’accordo, con un goccino
di caffè chiudiamo questa chiaccherata,
il caffè è un suo rito quotidiano,
assieme a un piccolo biscotto. Sai,
Fedora, nonostante l’apparenza, è un
generale!”
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