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TRAKS MAGAZINE 041

Costa in copertina su sfondo bianco per TRAKS MAGAZINE, che a marzo 2021 celebra il proprio numero 41. All'interno interviste con Le Zampe di Zoe, Nebula, Riccardo Morandini, Piqued Jacks, Deadlock Crew. Leggilo subito!

Costa in copertina su sfondo bianco per TRAKS MAGAZINE, che a marzo 2021 celebra il proprio numero 41. All'interno interviste con Le Zampe di Zoe, Nebula, Riccardo Morandini, Piqued Jacks, Deadlock Crew. Leggilo subito!

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traks magazine

Numero 41 - marzo 2021

COSTA

LE ZAMPE DI ZOE

NEBULA

RICCARDO MORANDINI

PIQUED JACKS

DEADLOCK CREW


sommario

4 Costa

8 Le Zampe di Zoe

12 Nebula

16 Riccardo Morandini

20 Piqued Jacks

24 Deadlock Crew

TRAKS MAGAZINE

www.musictraks.com

info@musictraks.com



COSTA

“L’odore dei limoni”

è il disco d’esordio del

cantautore abruzzese,

che si autodefinisce sognatore

e crede ancora

che la musica salverà il

mondo

Ci racconti chi è Costa?

Per dirla con una delle parole centrali

dell’album Costa è un cantautore,

ovvero un “sognatore”

che crede che una canzone possa

ancora davvero salvare il mondo

e si prodiga con tutto se stesso per

dare il proprio contributo artistico

a tale scopo. La scrittura oltre

a essere un’urgenza espressiva e

una passione ardente è stata per

me anche una modalità di stare al

mondo che mi ha aiutato a decodificare

rielaborare e ricostruire

momenti e significati della vita.

Questo disco, L’odore dei limoni,

rappresenta il tuo esordio, ma lo

presenti anche come una sorta di

“best of ”: ci spieghi perché?

Scrivo sin dalla prima adolescenza

nel corso degli anni ho collezionato

più di un centinaio di canzoni

compiute, L’odore dei limoni racchiude

in ordine temporale sparso

alcune delle pietre miliari della

mia produzione musicale che si

susseguono creando un percorso

di senso e di significato dando

vita ad un vero e proprio concept

album.La scelta è inoltre poggiata

sui brani hanno riscontrato più

cover story

gradimento e consenso presso il

mio pubblico

Perché hai scelto Vento per rappresentare

il disco e come nasce

il brano?

Ogni mia canzone è concepita un

pò come un monolita di senso, un

mattoncino che edifica di volta in

volta l’intera mia persona. Nonostante

mi sia prodigato sempre per

la comprensibilità dei testi credo

che la loro decodifica presuppone

alcune informazioni, sulla mia

persona e sul modo di interpretare

il mondo che al momento l’ascoltatore

non possiede.Ho scelto

Vento perché non è una canzone

che dice ma più che altro evoca,

non si basa su di una comprensione

di significato ma su di una

percezione sensibile sull’epidermide

dell’animo.E’ una canzone

che parla del legame che va oltre

il mero contatto fisico, un pò una

“fenomenologia dello spirito” per

come io possa intenderla. Il brano

5



nasce appunto da questa esigenza

di connessione che trascende la

materialità toccando direttamente

le corde risonanti dell’interiorità.

In musica si sente parlare non

tantissimo dell’Abruzzo (e quasi

sempre in termini di rock): come

vedi la scena della tua regione di

origine?

In Abruzzo non credo esista una

vera e propria scena musicale

perché essa presuppone se non

altro una comunanza di valori e

di intenti. Condivido l’analisi per

cui per lo più i musicisti abruzzesi

suonano rock per giunta d’oltralpe

ed in lingua straniera. A mio

modo di vedere, il problema del

mancato peso specifico degli artisti

abruzzesi sul panorama nazionale

è di ordine sistemico: scarsità

di risorse, mancanza di politiche

mirate, mancanza di una mentalità

attenta ai fenomeni emergenti,

mancanza di una rete che renda

davvero efficace il processo di divulgazione

e promozione. Tutto

questo fa sì che ogni artista sia

non solo un ‘isola che non si incontra

con le altre isole ma che

alle volte ci si scontra. Fatto salvo

per le dovute virtuose eccezioni la

situazione cogente induce gli artisti

ad un individualismo per cui

ciascuno è occupato più ad annaffiare

il proprio orticello che a curare

il più vasto “giardino”.

In tempi come questi è difficile

immaginare il futuro. Ma quali

sono i tuoi prossimi progetti?

