22.03.2021 Views

Large Print_Divina_Commedia

Spesso anziani e persone ipovedenti faticano a fruire di libri stampati a carattere ordinario: per questo motivo, diversi editori hanno scelto di fronteggiare queste difficoltà, mettendo a disposizione versioni di libri con caratteri grandi. Gli studenti del corso di Promozione Pubblicitaria dell’IIS “V. Bachelet”, realizzano questo breve documento digitale, ponendo particolare attenzione al rapporto tra la pagina scritta e le capacità visive del lettore: “le dimensioni del carattere, chiaro e definito, sono superiori a 18 punti tipografici; i margini di impaginazione, equilibrati intorno al testo alleggeriscono la pagina; il tipo di interlinea è ben studiato ed il rapporto tra il numero dei caratteri e la lunghezza della riga adeguato. Il lavoro grafico verrà stampato su carta di colore avorio, non riflettente e ad alto spessore per evitarne il più possibile la trasparenza.

Spesso anziani e persone ipovedenti faticano a fruire di libri stampati a carattere
ordinario: per questo motivo, diversi editori hanno scelto di fronteggiare queste difficoltà, mettendo a disposizione versioni di libri con caratteri grandi.

Gli studenti del corso di Promozione Pubblicitaria dell’IIS “V. Bachelet”, realizzano questo breve documento digitale, ponendo particolare attenzione al rapporto tra la pagina scritta e le capacità visive del lettore: “le dimensioni del carattere, chiaro e definito, sono superiori a 18 punti tipografici; i margini di impaginazione, equilibrati intorno al testo alleggeriscono la pagina; il tipo di interlinea è ben studiato ed il rapporto tra il numero dei caratteri e la lunghezza della riga adeguato.
Il lavoro grafico verrà stampato su carta di colore avorio, non riflettente e ad alto spessore per evitarne il più possibile la trasparenza.

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

Libro a caratteri grandi


Classe VA PCP Candido Elisa


INFERNO

La selva oscura

dal canto I



DAL CANTO I

LA SELVA OSCURA

3

6

9

12

15

18

Nel mezzo del cammin di nostra vita

mi ritrovai per una selva oscura,

ché la diritta via era smarrita.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura

esta selva selvaggia e aspra e forte

che nel pensier rinova la paura!

Tant' è amara che poco è più morte;

ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,

dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.

Io non so ben ridir com' i' v'intrai,

tant' era pien di sonno a quel punto

che la verace via abbandonai.

Ma poi ch'i' fui al piè d'un colle giunto,

là dove terminava quella valle

che m'avea di paura il cor compunto,

guardai in alto e vidi le sue spalle

vestite già de' raggi del pianeta

che mena dritto altrui per ogne calle.


parafrasi vv. 3-18

3

6

9

12

15

18

Nell'età di mezzo della vita umana

mi ritrovai in una buia boscaglia

perché avevo smarrito il giusto percorso.

Ahimé, non è affatto facile descrivere

questo bosco inospitale, impervio, difficile,

del quale il solo pensiero mi fa tornare il

timore!

[la selva] È tanto angosciante quasi

quanto la morte; ma per dire ciò che di

buono lì incontrai,

parlerò [prima] delle altre cose che lì ho

viste.

Non so descrivere il modo in cui vi entrai

dato che il mio torpore era tale in quel momento

che mi ero allontanato dalla verità.

Ma dopo che arrivai alle pendici d'una collina,nel

luogo in cui finiva quel bosco

che mi aveva impietrito il cuore di paura,

alzai gli occhi e vidi la sua cima e il pendio

già illuminati dai raggi di quel pianeta [il

Sole] che guida ciascuno sulla giusta via.


Dante si smarrisce nella selva (1-30)

La notte del 7 aprile (o 24 marzo) dell-

’anno 1300, dunque a trentacinque anni

di età, Dante si smarrisce in una selva

oscura e intricata, impossibile da descrivere

tanto è angosciosa.

