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Sergio Franzese, Manuela Spadaro - ROM E SINTI IN PIEMONTE

A dodici anni dalla legge regionale 10 giugno 1993, n. 26, “Interventi a favore della popolazione zingara”

A dodici anni dalla legge regionale 10 giugno 1993, n. 26,
“Interventi a favore della popolazione zingara”

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Rom e SInti in Piemonte

In base alla ricostruzione delle vicende riguardanti il finanziamento della suddetta legge, si rileva che essa è stata

finanziata dal 1994 al 1999. Dall’anno 2000 il finanziamento è cessato e fino al 2002 sono stati utilizzati dei fondi

residui della regione per finanziare i progetti presentati negli anni 2000-2002. A partire dal 2003, a causa dell’esaurimento

anche di tali fondi residui, non è più stato possibile finanziare alcun progetto. Per questo motivo nel

2004 la Regione Piemonte ha comunicato ai comuni che avevano inoltrato richieste di finanziamento in base alla

legge regionale in questione l’impossibilità di accogliere tali richieste a causa dell’assenza di fondi disponibili per

il finanziamento di progetti aventi a oggetto la tutela della popolazione nomade.

A questo proposito occorre rilevare che i comuni si sono lamentati del fatto che molti progetti in corso di definizione

sono stati bloccati a causa del loro costo elevato, in particolar modo quelli riguardanti la manutenzione delle

aree sosta. E infatti, essendo venuto a mancare il contributo del cinquanta per cento da parte della regione,

molti comuni si sono visti costretti a limitare le opere di ristrutturazione e riparazione delle aree sosta, se non addirittura

a rinunciare al riconoscimento formale delle aree sosta non riconosciute già esistenti, perché questo comporterebbe

il dovere di rendere tali aree conformi alle disposizioni dettate dalla legge regionale in esame e quindi

l’assunzione di un rilevante onere finanziario.

6.11 Conclusioni

Dall’esame effettuato sullo stato di attuazione della legge regionale nelle 13 amministrazioni comunali interessate,

si possono trarre le seguenti considerazioni.

Una prima osservazione riguarda il differente approccio tenuto dai comuni, a seconda che si tratti di comuni in cui

sono presenti aree sosta autorizzate o di comuni in cui tali aree sono abusive. Nel primo caso l’amministrazione

comunale si è adoperata per rispettare almeno i parametri minimi dettati dalla legge regionale n. 26 del 1993. Di

conseguenza sono state costruite aree sosta che rispettano i parametri previsti e che sono dotate delle attrezzature

minime previste dalla legge, sono stati deliberati i regolamenti di gestione di tali aree, sono stati promossi progetti

di scolarizzazione, di formazione professionale e inserimento lavorativo. Nel secondo caso, invece, l’amministrazione

locale si è limitata a promuovere progetti di scolarizzazione rivolti ai minori nomadi e progetti di

formazione professionale per i nomadi adulti, ma senza farsi carico della manutenzione delle aree sosta, operazione

che richiederebbe l’assunzione di un costo elevato. In alcuni comuni si è addirittura rilevato che, poiché la

presenza dei nomadi non crea problemi di convivenza con la popolazione residente, non è stato previsto alcun

progetto specifico di integrazione.

Altre tendenze che emergono dalla ricerca riguardano la disapplicazione della legge regionale in materia di promozione

di forme di autogestione all’interno delle aree sosta (eccetto che per i Comuni di Carmagnola e Biella), di

progetti per favorire l’accesso alla casa da parte delle famiglie rom e sinti che preferiscono scegliere la vita sedentaria

(eccetto che per il Comune di Tortona), di forme di insegnamento compatibili e nel rispetto della cultura

romaní, di iniziative di sostegno all’artigianato e al commercio dei prodotti tipici della cultura della popolazione romaní.

In nessun Comune esaminato sono stati promossi progetti di scolarizzazione che prevedano spazi dedicati

alla valorizzazione, al recupero e alla diffusione della cultura e delle tradizioni dei popoli nomadi, oppure progetti

che sperimentino sistemi di apprendimento meno tradizionali e che possano coinvolgere maggiormente i bambini

nomadi. La mancanza di spazi lasciati alle manifestazioni di espressione dei bambini nomadi, e ancor di più degli

adulti, e il mancato coinvolgimento diretto di questi soggetti nei programmi scolastici, fa sì che ci sia un rilevante

disinteresse e un alto tasso di dispersione scolastica.

Per quanto riguarda infine l’assenza di attività di promozione dell’artigianato tipico della cultura nomade (ad

esempio fabbricazione e riparazione di pentole e utensili in ferro o rame), dai colloqui con gli amministratori locali

risulta che queste forme di artigianato, che appartengono alla tradizione dei Rom, non vengono più esercitate

perché non ritenute più sufficientemente remunerative e quindi, non costituendo più una fonte di reddito,

negli ultimi vent’anni sono state via via abbandonate. Di conseguenza, i comuni non hanno investito risorse in

progetti per il recupero e il mantenimento di queste attività ritenute ormai perse e desuete. Tuttavia, presso i

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