Be’ innanzitutto non appena si

potrà ho intenzione di portare in

giro live Il mio primogenito “L’odore

dei limoni” dal momento

che la sua uscita, il 4 dicembre, è

avvenuta in periodo di pieno lookdown.

Il desiderio di esibirmi

e di riscontrare di persona le reazioni

del pubblico è tanto. In questo

periodo sto valutando anche

la possibilità di fare qualche live

in streaming. Sto preparando in

studio un paio di brani in versione

acustica e sono in procinto di

progettare il videoclip del prossimo

singolo, La scelta poggia su

due canzoni in particolare ma

sceglierò assieme al mio team e al

pubblico che mi segue sui social.

E tante e tante altre cose ancora

che vi svelerò strada facendo.

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LE ZAMPE DI ZOE

Si chiama “Casa” (ma non fa riferimenti al lockdown) il nuovo disco del

duo che ormai ha allargato spazi e formazione

l’intervista

Ci raccontate come nasce la vostra

formazione?

La formazione inizialmente era

composta da due persone: Elisa e

me (Edoardo). In seguito abbiamo

sentito la necessità di ampliare e

dopo aver cambiato fior di bassisti

e batteristi abbiamo trovato

due figure poliedriche che si sono

inserite perfettamente all’interno

dell’organico: Batteria Martino e

Basso Jay!

“Casa” non è né un disco né una

canzone che faccia riferimenti

diretti al lockdown, tuttavia immagino

che anche i pensieri in

merito abbiano influito. Mi raccontate

qualcosa di più sulle ispirazioni

alla base del disco?

Decisamente corretto dire che

non ci siano troppi riferimenti al

lockdown, prevalentemente perché

tutte le canzoni (o quasi) sono

state interamente scritte PRIMA!

Resta il fatto che il titolo sia emblematico

anche per il lockdown,



perchè CASA ha preso un’accezione

negativa, mentre noi la descriviamo

solamente in maniera

positiva, ma passano anche altri

concetti come l’alienazione, la solitudine

e l’incomprensione che

sono una costante nel nostro scrivere.

Mi sembra che la storia di “Portogallo”

sia particolarmente meritevole

di essere raccontata

Il brano meno facile da affrontare.

È tratto da una storia vera e intricata,

che ha bisogno del suo

tempo. Erika – nome di fantasia

– è una studentessa Erasmus,

di stanza a Coimbra, Portogallo.

Sta vivendo una crisi esistenziale,

come spesso succede a chi affronta

questo tipo di esperienza, specialmente

in quella fase della vita:

da sola, in terra straniera, lontana

da tutto e tutti.

Non sa cosa vuole Erika, non

vuole tornare a casa, in Italia, ma

non vuole nemmeno rimanere lì,

a Coimbra, non sa nemmeno se

vuole continuare a “essere”.

Il negativo prende il sopravvento,

sa di non potersi più tollerare; decide

di togliersi la vita, ma decide

di farlo in maniera spettacolare:

vuole lanciarsi dalla scogliera di

Peniche all’alba, in modo da vedere

il sole sorgere un’ultima volta.

Si incammina Erika e sa che ci

vorrà tutta la notte.

Una volta arrivata a Peniche, si

aspetta di trovarsi l’alba in fronte,

invece viene tradita dal mondo: il

sole sorge a Est.

Rimanendo ad ammirare quel

mare ancora scuro e la sua ombra,

un’epifania: non è lei ad essere

sbagliata, è il mondo ad essere fatto

al contrario, è tutta una beffa.

Erika, dopo tale episodio, riacquista

fiducia, torna a Coimbra,

imbraccia tavolozza e pennello e

dipinge “l’Alba a Peniche” come

avrebbe voluto vederla lei, ovvero

ha dipinto il mondo al contrario.

Mi raccontate anche qualcosa del

progetto Trasporti Eccezionali?

Trasporti è un progetto di residenze

artistiche e ci ha davvero inglobati.

Non sapevamo minimamente

dove saremmo capitati quando

abbiamo fatto la prima audizione,

eppure ne siamo usciti vincitori e

contentissimi. Un percorso davvero

completo e intelligente, sempre

in continua evoluzione e miglioramento.

Speriamo che la Regione

Emilia Romagna continui a investire

in questo ambito.

In questo mondo sempre sospeso

quali sono i vostri progetti futuri?

Abbiamo in programma tante

cose in realtà, talmente tante che

a volte non sappiamo se abbiamo

il tempo materiale per farle tutte,

ma per ora possiamo dire che se

ne vedranno delle belle. Per ora

godiamoci Casa!

