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Spesso anziani e persone ipovedenti faticano a fruire di libri stampati a carattere ordinario: per questo motivo, diversi editori hanno scelto di fronteggiare queste difficoltà, mettendo a disposizione versioni di libri con caratteri grandi. Gli studenti del corso di Promozione Pubblicitaria dell’IIS “V. Bachelet”, realizzano questo breve documento digitale, ponendo particolare attenzione al rapporto tra la pagina scritta e le capacità visive del lettore: “le dimensioni del carattere, chiaro e definito, sono superiori a 18 punti tipografici; i margini di impaginazione, equilibrati intorno al testo alleggeriscono la pagina; il tipo di interlinea è ben studiato ed il rapporto tra il numero dei caratteri e la lunghezza della riga adeguato. Il lavoro grafico verrà stampato su carta di colore avorio, non riflettente e ad alto spessore per evitarne il più possibile la trasparenza.
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ordinario: per questo motivo, diversi editori hanno scelto di fronteggiare queste difficoltà, mettendo a disposizione versioni di libri con caratteri grandi.
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Libro a caratteri grandi
Classe VA PCP Candido Elisa
INFERNO
La selva oscura
dal canto I
DAL CANTO I
LA SELVA OSCURA
3
6
9
12
15
18
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!
Tant' è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,
dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.
Io non so ben ridir com' i' v'intrai,
tant' era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai.
Ma poi ch'i' fui al piè d'un colle giunto,
là dove terminava quella valle
che m'avea di paura il cor compunto,
guardai in alto e vidi le sue spalle
vestite già de' raggi del pianeta
che mena dritto altrui per ogne calle.
parafrasi vv. 3-18
3
6
9
12
15
18
Nell'età di mezzo della vita umana
mi ritrovai in una buia boscaglia
perché avevo smarrito il giusto percorso.
Ahimé, non è affatto facile descrivere
questo bosco inospitale, impervio, difficile,
del quale il solo pensiero mi fa tornare il
timore!
[la selva] È tanto angosciante quasi
quanto la morte; ma per dire ciò che di
buono lì incontrai,
parlerò [prima] delle altre cose che lì ho
viste.
Non so descrivere il modo in cui vi entrai
dato che il mio torpore era tale in quel momento
che mi ero allontanato dalla verità.
Ma dopo che arrivai alle pendici d'una collina,nel
luogo in cui finiva quel bosco
che mi aveva impietrito il cuore di paura,
alzai gli occhi e vidi la sua cima e il pendio
già illuminati dai raggi di quel pianeta [il
Sole] che guida ciascuno sulla giusta via.
Dante si smarrisce nella selva (1-30)
La notte del 7 aprile (o 24 marzo) dell-
’anno 1300, dunque a trentacinque anni
di età, Dante si smarrisce in una selva
oscura e intricata, impossibile da descrivere
tanto è angosciosa.
Lui stesso non sa dire come c’è finito,
poiché era pieno di sonno quando ha
perso la giusta strada: a un tratto però,
mentre sta albeggiando, si ritrova ai piedi
di un colle, dalla cui vetta vede spuntare i
primi raggi del sole.
Questo, oltre al fatto che è primavera, gli
ridà speranza e lo spinge a tentare la scalata
del colle, dopo essersi riposato per
qualche istante e aver ripensato al pericolo
appena corso (come un naufrago che
guarda le acque in tempesta dalle quali è
appena scampato).
Il poeta inizia quindi a salire la china del
colle, ma con grande fatica e incertezza.
INFERNO
La porta dell’inferno
dal canto III
DAL CANTO III
LA PORTA DELL’INFERNO
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18
«Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l'etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore;
fecemi la divina podestate,
la somma sapïenza e ’l primo amore.
Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterna duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate».
Queste parole di colore oscuro
vid’ïo scritte al sommo d’una porta;
per ch’io: «Maestro, il senso lor m’è duro».
Ed elli a me, come persona accorta:
«Qui si convien lasciare ogne sospetto;
ogne viltà convien che qui sia morta.
Noi siam venuti al loco ov’i’ t’ ho detto
che tu vedrai le genti dolorose
c’hanno perduto il ben de l’intelletto».
parafrasi vv. 3-18
3
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18
«Attraverso me si va nella città che soffre,
attraverso me si va nel doloresenza fine,
attraverso me si va tra i dannati.
