Sergio Franzese - RAKARÁSSA ROMANÉS
TESTI IN LINGUA ROMANÍ (zingara)
DIALETTO SINTO PIEMONTESE
TESTI IN LINGUA ROMANÍ (zingara)
DIALETTO SINTO PIEMONTESE
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Sergio Franzese
RAKARÁSSA ROMANÉS
TESTI IN LINGUA ROMANÍ (zingara)
DIALETTO SINTO PIEMONTESE
Foto di copertina: Famiglie Vincent - Simon (foto d'epoca, 1935). Per gentile concessione di Roger Vincent
Marí čib si-li i jag ke čačaréla men.
Na mukás la te mundarél-li
(La nostra lingua è il fuoco che ci riscalda.
Non lasciamo che esso si spenga)
Contenuto
Introduzione 1
A proposito di questo manuale… 2
Regole di ortografia e pronuncia 7
L'accento 9
Sigle utilizzate nel testo 9
PARTE PRIMA - Dialoghi e racconti in sinto piemontese 11
Testi 1 - 38 13-75
PARTE SECONDA - O Bovedantúna (un racconto nel dialetto dei Sinti Piemontesi del Sud-est della Francia) 77
Nota introduttiva al testo 79
Testi 39 - 50 85-109
Bibliografia 111
In conclusione… 115
Finestre
Origini (pag. 14) - Stanziamenti (pag. 16 - pag. 20) - Nascita e infanzia / Il matrimonio (pag. 26) - La morte / La religione
(pag. 41) - Come si viveva una volta…(1) (pag. 51) - Come si viveva una volta… (2) (pag. 54) - Cucina sinta (1): "Il níglo"
(pag. 61) - Cucina sinta (2): Il "šukló χabén" (pag. 71)
Introduzione
La grammatica ed il dizionario di sinto piemontese 1 costituiscono indubbiamente il supporto didattico fondamentale per
l'apprendimento di questa variante dialettale della lingua romaní.
Tuttavia, a seguito della pubblicazione di tale sussidio, è apparsa evidente la necessità di disporre di uno strumento
complementare il cui scopo fosse quello di presentare allo studioso una serie di testi su argomenti diversi.
Naturalmente nulla può sostituire la pratica che si acquisisce attraverso la frequentazione di chi utilizza una determinata lingua
nella vita quotidiana ed attraverso la quale esprime innanzitutto i sentimenti che gli appartengono, il proprio modo di vivere, in
sintesi la propria anima. Com’è noto a tutti l’inglese lo si impara ed approfondisce con maggiore profitto soggiornando in
Inghilterra o negli Stati Uniti, il francese in Francia, il catalano in Catalogna, e così via, ma nel caso del sinto piemontese (come
di ogni altra variante della lingua romaní) questa condizione appare difficile da realizzare. A differenza dei Sinti Lombardi, ad
essi strettamente imparentati anche da un punto di vista linguistico, i Sinti Piemontesi non hanno mantenuto l'uso della propria
lingua. Questa risulta ormai soppiantata da una "strana" forma di piemontese mescolato a parole sinte. La conoscenza del sinto
piemontese è circoscritta a un numero sempre più limitato di persone, perlopiù di età avanzata.
1 Sergio Franzese, Il dialetto dei Sinti Piemontesi https://www.yumpu.com/it/document/read/65202012/il-dialetto-dei-sinti-piemontesi
1
Tale circostanza, oltre a un atteggiamento di reticenza nei confronti del mondo esterno, spesso per ovvie ragioni percepito come
ostile, determina di fatto l'impossibilità ad apprendere il sinto piemontese attraverso il metodo dell'immersione totale.
Diversa appare la situazione presso le comunità di Sinti Piemontesi stanziate in Francia nelle regioni delle Alpi Marittime-Costa
Azzurra e Var. 2 Tuttavia il sinto piemontese di quelle comunità, pur mantenendo la medesima struttura di quello parlato in Italia,
si differenzia da esso in modo abbastanza sensibile nel lessico ed in alcune forme espressive.
Questo manuale intende pertanto sopperire alla carenza di fonti dirette ed è rivolto non solo a chi intende imparare il dialetto in
questione ma soprattutto e in primo luogo ai Sinti Piemontesi delle generazioni più giovani che intendono riscattare il proprio
patrimonio culturale partendo dal recupero della propria lingua.
Va comunque precisato che il presente lavoro, pur contenendo diversi richiami alla struttura grammaticale ed utilizzando un
lessico fondamentale abbastanza ampio, non è concepito per l’apprendimento del sinto piemontese da parte di un principiante ma
è destinato a chi ne possiede già i rudimenti o, quantomeno, a chi già conosce una diversa variante linguistica del romanés.
A proposito di questo manuale…
Dovendo attingere a elementi culturali appartenenti alla realtà quotidiana e alla tradizione dei Sinti mi sono avvalso di un
precedente lavoro realizzato dal compianto André Barthélémy (Joška) dal titolo Źanes Romanés e basato sul dialetto dei Rom
2 Dal 2004 ad oggi (2021) purtroppo la situazione è cambiata anche presso le comunità sinte piemontesi d'Oltralpe con il progressivo abbandono della
lingua sinta tra le giovani generazioni
2
Kalderaš. I numerosi denominatori comuni culturali esistenti tra i Rom ed i Sinti hanno permesso una agevole traduzione di
buona parte di quei dialoghi e di quei brevi racconti essendo già impostati, per così dire, su una lunghezza d'onda comune a tutto
il mondo zigano. Naturalmente si sono resi necessari alcuni adattamenti. In alcuni testi è stato sufficiente cambiare qualche
espressione lasciando il resto inalterato mentre altrove sono state introdotte modifiche più importanti.
Analogamente al modello proposto dal succitato lavoro di Barthélémy questo volume contiene alcuni esempi di conversazione ed
alcuni monologhi o racconti suddivisi in capitoli. Occorre però sottolineare che la perdita della memoria orale dei racconti
tradizionali (paramíssi) presso i Sinti Piemontesi ha reso necessario il ricorso alle scarse risorse alternative disponibili. Nella
compilazione di questo lavoro ho quindi attinto da alcuni capitoli del libro O ker kun le penijá (La casa con le ruote) pubblicato
nel 1995 da Sinnos Editrice nella collana “I mappamondi” ed il cui autore è Annibale Niemen, sinto piemontese che vive a Roma.
Questa operazione mi ha fornito l’occasione per una loro corretta stesura dal punto di vista ortografico. Inoltre ho trascritto per
intero il racconto O Bovedantúna pubblicato in Lacio Drom (n. 4 del 1984) anche con il preciso scopo di evidenziare alcune delle
differenze esistenti tra le due varianti della lingua parlata dai Sinti del Piemonte e da quelli stanziati in Francia.
Il succitato racconto è stato narrato al ricercatore Bernard Formoso nel 1982 da Fernand Dubois detto “Guillaume”, un sinto
sedentarizzato fin dal 1960 nell’area di Mougins (Alpi Marittime). Si tratta di un racconto del quale si ha una precedente versione
(con numerose varianti) pubblicata nel 1911 dal Journal of the Gypsy Lore Society e registrata nell’anno precedente da A.E.John.
Data la peculiarità del dialetto sinto piemontese parlato nel sud-est della Francia e l’ampiezza del racconto O Bovedantúna ho
ritenuto opportuno considerarne la trascrizione come seconda parte del volume rispetto al materiale precedente facendola
precedere da una specifica nota introduttiva. Va inoltre sottolineato che i testi che costituiscono la prima parte (ad eccezione di
3
quelli di A.Niemen) sono frutto di una mia traduzione dal francese e dal romaní kalderaš (per i dialoghi contenuti nel manuale di
A.Barthélémy) o di brevi composizioni da me redatte direttamente in sinto. Nonostante la mia buona conoscenza del sinto
piemontese è probabile che alcuni testi difettino in spontaneità e risultino un po’ troppo didascalici. Per quanto io mi sia sforzato
forse non sempre sono riuscito a pensare e a esprimermi come si esprimerebbe un sinto. Successive verifiche fatte con alcuni
Sinti Piemontesi residenti nell'area torinese mi hanno consentito un’ampia revisione del lavoro confermandomi di aver comunque
prodotto un’opera complessivamente di buon livello sotto il profilo linguistico e didattico. E’ opportuno ribadire una volta di più
che la progressiva rinuncia all'uso della propria lingua da parte dei Sinti Piemontesi nella vita quotidiana rende difficile qualsiasi
tipo di riscontro. Al di là di alcuni Sinti in età avanzata (ultra 70-enni), ai quali ho fatto riferimento, raramente soggetti più
giovani (20-50 anni) si sono dimostrati in grado di offrire un valido apporto. E' apparsa evidente una competenza linguistica
decrescente in rapporto alla diminuzione della fascia di età.