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NEBULA

Ci racconti come sei arrivata

a questa ripartenza da solista?

Quando arrivi al capitolo solista

significa che hai già fatto

un percorso di band che ti ha

dato esperienza e saggezza

per produrre poi da soli qualcosa

di nuovo. Venendo da un

progetto di musica elettronica

ancora attivo, i Blùmia, avevo

bisogno di qualcosa di più essenziale.

Il cuore della copertina è più

anatomico che romantico.

Che cosa simboleggia?

Sì, l’ho disegnato io come anche

il resto della copertina che

è dipinta a mano. Spesso ho

disegnato organi per anatomia

umana (sono laureata in

biologia) e penso che il cuore

umano sia il vero motore del

corpo. L’ ho voluto rappresentare

così com’è, una coml’intervista

“Supernovae” è il primo lavoro del nuovo progetto solista dell’ex Blùmia.

Seguendo un filo rock tra generi diversi



ponente meccanica perfetta che

irrora l’albero dell apparato circolatorio.

Ci racconti le ispirazioni alla

base di questo disco che mi sembra

contenere tantissime idee e

tantissime emozioni diverse?

Partendo dal blues nella mia adolescenza

sono passata dal rock,

al grunge, post rock, poi mi sono

appassionata al jazz attraverso

lo studio del sax e poi all musica

elettronica ambient e fusion. Questo

disco segue un filo rock ma ha

tante influenze diverse così come

sono io.

Che cosa ti piace (e se vuoi che

cosa non ti piace) della musica

italiana di oggi?

Mi piace molto poco... mi piacciono

Motta, Levante e altri pochi artisti.

Spesso nella scena italiana si

da poca importanza ai testi; anche

i giri armonici sono sempre uguali

e gli inserimenti di suoni elettronici

spesso “poppizzano” troppo.

In questo.i suoni del primo disco

di Motta, fatti dal grande Riccardo

Senigallia, mi piacquero molto.

Ora la scena italiana è più incentrata

a contare le visualizzazioni o

gli streams... che qualità!!!

Che cosa hai in progetto per i

prossimi mesi?

Cercare concerti perché non si

può promuovere un album solo

con il web. Perciò si spera che

dopo zone rosse e lockdown, si

sbrighino a vaccinare la maggioranza

delle persone e si sblocchi

qualcosa. Intanto se volete vedere

la presentazione del mio disco,

potete ascoltarla da YouTube e Facebook...

così vedrete che non c’è

autotune né inganno :-)

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RICCARDO MORANDINI

Un viaggio nell’“Eden” del musicista che ha abbracciato la propria avventura

da solista curando di persona tutti gli aspetti del nuovo ep

l’intervista

Sei un musicista con una notevole

esperienza alle spalle. Che

cosa ti ha spinto all’avventura

solista? E perché ora?

Nel mio percorso da strumentista

ero arrivato a un punto morto in

cui prevaleva il peso della competizione

sulla gioia del suonare,

mentre da cantautore mi sento più

libero, senza asfissianti ideali di

perfezione a cui tendere e dolorosi

dover essere. Il fatto che la cosa sia

accaduta durante la pandemia è

in parte casuale: semplicemente la



mutazione è avvenuta in concomitanza

con questo particolare momento

storico… Poi sicuramente

avere più tempo per riflettere su

ciò che si vuole veramente e per

dedicare delle energie a qualcosa

di proprio ha aiutato.

L’iconografia del disco è piuttosto

ricca di immagini tra il barocco,

il neoclassico e l’esistenziale.

Hai contribuito al concept?

Che cosa voleva simboleggiare il

labirinto?

Ci tengo molto a sottolineare che

ho seguito la realizzazione dell’ep

in ogni dettaglio. Ho scritto ogni

parola e ogni nota e anche le idee

alla base dei video e dell’iconografia

generale erano mie. Non lo

dico per arroganza o perché penso

di aver partorito un capolavoro,

ma molti cantautori si limitano a

scrivere un testo e una melodia,

magari abbozzando una struttura

armonica, e poi si affidano totalmente

a un “producer” e a un

team che confezioni la loro immagine.

Penso che nella valutazione

di un lavoro vada tenuto in considerazione

chi ha invece un’attitudine

a tutto tondo. Per quanto

riguarda il labirinto nel video de

La sindrome di Erasmo, mi sembrava

un simbolo molto efficace

dello spaesamento causato dall’eccesso

di possibilità (in ambito lavorativo,

amoroso e geografico)

che ci offre la contemporaneità e a

cui si contrappone la ricerca di un

centro, di un fondamento perenne

dell’esistenza.