La Giustizia ha mosso il mio sommo Creatore;
mi hanno creato il Padre,
il Figlio e lo Spirito Santo.
Prima di me non fu creato nulla se non
le realtà eterne, e io stessa sono eterna.
Lasciate ogni speranza, o voi che entrate».
Queste parole di senso difficile e minaccioso
le vidi scritte sulla parte alta di una porta;
perciò
[dissi]: «Maestro, il lor significato m’è oscuro».
Egli mi disse, come da esperto:
«Qui è meglio abbandonare ogni paura;
ogni pusillanimità dev’essere abbandonata.
Siamo giunti in quel posto dove t’ho detto
che vedrai anime sofferenti che hanno
smarrito la verità suprema, cioè Dio».
La porta dell'Inferno (3-18)
Dante e Virgilio giungono di fronte
alla porta dell'Inferno, su cui campeggia
una scritta di colore scuro.
Essa mette in guardia chi sta per entrare,
ammonendo che tale porta
durerà in eterno e che una volta varcata
non c'è speranza di tornare indietro.
Dante non ne afferra subito il senso
e Virgilio lo ammonisce a sua volta a
non aver paura e a prepararsi all'ingresso
nell'Inferno, tra le anime dannate.
Quindi il poeta latino prende amorevolmente
Dante per mano e lo conduce
attraverso la porta.
INFERNO
Caronte
dal canto III
DAL CANTO III
CARONTE
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E poi ch’a riguardar oltre mi diedi,
vidi genti a la riva d’un gran fiume
per ch’io dissi: «Maestro, or mi concedi
ch’i’ sappia quali sono, e qual costume
le fa di trapassar parer sì pronte,
com’i’ discerno per lo fioco lume».
Ed elli a me: «Le cose ti fier conte
quando noi fermerem li nostri passi
su la trista riviera d’Acheronte».
Allor con li occhi vergognosi e bassi,
temendo no ’l mio dir li fosse grave,
infino al fiume del parlar mi trassi.
Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: «Guai a voi, anime prave!
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Non isperate mai veder lo cielo:
i’ vegno per menarvi a l’altra riva
ne le tenebre etterne, in caldo e ’n gelo.
E tu che se’ costì, anima viva,
pàrtiti da cotesti che son morti».
Ma poi che vide ch’io non mi partiva,
disse: «Per altra via, per altri porti
verrai a piaggia, non qui, per passare:
più lieve legno convien che ti porti».
E ’l duca lui: «Caron, non ti crucciare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare».
Quinci fuor quete le lanose gote
al nocchier de la livida palude,
che ’ntorno a li occhi avea di fiamme rote.
parafrasi vv. 72-99
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E quando mi volsi a guardare altrove,
vidi una folla di gente presso un gran fiume;
per cui dissi: «Maestro, concedimi
di sapere chi sono, e quale principio le fa
sembrare così desiderose della traversata,
come mi pare di capire nella poca luce che c’è».
Ed egli a me: «Tutto ti verrà spiegato
quando noi ci fermeremo
sulla triste riva del fiume Acheronte».
Allora, con gli occhi bassi e pieni di vergogna,
temendo che le mie parole fossero state
sbagliate, rimasi in silenzio fino al fiume.
Ed ecco giungere verso di noi su una nave
un vecchio, bianco per la vecchiaia,
che gridava: «Guai a voi, anime malvagie!
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90
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99
Non sperate di veder mai più il cielo:
vengo per condurvi all’altra sponda
nel buio eterno, tra fiamme e ghiacci.
E tu, anima viva, che pure sei qua
allontanati da questi, che sono già morti».
Ma, poiché vide che non me ne andavo,
disse: «Per un’altra strada, per altri
porti giungeraialla spiaggia
[del Purgatorio]; non da qui: è
meglio che ti porti una nave più rapida»..
E Virgilio a lui: «Caron, non preoccuparti:
si vuole così là dove si può realizzare
ciò che si vuole; non chiedere altro».
Così si calmarono le guance barbute
al nocchiero della plumbea palude,
che attorno agli occhi
aveva lingue di fiamme.
Il fiume Acheronte. Caronte
Poco dopo i due poeti giungono nei
pressi di un grande fiume (l'Acheronte),
sulla cui sponda sono accalcate le anime
dannate.