Dopo aver quindi specificato le ragioni, le circostanze ed i limiti di questo lavoro non mi resta che precisare che questo volume si
presenta allo studioso come qualcosa a metà strada tra un manuale di conversazione ed una mini-antologia. I testi seguono,
almeno nella parte iniziale, una certa progressione per quanto concerne l’estensione e la complessità. Nel loro insieme essi
contengono le regole principali di forma e di sintassi e forniscono al lettore un lessico quantitativamente significativo, senza
andare naturalmente al di là di quanto già contenuto nella grammatica e nel dizionario.
La colonna “NOTE” contiene numerose precisazioni grammaticali facenti riferimento all’opera citata a pag.1, nota 1 (indicati
come: S.F. - GRAMM. Pag. xx), oltre ad osservazioni specifiche sullo stile e sul lessico e ad approfondimenti sul testo.
4
Inoltre sono state inserite alcune "finestre" contenenti informazioni di carattere storico ed etnografico nonché gastronomico, i cui
testi sono tratti dal volume "S. Franzese - I Sinti Piemontesi - Le Sínti Piemontákeri" (vedere bibliografia - pag. 111) e dal
volume di A. Niemen O ker kun le penijá, già citato in precedenza.
Attraverso questa opera lo studioso potrà acquisire l'immediatezza della conversazione e lo stile espressivo propri della realtà dei
Sinti Piemontesi. Si tratta, è giusto dirlo, di una lingua semplice parlata da persone semplici e adatta ad esprimere concetti e
pensieri in linea con questa realtà. Ciò non significa che i Sinti non possano essere persone erudite o esprimersi in maniera
profonda ed articolata, ma in quel caso essi ricorrono all'utilizzo della lingua italiana (o di parlate regionali) il cui lessico è più
ricco. D'altro canto però non è neppure detto che la saggezza e la sapienza non possano essere talvolta rivelate anche attraverso
parole semplici…
Non posso mancare di esprimere qui il mio sincero ringraziamento a coloro che con molta pazienza e disponibilità, ma soprattutto
con grande fiducia, mi hanno aiutato nel portare a compimento questo progetto: Cale Laforé, Vanni Deglaudi e, in particolare,
Venerino Deglaudi insieme alle loro famiglie sempre accoglienti ed ospitali. Sono inoltre immensamente riconoscente alle
famiglie Vincent, Brant Hoffman, Laporte, Laurot, Chevalier, Lafleur e Landoer per aver acconsentito all'utilizzo delle fotografie
che corredano il presente volume. 3 Si tratta di immagini messe a disposizione da Roger Vincent, sinto francese di origini
piemontesi, che documentano l'ambiente di vita dei Sinti Piemontesi in Francia tra gli anni venti e la metà degli anni sessanta.
3 pubblicate alle pagg. 18, 28, 34, 40, 43, 48, 51, 68 e 87 (oltre alla foto di copertina). La fotografia a pag. 20 è dell'autore; la fotografia a pag. 67 è
stata realizzata da A.Artuffo.
5
L'obiettivo di questo lavoro che mi ha visto a lungo impegnato è forse un sogno? Un'utopia? Può darsi, ma non importa. Ciò che
conta per me in primo luogo è di aver messo in atto un ulteriore tentativo per non far morire questa lingua al cui studio ho profuso
una parte significativa ed importante della mia vita. Un impegno che nasce prima di tutto dalla volontà di fare qualcosa di
concreto per riscattare la dignità di una popolazione che la società moderna, fondata sul profitto e sulla speculazione, ha confinato
ai suoi margini.
Le pagine che seguono vogliono dunque essere un piccolo contributo al dialogo tra le culture, un dialogo possibile soltanto nel
rispetto reciproco, presupposto per una pace di cui il mondo sembra aver ogni giorno più bisogno.
Sergio Franzese
Torre Pellice, Febbraio 2004
revisione: gennaio 2021
6
REGOLE DI ORTOGRAFIA E PRONUNCIA
1) le vocali (a, e, i, o, u) e le consonanti b, d, f, g (di "gatto"), l, m, n, p, r, s, t, v non presentano
modificazioni rispetto alla lingua italiana e pertanto si leggono e si scrivono allo stesso modo.
2) la lingua romaní (e, nel caso specifico, il dialetto sinto piemontese) presenta inoltre una serie di fonemi che
differiscono nella grafia dall'italiano. Essi sono:
- č che si legge come c di cena. Es. číro (tempo)
- k che si legge come c di cane. Es. ker (casa)
- ǧ che si legge come g di gente. Es. ǧukél (cane)
- z che si legge come s in rosa. Es. zor (forza)
- š che si legge come sc di scienza. Nel sinto piemontese parlato in Italia questo fonema si è conformato
alla fonetica del dialetto piemontese ed è stato sostituito con ś (vedasi punto successivo) mentre permane
inalterato nella variante parlata in Francia.
7
3) Vi sono fonemi che non hanno corrispettivo nella lingua italiana. Essi sono:
- h che si pronuncia lievemente aspirata. Es. háligo (santo).
- χ che si pronuncia come ch nella parola tedesca Buch. Es. χajéri (soldi).
- ś che si legge come sj (una via di mezzo tra s di sole e e sc di scienza)
- ź che si pronuncia come un suono collocato a metà tra j francese di jour (ž) e s dolce di rosa (z). Es.
piźúno (piccione).
- n- (ŋ) presente in parole piemontesi adottate dal dialetto sinto. Es. fín-a, fín-a kaj (fino, fino a). Il fonema
n- (ŋ) corrisponde al suono inglese -ing (es. getting) ove la g finale tende a scomparire.
- ö e ü presenti in parole di origine piemontese e francese. Es. pöj (poi < piem. pöj), malerözo (in SPF:
triste < fr. malheureux), ütav- (in SPF: aiutare < piem. giüté (?)).
4) Le semivocali: i come in italiano nella parola ieri si scrive j. Es. jag (fuoco), daj (madre) e u come w in
inglese nella parola cow si scrive ŭ. Es. boŭ (forno), śoŭ (sei).
8
L'ACCENTO
L'accento cade prevalentemente sull'ultima sillaba finale (tronche), in misura minore sulla penultima (piane) e
sulla terzultima (sdrucciole) nei termini di origine genitiva in -éskero, -ákero, ecc.
Per una corretta pronuncia si rimanda comunque all'ascolto dei seguenti file audio (testi narrati da "Taro"
Amilcare Debar. La loro trascrizione e traduzione è reperibile in Sergio Franzese - Il dialetto dei Sinti
Piemontesi):
Testimonianza di "Taro" Amilcare Debar (a pag. 39 del succitato volume)
https://www.yumpu.com/it/document/read/65202012/il-dialetto-dei-sinti-piemontesi
[file audio: http://www.progettoniglo.org/taro.mp3]
il racconto di Cenerentola (testo a pag. 45 del succitato volume)
https://www.yumpu.com/it/document/read/65202012/il-dialetto-dei-sinti-piemontesi
[file audio: http://www.progettoniglo.org/Buciarorì.mp3]
Sigle utilizzate nel testo
SP Sinto Piemontese, Sinti Piemontesi
SPP Sinto Piemontese parlato dai Sinti Piemontesi in Piemonte (e - per estensione - nelle regioni italiane in cui essi sono presenti )
SPF Sinto Piemontese (variante francese)
9
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- PARTE PRIMA -
Dialoghi e racconti in sinto piemontese
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RAKARIBÉN 1 (JEK) TESTO 1 NOTE
1 - Lačó divés!
2 - Lačó divés!
3 - Sar ǧála túke?
4 - Ǧála miśtó. So kaméssa?
5 - Kamáva te ǧánáu kaj si tro ba
6 - Na ǧanáu. Mri daj si-li keré; jáŭ
ndrén se kaméssa
7 - Na, me na pinǧaráva la
8 - Kánte véla-lo keré tro ba?
9 - Kon ǧanéla? Stik ke véla-lo kalikó
1 - Buongiorno!
2 - Buongiorno!
3 - Come stai?
4 - Bene. Cosa desideri?
5 - Voglio sapere dov'è tuo papà
6 - Non so dov'è. Mia madre è in casa;
entra se vuoi
7 - No, non la conosco
9 - Quando torna a casa tuo padre?