Mi sembra evidente che “Il mondo

non finisce” si confronti, anche

con un filo di sarcasmo, con

la realtà del lockdown e dell’effetto

che ha su tutti noi. Più stupito

dalla pandemia in sé o dalla

reazione della “gente”?

Le reazioni della gente, nella loro

varietà, che fossero intransigenti,

autoritarie, irresponsabili o complottiste

non mi hanno stupito

particolarmente: mi sono sembrate

un chiaro specchio delle

rispettive psicologie e ideologie,

estremizzate dalla situazione. La

pandemia in sé è chiaramente uno

scenario distopico ma al momento

ne sono talmente assuefatto da

non rendermene quasi conto.

L’ep può essere inteso come un

antipasto di un album a venire

oppure è proprio un lavoro a sé?

L’ep pur essendo breve ha una sua

coerenza interna e lo considero un

lavoro compiuto. E’ un po’ come

una fotografia del mutamento che

ho attraversato nell’ultimo anno e

che mi ha portato a voler integrare

la dimensione autorale a quella

strettamente musicale. Ero anche

curioso della reazione del pubblico

e con “Eden” ho cercato delle

conferme prima di dedicarmi ad

un lavoro più esteso… che chiaramente

arriverà: conto di pubblicarlo

l’anno prossimo!

E a questo proposito: che cosa

hai in programma per il futuro

prossimo?

Sto scrivendo dei nuovi brani che

intendo registrare entro la primavera.

Vorrei arrivare all’autunno

con un disco pronto e pubblicarlo

l’anno prossimo. Nel frattempo,

integrando il repertorio con qualche

cover gourmet, punto a fare le

prime date quest’estate.

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PIQUED JACKS

Un all-in di produttori, strumenti ed emozioni per la band con il nuovo disco,

“Synchronizer”, apertura ulteriore al mercato internazionale

l’intervista

Non uno ma tre produttori di

grido britannici per questo disco:

siete andati all-in per questo

disco?

Sì, ma non solo con i produttori:

con gli strumenti, le emozioni,

i generi e le energie. Synchronizer

è la nostra fatica più grande

e il grido speriamo di lasciarlo a

chi l’ascolterà. Volevamo aprirci

ancor di più al mercato internazionale

che ci ha accolto in questi

anni, oltre a mettere l’asticella

il più in alto possibile, come ci

piace sempre fare a ogni capitolo

discografico. Il prodotto finale

ci ha dato ragione: l’impronta

vintage di Brett Shaw (Florence

+ The Machine), quella eterea

di Dan Weller (Enter Shikari) e

quella muscolare di Julian Emery

(Nothing But Thieves) sono cadute

a pennello sulle tracce che

abbiamo affidato a ciascuno di

loro. Il risultato è un disco estremamente

vario e organico allo



dovuto autocensurarci perché non

riuscivamo a smettere di scrivere)

e a dargli una forma. L’unico

obbiettivo era quello di fare un

album al livello del passo appena

compiuto, ovvero la firma con l’etichetta

INRI.

Qual è stata la canzone più difficile

da realizzare?

Per la maggior parte tutte le canzoni

hanno presa vita in pochissimo

tempo, ma in alcuni punti ci

sono volute settimane di martello

e scalpello per trovare la forma

giusta. Forse Dancers in Time,

perché avevamo tutte le tessere

principali ma non riuscivamo a

incastrarle in modo giusto per far

funzionare il puzzle come volevamo.

Adesso è uno dei pezzi di cui

andiamo più fieri, forse perché è

tra quelli che più si apre all’esplorazione

di sonorità che ci mancavano.

Avete tenuto un “diario segreto”

per raccontare le fasi dell’album.

Se l’avete riletto, che cosa vi ha

colpito di più?

Dopo averlo fatto per l’album precedente,

anche a costo di sacrificare

ore di sonno abbiamo voluvidono

una meta o una visione,

che migrano lontano come un’ipnotica

coreografia di uccelli al tramonto,

ma anche come maggiore

consapevolezza nel vivere la quotidianità

e il presente, apprezzandone

le piccole bellezze irripetibili

che spesso ci lasciamo sfuggire.

Questa visione d’insieme è comunque

arrivata dopo la fase creativa,

che è stata molto spontanea

e mai limitata in nessun modo.

Dopo aver vomitato musica per

mesi ci siamo messi a riorganizzarla

(a un certo punto abbiamo

stesso tempo, un po’ come quel

laghetto di pesci di fronte alle nostre

camere durante le registrazioni,

dove non abbiamo mai avuto

il coraggio di buttarci. Trovate il

coraggio, tuffatevi per noi.