Lui stesso non sa dire come c’è finito,

poiché era pieno di sonno quando ha

perso la giusta strada: a un tratto però,

mentre sta albeggiando, si ritrova ai piedi

di un colle, dalla cui vetta vede spuntare i

primi raggi del sole.

Questo, oltre al fatto che è primavera, gli

ridà speranza e lo spinge a tentare la scalata

del colle, dopo essersi riposato per

qualche istante e aver ripensato al pericolo

appena corso (come un naufrago che

guarda le acque in tempesta dalle quali è

appena scampato).

Il poeta inizia quindi a salire la china del

colle, ma con grande fatica e incertezza.


INFERNO

La porta dell’inferno

dal canto III



DAL CANTO III

LA PORTA DELL’INFERNO

3

6

9

12

15

18

«Per me si va ne la città dolente,

per me si va ne l'etterno dolore,

per me si va tra la perduta gente.

Giustizia mosse il mio alto fattore;

fecemi la divina podestate,

la somma sapïenza e ’l primo amore.

Dinanzi a me non fuor cose create

se non etterne, e io etterna duro.

Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate».

Queste parole di colore oscuro

vid’ïo scritte al sommo d’una porta;

per ch’io: «Maestro, il senso lor m’è duro».

Ed elli a me, come persona accorta:

«Qui si convien lasciare ogne sospetto;

ogne viltà convien che qui sia morta.

Noi siam venuti al loco ov’i’ t’ ho detto

che tu vedrai le genti dolorose

c’hanno perduto il ben de l’intelletto».


parafrasi vv. 3-18

3

6

9

12

15

18

«Attraverso me si va nella città che soffre,

attraverso me si va nel doloresenza fine,

attraverso me si va tra i dannati.

La Giustizia ha mosso il mio sommo Creatore;

mi hanno creato il Padre,

il Figlio e lo Spirito Santo.

Prima di me non fu creato nulla se non

le realtà eterne, e io stessa sono eterna.

Lasciate ogni speranza, o voi che entrate».

Queste parole di senso difficile e minaccioso

le vidi scritte sulla parte alta di una porta;

perciò

[dissi]: «Maestro, il lor significato m’è oscuro».

Egli mi disse, come da esperto:

«Qui è meglio abbandonare ogni paura;

ogni pusillanimità dev’essere abbandonata.

Siamo giunti in quel posto dove t’ho detto

che vedrai anime sofferenti che hanno

smarrito la verità suprema, cioè Dio».


La porta dell'Inferno (3-18)

Dante e Virgilio giungono di fronte

alla porta dell'Inferno, su cui campeggia

una scritta di colore scuro.

Essa mette in guardia chi sta per entrare,

ammonendo che tale porta

durerà in eterno e che una volta varcata

non c'è speranza di tornare indietro.

Dante non ne afferra subito il senso

e Virgilio lo ammonisce a sua volta a

non aver paura e a prepararsi all'ingresso

nell'Inferno, tra le anime dannate.

Quindi il poeta latino prende amorevolmente

Dante per mano e lo conduce

attraverso la porta.


INFERNO

Caronte

dal canto III



DAL CANTO III

CARONTE

72

75

78

81

84

E poi ch’a riguardar oltre mi diedi,

vidi genti a la riva d’un gran fiume

per ch’io dissi: «Maestro, or mi concedi

ch’i’ sappia quali sono, e qual costume

le fa di trapassar parer sì pronte,

com’i’ discerno per lo fioco lume».

Ed elli a me: «Le cose ti fier conte

quando noi fermerem li nostri passi

su la trista riviera d’Acheronte».

Allor con li occhi vergognosi e bassi,

temendo no ’l mio dir li fosse grave,

infino al fiume del parlar mi trassi.

Ed ecco verso noi venir per nave

un vecchio, bianco per antico pelo,

gridando: «Guai a voi, anime prave!


87

90

93

96

99

Non isperate mai veder lo cielo:

i’ vegno per menarvi a l’altra riva

ne le tenebre etterne, in caldo e ’n gelo.

E tu che se’ costì, anima viva,

pàrtiti da cotesti che son morti».

