Sergio Franzese, Manuela Spadaro - ROM E SINTI IN PIEMONTE
A dodici anni dalla legge regionale 10 giugno 1993, n. 26, “Interventi a favore della popolazione zingara”
A dodici anni dalla legge regionale 10 giugno 1993, n. 26,
“Interventi a favore della popolazione zingara”
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lazioni indiane. Secondo Revello gli appartenenti alla popolazione romaní potrebbero aver perduto la loro lingua
originaria, che sarebbe stata soppiantata da una o più lingue parlate in India per oltre mille anni, mantenendo tuttavia
tracce visibili dei costumi e della fede monoteista dei loro progenitori.
È pertanto da prendere in seria considerazione la teoria di una storia che precede l’insediamento in India e di una
successiva migrazione verso occidente, ipotesi che rimetterebbe in questione le affermazioni più diffuse e maggiormente
condivise circa l’origine di questo popolo.
Malgrado le tesi suggestive su cui essa si fonda non siano prive di fondamento è però opportuno attenersi ai dati
certi in nostro possesso, forniti, appunto, dalla lingua e dagli atti che testimoniano il lungo percorso seguito.
Vediamo, dunque, in ordine cronologico, i numerosi itinerari seguiti dalla popolazione romaní nel corso di mille anni.
Lo storico arabo Hamzah ibn Hasan-al-Isfahani, componendo verso il 950 d.C. una storia dei re di Persia, segna
come avvenimento principale del regno di Behrâm-Gôr l’arrivo, su suo ordine, di diecimila Zott.
Mezzo secolo dopo nel Libro dei Re il poeta persiano Firdausi narra che un re persiano fece venire dall’India diecimila
Luri – nome attribuito agli “zingari” – per intrattenere il suo popolo con la musica.
Entrambi questi testi non hanno una vera e propria caratterizzazione storica; si tratta infatti di testi letterari e leggendari;
essi tuttavia risultano preziosi poiché costituiscono una prima testimonianza scritta riguardante popolazioni
giunte in Persia dall’India prima del X secolo la cui propensione per la musica, il nomadismo e l’attitudine
al brigantaggio alimenta fortemente il sospetto che potesse trattarsi del primo esodo della popolazione romaní
verso occidente.
Dal momento che molte parole persiane sono divenute patrimonio della lingua romaní è lecito pensare che essa
mosse dall’India attraverso migrazioni successive, in gruppi poco numerosi, forse anche per fuggire a guerre e carestie
e che la sua permanenza in Persia dovette durare a lungo.
Sempre seguendo le tracce linguistiche possiamo affermare che successivamente la popolazione romaní giunse
in Armenia e vi soggiornò abbastanza a lungo, acquisendo anche dalla lingua locale numerosi vocaboli, tra cui
vurdón (“carro”), un elemento di grande significato culturale.
Dall’Armenia essa mosse quindi verso l’Impero Bizantino. Testi narrativi greci e resoconti di viaggiatori occidentali
diretti verso la Terra Santa saranno i primi di una numerosa serie di documenti a testimoniare della progressiva
penetrazione della popolazione romaní in Europa e a riferire del successivo insediamento e radicamento nelle
diverse regioni.
Grazie alle meticolose ricerche d’archivio svolte dallo storico francese François de Vaux de Foletier siamo in grado
di stabilire con precisione la progressiva diffusione della presenza romaní fino ai nostri giorni.
I dati che seguono sono riportati dalla sua opera fondamentale Mille ans d’histoire des Tsiganes.
Secondo quanto egli afferma, gruppi di “zingari” vengono segnalati a Creta nel 1322 e a Nauplia (Peloponneso) nel
1378. Il viaggiatore fiorentino Lionardo di Niccolò Frescobaldi li incontra nel 1384 a Modone sulla costa della
Messenia nella Morea sud-occidentale.
Nella Cronaca di Cipro verso il 1468 essi vengono menzionati con il termine di cingani.
Numerosi “zingari” vivevano in Valacchia intorno nella seconda metà del XIV secolo. Nel 1386 Mircea I voivoda
della Valacchia confermò una donazione fatta una quindicina di anni prima dallo zio Vladistas al Monastero di
Sant’Antonio presso Voditza di una quarantina di famiglie di atsingani. L’atto in questione prova che gli “zingari”
erano già ridotti in schiavitù nella regione, una schiavitù destinata a durare fino alla metà del XIX secolo e che i libri
di storia ignorano.
All’inizio del XV secolo la popolazione romaní riprese la marcia. Ovviamente, in ogni paese attraversato una parte
di essa vi si stabiliva definitivamente. Per questo, disseminate lungo il percorso verso occidente, troviamo oggi
comunità, talvolta anche importanti sotto l’aspetto demografico (con tutte le implicazioni che questo comporta
nell’impatto con una società culturalmente diversa).
Le ragioni di questo nuovo esodo possono essere molteplici (e più avanti vedremo come la storia spesso le riproponga
anche ai giorni nostri): il desiderio di sfuggire a situazioni sfavorevoli come la schiavitù a cui essi erano co-
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