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Le “imagini” di Bacco, dio del vino

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Fig. 9, Trionfo di Bacco e Arianna,

Mosaico , III sec., Tunisia, Sousse,

Museo

bertà, ricordandoci della sua primordiale natura di condottiero. Ed è anche per questo

motivo che nelle “città libere” si poneva il simulacro di Marsia, “che fu uno dei

Satiri ministri di Bacco”, con una specificazione che molto contribuì a quella contaminazione

anatomica in ragione della quale molti artisti lo rappresentarono con

gambe caprine 50 . La descrizione successiva della contesa alla “piva” con Apollo citaredo

è assai succinta, ma con la novità piuttosto originale della precisazione, rispetto

alla tradizione, che il fiume Marsia porta tale nome perché lo sventurato contendente,

impazzito per la sconfitta, vi affogò dentro, e non per le lacrime versate

nella corrente dai suoi bacchici compagni di brigata 51 .

Di ulteriore messa a fuoco ‘per ingrandimento’ è oggetto la “veste” di Bacco

che “dicono era di donna perché il troppo bere debilita le forze e fa l’uomo molle

et enervato come femina” (cat. 62). Interessate la digressione sull’appellativo di

“Bassareo” attribuito a Bacco, vuoi per la stessa lunghezza della veste detta “bassara”,

simile a quella dei sacerdoti di Lidia, vuoi perché ornata di pelli di volpi (dette

anch’esse “bassare”) di cui si fregiarono poi anche “le Bacche” seguaci del dio,

che “Menade eziandio furono chiamate, che significa pazze e furiose, perché nelle

sue feste andavano co’ capei sparsi e co’ tirsi in mano facendo atti da forsennate”

52 , ripetendo i comportamenti originari di una fase iniziale in cui Bacco “ebbe

seco un esercito di valorose femine” che, nei comuni vagabondaggi, lo coadiuvarono

nello sconfiggere “alcuni re”.

Il prosieguo si rivelò sicuramente fondamentale per gli artisti che si andavano

misurando su tematiche bacchiche in quanto fornisce informazioni puntuali sull’abbigliamento

di questi personaggi femminili del seguito dionisiaco, che oltre alle

pelli di volpi, indossavano soprattutto quelle di pantera e di tigre, portando in

mano il tirso e “spargendo le chiome al vento” (vedi tav. 68) conteste di edera e

“alle volte di bianca pioppa”, creduta albero infernale, nato sulle rive dell’Acheronte.

Con l’occasione viene intanto ribadita in modo unilaterale la nascita di Bacco

da Proserpina, in ciò giustificando il connotato ‘infero’, suo e della pioppa menadica.

Ampliando la casistica degli attributi bacchici Cartari, sulla scorta di Claudiano,

ricorda che il tirso – vero scettro del dio – poteva essere sostituito dalla “lieve

ferola”, la pianta simile alla canna le cui foglie “sono gratissime agli asini”, cari

al corteo dionisiaco (fig. 1b), che fu adottata dal nume per impedire i ferimenti da

percosse che i componenti del suo seguito, in accessi di ebbrezza, si scambiavano

durante le risse. Puntuale esemplificazione iconografica nella tavola 69 (fig. 1c) con

Bacco appoggiato a un bastone di ferula.

6. Consapevole dell’incidenza persistente nell’inconscio collettivo del rito trionfale

antico 53 (fig. 9), il cui fascino poteva essere rinverdito nella finzione artistica grazie

alle sue insite potenzialità ‘scenografiche’ – come in effetti è avvenuto (fig. 10g)!

