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Casa ed Eleganza N.3 | 2021

Gli inglesi lo chiamano Glamour, noi lo chiamiamo Fascino, una parola con una derivazione apparentemente lontana dal significato che gli diamo oggi, qualcosa di più simile alla maledizione che alla bellezza. Per i romani, infatti, fascinus erano sia il maleficio sia l’amuleto – un simbolo fallico – che ne scongiurava l’essenza. Quindi il bello e l’invidia per esso: questo in sostanza il fascino nella storia delle parole. È difficile descrivere cosa sia il fascino nella nostra epoca. Quando si usa questa parola è facile essere spostati idealmente in un’epoca differente, negli anni in cui un vestito, un gioiello o una capigliatura potevano essere considerati icona di stile, quando il danzare in un film segnava la nostra memoria in un modo indelebile.

Gli inglesi lo chiamano Glamour, noi lo chiamiamo Fascino, una parola con una derivazione apparentemente lontana dal significato che gli diamo oggi, qualcosa di più simile alla maledizione che alla bellezza. Per i romani, infatti, fascinus erano sia il maleficio sia l’amuleto – un simbolo fallico – che ne scongiurava l’essenza.

Quindi il bello e l’invidia per esso: questo in sostanza il fascino nella storia delle parole.

È difficile descrivere cosa sia il fascino nella nostra epoca. Quando si usa questa parola è facile essere spostati idealmente in un’epoca differente, negli anni in cui un vestito, un gioiello o una capigliatura potevano essere considerati icona di stile, quando il danzare in un film segnava la nostra memoria in un modo indelebile.

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Dalle sue parole emerge una differenza tra<br />

gli artisti italiani e quelli stranieri. Questi se<br />

vogliono essere intervistati hanno un forte<br />

rispetto per la stampa, gli italiani sono più<br />

restii a lasciarsi andare, sollevano sempre<br />

delle questioni e non vogliono rispondere<br />

a domande che li potrebbero mettere in<br />

difficoltà. Questa differenza è ben chiara<br />

nelle storie che racconta: «Eric Clapton – ha<br />

continuato Cotto – mi ha tenuto a parlare per<br />

ore della sua odissea con la droga, Joe Cocker<br />

pure. Elton John mi ha detto una cosa che mi<br />

rimarrà sempre dentro: quando attraversava<br />

i suoi momenti difficili e abusava delle droghe<br />

l’unica cosa che gli dava la forza per andare<br />

avanti era mettere sul piatto un disco di<br />

Peter Gabriel e Kate Bush, Don’t Give Up, e<br />

piangere sino a finire le lacrime e allora capiva<br />

che avrebbe potuto farcela. È vero che c’è un<br />

potere salvifico nella musica. Robert Plant,<br />

adorabile quando lo si incontra, dice che le<br />

interviste non hanno una durata, ma finiscono<br />

quando è il momento che finiscano. Quando<br />

ho intervistato Alda Merini nella sua casa ai<br />

Navigli la persona che mi ha accompagnato<br />

mi raccontò l’an<strong>ed</strong>doto di una giornalista di<br />

New York che è andata per cinque giorni<br />

a casa della poetessa per intervistarla.<br />

Questa apriva la porta, non sentiva le giuste<br />

vibrazioni e le diceva di tornare il giorno<br />

dopo. È ritornata negli Usa senza averla<br />

intervistata». «Oggi – ha puntualizzato – è<br />

però molto cambiato il giornalismo. Sempre<br />

più vicino al gossip che all’approfondimento.<br />

Anche la musica è cambiata, soprattutto in<br />

Italia. Un tempo il Rock era il veicolo primario<br />

per esprimersi, per dare la propria visione del<br />

mondo, a meno che non si volesse navigare<br />

le placide acque del Pop. Ma se uno aveva<br />

un senso di ribellione finiva per fare Rock.<br />

Oggi assistiamo a una frammentazione di<br />

stili: quando un adolescente vuole esprimere<br />

il suo non riconoscersi nel mondo circostante<br />

può scegliere la Trap, il Rap, l’Hip-Hop, il<br />

R’n’B, il Rock, il Pop. Qui entrano in gioco<br />

anche le case discografiche che un tempo<br />

lavoravano pensando alla carriera, oggi<br />

invece lavorano pensando al disco. Questo<br />

rende difficile impostare un lavoro per il<br />

lungo periodo, De Gregori, per esempio,<br />

ha avuto successo dopo il quarto album.<br />

Oggi nessuno può permettersi di aspettare<br />

tanto. Oggi continua a esserci della musica<br />

bella e di qualità, ma i giovani stentano di<br />

vivere di musica». Il viaggio nell’esperienza,<br />

nella vita di Massimo Cotto potrebbe, come<br />

diceva Plant, proseguire per molto altro tempo<br />

ancora. Basta una parola per dar vita a un<br />

nuovo discorso, estrarre un nuovo an<strong>ed</strong>doto,<br />

scatenare un ricordo. Il conduttore, scrittore, di<br />

Asti è una persona molto particolare, capace<br />

di rapire l’attenzione e far viaggiare con lui<br />

lungo la sua personale scaletta. È come se<br />

fossimo sotto un palco e lui accende i riflettori<br />

su personaggi, momenti, miscelando il tutto<br />

con il suo sorriso che attraverso la radio<br />

non si può v<strong>ed</strong>ere, ma avviluppa in modo<br />

contagioso. Lasciare il mondo di Cotto non<br />

è facile, perché le domande senza risposta<br />

sono ancora molte. Le parole hanno preso<br />

vita e ci accompagnano nel viaggio di ritorno.<br />

Long live Rock.<br />

@massimocottoofficial<br />

40 <strong>Casa</strong> <strong>ed</strong> <strong>Eleganza</strong>

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