10 - Chi lo sa? Forse domani
Ciascuna nota è preceduta dal numero
della frase a cui è riferita
Sono stati evidenziati in carattere corsivo i
seguenti termini in piemontese (o in italiano -
mutuati dal piemontese) entrati nell'uso del
dialetto SPP e rimasti inalterati:
alúra = allora, dop = dopo, e = e (alternativo
a "ta"), fa = fa, fin-a = fino a, finké = finché,
ǧa = già, kúntra = contro, ma = ma, maj =
mai
- mal = male, in keréla mal "fa male"
(alternativo a "dukóla")
- o = o, oppure
- peró = però
- pi = più
- pöj = poi (alternativo a "palé")
- se = se (alternativo a"te")
- trop = troppo
3 - sar ǧála túke? Lett.: come ti va?.
5 - kamáva te ǧánáu… Lett.: voglio che so.
In romanés l'infinito è sostituito dalla
subordinazione attraverso la congiunzione te
"che, affinché" seguita dall'indicativo.
presente-futuro nella forma breve. Es. vado a
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mangiare > vado che mangio > ǧáva te χáu.
S.F.- GRAMM. - Pag.19.
6 - na ǧanáu = non so. Forma breve.
- si-li / i-li. Le particelle -lo (masch.) -li
(femm) e -le (plur. per entrambi i generi)
poste dopo la terza persona del verbo, dette
particelle clitiche, derivano da una forma
arcaica e conservano un valore rafforzativo
nei confronti del soggetto.
S.F.- GRAMM. - Pag.21.
8 - kánte = quando (piem. cánde, quánde).
Anche kántu. In SPF anche kúnte.
9 - stik è la radice del verbo servile "potere".
In questo caso viene utilizzata nell'accezione
di "forse, può darsi, è possibile che, ecc".
Normalmente è seguita da te e dal verbo in
forma breve. Es. stik te vel = puó venire
S.F.- GRAMM. - Pag.21.
- kalikó = domani. Anche téjsa (quest'ultimo
è considerato però un termine proprio del
sinto lombardo).
Se il contesto della frase è al passato kalikó e
téjsa possono assumere il significato di "ieri"
(tuttavia è preferibile utilizzare tali avverbi
nell'accezione futura). Il termine "ieri" può
anche essere efficacemente espresso dalla
locuzione o divés nakló "il giorno passato".
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RAKARIBÉN 2 (DUJ) TESTO 2 NOTE
1 - Kaj ǧássa, čaj?
2 - Ǧáva te kináu o félzo t'o mas
3 - Váva túsal. Na si-ma či te keráu
4 - Ová, jáŭ mánča. Presaráva túke o
brúno
5 - Tu sal da lačó lió. Presár mánge
nínge fifamángeri
6 - Na si-ma dóstra χajéri
7 - Se i-lo gjal alúra na váva túsal. Na
ves χolinjákeri mánča
8 - Śun, ker so kaméssa. Me na síma
χolín
1 - Dove vai, ragazza?
2 - Vado a comperare il pane e la carne
3 - Vengo con te. Non ho nulla da fare
4 - Sì, vieni con me. Ti pagherò il caffè
5 - Sei buona. Pagami anche le sigarette
6 - Non ho abbastanza soldi
7 - Se è così allora non verrò con te.
Non prendertela
8 - Ascolta, fa quello che ti pare. Io non
sono offeso (io non ho rabbia)
2 - félzo = pane. E' un termine tipico del sinto
piemontese. (il termine ha origine dal tedesco
Falz, scanalatura, e si riferisce all'incisione
fatta sul pane per favorirne la cottura).
Utilizzato anche il termine maró, comune -
con alcune varianti di natura fonetica - a tutti i
dialetti sinti e rom.
-t'o = contrazione di ta (e) ed o
(art.determ.masch.). Analogamente, per il
femminile, t'i, contrazione di ta (e) ed i
(art.determ.femm.).
3 - si-ma. Lett.: è (III pers. sing. del verbo
"essere") + pron.person. me "io" in forma
accusativa.
Il verbo "avere" è formato dalla terza persona
singolare del verbo "essere" seguito dal
pronome personale in forma accusativa.
S.F.- GRAMM. - Pag.20 e pag. 33 (Tab. ΧI).
4 - mánča = con me. Anche mánsal
5 - tu sal da lačó lió. Lett.: tu sei di buon
cuore.
6 - χajéri = soldi, denaro. Sinonimo di lové
(comune a tutti i dialetti zingari). Presenta una
certa analogia fonetica con χaddé, di uguale
significato, utilizzato dai Rom dell'Italia
15
Centro-meridionale.
7 - alúra = allora (piem.).
- na vava túsal = non vengo / non verró con
te. Non esiste distinzione tra tempo presente e
tempo futuro. La collocazione temporale è
definita dal contesto della frase.
- Na ves χolinjákeri mánča. Lett.: non
diventare arrabbiata con me.
Le principali comunita' di Sinti Piemontesi sono stanziate nei pressi delle
grandi citta' (Torino, Cuneo, Asti, Alessandria) e vicino a paesi quali
Carmagnola (CN), Villafalletto (CN), Villafranca (CN), San Damiano (AT),
Chivasso (TO), Ivrea (TO) ed in diverse altre localita'.
Se ne trovano anche nelle zone di Vercelli, nel Biellese e di Novara, dove la
presenza si mescola a quella dei Sinti Lombardi.
Oltre che in Piemonte, i Sinti Piemontesi sono presenti in maniera sporadica
e più limitata anche in altre regioni italiane quali Lombardia, Liguria,
Toscana, Lazio.
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RAKARIBÉN 3 (TRIN) TESTO 3 NOTE
1 - Śun, móre, de ma ne vast
2 - Par so?
3 - Mro sugáro sejvardás mánge ne
lil. De mánge pren kavá papíro óske
me na ǧanáva te dáu pren
4 - De ma kaj. I-lo ne puró lil
5 - Ová, si-lo mánde da but číro.
Na sas kek ke stikolas te del pren
6 - Me dáva pren tro lil. Beś tu pri
śéza.
7 - Parkaráva tu da sa mro lió
1 - Ascolta, amico, aiutami
2 - Per cosa?
3 - Mio cognato mi ha scritto una
lettera. Leggimi questo foglio (lettera)
perché io non so leggere
4 – Dammi qua. E’ una vecchia lettera
5 - Sì, ce l’ho da tanto.
Non c’era nessuno che potesse leggerla
6 - Leggerò io la tua lettera. Siediti
sulla sedia.
7 - Ti ringrazio con tutto il cuore
1 - móre = termine che significa amico/a,
compagno/a. Usato come intercalare (ma non
come sostantivo) in una espressione nella
quale ci si rivolge ad un'altra persona, sia di
sesso maschile che femminile.
- de ma ne vast. Lett.: dammi una mano.
Calco dal dial. piem. "dé na man" (aiutare,
lett.: dare una mano).
- ne è l’articolo indeterminativo "uno, una"
derivato dal piemontese. In SPP tende a
sostituirsi quasi ovunque a je, jek.
S.F.- GRAMM. - Pag.7.
2 - par so? = Lett.: per cosa?.
3 - sejvar- = scrivere. Anche sibjar- e
skrivar-. Si tratta in tutti i casi di una
derivazione dalla radice italiana (mutuata dal
piem.) del verbo "scrivere".
- óske, perché, poiché. Anche sóske.
5 - si-lo mánde = è presso di me (locativo).
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RAKARIBÉN 4 (ŚTAR) TESTO 4
NOTE
1 - Sar si ke rakaréssa romanés tu ke
sal ne petláro?
2 - Sikadén les mánge le Sínti. E tu?
3 - Me som ne čačó sínto. I čib romaní
si mri čib. Kíči čibjá ǧanés tu?
4 - Me ǧanáva śtar čibjá. Ma i čib
romaní da le Sínti Piemontákeri si i
kaví koj ke me rakaráva fedér da
sassaré
5 - Tu pirdál but trujál o bolibén ta
dikjál but gáŭ, na si čačó?
6 - Ová, me pirdóm kaj le Tejč, kaj le
Válči, ta nínge pi durál. Kon piréla
but sikavéla but
1 - Com’è che parli romanes tu che non
sei sinto (sei un "villano")?
2 - Me lo hanno insegnato i Sinti. E tu?
3 - Io sono un vero sinto. La lingua
romaní è la mia lingua. Tu quante
lingue conosci?
4 - Conosco quattro lingue. Ma la
lingua romaní dei Sinti Piemontesi è
quella che parlo meglio di ogni altra
5 - Hai girato molto per il mondo e hai
visto molti paesi non è vero?
6 - Sì, sono stato in Germania, in
Francia ed anche piú lontano. Chi
viaggia molto impara molto
1 - romanés = alla zingara. Si tratta di una forma
avverbiale. In questo caso è usata come se si
trattasse di un sostantivo.