Ma poi che vide ch’io non mi partiva,

disse: «Per altra via, per altri porti

verrai a piaggia, non qui, per passare:

più lieve legno convien che ti porti».

E ’l duca lui: «Caron, non ti crucciare:

vuolsi così colà dove si puote

ciò che si vuole, e più non dimandare».

Quinci fuor quete le lanose gote

al nocchier de la livida palude,

che ’ntorno a li occhi avea di fiamme rote.


parafrasi vv. 72-99

99

72

75

78

81

84

E quando mi volsi a guardare altrove,

vidi una folla di gente presso un gran fiume;

per cui dissi: «Maestro, concedimi

di sapere chi sono, e quale principio le fa

sembrare così desiderose della traversata,

come mi pare di capire nella poca luce che c’è».

Ed egli a me: «Tutto ti verrà spiegato

quando noi ci fermeremo

sulla triste riva del fiume Acheronte».

Allora, con gli occhi bassi e pieni di vergogna,

temendo che le mie parole fossero state

sbagliate, rimasi in silenzio fino al fiume.

Ed ecco giungere verso di noi su una nave

un vecchio, bianco per la vecchiaia,

che gridava: «Guai a voi, anime malvagie!


87

90

93

96

99

Non sperate di veder mai più il cielo:

vengo per condurvi all’altra sponda

nel buio eterno, tra fiamme e ghiacci.

E tu, anima viva, che pure sei qua

allontanati da questi, che sono già morti».

Ma, poiché vide che non me ne andavo,

disse: «Per un’altra strada, per altri

porti giungeraialla spiaggia

[del Purgatorio]; non da qui: è

meglio che ti porti una nave più rapida»..

E Virgilio a lui: «Caron, non preoccuparti:

si vuole così là dove si può realizzare

ciò che si vuole; non chiedere altro».

Così si calmarono le guance barbute

al nocchiero della plumbea palude,

che attorno agli occhi

aveva lingue di fiamme.


Il fiume Acheronte. Caronte

Poco dopo i due poeti giungono nei

pressi di un grande fiume (l'Acheronte),

sulla cui sponda sono accalcate le anime

dannate.

Dante è ansioso di sapere da Virgilio chi

siano quelle anime e cosa le renda in apparenza

pronte a varcare il fiume, ma il

maestro risponde che avrà tutte le risposte

quando raggiungeranno l'Acheronte.

Dante prosegue senza aggiungere altro

e poco dopo vede giungere Caronte, il

traghettatore dei dannati, che rema

verso di loro a bordo di una barca: è un

vecchio dalla barba bianca, che grida minaccioso

alle anime di essere venuto a

prenderle per portarle all'Inferno, tra le

pene eterne.


Caronte si rivolge poi a Dante e lo invita

ad andarsene, essendo ancora vivo; aggiunge

anche che Dante dopo la morte

non andrà lì, bensì in Purgatorio.

Il demone è zittito da Virgilio, che gli ricorda

che il viaggio di Dante è voluto da

Dio e lui non può opporsi.

A quel punto il nocchiero, che ha gli

occhi circondati di fiamme, tace, mentre

le anime tremano di terrore e bestemmiano

Dio, i loro genitori, il momento

della loro nascita.


INFERNO

Cerbero

dal canto VI



DAL CANTO VI

CERBERO

9

12

15

18

21

Io sono al terzo cerchio, de la piova

etterna, maladetta, fredda e greve;

regola e qualità mai non l’è nova.

Grandine grossa, acqua tinta e neve

per l’aere tenebroso si riversa;

pute la terra che questo riceve.

Cerbero, fiera crudele e diversa,

con tre gole caninamente latra

sovra la gente che quivi è sommersa.

Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,

e ’l ventre largo, e unghiate le mani;

graffia li spirti, ed iscoia ed isquatra.

Urlar li fa la pioggia come cani;

de l’un de’ lati fanno a l’altro schermo;

volgonsi spesso i miseri profani.