Dante è ansioso di sapere da Virgilio chi
siano quelle anime e cosa le renda in apparenza
pronte a varcare il fiume, ma il
maestro risponde che avrà tutte le risposte
quando raggiungeranno l'Acheronte.
Dante prosegue senza aggiungere altro
e poco dopo vede giungere Caronte, il
traghettatore dei dannati, che rema
verso di loro a bordo di una barca: è un
vecchio dalla barba bianca, che grida minaccioso
alle anime di essere venuto a
prenderle per portarle all'Inferno, tra le
pene eterne.
Caronte si rivolge poi a Dante e lo invita
ad andarsene, essendo ancora vivo; aggiunge
anche che Dante dopo la morte
non andrà lì, bensì in Purgatorio.
Il demone è zittito da Virgilio, che gli ricorda
che il viaggio di Dante è voluto da
Dio e lui non può opporsi.
A quel punto il nocchiero, che ha gli
occhi circondati di fiamme, tace, mentre
le anime tremano di terrore e bestemmiano
Dio, i loro genitori, il momento
della loro nascita.
INFERNO
Cerbero
dal canto VI
DAL CANTO VI
CERBERO
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Io sono al terzo cerchio, de la piova
etterna, maladetta, fredda e greve;
regola e qualità mai non l’è nova.
Grandine grossa, acqua tinta e neve
per l’aere tenebroso si riversa;
pute la terra che questo riceve.
Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole caninamente latra
sovra la gente che quivi è sommersa.
Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
e ’l ventre largo, e unghiate le mani;
graffia li spirti, ed iscoia ed isquatra.
Urlar li fa la pioggia come cani;
de l’un de’ lati fanno a l’altro schermo;
volgonsi spesso i miseri profani.
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36
Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
le bocche aperse e mostrocci le sanne;
non avea membro che tenesse fermo.
E ’l duca mio distese le sue spanne,
prese la terra, e con piene le pugna
la gittò dentro a le bramose canne.
Qual è quel cane ch’abbaiando agogna,
e si racqueta poi che ’l pasto morde,
ché solo a divorarlo intende e pugna,
cotai si fecer quelle facce lorde
de lo demonio Cerbero, che ’ntrona
l’anime sì, ch’esser vorrebber sorde.
Noi passavam su per l’ombre che adona
la greve pioggia, e ponavam le piante
sovra lor vanità che par persona.
parafrasi vv. 9-36
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Sono nel III Cerchio, dove cade
una pioggia eterna, maledetta, fredda
e molesta; il suo ritmo e la sua qualità
non mutano mai.
Nell'aria oscura si riversano una grandine
spessa, acqua sporca e neve;
la terra che ne è bagnata manda
un odore sgradevole.
Cerbero, belva crudele e mostruosa,
latra come un cane con tre teste
sopra i dannati che sono sdraiati nel fango.
Ha gli occhi rossi, il muso sporco e unto,
il ventre gonfio e le zampe
con artigli; graffia, scuoia
e fa a pezzi i dannati..
La pioggia li fa urlare come cani;
cercano di proteggersi l'un l'altro coi fianchi;
i miseri peccatori si voltano spesso.
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33
Quando Cerbero, il mostro orribile,
ci vide, spalancò le fauci e ci mostrò
le zanne; non aveva parte del corpo
che non tremasse.
E il mio maestro aprì le mani,
prese un po' di terra e la gettò coi pugni
pieni nelle fauci fameliche del mostro.
Come quel cane che abbaia ed è
affamato, e poi si placa quando addenta
il boccone, poiché non ha altro pensiero
che divorarlo,
allo stesso modo si placarono le facce
sozze del demonio Cerbero, che rintrona
a tal punto le anime che vorrebbero
essere sorde.
36
Noi camminavano sulle anime che la
pioggia pesante abbatte, e poggiavamo
i piedi sui loro corpi inconsistenti,
dall'aspetto umano.
Cerbero
Dante si risveglia dopo lo svenimento al
termine del colloquio con Paolo e Francesca
e si accorge di essere arrivato nel III
Cerchio, dov'è tormentata una nuova
schiera di dannati.
Una pioggia eterna, fredda, fastidiosa
cade incessante nel Cerchio, mista ad
acqua sporca e neve; forma al suolo una
disgustosa fanghiglia, da cui si leva un
puzzo insopportabile.