- petláro = non zingaro, sedentario, villano. E’ un
termine tipico dei SPP ed è utilizzato come
sinonimo di gaǧó (quest'ultimo è comune a tutti i
dialetti zingari). E' conosciuto anche dai SPF ma
usato come equivalente di pirdó "viaggiante,
girovago non zingaro".
2 - e tu = e tu?. La congiunzione "e" è spesso
usata sia nella forma italiana (mutuata dal piem.)
che in sinto (ta), senza attenersi ad una regola
precisa se non - presumibilmente - per una scelta
di tipo fonetico.
4 - kaví koj = lett.: la quale là (al. masch. kavó
koj, plur. kavé koj)
- sassaré "tutti, tutte".
5 - bolibén = mondo. Significa allo stesso tempo
anche cielo. Si usa anche il termine vélto (anche
esso con entrambi i significati). L'espressione v-
pro bolibén (o v- pro vélto) traduce il verbo
"nascere".
6 - I nomi di alcuni Stati sono espressi dalla
nazionalitá dei rispettivi abitanti. Ad esempio
Germania = kaj le Tejč = dove (stanno) i
Tedeschi; Francia = kaj le Válči = dove (stanno) i
Francesi, ecc.
- pi = più (piem.).
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Una comunita' di Sinti Piemontesi significativa sotto l'aspetto numerico si trova in Francia nella regione delle Alpi Marittime-
Costa Azzurra, ivi stanziata da almeno due secoli.
Nei pressi di Grasse, e precisamente a Plan de Grasse, vi e' un quartiere abitato esclusivamente da Sinti Piemontesi. Essi
abitano in case, hanno un'occupazione stabile ed i giovani frequentano regolarmente la scuola.
Si tratta di una situazione sicuramente piu' favorevole di quelle che conosciamo in Piemonte poiché' la' l'inserimento sociale
si coniuga con il mantenimento delle tradizioni, tra cui l'uso della propria lingua da parte di tutti, senza vergogna, anche dei
bambini.
Sinti Piemontesi nelle Alpi Marittime. Al centro Lick Dubois (foto S.Franzese)
20
RAKARIBÉN 5 (PANČ) TESTO 5 NOTE
1 - Máma, stik te ǧáu ndro fóro?
2 - Na, na stik. Tro ba na kaméla ke
ǧássa kokoró
3 - Ma me ǧáva koj kun mre kikiǧalé
4 - Pendóm te na. Nínge se na ǧássa
kokoró tro ba na kaméla
5 - Par so na kaméla-lo? Jóŭ ǧála
sémpar trujál ta me na stik
6 - Jóŭ keréla so kaméla. Si tro ba.
Tu sal pándra ne čavó
7 - Muk ma te ǧáu mónsi paś kóra
8 - Pendóm te na. Kaná če stil!
9 - Oj ke baró ková! Tumén san bi lió
1 - Mamma, posso andare in cittá?
2 - No, non puoi.Tuo padre non vuole
che tu vada solo
3 - Ma io ci andró con i miei cugini
4 - Ti ho detto di no. Anche se non ci
vai da solo tuo padre non vuole
5 - Perché non vuole? Lui se ne va
sempre in giro ed io non posso
6 - Lui fa quello che gli pare. E’ tuo
padre. Tu sei ancora un bambino
7 - Lasciami andare solo mezz’ora
8 - Ho detto di no. Adesso sta’ zitto!
9 - Oh che diamine! Siete senza cuore
1 - máma = forma diretta (piem.) per
rivolgersi alla madre. Il sostantivo "madre" è
daj.
- stik = E’ una forma avverbiale (possibile)
che traduce il verbo "potere". Talvolta è
utilizzata come radice verbale.
S.F.- GRAMM. - Pag.21.
- ndro = nel, dentro il. Preposizione articolata
formata dalla contrazione di ndren "in" e di o
"il". Femminile ndri. Plurale ndren le.
Ugualmente utilizzate le forme an o (forma
contratta no) "nel". Femm. an i (forma
contratta ni) "nella". Plur. an le "nei, negli,
nelle".
S.F.- GRAMM. - Pag. 36.
3 - ma = ma. (ital. e piem.).
5 - sémpar = sempre (ital. e piem. sempre).
7 - kóra = ora. Talora viene usato anche il
termine śtúnda (dal tedesco Stunde), come in
sinto lombardo.
9 - ke baró ková! Tipica espressione del
dialetto SP (e degli altri diall. sinti dell’Italia
del Nord). Letteralmente significa "che grande
cosa" ed esprime disappunto, stupore, ecc.
21
RAKARIBÉN 6 (ŚÓU) TESTO 6 NOTE
1 - Χajovéssa so penáva me?
2 - Χajováva kánte rakaréssa
puśukár
3 - Ová. Te si gjal me na rakaráva sig
4 -Túsal me stik te sikaráva miśtó
5 - Si-ma i bok. Jáŭ te χas čomóni
mánča
6 - Ová. Me na χajóm pándra či ta
śunáva ma te meráu
7 - So kaméssa te χas? O śukló χabén
o i χaχnín?
8 - Ne tokór di χaχnín ǧála miśtó par
mánde
9 - Kaméssa nínge śuklí?
10 - Na, palál di χaχnín me pjáva glej
ne bóla da brúno, ma na čiv o cúkro
ndren léste óske me kamáva les bíter
1 - Capisci quello che dico?
2 - Capisco quando parli adagio
3 - Sì. Se è così non parlerò veloce
4 - Con te posso imparare bene
5 - Io ho fame. Vieni a mangiare
qualcosa con me
6 - Sì. Non ho mangiato ancora nulla e
mi sento morire
7 - Cosa vuoi mangiare? Il "śukló
χabén" o la gallina?
8 - Un pezzo di gallina per me va bene
9 - Vuoi anche dell'insalata?
10 - No, dopo (aver mangiato) la gallina
berrò subito una tazza di caffè, ma non
metterci dello zucchero perché a me
piace amaro.
2 - puśukár = adagio. Anche piśukár.
3 - sig = veloce. Anche sígo.
5 - si-ma i bok = ho (la) fame.
Notare le seguenti espressioni: som bokaló =
sono affamato, som truśaló = sono assetato,
som traśunó = sono impaurito.
7 - śukló χabén = gallina brusca.. Lett. cibo
agro. Vedere "finestra" a pag. 71.
- o = o, oppure (ital. e piem.). Non si ha
riscontro di un termine originale in alcun
dialetto sinto.
22
RAKARIBÉN 7 (EFTÁ) TESTO 7 NOTE
1 - Tu bitravéssa but, kaké Balín
2 - Si bróχa te bitraváu. So pačés?
Ke na kamáva o bitrávimo?
3 - Nínge me bitraváva ma kánte som
kinó ačaváva ma ne písla
4 - Se na keráva či déla zer ke som
nasaló. O bitrávimo i-lo sastipén
5 - Čačó. O bitrávimo i-lo sastipén. E
te čés sémpar sastó si bróχa te sovés
but…
6 - Ová, ová. Ǧanáva le Sínti sar tu.
Kánte si te den ne vast keréna vináke
te bitravén, déna čiro ke kek na
dikéla e naśena pénge vek…
1 -Tu lavori molto, zio Balin
2 - E’ necessario lavorare. Cosa credi?
Che a me il lavoro non piaccia?
3 - Anch’io lavoro ma quando sono
stanco mi fermo un po’
4 - Se non faccio nulla mi sembra di
essere malato. Il lavoro è salute
5 - E’ vero. Il lavoro è salute. E per
restare sempre in salute bisogna
dormire molto…
6 - Sì, sì. Conosco i sinti come te.
Quando c'è da dare una mano fingono
di lavorare, aspettano che nessuno veda
e scappano via…
2 - si bróχa = è necessario, bisogna. E’
composto dalla III pers.sing. del verbo essere
+ il sost.femm.sing. bróχa (bisogno). Dal ted.
"brauchen" (bisognare).
3 - ačav- pes = fermarsi. Anche ačov- pes e č-
pes.
4 - d- zer = sembrare, somigliare, apparire.
Lett. "dare somiglianza (avere la stessa aria di
qualcuno)".
Vedere NOTA 4 al TESTO 10 (pag. 27).
Anche bičov-
Vedere NOTA n. 3 al TESTO 25 (pag. 52)
- sastipén = salute. Termine composto dalla
radice sastó (sano) e dal suffisso pén.
Il suffisso -pén (o -bén) indica nomi astratti e
conferisce loro l’appartenenza al genere
maschile. Es. puribén "vecchiaia" (puró
"vecchio" + -bén); miśtipén "bene" [sost.]
(miśtó "bene" [avv.] + -pén); rakaribén
"dialogo, testo" (rakar- "parlare" +
-pén).