24

27

30

33

36

Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,

le bocche aperse e mostrocci le sanne;

non avea membro che tenesse fermo.

E ’l duca mio distese le sue spanne,

prese la terra, e con piene le pugna

la gittò dentro a le bramose canne.

Qual è quel cane ch’abbaiando agogna,

e si racqueta poi che ’l pasto morde,

ché solo a divorarlo intende e pugna,

cotai si fecer quelle facce lorde

de lo demonio Cerbero, che ’ntrona

l’anime sì, ch’esser vorrebber sorde.

Noi passavam su per l’ombre che adona

la greve pioggia, e ponavam le piante

sovra lor vanità che par persona.


parafrasi vv. 9-36

9

12

15

18

21

Sono nel III Cerchio, dove cade

una pioggia eterna, maledetta, fredda

e molesta; il suo ritmo e la sua qualità

non mutano mai.

Nell'aria oscura si riversano una grandine

spessa, acqua sporca e neve;

la terra che ne è bagnata manda

un odore sgradevole.

Cerbero, belva crudele e mostruosa,

latra come un cane con tre teste

sopra i dannati che sono sdraiati nel fango.

Ha gli occhi rossi, il muso sporco e unto,

il ventre gonfio e le zampe

con artigli; graffia, scuoia

e fa a pezzi i dannati..

La pioggia li fa urlare come cani;

cercano di proteggersi l'un l'altro coi fianchi;

i miseri peccatori si voltano spesso.


24

27

30

33

Quando Cerbero, il mostro orribile,

ci vide, spalancò le fauci e ci mostrò

le zanne; non aveva parte del corpo

che non tremasse.

E il mio maestro aprì le mani,

prese un po' di terra e la gettò coi pugni

pieni nelle fauci fameliche del mostro.

Come quel cane che abbaia ed è

affamato, e poi si placa quando addenta

il boccone, poiché non ha altro pensiero

che divorarlo,

allo stesso modo si placarono le facce

sozze del demonio Cerbero, che rintrona

a tal punto le anime che vorrebbero

essere sorde.

36

Noi camminavano sulle anime che la

pioggia pesante abbatte, e poggiavamo

i piedi sui loro corpi inconsistenti,

dall'aspetto umano.


Cerbero

Dante si risveglia dopo lo svenimento al

termine del colloquio con Paolo e Francesca

e si accorge di essere arrivato nel III

Cerchio, dov'è tormentata una nuova

schiera di dannati.

Una pioggia eterna, fredda, fastidiosa

cade incessante nel Cerchio, mista ad

acqua sporca e neve; forma al suolo una

disgustosa fanghiglia, da cui si leva un

puzzo insopportabile.

I golosi sono sdraiati nel fango e Cerbero

latra orribilmente sopra di essi con le

sue tre fauci. Ha gli occhi rossi, il muso

sporco, il ventre gonfio e le zampe artigliate;

graffia le anime facendole a brandelli

e rintronandole coi suoi latrati.


I dannati urlano come cani per la pioggia,

voltandosi spesso sui fianchi nel vano

tentativo di ripararsi l'un l'altro. Quando

Cerbero vede i due poeti gli si avventa

contro, mostrando i denti, ma Virgilio raccoglie

una manciata di terra e gliela getta

nelle tre gole.

Il mostro sembra placarsi, proprio come

un cane affamato quando qualcuno gli

getta un boccone.


INFERNO

Ugolino

dal canto XXXIII



DAL CANTO XXXIII

UGOLINO

3

6

9

12

15

La bocca sollevò dal fiero pasto

quel peccator, forbendola a’capelli

del capo ch’elli avea di retro guasto.

Poi cominciò: «Tu vuo’ ch’io rinovelli

disperato dolor che ’l cor mi preme

già pur pensando, pria ch’io ne favelli.

Ma se le mie parole esser dien seme

che frutti infamia al traditor ch’i’ rodo,

parlar e lagrimar vedrai insieme.

Io non so chi tu se’ né per che modo

venuto se’ qua giù; ma fiorentino

mi sembri veramente quand’io t’odo.