– e di quelle del suo pomposo convoglio e del relativo, variegato seguito, Vincenzo

Cartari dedica un denso paragrafo a Bacco “vincitore” e “primo trionfatore” che

“si armava nelle guerre et usava alle volte ancora di mettersi intorno le pelli delle

pantere, perciocché non fu egli sempre ubriaco ma combatté spesso e tanto valorosamente

che superò molti re, come Licurgo, Penteo et altri”, in ciò ritornando,

per conferire massimo risalto all’affermazione, proprio alla sua prima definizione

del dio a inizio capitolo, dove venne indicato quale “ardito capitano”. Preminenza

assoluta viene conferita alla campagna bellica per eccellenza di Dioniso quando

“soggiogò tutta l’India, donde ritornandosene […] sopra ad un elefante 54 menò bel

trionfo” (fig. 1c) tirandosi dietro proprio i Satiri, originari dei monti di quel paese,

che trovarono nel vino l’incentivo ideale alla loro congenita libidine, come viene

esplicitato nei paragrafi dedicati a Pan, inseriti nel capitolo IV, intitolato a Giove 55 .

Vittoria memorabile questa e nascita del trionfo stesso poiché si “legge che dinanzi

a lui [Bacco] alcun altro avesse trionfato mai delle vinte guerre”.

Un‘informazione ‘coreografica’ a valenza ornitologica è assai interessante dal

punto di vista storico, sebbene sia risultata di fatto poco suggestiva per gli artisti

che hanno trattato il tema, nonostante la sua presenza addirittura nella relativa tavola

compendiaria (la n. 69, fig. 1c) insieme a Bacco loricato in groppa a un pachiderma;

essa pertiene alla “consacrazione della pica”, cioè della gazza, “uccello garrulo

e loquace, perché ne i trionfi gridava ognuno et ad ognuno era lecito improverare

a chi trionfava gli suoi vizi, e gridando gli si poteva dire ogni male, come scrive

Suetonio di Cesare” 56 .

Tra le ‘evidenze’ tangibili del trionfo dionisiaco accentuato rilievo viene dato

all’edera, con osservazioni che confermano la capacità dell’autore di anticipare risultati

della scienza a noi contemporanea. Bacco inventò le ghirlande d’edera (figg.

1a-1c) da mettersi in testa nel trionfo, in ciò imitato – e per sempre ratificato – da

Alessandro Magno e da tutto il suo esercito al ritorno dall’India. La scelta di questa

pianta ‘fredda’ 57 ha molte motivazioni, tutte riconducibili sia alla sua caratteristica

di sempreverde sia alla sua forma, sia alla stagionalità invernale della sua vegetazione

58 . Sempre giovane è infatti Bacco come il fogliame di questo rampicante

che “lega tutto ciò a che si appiglia così il vino lega le umane menti” avendo in

sé “certa virtù e forza occulta” che “quasi le empie di furore”. Se i pittori e gli scultori

ponevano in capo alle loro rappresentazioni di personaggi dionisiaci l’edera –

pianta che dissimula e insieme simboleggia la forma della vite 59 – e trovavano modo

di evocare la presenza del vino (ben più difficile da raffigurare se non tramite

rappresentazione di un recipiente che lo contiene), potevano sentirsi confermare

anche da Cartari che – per supposto significato dell’originale denominazione greca

di “cisso” 60 – la pianta era segno di libidine “alla quale sono gli uomini incitati

assai dal vino, onde è per proverbio antico che nulla può Venere senza Bacco”. E

così il tirso, il bastone acuminato con punta di ferro, andava “attorniato di edera

[…] che mostrava […] dovere gli uomini co i lacci della pazienza legare le ire et i furori

onde sono tanto facili a fare male altrui” (cat. 62) . L’edera d’altronde ha una caratteristica

che la privilegia rispetto alla “vite, la quale [invece] al tempo dello inverno”

perde le foglie, tanto da farla annoverare tra le piante sacre sempreverdi

come il mirto di Venere e il lauro di Apollo. Se d’altronde Bacco si corona la testa

anche di foglie di fico 61 è per memoria della ninfa Sica, “mutata poi in questo arbore”,

prediletta al pari di “Cisso fanciullo”, e dell’altra ninfa Stafile “che medesimamente

fu cangiata in vite”. Cartari d’altronde non poteva giungere a quanto ci

dice la mitografia moderna sull’origine della pianta del vino nelle versioni “delle

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