S.F.- GRAMM. - Pag. 9.
6 - d- číro = aspettare. Lett. dare tempo -
Vedere NOTA 4 al TESTO 10 (pag. 27).
- ker- vináke = fingere, far finta di
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RAKARIBÉN 8 (OΧTÓ) TESTO 8 NOTE
1 - Katár véssa?
2 - Váva da mro ker
3 - So penéla pes da nevó?
4 - Rivodén komóni Sínti da vrín
5 - Ke Sínti i-le?
6 - I-le Lumbárdi
7 - Par so vjen-le kaj?
8 - Keréna o bétrimo droméskero.
Vjen-le kun le mesté par i fuára
9 - Fin-a kánte čéna-le kaj?
10 -Trin o śtar divés, ta palé ǧána
pénge vek.
1 - Da dove vieni?
2 - Vengo da casa mia
3 - Che si dice di nuovo?
4 - Sono arrivati alcuni Sinti da fuori
5 - Che Sinti sono?
6 - Sono Lombardi
7 - Che cosa sono venuti a fare?
8 - Fanno spettacolo viaggiante.
Sono venuti con le giostre per la fiera
9 - Fino a quando restano?
10 - Tre o quattro giorni, e poi se ne
andranno
1 - Katár = da dove. Anche da kaj.
4 - komóni Sínti = alcuni Sinti. L’avverbio
komóni significa letteralmente "qualcuno" ed
è composto da kon "chi" + -móni (suffisso
indeterminativo). In modo analogo è formato
l’avverbio čomóni "qualcosa", composto da
čo (derivato da so "cosa") + -móni (suffisso
indeterminativo).
8 - bétrimo droméskero = spettacolo
viaggiante. Lett. "lavoro della strada". Notare
il genitivo droméskero.
- mesté = il termine (sing. e plur.) sta ad
indicare giostre ed altre attivitá di Luna Park
(piem. mesté = mestieri).
9 - fin-a = fino a. (piem.). Non vi è riscontro
di alcun termine sinto avente lo stesso
significato.
24
RAKARIBÉN 9 (ENJÁ) TESTO 9 NOTE
1 - I purí Döra sganǧadás pes di
trasárla ta gjas ko merčéto
2 - Na sas kek ke inǧjás la fin-a koj ta
par kavá kaj sas-la te kerél sa o drom
pre pirénde
3 - Čjas-li ndro merčéto sa o divés te
dukarél e par te kinél čomóni par
péskre tikné nebúdi
4 - Rivodás keré ke sas-li kiní ta is-la
pándra te kiravél o χabén par sassaré
5 - Oj! Ke ǧungaló trúpo keréla i
čororí! Ndren maré divés le tarné
romnjá inǧéna le naśibángere sar le
gaǧjá ta na ǧána butér te zumavén o
vast da le petlári sar kerden-le ne
kópo
6 - Na ǧanáva so i fedér. Da ne rik o
bolibén ǧála angjál ma da ne vavér rik
méngre puré siklipén naśavéna pen…
1 - La vecchia Dora si è alzata la
mattina ed è andata al mercato
2 - Non c’era nessuno per
accompagnarla fin là e per questo ha
dovuto fare tutta la strada a piedi
3 - E’ rimasta al mercato tutto il giorno
per leggere la mano (predire il futuro) e
per comperare qualcosa per i suoi nipoti
4 - E' tornata a casa che era stanca e
doveva ancora cucinare il cibo per tutti
5 - Oh! Che brutta vita fa la poveretta!
Ai giorni nostri le giovani donne
guidano le auto come le (altre) donne e
non vanno più a leggere la mano ai
gagé come facevano una volta
6 - Non so cosa sia meglio. Da un lato il
mondo progredisce ma da un altro lato le
nostre vecchie usanze si perdono…
2 - sas-la te kerél = ha dovuto fare. Lett.: a lei
era di fare. Il verbo "dovere" si esprime con il
verbo avere (essere + pron. pers.acc.) seguito
dalla congiunzione te.
S.F.- GRAMM. - Pag. 21.
- pre pirénde = a piedi. Lett. sui piedi
(locativo).
3 - dukar- = predire il futuro.
E’ un’attività tradizionale condivisa da Rom e
Sinti e viene (veniva) esercitata dalle donne
attraverso la lettura della mano (chiromanzia),
delle carte (cartomanzia), dei fondi di caffè,
ecc.
Presso i SP si tratta di un’attività ormai poco
praticata. Essa è sempre comunque rivolta ai
gaǧé e rientra nella piú ampia tradizione del
mangipén "questua". In passato il mangipén
non equivaleva come oggi (soprattutto per
alcuni gruppi rom di provenienza balcanica ed
est-europea) alla mendicitá ma era un’attivitá
costituita dalla ricerca di beni di prima
necessità anche in cambio della cessione di
beni o di servizi. Nel caso dei SP questi
potevano essere costituiti da manufatti
artigianali come cestini di vimini o articoli di
merceria, riparazione di sedie, ecc. Tra i
servizi che potevano essere resi in cambio di
un po’ di denaro o di qualche prodotto vi era
25
Nascita e infanzia.
Non ci sono particolari riti legati alla nascita, che di solito avviene in
ospedale.
Una volta invece le donne partorivano nell'accampamento, fuori dalla
roulotte, assistite dalle donne piu' anziane.
I Sinti amano molto i bambini e generalmente hanno molti figli.
I bambini sinti, come tutti i bambini del mondo, amano divertirsi e giocare
ma appena essi crescono iniziano a badare ai fratelli ed alle sorelle piu'
piccoli e accompagnano la madre o il padre nelle loro attivita'.
Il matrimonio.
appunto il dukaripén, la divinazione
attraverso la lettura della mano.
- tikné = piccoli (anche tiné). Analogamente
tiknó (anche tinó) e tikní (anche tiní).
4 - sas-li = era. Anche is-li
S.F. - GRAMM. - Tab. Χ - Pag. 32
5 - zumav- o vast = leggere (lett. interrogare)
la mano.
6 - fedér = meglio.
- rik = lato, parte. Plur. rigá
- méngre = nostri/e. Sinonimo di maré
(masch. sing. méngro; femm.sing. méngri)
Presso i Sinti vi e' ancora l'usanza del matrimonio per fuga.
Due giovani che desiderano sposarsi, dopo essersi corteggiati per un po' di
tempo in modo discreto, decidono di fuggire insieme, andando a rifugiarsi
per alcuni giorni presso dei parenti.
Al loro ritorno essi si presentano ai rispettivi genitori che, dopo averli
rimproverati, solitamente danno loro la benedizione che sancisce l'unione e
da quel momento essi sono da tutti considerati come marito e moglie.
Questo matrimonio non necessita di essere confermato ne' in chiesa ne' in
municipio. Per questa ragione i figli solitamente portano il cognome
materno.
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RAKARIBÉN 10 (DEŚ) TESTO 10 NOTE
1 - Dik so kapitodás mánge!
2 - Duj divés fa sas-ma čomóni te
keráu a Türináte
3 - Sganǧadóm ma kaj le eftá da
trasárla, na χajóm či ta gjom vek paś
sutó
4 - Na djom váχta ta naśadóm o póχo
5 - Oj! Sas but lové ndren?
6 - Na. Par i baχt sas mónsi paś śel
éuri ma sas le kliǧinjá di naśibángeri,
ta sa le lil
7 - So keráva? Gjom palé ko ker ta
čjom koj sa o divés pardó di χolín
8 - Kalikó vjás ne gavaló ke inǧjás
mánge palé o póχo kun le lil, le χajéri
ta sa
9 - Par i báχt ke si pándra ménči da
lačó lió. Te dikél pren lénde o Baró
Devél!
1 - Guarda cosa mi è capitato!
2 - Due giorni fa avevo qualcosa da fare a
Torino
3 - Mi sono alzato alle sette di mattina, non
ho mangiato niente e sono uscito mezzo
addormentato
4 - Non ho fatto attenzione e ho perso il
borsello
5 - Oh! C’erano molti soldi dentro?
6 - No. Per fortuna solo cinquanta euro ma
c’erano le chiavi dell’auto e tutti i
documenti
7 - Che fare? Sono tornato a casa e sono
rimasto arrabbiato per tutto il giorno
8 - Ieri se n'è arrivato un ragazzo che mi ha
riportato il borsello con i documenti, i
soldi e tutto quanto
9 - Per fortuna che ci sono ancora persone
buone. Che il Buon Dio le benedica!