I golosi sono sdraiati nel fango e Cerbero
latra orribilmente sopra di essi con le
sue tre fauci. Ha gli occhi rossi, il muso
sporco, il ventre gonfio e le zampe artigliate;
graffia le anime facendole a brandelli
e rintronandole coi suoi latrati.
I dannati urlano come cani per la pioggia,
voltandosi spesso sui fianchi nel vano
tentativo di ripararsi l'un l'altro. Quando
Cerbero vede i due poeti gli si avventa
contro, mostrando i denti, ma Virgilio raccoglie
una manciata di terra e gliela getta
nelle tre gole.
Il mostro sembra placarsi, proprio come
un cane affamato quando qualcuno gli
getta un boccone.
INFERNO
Ugolino
dal canto XXXIII
DAL CANTO XXXIII
UGOLINO
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La bocca sollevò dal fiero pasto
quel peccator, forbendola a’capelli
del capo ch’elli avea di retro guasto.
Poi cominciò: «Tu vuo’ ch’io rinovelli
disperato dolor che ’l cor mi preme
già pur pensando, pria ch’io ne favelli.
Ma se le mie parole esser dien seme
che frutti infamia al traditor ch’i’ rodo,
parlar e lagrimar vedrai insieme.
Io non so chi tu se’ né per che modo
venuto se’ qua giù; ma fiorentino
mi sembri veramente quand’io t’odo.
Tu dei saper ch’i’ fui conte Ugolino,
e questi è l’arcivescovo Ruggieri:
or ti dirò perché i son tal vicino.
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Che per l’effetto de’ suo’ mai pensieri,
fidandomi di lui, io fossi preso
e poscia morto, dir non è mestieri;
però quel che non puoi avere inteso,
cioè come la morte mia fu cruda,
udirai, e saprai s’e’ m’ha offeso.
Breve pertugio dentro da la Muda
la qual per me ha ’l titol de la fame,
e che conviene ancor ch’altrui si chiuda,
m’avea mostrato per lo suo forame
più lune già, quand’io feci ’l mal sonno
che del futuro mi squarciò ’l velame.
Questi pareva a me maestro e donno,
cacciando il lupo e ’ lupicini al monte
per che i Pisan veder Lucca non ponno.
parafrasi vv. 3-30
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Quel peccatore sollevò la bocca
dal feroce pasto, pulendola coi capelli
della testa che aveva addentato da dietro.
Poi iniziò: «Tu vuoi che io rinnovi
un disperato dolore che mi opprime
il cuore già solo a pensarci,
prima che ne parli.
Ma se le mie parole devono essere un
seme che frutti infamia al traditore che
mordo, mi vedrai parlare e piangere al
tempo stesso.
Io non so chi sei, né in qual modo sei
giunto quaggiù; ma mi sembri davvero
fiorentino quando ti sento parlare
Tu devi sapere che io fui il conte Ugolino
e questi è l'arcivescovo Ruggieri: adesso
ti spiegherò perché sono per lui un vicino
così bestiale.
18
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Non serve raccontare che per effetto dei
suoi piani malvagi, fidandomi di lui, io fui
catturato e poi fatto uccidere;
perciò ascolterai quello che non puoi aver
sentito, cioè quanto fu terribile la mia
morte,
e giudicherai se egli mi ha offeso.
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30
Una stretta feritoia dentro la Torre della
Muda, la quale oggi si chiama per me
Torre della Fame e che dovrà ospitare
altri prigionieri,
mi aveva già mostrato attraverso la sua
apertura molte lune, quando io feci il cattivo
sogno che mi svelò il futuro.
Questi (Ruggieri) mi sembrava signore
della brigata e guida di una battuta di
caccia, sulle tracce del lupo e dei suoi piccoli,
sul monte(San Giuliano) per cui i
Pisani non possono vedere Lucca.
Ugolino
Ancora nell'Antenòra, dove sono puniti i
traditori della patria.
ll conte Ugolino racconta la propria
morte; invettiva contro Pisa. Ingresso
nella terza zona di Cocito, la Tolomea
dove sono puniti i traditori degli ospiti.
Dante sente il vento prodotto dalle ali di
Lucifero.
Incontro con frate Alberigo; invettiva
contro i Genovesi.
È il tardo pomeriggio di sabato 9 aprile
(o 26 marzo) del 1300, verso le sei.