Mi raccontate qualche idea alla

base di “Synchronizer”? E quali

erano gli obiettivi che vi siete

posti?

L’idea che meglio racchiude tutto

è quella del titolo, in cui intendiamo

la sincronizzazione come allineamento

spirituale tra persone

che si vogliono bene e che condito

segnarci tutto su carta perché

in queste occasioni ogni giorno

è pieno di momenti topici come

una puntata di Lost e merita di

essere ricordato per sempre. Non

l’abbiamo ancora riletto! Aspettiamo

che passi un po’ di tempo, magari

per poi riprenderlo in mano

per la prima volta coi nostri fan.

Come occupate le giornate fino

al via libera ai live?

Intanto sabato 27 marzo un live lo

faremo: presenteremo Synchronizer”

lanciandoci con il paracadute

da un aereo, e poi se arriveremo

a terra interi prenderemo subito

possesso del palco sulla pista di

atterraggio e inizieremo a suonare

il disco intero; ovviamente in

diretta – sulla nostra pagina Facebook,

alle 16:30. Al di là di quello,

ci prepareremo in sala prove per

essere pronti al momento giusto

(conoscendoci di sicuro ci ritroveremo

pure sommersi da bozze in

tempo zero). Abbiamo più di uno

show in cantiere e un po’ di idee

per farci sentire e vedere anche

da dentro la gabbia, quindi vi toccherà

tenerci d’occhio ancora per

un po’.

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DEADLOCK CREW

Una band storica ma con energie sempre rinnovabili:

“Look down on me” è il nuovo disco

Avete la stessa formazione dal

1999. La prima domanda è:

come fate?

Non è affatto facile, non basta la

passione per la musica e per il me-



tal a tenere unita una band, serve

impegno, rispetto reciproco, e

sopratutto il dialogo. Se ci penso

suoniamo assieme da più di 20

anni, ormai più che amici possiamo

definirci una famiglia allargata!

Abbiamo mai divergenze di

opinioni? Discussioni più o meno

animate? Momenti di scazzo? Sì,

ovvio! E queste situazioni capitano

di continuo, ma con l’esperienza

abbiamo trovato una “formula”

che ci aiuta a ritrovare la sintonia

nei momenti di estrema difficoltà,

questa formula si chiama birra,

tanta birra...

Ci raccontate qualcosa dell’ispirazione

che anima il nuovo disco?

Il demo registrato nel 1999 non

ha ottenuto il successo che speravamo,

ci siamo quindi dedicati

esclusivamente alla musica live

proponendo i nostri pezzi. Successivamente

ci siamo trasformati

in una rock/metal cover band, e

per parecchi anni siamo stati solo

questo. Recentemente abbiamo

sentito il bisogno di cambiare, ci

sentivamo incompleti, avevamo

bisogno di nuovi stimoli e di riaccendere

i motori, per questo

abbiamo deciso di ricominciare a

scrivere pezzi nostri. Il risultato a

nostro avviso è stato sorprendente,

siamo riusciti ad esprime le nostre

idee con un’energia che pensavamo

di aver perso negli anni.

Qual è la canzone alla quale siete

più legati?

Personalmente, da cantante/chitarrista

della band, il pezzo che

preferisco è No more. Pezzo energico,

semplice ma con un’intro

ben studiato, ma il pezzo preferito

da tutta la band è il primo dell’album,

“Comfort zone”, in quanto

rappresenta un po’ la nostra svolta

da cover band a band unica.

Una curiosità: nonostante le difficoltà

della pandemia avete fatto

mix e master del disco a New

York. Che cosa vi ha spinto a

questa scelta?

Abbiamo scelto di mixare/masterizzare

l’album con Lorenzo Gavinelli

dello Zero Point Energy di

NYC perchè lui è lo stesso tecnico

che ha curato il nostro primo

demo del 1999. Un piacevole ritorno

alle origini, con un tecnico

del suono che ci conosce molto

bene. Ha fatto un lavoro eccellente

dal nostro punto di vita.

In tempi di pandemia parlare di

progetti è sempre difficile. Ma

quali sono le idee che metterete

in campo nel prossimo futuro?

Decreti legge permettendo continueremo

a provare nel nostro piccolo

garage per migliorare come

musicisti e sopratutto come band,

Abbiamo girato un primo video

per la canzone “Among us”, è stato

divertente e vogliamo farne un’altro

nell’attesa di poter ricominciare

a suonare live, che è il nostro

ambiente naturale!

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