2 - Türináte = Torino. I nomi delle località in sinto
sono in molti casi costituiti dal nome del luogo (alle
volte pronunciato in maniera storpiata) a cui si
aggiunge il suffisso -áte (locativo). Es. Fujisáte
"Foglizzo" (in piem. Fujís + -áte), Astráte "Asti" (in
piem. Ast + -áte, con l’introduzione di una -r-), ecc.
- sas-ma = avevo. Anche is-ma.
S.F. - GRAMM. Tab. ΧI - Pag. 33.
- fa = fa (ital. e piem.)
4 - d- váχta. Locuzione formata dal verbo d- "dare"
e dal sostantivo vaχta "guardia".
Molte locuzioni verbali sono formate con l'ausilio del
verbo d- dare.
Ad es. d- briśindó "piovere", d- búka "mordere", d-
číro "aspettare", d- damént "ascoltare, dare retta", d-
goǧí "ricordare, pensare" d- góli "gridare", d- jiv
"nevicare", d- jag "accendere (il fuoco)" (per dire
accendere la luce o premere un interruttore si usa il
verbo tabar-), d-pále, "rispondere, rendere", d- pren
"leggere", d- suné "sognare", d- táu "telefonare", d-
zer, "apparire, sembrare, somigliare".
6 - éuri = plurale di euro!
-lil = lettera, documento, libro.
8 - gavaló = ragazzo (non sinto). Sinonimo di rakló.
Probabilmente da gaŭ "paese, villaggio"
9 - Baró Devél = il Buon Dio. Lett. il Grande Dio.
27
28
RAKARIBÉN 11 (DEŚ TA JEK) TESTO 11 NOTE
1 - Kále, kon si o rakló ke véla túsal?
2 - Si mro mal, o Sándro
3 - Par so véla maśkarál ménde?
4 - Kaméla te dikél sar ǧivovássa
jamén Sínti
5 - Dik, ke baró ková, móre ! O ker si
sa χamardó. Ke barí laǧ!
6 - Čaj! De les ne śéza par te beśél pes
kaj paričál ménde
7 - Melíza, le péskro kóro. Na dikéssa
ke meréla-lo do tatipén?
8 - Pöj ker ne písla brúno, ma ker les
kun i strímpa gjal o rakló dikéla sar
kerénas maré puré …
1 - Cale, chi è il ragazzo che viene
insieme a te?
2 - E’ il mio amico Sandro
3 - Cosa viene a fare tra di noi?
4 - Vuole vedere come viviamo noi
Sinti
5 - Guarda tu che roba! La casa è tutta
sporca. Che vergogna!
6 - Ragazza! Dagli una sedia per farlo
sedere qui vicino a noi
7 - Melissa, prendi la sua giacca. Non
vedi che sta morendo di caldo?
8 - Poi prepara un po’ di caffè ma fallo
con la calza così il ragazzo vede come
facevano i nostri vecchi…
4 - ǧivov- = vivere.
Me ǧivováva (anche ǧiváva); tu ǧivóssa; jóŭ
/ joj ǧivóla, jamén ǧivovássa (anche
ǧivássa), tumén ǧivóna, jon ǧivóna.
8 - pöj = poi (piem.). Usato in alternativa a
palé.
- o brúno kun i strímpa = il caffè alla
"strimpa" lett. (calza). E’ un modo tradizionale
per la preparazione del caffè, così come
descritto nel TESTO 37 (pag. 72-73).
29
RAKARIBÉN 12 (DEŚ TA DUJ) TESTO 12 NOTE
1 - Sar karéla pes kajá tikní?
2 - Karéla pes Molly. Si i čaj da mri
pen
3 - Muk ma te láŭ la an le musjá
4 - Na! Mutrjás-li pre péste
5 - Bah! Alúra parúv lákre χovajá
6 - Muk la te sovél. Na ker la te rovél.
Dakáj písla čiro si te lel o tud di čučí
da péskri daj
8 - Kaj si i daj?
9 - Gjas andri vínkla te del táu par
péskro rom ma véla-li palé sígo
1 - Come si chiama questa bambina?
2 - Si chiama Molly. E’ la figlia di mia
sorella.
3 - Lascia che la prenda in braccio
4 - No! Si è fatta la pipì addosso
5 - Bah! Allora cambiale il pannolino
(gli indumenti)
6 - Lasciala dormire. Non farla
piangere. Tra poco deve prendere il
latte dal seno di sua madre
8 - Dov’è sua madre?
9 - E’ andata nella bottega a telefonare
a suo marito ma torna subito
1 - kar- pes = chiamarsi. Me karáva ma, tu
karéssa tu, jóŭ / joj karéla pes, ecc. In SPF
si usa anche la locuzione verbale d- (+
pron.rifl.) góli letteralmente: gridarsi. Es. Me
dáva ma góli, tu déssa tu góli, jóŭ déla pes
góli, ecc.
4 - pre péste = su di sé.
9 - d- táu = telefonare. Lett. dare filo.
30
RAKARIBÉN 13 (DEŚ TA TRIN) TESTO 13 NOTE
1 - So si kalá góli?
2 - Si i Maríza ke čingaréla kun
péskri sasúj
3 - Te marél tu o Baró Devél! Ǧuklí
χandiní! - penéla i purí. - Tu mukjál
ma kokorí te zuzaráu o ker ta te
pekáu o χabén tanké tu ǧássas te
pirés ándro fóro kun le rakljá!
4 - Χoχaní! - penéla i borí - Na si
čačó! Tu sal sémpar kúntra mánde!
Na čáva butér kaj. Naśáva tuméndra!
Ǧáva mánge kaj mri daj!
5 - Na ǧanéla pes kon si i pi diní
maśkarál le duj. Se véla-lo palé o
puró maréla sa le duj!
1 - Cosa sono quelle urla?
2 - E' Marisa che litiga con sua suocera
3 - Che Dio ti castighi! Cagna
puzzolente! - dice la vecchia. - Mi hai
lasciata sola a pulire la casa e a
preparare da mangiare mentre tu te ne
sei andata a passeggio in città con le
ragazze!
4 - Bugiarda! - dice la nuora - Non è
vero! Tu sei sempre contro di me! Non
resterò più qui. Scapperò via da voi! Me
ne vado da mia madre!
5 - Non si sa chi è la più cattiva tra le
due. Se torna il vecchio le picchierà
tutte e due!
3 - Non ci si deve stupire di insulti che
possono sembrare particolarmente offensivi.
Essi infatti fanno parte di un linguaggio
colorito che viene adoperato in circostanze di
litigi, dispute, ecc. Va invece sottolineato che
sono considerate ingiurie imperdonabili quelle
rivolte ai defunti e che queste possono
scatenare reazioni molto violente.
- tu = tu. All'accusativo anche tut.
- tanké = mentre. Dal franc. tant que.
4 - kúntra = contro (piem.). Regge il
locativo.
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RAKARIBÉN 14 (DEŚ TA ŚTAR) TESTO 14 NOTE
1 - Baχtaló nevó berś tuménge!
2 - Nínge túke, pral! Jau pasál ménde
te pjes čomóni
3 - Na, me na pjáva butér. Pjom ǧa
trin glázi da mol ta śunáva ma paś
piló
4 - Pje mónsi ne písla par méngro
sastipén!
5 - Miśtó! Te ǧivón śel berś ta sar
dikjám kavá berś kaj ke stik te dikás
nínge o berś ke véla!
6 - Te śunél tu o Baró Devél! Nínge tu
ta tri romní kun tre čavé ta sa i famía
te ǧivón pándra but čiro
7 - Te vén lačí baχt ta χajéri par
sassaré. Ke o Baró Devél léla durál
méndra le nasálimi e dikéla pre
ménde ta pre maré čavé!
1 - Buon anno nuovo a voi!
2 - Anche a te, fratello! Vieni a bere
qualcosa qui con noi
3 - No, non bevo più. Ho gia bevuto tre
bicchieri di vino e mi sento stordito
4 - Bevi solo un po' alla nostra salute!
5 - Va bene! Che viviate cento anni e
così come abbiamo visto quest'anno che
possiamo vedere anche il prossimo!
6 - Che Dio ti ascolti! Anche tu, tua
moglie ed i tuoi figli con tutta la tua
famiglia, che viviate ancora a lungo
7 - Che vi sia felicità e denaro per tutti.
Che Dio allontani da noi i malanni e
prenda cura di noi e dei nostri figli!
3 - ǧa = già (ital. e piam.). Anche ǧam e
ǧamóu (?)
6 - famía = famiglia (piem.). Non esiste una
parola specifica per indicare la famiglia intesa
come nucleo famigliare. La famiglia sinta è
infatti una famiglia allargata. Per indicare
l'insieme della parentela si usa l'espressione
"mre sínti" cioè "i miei sinti".