Il peccatore apostrofato da Dante alla
fine del Canto precedente, intento ad addentare
bestialmente il cranio del compagno
di pena, solleva la bocca da quell'orribile
pasto e la forbisce coi capelli dell'altro.
Egli dichiara a Dante che la sua richiesta
di spiegargli le ragioni di tanto odio rinnova
in lui al solo pensiero un disperato
dolore, già prima di parlarne; tuttavia, se
le sue parole dovranno infamare il nome
dell'altro traditore, egli parlerà e piangerà
al tempo stesso.
Dopo aver osservato che Dante gli
sembra fiorentino dall'accento, si presenta
come il conte Ugolino della Gherardesca e
dichiara che il suo compagno è l'arcivescovo
Ruggieri degli Ubaldini.
Non c'è bisogno che racconti come Ruggieri
lo avesse raggirato e attirato in una
trappola facendolo catturare, poiché la
cosa è nota a tutti; ma ciò che Dante non
può sapere, ovvero quanto crudele sia
stata la sua morte, sarà oggetto del suo
racconto e il poeta
valuterà se il suo odio è giustificato.
INFERNO
Lucifero
dal canto XXXIV
DAL CANTO XXXIV
LUCIFERO
3
6
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15
«Vexilla regis prodeunt inferni
verso di noi; però dinanzi mira»,
disse ’l maestro mio «se tu ’l discerni».
Come quando una grossa nebbia spira,
o quando l’emisperio nostro annotta,
par di lungi un molin che ’l vento gira,
veder mi parve un tal dificio allotta;
poi per lo vento mi ristrinsi retro
al duca mio; ché non lì era altra grotta.
Già era, e con paura il metto in metro,
là dove l’ombre tutte eran coperte,
e trasparien come festuca in vetro.
Altre sono a giacere; altre stanno erte,
quella col capo e quella con le piante;
altra, com’arco, il volto a’ piè rinverte.
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Quando noi fummo fatti tanto avante,
ch’al mio maestro piacque di mostrarmi
la creatura ch’ebbe il bel sembiante,
d’innanzi mi si tolse e fé restarmi,
«Ecco Dite», dicendo, «ed ecco il loco
ove convien che di fortezza t’armi».
Com’io divenni allor gelato e fioco,
nol dimandar, lettor, ch’i’ non lo scrivo,
però ch’ogne parlar sarebbe poco.
Io non mori’ e non rimasi vivo:
pensa oggimai per te, s’hai fior d’ingegno,
qual io divenni, d’uno e d’altro privo. .
Lo ’mperador del doloroso regno
da mezzo ’l petto uscìa fuor de la ghiaccia;
e più con un gigante io mi convegno,
parafrasi vv. 3-30
3
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15
Il mio maestro disse: «I vessilli del re
dell'Inferno (Lucifero) si avvicinano a
noi; quindi guarda davanti a te, se riesci
a vederlo».
Come quando c'è una nebbia fitta o
quando nel nostro emisfero cala la
notte, e appare in lontananza un mulino
che è mosso dal vento,
così allora mi parve di vedere una simile
costruzione; quindi per il vento mi riparai
dietro la mia guida, visto che non
c'era nessun altro rifugio.
Ormai mi trovavo, e lo scrivo con paura
nei miei versi, nella zona (Giudecca)
dove le anime erano del tutto sepolte
nel ghiaccio, e trasparivano come pagliuzze
nel vetro.
Alcune sono sdraiate, altre sono dritte, a
volte con la testa alta e a volte con i
piedi; altre ancora portano il volto ai
piedi, piegandosi come un arco.
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30
Quando fummo avanzati fino al punto in
cui al mio maestro parve opportuno mostrarmi
la creatura che fu così bella,
si tolse di fronte a me e mi fece fermare,
dicendo: «Ecco Dite ed ecco il luogo
dove è necessario che tu ti armi di coraggio».
Non domandare, lettore, come io in quel
momento raggelai e ammutolii: non lo
scrivo, poiché ogni parola sarebbe inadeguata.
Io non morii e non rimasi in vita: pensa
oramai da te, se hai un po' d'ingegno,
come divenni in quello stato sospeso tra
la vita e la morte..
L'imperatore del regno del dolore usciva
fuori dal ghiaccio fino alla cintola; e c'è
maggior proporzione fra me e un gigante
che non fra i giganti e le sue braccia:
vedi ormai, rispetto a quella parte del
corpo, quali devono essere le dimensioni
totali di quell'essere.
