Sergio Franzese, Manuela Spadaro - ROM E SINTI IN PIEMONTE

A dodici anni dalla legge regionale 10 giugno 1993, n. 26, “Interventi a favore della popolazione zingara” A dodici anni dalla legge regionale 10 giugno 1993, n. 26,
“Interventi a favore della popolazione zingara”

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Rom e SInti in PiemonteA dispetto del titolo dato a queste leggi, sono pochi in Italia gli interventi che tengano conto delle peculiarità culturalidelle popolazioni nomadi, dal momento che per lo più costringono le stesse a una convivenza forzata e creanonuove forme di emarginazione.La progressiva perdita di identità e il desiderio di imitazione che spinge le giovani generazioni a un rifiuto semprepiù marcato dei valori tradizionali sono la diretta conseguenza di scelte politiche sbagliate e della mancanza di interventinella giusta direzione.1.5.1 Si può ancora parlare di “nomadi”?È possibile affermare che il passaggio da un’abitazione (mobile o fissa) situata all’interno di un campo sosta, equindi ancora concepita secondo schemi di una tradizione nomade, ad abitazioni in muratura quali case plurifamiliari,cascine ristrutturate, appartamenti in condominio comporta mutamenti che sostanzialmente non alterano iritmi della vita quotidiana e non impediscono il mantenimento delle relazioni sociali. Tale affermazione può essereriferita a tutta la popolazione romaní che ha scelto questa forma di stanzialità, sia nel caso di Rom e Sinti sedentarizzatida più generazioni, sia che si tratti di una trasformazione avvenuta più recentemente.Sono piuttosto i condizionamenti imposti dall’inserimento nel tessuto produttivo a causare le trasformazioni più significativenelle relazioni interpersonali.A differenza della società ga†í dove l’organizzazione quotidiana di ciascuno è regolata da fattori precisi e dove gliscambi di visite tra le persone, e in particolare tra i membri di una famiglia estesa, rappresentano, per quanto frequenti,un avvenimento di natura straordinaria confinato in particolari momenti della giornata o della settimana,nella società romaní il rendersi visita reciprocamente è un fatto ordinario. Non vi sono inviti, visite annunciate, nonesistono formalismi all’interno di una società in cui non vi è alcun senso per l’individuo posto al di fuori del gruppoa cui appartiene e non vi è alcun senso per il nucleo familiare al di fuori della famiglia estesa a cui appartiene. Ilnomadismo itinerante che spingeva intere famiglie a spostarsi continuamente da un luogo all’altro per ragioni economichee per mantenere in vita le relazioni sociali si è quindi progressivamente trasformato in molti casi in unaforma di mobilità ridotta ai minimi termini e vissuta nell’esistenza quotidiana, non classificabile secondo i comunischemi socioantropologici. Questo fenomeno è ciò che consente, nella situazione attuale, la sopravvivenza dellasocietà romaní e quindi della sua peculiarità culturale fondata sulle relazioni interpersonali.Malgrado le apparenze, e a differenza di quanto è avvenuto per tutte le altre civiltà, è da ritenersi che per Rom eSinti la sedentarietà non sempre rappresenti uno stadio successivo a quello del nomadismo.Le trasformazioni e le tendenze a cui si è accennato possono pertanto costituire un evento non irreversibile, poichéda un’osservazione estesa del fenomeno – almeno per quanto riguarda l’Italia – è possibile asserire che i diversimodelli di vita adottati dalla popolazione romaní sono determinati dalle circostanze esterne, le qualipossono mutare nel corso della storia. Senza il continuo adattamento ai cambiamenti, l’identità romaní non sarebbesopravvissuta e, forse, quello che può apparire come un cedimento all’assimilazione potrebbe in realtà costituirel’unica strada possibile per giungere a una integrazione che consenta alla cultura romaní di sopravvivere.L’Italia è una delle realtà territoriali in cui la presenza romaní è diversificata secondo gruppi e modelli sociali diversi(a differenza della maggior parte dei paesi dell’Europa centro-orientale in cui essa appare più omogenea, o perla prevalenza di un determinato gruppo etnico o per la coesistenza di gruppi affini fra loro culturalmente e linguisticamente).Tale varietà, in parte condivisa con altri paesi dell’Europa occidentale, rende difficile il raggiungimentodi determinati obiettivi di natura politica, anche in considerazione dell’esiguità numerica rappresentata da ciascungruppo. La diversificazione presente sul territorio consente di scorgere le diverse tappe evolutive delpassaggio da modelli di vita nomade a modelli di vita sedentaria e viceversa.L’Italia (e il Piemonte) può dunque costituire un interessante osservatorio per chi – Rom e Sinti in primo luogo – èalla ricerca di nuove prospettive per un popolo che ancora oggi continua a bussare alle porte dell’Occidente seguendole orme degli antichi “pellegrini venuti d’Egitto”.20