Tu dei saper ch’i’ fui conte Ugolino,

e questi è l’arcivescovo Ruggieri:

or ti dirò perché i son tal vicino.


18

21

24

27

30

Che per l’effetto de’ suo’ mai pensieri,

fidandomi di lui, io fossi preso

e poscia morto, dir non è mestieri;

però quel che non puoi avere inteso,

cioè come la morte mia fu cruda,

udirai, e saprai s’e’ m’ha offeso.

Breve pertugio dentro da la Muda

la qual per me ha ’l titol de la fame,

e che conviene ancor ch’altrui si chiuda,

m’avea mostrato per lo suo forame

più lune già, quand’io feci ’l mal sonno

che del futuro mi squarciò ’l velame.

Questi pareva a me maestro e donno,

cacciando il lupo e ’ lupicini al monte

per che i Pisan veder Lucca non ponno.


parafrasi vv. 3-30

3

6

9

12

15

Quel peccatore sollevò la bocca

dal feroce pasto, pulendola coi capelli

della testa che aveva addentato da dietro.

Poi iniziò: «Tu vuoi che io rinnovi

un disperato dolore che mi opprime

il cuore già solo a pensarci,

prima che ne parli.

Ma se le mie parole devono essere un

seme che frutti infamia al traditore che

mordo, mi vedrai parlare e piangere al

tempo stesso.

Io non so chi sei, né in qual modo sei

giunto quaggiù; ma mi sembri davvero

fiorentino quando ti sento parlare

Tu devi sapere che io fui il conte Ugolino

e questi è l'arcivescovo Ruggieri: adesso

ti spiegherò perché sono per lui un vicino

così bestiale.


18

21

Non serve raccontare che per effetto dei

suoi piani malvagi, fidandomi di lui, io fui

catturato e poi fatto uccidere;

perciò ascolterai quello che non puoi aver

sentito, cioè quanto fu terribile la mia

morte,

e giudicherai se egli mi ha offeso.

24

27

30

Una stretta feritoia dentro la Torre della

Muda, la quale oggi si chiama per me

Torre della Fame e che dovrà ospitare

altri prigionieri,

mi aveva già mostrato attraverso la sua

apertura molte lune, quando io feci il cattivo

sogno che mi svelò il futuro.

Questi (Ruggieri) mi sembrava signore

della brigata e guida di una battuta di

caccia, sulle tracce del lupo e dei suoi piccoli,

sul monte(San Giuliano) per cui i

Pisani non possono vedere Lucca.


Ugolino

Ancora nell'Antenòra, dove sono puniti i

traditori della patria.

ll conte Ugolino racconta la propria

morte; invettiva contro Pisa. Ingresso

nella terza zona di Cocito, la Tolomea

dove sono puniti i traditori degli ospiti.

Dante sente il vento prodotto dalle ali di

Lucifero.

Incontro con frate Alberigo; invettiva

contro i Genovesi.

È il tardo pomeriggio di sabato 9 aprile

(o 26 marzo) del 1300, verso le sei.

Il peccatore apostrofato da Dante alla

fine del Canto precedente, intento ad addentare

bestialmente il cranio del compagno

di pena, solleva la bocca da quell'orribile

pasto e la forbisce coi capelli dell'altro.


Egli dichiara a Dante che la sua richiesta

di spiegargli le ragioni di tanto odio rinnova

in lui al solo pensiero un disperato

dolore, già prima di parlarne; tuttavia, se

le sue parole dovranno infamare il nome

dell'altro traditore, egli parlerà e piangerà

al tempo stesso.

Dopo aver osservato che Dante gli

sembra fiorentino dall'accento, si presenta

come il conte Ugolino della Gherardesca e

dichiara che il suo compagno è l'arcivescovo

Ruggieri degli Ubaldini.

Non c'è bisogno che racconti come Ruggieri

lo avesse raggirato e attirato in una

trappola facendolo catturare, poiché la

cosa è nota a tutti; ma ciò che Dante non

può sapere, ovvero quanto crudele sia

stata la sua morte, sarà oggetto del suo

racconto e il poeta

valuterà se il suo odio è giustificato.