Ingresso nella Giudecca. Lucifero
(1-21)
Virgilio avverte Dante che si avvicinano i
vessilli del re dell'Inferno (Lucifero) e lo
invita a guardare davanti a sé: il poeta obbedisce,
ma in lontananza e nella semioscurità
distingue solo quello che gli
sembra un enorme edificio, simile a un
mulino che fa ruotare le sue pale, poi si
ripara dal vento dietro al maestro.
I due proseguono ed entrano nella quarta
e ultima zona di Cocito, la Giudecca, in cui
sono puniti i traditori dei benefattori.
Dante vede i dannati completamente imprigionati
nel ghiaccio, da cui traspaiono
come pagliuzze nel vetro: alcuni sono rivolti
verso il basso, altri verso l'alto con la
testa o i piedi, altri ancora sono raggomitolati
su se stessi.
I due poeti avanzano un poco, quindi Virgilio
decide che è il momento di mostrargli
Lucifero e lo trattiene, avvertendolo che è
giunto per lui il momento di armarsi di coraggio.
Descrizione di Lucifero (22-54)
Dante invita il lettore a non chiedergli di
spiegare come rimase raggelato e ammutolito
di terrore alla vista di Lucifero,
perché ogni parola sarebbe inadeguata: il
poeta non morì e non rimase vivo, restando
in una specie di stato sospeso.
L'imperatore dell'Inferno esce dal ghiaccio
di Cocito dalla cintola in su e c'è maggior
proporzione tra Dante e un gigante
che non tra un gigante e le braccia del
mostro, per cui il lettore può capire
quanto smisurato sia quell'essere.
Se Lucifero fu tanto bello quanto adesso
è brutto, osserva Dante, e nonostante ciò
osò ribellarsi al suo Creatore, allora è
giusto che da lui derivi ogni male.
Il poeta si meraviglia nel vedere che Lucifero
ha tre facce in una sola testa: quella al
centro è rossa e le altre due si aggiungono
a questa a metà di ogni spalla, unendosi
nella parte posteriore del capo.
La destra è di colore giallastro, la sinistra
ha il colore scuro degli abitanti dell'Etiopia.
Sotto ogni faccia escono due enormi ali,
proporzionate alle dimensioni del mostro e
più grandi delle vele di qualunque nave:
non sono piumate ma sembrano di pipistrello,
e Lucifero le sbatte producendo tre
venti gelidi che fanno congelare il lago di
Cocito.
Il mostro piange con sei occhi e le sue lacrime
gocciolano lungo i suoi tre menti,
mescolandosi a una bava sanguinolenta.
139
salimmo sù, el primo e io secondo,
tanto ch’i’ vidi de le cose belle
che porta ’l ciel, per un pertugio tondo.
E quindi uscimmo a riveder le stelle.
parafrasi vv. 139
Il maestro ed io entrammo in quel
cammino nascosto per tornare alla
luce del sole; e senza prenderci un
attimo di riposo salimmo in alto, lui
per primo e io dietro, fino a quando
vidi gli astri del cielo attraverso un'apertura
circolare.
E di lì uscimmo per rivedere le stelle.
ILLUSTRAZIONI
I.I.S. “V. BACHELET” COPERTINO (LE)
ALUNNA CANDIDO ELISA CLASSE VA PCP
PROGETTO
Docente_Prof.ssa Brocca Catia
Docente_Prof.ssa Galignano Chiara
COMMENTI - TESTI
divinacommedia.weebly.com
finalità
progetto
Spesso anziani e persone ipovedenti faticano
a fruire di libri stampati a carattere
ordinario: per questo motivo, diversi editori
hanno scelto di fronteggiare queste difficoltà,
mettendo a disposizione versioni di libri con
caratteri grandi.
Gli studenti del corso di Promozione Pubblicitaria
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breve documento digitale, ponendo particolare
attenzione al rapporto tra la pagina scritta e le
capacità visive del lettore: “le dimensioni del
carattere, chiaro e definito, sono superiori a
18 punti tipografici; i margini di impaginazione,
equilibrati intorno al testo alleggeriscono
la pagina;
il tipo di interlinea è ben studiato ed il
rapporto tra il numero dei caratteri e la
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Il lavoro grafico verrà stampato su carta di
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spessore per evitarne il più possibile la trasparenza.