Sergio Franzese, Manuela Spadaro - ROM E SINTI IN PIEMONTE
A dodici anni dalla legge regionale 10 giugno 1993, n. 26, “Interventi a favore della popolazione zingara”
A dodici anni dalla legge regionale 10 giugno 1993, n. 26,
“Interventi a favore della popolazione zingara”
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Note preliminari
1. Il termine “zingari” (la cui etimologia è spiegata al paragrafo 1.1), oltre ad essere stato imposto dalla cultura
maggioritaria, ha assunto una connotazione negativa ed è quindi ritenuto offensivo dalle popolazioni che così
vengono definite.
Sebbene, ovviamente, il grado di negatività di questo termine dipenda dal contesto in cui esso è collocato, si
è ritenuto giusto nel corso di questa ricerca designare gli “zingari” in base agli etnonimi propri di ciascun gruppo
(Rom, Sinti, Kalé, Romanichals) o indicarli nel loro insieme come “popolazione romaní”. Analogamente, si
è preferito utilizzare rispettivamente “romanó” e “romaní” in luogo degli aggettivi “zingaro” e “zingara”.
Tale scelta, oltre a risultare più corretta e rispettosa dell’identità di tali popolazioni, risponde all’istanza di
vedere riconosciuti pari diritti e pari dignità, al di là di politiche puramente assistenzialistiche che troppo a
lungo hanno caratterizzato l’approccio di parte della società maggioritaria nei loro confronti.
Pertanto il sostantivo “zingari” sarà utilizzato esclusivamente ove questo si imponga per ragioni linguistiche e
apparirà scritto tra virgolette.
2. Il termine rom, oltre a designare il gruppo etnico più diffuso, significa “uomo” (sia per i Rom che per i Sinti) e
il suo corrispettivo femminile è romní (donna).
Il plurale è rispettivamente romá e romnjá.
Il termine con il quale Rom e Sinti indicano le persone non appartenenti alla loro cultura è ga†é (pron. gagé),
al singolare maschile ga†ó (pron. gagió) e al singolare femminile ga†í (pron. gagí).
L’etimologia di questo termine è peraltro oscura.
Secondo alcuni anch’esso avrebbe originariamente avuto il significato “uomo”; in base a ricerche condotte
dall’indologo Jules Bloch tale sostantivo ha equivalenti presso diverse popolazioni dal bacino del medio
Gange alla Siria. Altri sostengono invece che la parola ga†ó tragga origine dal nome di Mahmud Ghazni, chiamato
Ghazi, che invase l’India tra il 1001 e il 1026 d.C. allo scopo di conquistarla e islamizzarla, causando la
fuga della popolazione romaní dalle terre nella quale era insediata (si pensa che fosse la regione del Punjab)
Qui di seguito si forniscono le indicazioni per una corretta pronuncia dei termini in lingua romaní per la cui trascrizione
è stata utilizzata la grafia convenzionale maggiormente diffusa:
Le vocali (a, e, i, o, u) e le consonanti b, d, f, g (di gatto), l, m, n, p, r, s, t, v non presentano modificazioni rispetto
alla lingua italiana e pertanto si leggono e si scrivono allo stesso modo.
Il romaní utilizza inoltre una serie di fonemi che differiscono nella grafia dall’italiano:
• fl si legge come c di cena. Es. flavó, “bambino”, “figlio” (in sinti)
• k si legge come c di cane. Es. Kalé, “Gitani”
• † si legge come g di gente. Es. †úkal, †ukél, “cane” (in sinti)
• z si legge come s in rosa. Es. zor, “forza”
• si legge come sc di scienza. Es. avó, avorró, “bambino”, “figlio” (in romaní vla¤)
Vi sono inoltre alcuni fonemi che non hanno corrispettivo nella lingua italiana. Si indicano qui di seguito quelli condivisi
dalla quasi totalità delle varianti linguistiche:
• h si pronuncia lievemente aspirata. Es. hímlo, “cielo” (nel dialetto dei Sinti Gáflkane).
• ¤ (maiuscola X) si pronuncia come ch nella parola tedesca Buch. Es. Xora¤ané, “turchi” (etnonimo di un gruppo
rom dell’area balcanica).
• $ corrisponde alla j francese di jour. Es. $ukél, “cane” (in romaní vla¤)
La semivocale i come in italiano nella parola ieri si scrive j. Es. jag, “fuoco”, daj, “madre”.
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