INFERNO

Lucifero

dal canto XXXIV



DAL CANTO XXXIV

LUCIFERO

3

6

9

12

15

«Vexilla regis prodeunt inferni

verso di noi; però dinanzi mira»,

disse ’l maestro mio «se tu ’l discerni».

Come quando una grossa nebbia spira,

o quando l’emisperio nostro annotta,

par di lungi un molin che ’l vento gira,

veder mi parve un tal dificio allotta;

poi per lo vento mi ristrinsi retro

al duca mio; ché non lì era altra grotta.

Già era, e con paura il metto in metro,

là dove l’ombre tutte eran coperte,

e trasparien come festuca in vetro.

Altre sono a giacere; altre stanno erte,

quella col capo e quella con le piante;

altra, com’arco, il volto a’ piè rinverte.


18

21

24

27

30

Quando noi fummo fatti tanto avante,

ch’al mio maestro piacque di mostrarmi

la creatura ch’ebbe il bel sembiante,

d’innanzi mi si tolse e fé restarmi,

«Ecco Dite», dicendo, «ed ecco il loco

ove convien che di fortezza t’armi».

Com’io divenni allor gelato e fioco,

nol dimandar, lettor, ch’i’ non lo scrivo,

però ch’ogne parlar sarebbe poco.

Io non mori’ e non rimasi vivo:

pensa oggimai per te, s’hai fior d’ingegno,

qual io divenni, d’uno e d’altro privo. .

Lo ’mperador del doloroso regno

da mezzo ’l petto uscìa fuor de la ghiaccia;

e più con un gigante io mi convegno,


parafrasi vv. 3-30

3

6

9

12

15

Il mio maestro disse: «I vessilli del re

dell'Inferno (Lucifero) si avvicinano a

noi; quindi guarda davanti a te, se riesci

a vederlo».

Come quando c'è una nebbia fitta o

quando nel nostro emisfero cala la

notte, e appare in lontananza un mulino

che è mosso dal vento,

così allora mi parve di vedere una simile

costruzione; quindi per il vento mi riparai

dietro la mia guida, visto che non

c'era nessun altro rifugio.

Ormai mi trovavo, e lo scrivo con paura

nei miei versi, nella zona (Giudecca)

dove le anime erano del tutto sepolte

nel ghiaccio, e trasparivano come pagliuzze

nel vetro.

Alcune sono sdraiate, altre sono dritte, a

volte con la testa alta e a volte con i

piedi; altre ancora portano il volto ai

piedi, piegandosi come un arco.


18

21

24

27

30

Quando fummo avanzati fino al punto in

cui al mio maestro parve opportuno mostrarmi

la creatura che fu così bella,

si tolse di fronte a me e mi fece fermare,

dicendo: «Ecco Dite ed ecco il luogo

dove è necessario che tu ti armi di coraggio».

Non domandare, lettore, come io in quel

momento raggelai e ammutolii: non lo

scrivo, poiché ogni parola sarebbe inadeguata.

Io non morii e non rimasi in vita: pensa

oramai da te, se hai un po' d'ingegno,

come divenni in quello stato sospeso tra

la vita e la morte..

L'imperatore del regno del dolore usciva

fuori dal ghiaccio fino alla cintola; e c'è

maggior proporzione fra me e un gigante

che non fra i giganti e le sue braccia:

vedi ormai, rispetto a quella parte del

corpo, quali devono essere le dimensioni

totali di quell'essere.


Ingresso nella Giudecca. Lucifero

(1-21)

Virgilio avverte Dante che si avvicinano i

vessilli del re dell'Inferno (Lucifero) e lo

invita a guardare davanti a sé: il poeta obbedisce,

ma in lontananza e nella semioscurità

distingue solo quello che gli

sembra un enorme edificio, simile a un

mulino che fa ruotare le sue pale, poi si

ripara dal vento dietro al maestro.

