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Fig. 4, Nascita di Dioniso dalla coscia
di Zeus, fine V- inizio IV sec. av. Cr.,
Cratere apulo, Taranto, Museo
Nazionale
umana, ben prima dell’uomo stesso (fig. 12).
Il rimando all’ampia trattazione sulla figura di Pan, dai connotati caprini nel
sembiante del viso paonazzo (vedi tav. 65, fig. 1b), nella coda e nelle zampe villose
per sapere “come fosse fatta” tale statua, non fa altro che confermare – e perpetuare
– una cronica ambiguità e confusione morfologica sull’aspetto fisico di Sileno,
che non è uno dei Satiri 27 (fig. 1b) o il dio Silvano 28 , in tutto simili a Pan stesso, in
quanto il primo è interamente uomo – obeso e ebbro, fin che si vuole! –, ma con
connotati bestiali limitati alle orecchie appuntite e pelose, barbetta e codetta da
becco, che gli offrono così la prerogativa del posto eminente della combriccola
delle divinità boschive e bestiali del seguito dionisiaco 29 . ‘Contaminazione’ favorita
e aggravata dallo stesso trattatista che, non pago della precedente genericità,
ricorda che Pausania scrive come i Satiri fossero chiamati Sileni “poscia che erano
vecchi”, diventando tali proprio perché pure loro mortali, quantunque dei.
4. La trattazione entra qui nel vivo abbandonando il sincretismo dell’esordio per diventare
analisi specifica degli argomenti enunciati, a costo di ripetizioni come quella
dei “due modi” di fare le statue di Bacco, l’una severa e con barba lunga, l’altra
di bell’aspetto, giovane e allegro, insistendo sul vizio di bere che si aggrava con il
progredire dell’età, rendendo gli uomini “terribili e iracondi”, laddove prima erano
solo “lieti e giocondi”. La constatazione ulteriore della polisemanticità della figura
di Bacco (“non sia stato uno solo, ma due o forse anche tre”), conduce il Nostro
a un’affermazione chiave anche per il vero ‘senso’ di questo intervento: “lasciando
ora da parte” questa questione “perché ciò sarebbe più tosto volere scrivere
istoria di lui che dipingerlo”. Restiamo dunque all’evidenza delle “imagini”,
anche se soverchiamente descritte in parola e da essa offuscate, per un obiettivo
a seguire che nel nostro caso passerà dall’analitico al sintetico, se non altro che per
ragioni di spazio.
Se viene dunque ribadito che Bacco, partecipando del ‘tutto’, va inserito nel
novero degli dei solari, come vuole Macrobio, del Sole godrà di tutte “le diverse
età”, sia diurne sia stagionali e sarà quindi, via via, fanciullo, giovane e vecchio (fig.
1a); con una precisazione straordinariamente anticipatrice della scienza contem-
Fig 5, V. Solis, Giove cuce nella sua
coscia Bacco, estratto dal ventre di
Semele, da
Metamorphoses Ovidii, 1563
Fig. 6 a S, Semele, Lettera capitale
‘parlante’ in L. Mauro, Le antichità
della città di Roma…., Venezia 1558
Fig. 6 b. S, Semele, Lettera capitale
‘parlante’ in D. Barbaro, M.V.
Pollione, I dieci libri
dell’Architettura…..Venezia 1556*
poranea laddove si afferma che “al tempo del solstizio dell’inverno, quando già cominciano
i giorni a crescere si possa dire ch’egli sia piccolo fanciullo” 30 e poi primaverile
giovane, uomo maturo in estate e vecchio autunnale – quando si vendemmia
la ‘sua’ uva, chiosiamo noi – e “non ponno più crescere i giorni” e la luce
del sole va scemando come fanno le forze nell’uomo anziano 31 . Scienza contemporanea
che ha analizzato quell’anno trieterico 32 , composto di un biennio ciclico,
ai primordi del complesso culto dionisiaco di nascita, maturazione, morte e rinascita
che finì per specializzarsi sommariamente nella sequenza di piantagione, fioritura,
fruttificazione e quiescenza dell’albero della vite 33 .
La questione delle corna da attribuire alle raffigurazioni di Bacco è dirimente per
la comprensione di un meccanismo di ekphrasis di andata e ritorno che vede non
solo il passaggio dal testo letterario all’opera d’arte, ma anche quello a senso opposto,
come in fondo stiamo facendo noi ora. Le corna hanno da essere piccole,
talvolta invisibili sotto le ghirlande in capo al dio, ma ci devono essere; si devono
supporre e dare per scontate come attributi connotativi necessari, anche se in filigrana.
Le parole di Cartari in proposito lo lasciano intuire costituendo accesso privilegiato
a tutte le versioni della figura di Dioniso, anche se non strettamente derivate
dal Nostro. Il quale fa capire che non sono componente consustanziale, ma
attributi aggiunti “alle statoe” che alcuni “hanno voluto intendere per queste i raggi
del Sole” 34 . Più terra terra (Diodoro, Marziano) esse deriverebbero dal fatto che
Bacco per primo insegnò agli uomini ad aggiogare i buoi per le arature dei campi,
come conferma anche la falce nella destra del dio, “perché bisogna con questa
purgare le viti che produchino uva largamente” (fig. 1b), con la sinistra a ogni buon
conto già impegnata a reggere un vaso da bere ( o altro recipiente), per mantenere
allegro chi è comunque vincolato alla lavorazione e alla raccolta agricole sotto il
sole (fig. 1b). Ma le corna significano anche l’audacia di chi ha libato in abbondanza
oppure evocano i sacrifici bacchici nei quali si usavano i corni potori per degustare
il vino. Tal che Dioniso poteva anche essere chiamato “toro” 35 in quanto generato
in tale aspetto, secondo alcune versioni, sempre da Giove, ma con la figlia
Proserpina 36 , alla quale si congiunse in forma di serpente. E sarebbe questo il motivo
delle protomi taurine di molti rythà, recipienti per eccellenza delle libagioni
non solo antiche, come induce a credere, e insieme suggerisce, quanto scritto da
Cartari.
La versione ‘primigenia’ della nascita di Dioniso da una divinità infera come
Proserpina viene liquidata dal Nostro in un modo sbrigativo che non soddisfece
certo chi trattò figurativamente il tema. La narrazione mitologica prevalente, infatti,
racconta del tradimento di Giove con Semele, principessa tebana figlia di Cadmo,
e della gelosia di Giunone che perfidamente, sotto le spoglie della nutrice della
rivale, indusse la malcapitata a mettere alla prova l’amore del re degli dei chiedendogli
di abbracciarla come faceva con la sua sposa legittima. Quando ciò avvenne,
il fulmine sotto le cui sembianze il sommo monarca si recò dall’amata, già
incinta di sette mesi, incenerì la poveretta, ma non il bimbo, cioè Bacco. Il feto fu
raccolto dal padre, cucito nella sua stessa coscia e poi, a maturazione fisica avvenuta,
fatto venire al mondo con l’appellativo di “bisnato” 37 (figg. 4-5). La suggestione
esercitata da questa più comune variante incise talmente nell’arte da interessare
persino l’imagérie delle cosiddette lettere capitali ‘parlanti’ dove si riuscì a
miniaturizzare il non facile episodio di Semele, colpita, dalla folgore, in pochi centimetri
quadrati 38 (figg. 6a-6b).
Che Bacco “lascivo e molle” avesse le chiome lunghe – coronate di fiori tra
cui il narciso – come la sua veste talare, dipinta essa stessa di fiori – lo “mostra” Seneca
in alcuni suoi versi 39 “perciocché lo vestirono alcuna volta di abito femminile
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