32
RAKARIBÉN 15 (DEŚ TA PANČ) TESTO 15 NOTE
1 - Kaj paśál ménde ǧivólas ne tarní
romní. Na penáva túke o láŭ óske me
bistardóm sar karélas pes
2 - Joj čingardás-li sémpar kun péskro
rom. O rom sas-lo ne pilokár ke
rodélas o čingárimo kun sassaré in sa
le vínkimi
3 - Par ne ková da či o dinó rom délaslo
góli, nínge se i romní na kerélas či
da bilačó
4 - Ne divés o bopéro ta i sasúj bičadén
la palé da péskri daj ta da péskro ba
5 - Pro drom joj rovélas-li da sa lákri
zor. Par i baχt na sas-la čavé
6 - Kánte rivodás-li ndro ker do ba, o
ba t'i daj di romní bičadén le ramanjá
palál léngro bofíso. Nakjén trin kurké
t'o rom mujás-lo
7 - Sas par péskro dinipén ke o rom
mujás-lo pándra tarnó
1 - Qui da noi viveva una giovane
donna. Non ti dirò come si chiamava
perché ho dimenticato il nome
2 - Litigava sempre con suo marito. Il
marito era un ubriacone ed un
attaccabrighe
3 - Per un nonnulla gridava, anche se la
moglie non faceva nulla di male
4 - Un giorno il suocero e la suocera la
rimandarono dai suoi genitori
5 - Lungo la strada piangeva con
disperazione. Per fortuna non aveva
figli
6 - Quando arrivò alla casa paterna, il
padre e la madre maledirono il genero.
Passarono tre settimane e l’uomo morì
7 - Fu a causa della sua cattiveria che
l'uomo morì ancora giovane
2 - pilokár = ubriacone.
- čingárimo = litigio, baruffa. Anche
čingaripén.
- sas-lo = era. Anche is-lo
S.F. - GRAMM. - Tab. Χ -Pag. 32
3 - bi "senza" è spesso utilizzato come
particella privativa per conferire ad un
aggettivo o ad un sostantivo il senso opposto
(o assenza di). Es. lačó = buono, bilačó
cattivo, malvagio; lon = sale, bi lon =
insipido; bal = capelli, bi bal = calvo, ecc.
4 - 6 - I temini di parentela sono:
ba = padre; daj (máma) = madre;
čavó = figlio; čaj = figlia; papú = nonno;
nóna = nonna; nebúdo (pl. -i) / -a (pl. -e) =
nipote/i (sia di nonni che di zii); kaké = zio;
bibí = zia; kikiǧaló (femm. -i plur. -é) =
cugino /-a/ -i / -e; rom = marito, romní =
moglie; bopéro = suocero; sasúj = suocera;
bofíso = genero; borí = nuora; sugáro =
cognato (in SPF kunjádo); sugára = cognata
(in SPF kunjáda).
5 - sas-la = aveva (femm.). Anche is-la.
S.F. - GRAMM. - Tab. ΧI - Pag. 33
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RAKARIBÉN 16 (DEŚ TA ŚÓU) TESTO 16 NOTE
1 - Ne divés o Baró Devél t'o beng
pirénas-le ketané pre ne drom ta
rakarénas-le finké rivodén-le paśál ne
félda da matréli
2 - O Baró Devél pendás par o beng:
"Alúra, Beng, dikéssa sar i-lo śukár o
bolibén? So kaméssa les túke? Le
ková ke i-le pri čik o le ková ke i-le
telál di čik?"
3 - "Me láva le ková ke i-le pri čik"
djas palé o beng. Gjal o Devél pendás
ke jóŭ lélas le ková ke i-le telál di čik
4 - O Baró Devél ljas le matréli,
kerdás le rigá paś sakón kun péskre
mal ta χajás le matréli lénča. O beng
ljas le blúmi ta le patrjá ke sígo vjenle
śuké ndre péskre vast ta jóŭ
merélas di bok
5 - Da koj jon pirénas ne písla pi
durál. Alúra dikjén-le ne félda pardí
da čóndro. O Baró Devél pučjás ko
beng: "So léssa tu kaná?"
1 - Un giorno il Buon Dio e il diavolo
camminavano insieme lungo una strada
conversando finché giunsero nei pressi
di un campo di patate
2 - Il Buon Dio disse al diavolo: "allora,
Diavolo, vedi quanto è bello il mondo?
Cosa vuoi prendere per te? Le cose che
sono sopra la terra o le cose che stanno
sotto?"
3 - "Prendo le cose che si trovano sopra
la terra" - rispose il diavolo. Così Dio
disse che avrebbe preso quelle che
stavano di sotto
4 - Il Buon Dio raccolse le patate, le
divise con i suoi amici e le mangiò
insieme a loro. Il diavolo raccolse i fiori
e le foglie che presto si seccarono tra
sue mani e moriva di fame
5 - Allontanandosi di lì videro un
campo pieno di granturco. Il Buon Dio
chiese al diavolo: "Cosa prendi
1 - finké = finché. (ital. e piem.).
4 - ker- le rigá paś sakón = spartire (in parti
uguali). L’omissione del termine paś (metá)
all’interno della locuzione indica una
spartizione in parti non necessariamente
uguali l’una all’altra.
- patrjá = foglie. E' il plurale di patrín. I
termini in -ín al plurale omettono la n.
Es. χaχnín "gallina", plur. χaχnjá; kisín
"borsa, plur. kisjá.
E' però interessante notare che questi stessi
termini presentano delle varianti in SPF, dove
il plurale di patrín risulta patrinjá, il termine
χaχnín elide la -n- finale già nella forma
singolare (come in sinto lombardo) diventando
χáχni.
- lénča = con loro. Anche lénsal.
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6 - O beng pendás: "Kavá kópo kaj
me láva o telál". Alúra komensodás te
rodél čomoni da lačo telál di čik ma
na sas kek
7 - Gjal o beng sas-les te χal tiné bar
di čik kun tinó stréjo ta jóŭ merélas
ne vavér kópo di bok tanké o Baró
Devél ljas o čóndro ta χajás les kun
péskre mal
8 - O Baró Devél i-lo sémpar pi
goǧaró do beng…
adesso?"
6 - Disse il diavolo: "Questa volta
prendo ciò che sta sotto". Allora
cominciò a cercare qualcosa di buono
sotto terra ma non c'era nulla
7 - Così il diavolo dovette nutrirsi di
piccole zolle di terra con delle
pagliuzze ed egli moriva un'altra volta
di fame mentre il Buon Dio prese il
granturco e lo mangiò con i suoi amici
8 - Il Buon Dio è sempre più astuto del
diavolo…
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RAKARIBÉN 17 (DEŚ TA EFTÁ) TESTO 17 NOTE
1 - Sas ne rom ta ne romní bi čavé.
Jon komensodén-le te prijavén o
Baró Devél te del len tikné čavé
2 - O Baró Devél śundás léngro
prijávimo ta kerdás-lo te ven duj
tikné, ne čavó ta ne čaj. Sa le duj saslen
le bal rupané e le dand da sonakáj
3 - Ne ǧungaló divés o ba mujás-lo ta
mónsi dop duj čon mujás-li nínge i
daj. Le duj tikné čjen-le kokoré e na
sas-len či te χan
4 - I tikní čaj sas sémpar but tuganí,
rovélas e mangélas kaj péskro tiknó
pral čomóni te χal. O pral gjas te lel
písla čik ta panín, kerdás sar ne félzo
ta čidás i čik ndro bóŭ
5 - Nakjás písla číro t'i čaj pendás-li
Par lakro pral: "Sígo, le o félzo katár
o bóŭ par te χás les. Me meráva di
bok"
6 - "Na - pendás o čavó - na i-lo
1 - C'erano un uomo ed una donna
senza figli. Cominciarono a pregare il
Buon Dio perché desse loro dei figli
2 - Il Buon Dio ascoltò la loro preghiera
e fece giungere loro due bambini, un
maschietto ed una femminuccia. Tutti e
due avevano i capelli d'argento e i denti
d'oro
3 - Un brutto giorno il padre morì e
dopo soli due mesi morì anche la
madre. I due bambini rimasero soli e
senza cibo
4 - La bambina era sempre molto triste,
piangeva e chiedeva al fratellino
qualcosa da mangiare. Il fratello andò a
prendere un po' di terra e dell'acqua, la
impastò come fosse pane e la mise
dentro al forno
5 - Trascorso un po' di tempo la
bambina disse a suo fratello: "Presto,
prendi il pane dal forno che ce lo
2 - sas-len = avevano. Anche is-len.
S.F. - GRAMM. - Tab. ΧI - Pag. 33.
3 - dop = dopo (piem.). L'uso del termine
piemontese è prevalente rispetto al termine
romaní palál " dietro, dopo".