I due proseguono ed entrano nella quarta

e ultima zona di Cocito, la Giudecca, in cui

sono puniti i traditori dei benefattori.

Dante vede i dannati completamente imprigionati

nel ghiaccio, da cui traspaiono

come pagliuzze nel vetro: alcuni sono rivolti

verso il basso, altri verso l'alto con la

testa o i piedi, altri ancora sono raggomitolati

su se stessi.


I due poeti avanzano un poco, quindi Virgilio

decide che è il momento di mostrargli

Lucifero e lo trattiene, avvertendolo che è

giunto per lui il momento di armarsi di coraggio.


Descrizione di Lucifero (22-54)

Dante invita il lettore a non chiedergli di

spiegare come rimase raggelato e ammutolito

di terrore alla vista di Lucifero,

perché ogni parola sarebbe inadeguata: il

poeta non morì e non rimase vivo, restando

in una specie di stato sospeso.

L'imperatore dell'Inferno esce dal ghiaccio

di Cocito dalla cintola in su e c'è maggior

proporzione tra Dante e un gigante

che non tra un gigante e le braccia del

mostro, per cui il lettore può capire

quanto smisurato sia quell'essere.

Se Lucifero fu tanto bello quanto adesso

è brutto, osserva Dante, e nonostante ciò

osò ribellarsi al suo Creatore, allora è

giusto che da lui derivi ogni male.


Il poeta si meraviglia nel vedere che Lucifero

ha tre facce in una sola testa: quella al

centro è rossa e le altre due si aggiungono

a questa a metà di ogni spalla, unendosi

nella parte posteriore del capo.

La destra è di colore giallastro, la sinistra

ha il colore scuro degli abitanti dell'Etiopia.

Sotto ogni faccia escono due enormi ali,

proporzionate alle dimensioni del mostro e

più grandi delle vele di qualunque nave:

non sono piumate ma sembrano di pipistrello,

e Lucifero le sbatte producendo tre

venti gelidi che fanno congelare il lago di

Cocito.

Il mostro piange con sei occhi e le sue lacrime

gocciolano lungo i suoi tre menti,

mescolandosi a una bava sanguinolenta.


139

salimmo sù, el primo e io secondo,

tanto ch’i’ vidi de le cose belle

che porta ’l ciel, per un pertugio tondo.

E quindi uscimmo a riveder le stelle.


parafrasi vv. 139

Il maestro ed io entrammo in quel

cammino nascosto per tornare alla

luce del sole; e senza prenderci un

attimo di riposo salimmo in alto, lui

per primo e io dietro, fino a quando

vidi gli astri del cielo attraverso un'apertura

circolare.

E di lì uscimmo per rivedere le stelle.



ILLUSTRAZIONI

I.I.S. “V. BACHELET” COPERTINO (LE)

ALUNNA CANDIDO ELISA CLASSE VA PCP

PROGETTO

Docente_Prof.ssa Brocca Catia

Docente_Prof.ssa Galignano Chiara

COMMENTI - TESTI

divinacommedia.weebly.com


finalità

progetto

Spesso anziani e persone ipovedenti faticano

a fruire di libri stampati a carattere

ordinario: per questo motivo, diversi editori

hanno scelto di fronteggiare queste difficoltà,

mettendo a disposizione versioni di libri con

caratteri grandi.

Gli studenti del corso di Promozione Pubblicitaria

dell’IIS “V. Bachelet”, realizzano questo

breve documento digitale, ponendo particolare

attenzione al rapporto tra la pagina scritta e le

capacità visive del lettore: “le dimensioni del

carattere, chiaro e definito, sono superiori a

18 punti tipografici; i margini di impaginazione,

equilibrati intorno al testo alleggeriscono

la pagina;


il tipo di interlinea è ben studiato ed il

rapporto tra il numero dei caratteri e la

lunghezza della riga adeguato.

Il lavoro grafico verrà stampato su carta di

colore avorio, non riflettente e ad alto

spessore per evitarne il più possibile la trasparenza.


Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!