2. Rom e Sinti in Piemonte: stanziamenti, inserimento sociale,interventi svolti2.1 Criteri seguiti nell’acquisizione dei datiLa raccolta di dati si è svolta nel periodo settembre-novembre 2004.Poiché il tempo a disposizione non avrebbe consentito lo svolgimento di un’inchiesta capillare sull’intero territorioregionale e che lo scopo principale della ricerca non era l’acquisizione di dati demografici si è scelto di procederecon i seguenti criteri:a) Avendo accertato che il fenomeno della presenza di Rom e Sinti interessa in modo prevalente le zone urbanedi dimensioni grandi (capoluoghi di provincia e circondario) e medie, si è ritenuto opportuno escludere dall’inchiestai comuni con popolazione inferiore ai 2.000 abitanti (dati censimento ISTAT 2001), nella consapevolezzache in tale fascia il fenomeno – laddove sussiste – produce un impatto scarsamente rilevante.b) Si è proceduto a una prima mappatura di tutti i comuni con popolazione pari o superiore ai 2.000 abitanti, aiquali è stato richiesto di segnalare la presenza o meno di Rom e Sinti. Il dato è stato suddiviso in base a unaclassificazione tra quattro gruppi: Sinti, Rom “balcanici”, Rom rumeni, altri (in prevalenza Rom “vla¤”) e inbase a tipologia di presenza: stanziale, stagionale, itinerante.c) Presso i comuni nei quali risultava la presenza di Rom e/o Sinti si è proceduto al rilevamento di dati demografici,con la richiesta ai singoli comuni di fornire il numero dei nuclei famigliari. Tale dato è in molti casi soloindicativo vista ad esempio, la difficoltà di individuare persone di origine nomade stanziali il cui cognome nonappartiene in modo specifico all’etnia rom o sinti. Solo indicativo è anche il dato relativo a fenomeni di presenzastagionale o di transito perché per loro natura tali presenze non sono soggette a registrazioni o a verifiche(si tratta comunque di un aspetto marginale dal momento che la maggior parte della popolazione rom esinti conduce una vita di tipo stanziale).d) Avvalendosi dei dati demografici raccolti si è proceduto a un calcolo basato su proiezioni che consentisserouna stima della popolazione rom e sinti presente attualmente in Piemonte.e) I comuni maggiormente interessati dal fenomeno, peraltro noti già prima dell’acquisizione dei dati demografici,sono stati fatti oggetto di un’inchiesta più particolareggiata finalizzata a far emergere il livello di integrazionesocioculturale delle popolazioni di origine nomade, gli interventi pregressi o in atto (anche con riferimentoalla legge regionale n. 26 del 1993), il rapporto di Rom e Sinti con le istituzioni e con la popolazione locale.f) Nel corso di colloqui e incontri sono state raccolte in maniera più informale le opinioni di Rom e Sinti sulla lorosituazione generale e sulle loro aspettative, evidenziando in modo particolare alcune emergenze.g) Sono state interpellate le principali organizzazioni e associazioni, presenti a Torino e nel territorio piemontese– attive nella difesa dei diritti e nella salvaguardia dell’identità culturale di Rom e Sinti e di altre popolazioni diorigine nomade – che operano attraverso la fornitura di servizi, assistenza e consulenza e che vantano unalunga esperienza operativa nel settore.2.2 La popolazione romaní in PiemonteIn questo paragrafo viene fornito un breve profilo storico per ciascuno dei gruppi presenti in Piemonte.2.2.1 I SintiI Sinti, insieme ai Rom dell’Italia centro-meridionale, costituiscono la più antica presenza romaní sul territorio.Come già detto in precedenza, l’arrivo dei Sinti in Piemonte risale agli inizi del XV secolo. A mano a mano che percorronole regioni del Nord Italia e vi si stanziano, essi assumono, oltre al nome di sinti, il toponimico con cui saranno inseguito identificati e che rimarrà loro assegnato anche quando, successivamente, si sposteranno verso altre regioni.21

Rom e SInti in Piemonte

A dispetto del titolo dato a queste leggi, sono pochi in Italia gli interventi che tengano conto delle peculiarità culturali

delle popolazioni nomadi, dal momento che per lo più costringono le stesse a una convivenza forzata e creano

nuove forme di emarginazione.

La progressiva perdita di identità e il desiderio di imitazione che spinge le giovani generazioni a un rifiuto sempre

più marcato dei valori tradizionali sono la diretta conseguenza di scelte politiche sbagliate e della mancanza di interventi

nella giusta direzione.

1.5.1 Si può ancora parlare di “nomadi”?

È possibile affermare che il passaggio da un’abitazione (mobile o fissa) situata all’interno di un campo sosta, e

quindi ancora concepita secondo schemi di una tradizione nomade, ad abitazioni in muratura quali case plurifamiliari,

cascine ristrutturate, appartamenti in condominio comporta mutamenti che sostanzialmente non alterano i

ritmi della vita quotidiana e non impediscono il mantenimento delle relazioni sociali. Tale affermazione può essere

riferita a tutta la popolazione romaní che ha scelto questa forma di stanzialità, sia nel caso di Rom e Sinti sedentarizzati

da più generazioni, sia che si tratti di una trasformazione avvenuta più recentemente.

Sono piuttosto i condizionamenti imposti dall’inserimento nel tessuto produttivo a causare le trasformazioni più significative

nelle relazioni interpersonali.

A differenza della società ga†í dove l’organizzazione quotidiana di ciascuno è regolata da fattori precisi e dove gli

scambi di visite tra le persone, e in particolare tra i membri di una famiglia estesa, rappresentano, per quanto frequenti,

un avvenimento di natura straordinaria confinato in particolari momenti della giornata o della settimana,

nella società romaní il rendersi visita reciprocamente è un fatto ordinario. Non vi sono inviti, visite annunciate, non

esistono formalismi all’interno di una società in cui non vi è alcun senso per l’individuo posto al di fuori del gruppo

a cui appartiene e non vi è alcun senso per il nucleo familiare al di fuori della famiglia estesa a cui appartiene. Il

nomadismo itinerante che spingeva intere famiglie a spostarsi continuamente da un luogo all’altro per ragioni economiche

e per mantenere in vita le relazioni sociali si è quindi progressivamente trasformato in molti casi in una

forma di mobilità ridotta ai minimi termini e vissuta nell’esistenza quotidiana, non classificabile secondo i comuni

schemi socioantropologici. Questo fenomeno è ciò che consente, nella situazione attuale, la sopravvivenza della

società romaní e quindi della sua peculiarità culturale fondata sulle relazioni interpersonali.

Malgrado le apparenze, e a differenza di quanto è avvenuto per tutte le altre civiltà, è da ritenersi che per Rom e

Sinti la sedentarietà non sempre rappresenti uno stadio successivo a quello del nomadismo.

Le trasformazioni e le tendenze a cui si è accennato possono pertanto costituire un evento non irreversibile, poiché

da un’osservazione estesa del fenomeno – almeno per quanto riguarda l’Italia – è possibile asserire che i diversi

modelli di vita adottati dalla popolazione romaní sono determinati dalle circostanze esterne, le quali

possono mutare nel corso della storia. Senza il continuo adattamento ai cambiamenti, l’identità romaní non sarebbe

sopravvissuta e, forse, quello che può apparire come un cedimento all’assimilazione potrebbe in realtà costituire

l’unica strada possibile per giungere a una integrazione che consenta alla cultura romaní di sopravvivere.

L’Italia è una delle realtà territoriali in cui la presenza romaní è diversificata secondo gruppi e modelli sociali diversi

(a differenza della maggior parte dei paesi dell’Europa centro-orientale in cui essa appare più omogenea, o per

la prevalenza di un determinato gruppo etnico o per la coesistenza di gruppi affini fra loro culturalmente e linguisticamente).

Tale varietà, in parte condivisa con altri paesi dell’Europa occidentale, rende difficile il raggiungimento

di determinati obiettivi di natura politica, anche in considerazione dell’esiguità numerica rappresentata da ciascun

gruppo. La diversificazione presente sul territorio consente di scorgere le diverse tappe evolutive del

passaggio da modelli di vita nomade a modelli di vita sedentaria e viceversa.

L’Italia (e il Piemonte) può dunque costituire un interessante osservatorio per chi – Rom e Sinti in primo luogo – è

alla ricerca di nuove prospettive per un popolo che ancora oggi continua a bussare alle porte dell’Occidente seguendo

le orme degli antichi “pellegrini venuti d’Egitto”.

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