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pándra pekó. De písla číro"
7 . Rivodás o Baró Devél paśál lénde
ta pendás: "So keréna tumén kaj,
tikné?" - " Čássa kaj paričál di jag te
čačarás amen " - djas palé o čavó
8 - "So i-tumén ndro bóŭ?" pučjás o
Devél? - "Laǧáva te penáu túke…
čidóm písla čik, gjal mri pen pačéla
ke si o félzo e na rovéla butér óske joj
si but bokalí"
9 - "Ah, χajováva! Len ta χan o ková
ke i-lo ndro bóŭ" - pendás-lo o Baró
Devél ta gjas péske durál léndra
10 - Kánte ljen-le i čik vrin do bóŭ
dikjén ke na sas butér čik ma sas
félzo čačó. Čidén vek le bučár, χajénle
o félzo, pjen-le o panín e na sas-len
butér bok
mangiamo. Sto morendo dalla fame"
6 - "No - disse il bambino - non è
ancora cotto. Aspetta un po'"
7 - Arrivò il Buon Dio presso di loro e
disse: "Cosa fate qui, bambini?" -
"Restiamo qui vicino al fuoco a
scaldarci " - rispose il bambino
8 - "Cosa avete nel forno?" Chiese il
Buon Dio?" - "Mi vergogno a dirlo…
ho messo un po' di terra, così che mia
sorella creda che si tratti di pane e
smetta di piangere perché ha tanta
fame"
9 - Ah! Capisco! Prendete e mangiare
quello che c'è nel forno" - disse il Buon
Dio e si allontanò da loro
10 - Quando presero la terra che si
trovava nel forno videro era diventata
del pane vero. Tolsero via la cenere,
mangiarono il pane, bevvero l'acqua e
non ebbero più fame
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RAKARIBÉN 18 (DEŚ TA OΧTÓ) TESTO 18 NOTE
1 - Kíči berś í-tu, mro tiknó?
2 - Deś ta duj. E tu, kaké?
3 - Me si-ma paś śel ta trin. Tri pen i-
li pi purí o pi tarní tútra?
4 - Joj i-li pi tarní. Si-la deś-ta-jek
berś
5 - Oj, si ǧá ne tarní čaj! E kajá tikní?
6 - Joj si-la ne čon. Na boldám la
pándra. Ménča si nínge o papú da
maró ba
7 - Penéna ke si-les śel berś. Na i-lo
nasaló?
8 - Na sas-lo maj nasaló jóŭ ma i-lo ne
písla čibaló. Si ne rom ke ǧanéla o
trúpo, kaméla but te rakarél-lo.
Ginéla ménge sémpar le puré
paramíssi
9 - Par i baχt ke jóŭ na si kuśténgero
1 - Quanti anni hai, bambino?
2 - Dodici. E tu, zio?
3 - Io ne ho cinquantatre. Tua sorella è
più vecchia o più giovane di te?
4 - E' più giovane. Ha undici anni
5 - Oh, è già una ragazzina. E questa
piccolina?
6 - Ha un mese. Non l'abbiamo ancora
battezzata. E con noi c'è anche il
bisnonno (il nonno di nostro padre)
7 - Dicono che abbia cento anni. Non è
ammalato?
8 - Non è mai stato ammalato ma è un
po' chiacchierone. E' un uomo che
conosce la vita, gli piace molto
conversare. Ci racconta sempre le
vecchie storie
9 - Per fortuna non è un piagnone come
2 - kaké = zio. E' usato anche come termine di
rispetto nei confronti di un uomo piú anziano.
Allo stesso modo ci si rivolge ad una donna
piú anziana con il termine bibí (zia).
La numerazione in sinto piemontese:
da 1 a 10 = jek, duj (anche jek ta jek) , trin,
śtar, panč, śóu, eftá, oχtó, enjá, deś
da 11 a 19 = deś ta jek, deś ta duj, deś ta
trin, ecc.
20 = biś. L'unità di misura biś è utilizzata per
formare i suoi multipli
da 21 a 29 = biś ta jek, biś ta duj, biś ta trin,
ecc.
Nota: la congiunzione che separa i numerali
deś e biś dalle unità può essere anche u. Es.
deś-u-jek (11), deś-u-duj (12)... deś-u-panč
(15), biś-u-jek (21)... biś-u-trin (23), ecc.
30 = triánda
da 31 a 39 = triánda ta jek, triánda ta duj,
triánda ta trin, ecc.
40 = duj biś
da 41 a 49 = duj biś ta jek, duj biś ta duj,
duj biś ta trin, ecc.
50 = paś śel. Lett. metá cento.
da 51 a 59 = paś śel ta jek, paś śel ta duj, paś
śel ta trin, ecc.
60 = trin biś. Vedi nota a n. 20.
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sar o papú da kalá Lumbárdi!
10 - Oj na! Maró puró papú na si
gjal. Sa kaména les but!
il nonno di quei (Sinti) Lombardi!
10 - Oh no! Il nostro vecchio nonno non
è così. Tutti gli vogliono bene!
da 61 a 69 = trin biś ta jek, trin biś ta duj,
ecc.
70 = trin biś ta deś.
da 71 a 79 = 70 + jek, 70 + duj, 70 + trin,
ecc.
80 = śtar bis.
da 81 a 90 = śtar bis ta jek, śtar bis ta duj,
śtar bis ta trin, ecc.
90 = śtar bis ta deś.
da 91 a 99 = śtar bis ta deś ta jek, śtar bis ta
deś ta duj, śtar bis ta deś ta trin, ecc.
100 = śel; 200 = duj śel; ecc.
1.000 = jek míla; 2.000 = duj míla; ecc.
(piem.). (paró, paré quando è riferito a
denaro. Es. Duj paré = duemila lire [o
franchi])
1.000.000 = jek miljún; 2.000.000 = duj
miljún; ecc. (piem.).
1.000.000.000 = jek miljárd; 2.000.000.000 =
duj miljárd, ecc. (piem.).
Per menzionare gli anni si tende ad enunciare
singolarmente le prime due cifre di cui è
composto il numero seguito dal numero a due
cifre. Ad. es. 1958 = jek/enjá/paś śel ta oχtó
(anziché jek míla ta enjá śel ta paś śel ta
oχtó), ma 2003 si dirà duj míla ta trin (non
esiste alcun termine specifico per designare la
cifra zero che può essere resa dalla
preposizione či = nulla).
S.F.- GRAMM. - Pag. 16.
8 - maj = mai (ital. e piem.)
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La morte.
Quando un Sinto moriva, tradizionalmente veniva bruciata la roulotte e le cose che gli appartenevano, per evitare che
attraverso di esse se ne potesse offendere la memoria.
Ora le condizioni di vita sono diverse, tuttavia il rispetto dei Sinti per i defunti rimane molto profondo e quando ne
parlano lo fanno premettendo sempre l'aggettivo "povero" o "povera" al nome del defunto o della defunta.
La religione.
Quasi tutti i Sinti Piemontesi praticano la religione cattolica, battezzano i loro figli in chiesa e si mostrano
particolarmente devoti alla Madonna e ad alcuni Santi.
Come tutti i Sinti ed i Rom, anche i Sinti Piemontesi credono nell'esistenza di forze spirituali soprannaturali benigne e
maligne, all'esistenza del diavolo, ai santi ed agli spiriti dei defunti.
Molti Sinti quando sono malati si recano presso una "santa donna" (non zingara) per essere aiutati a guarire.
In Piemonte ogni anno in estate a Forno di Coazze ha luogo un raduno religioso al quale partecipano molti Sinti
Piemontesi che vi si recano per venerare la Madonna.
E' stato don Renato Rosso, un prete che ha vissuto a lungo tra i Sinti, ad iniziare tale consuetudine.
La prima volta l'incontro ebbe luogo nell'anno 1982.
Qualche famiglia di Sinti Piemontesi partecipa al pellegrinaggio delle Saintes Maries de la Mer che si svolge ogni anno
in Francia, nella regione della Camargue, alla fine di maggio e che vede la partecipazione di Zingari che giungono da
molte parti d'Europa per venerare Santa Sara la nera, considerata la patrona degli Zingari.
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RAKARIBÉN 19 (DEŚ TA ENJÁ) TESTO 19 NOTE
1 - Dik ke bok ke i-ma! De ma písla
mas da baličó, balavás, śeχ ta nínge
tulipén
2 - Oj! Na χa sa kalá χabén tulé! Déna
zer lačé ma kérna duk
3 - Alúra, so χáva? Meráva di bok!
4 - De číro. Ǧava pekáu ne tokór mas
da tinó gurúv ta čiváva ndren
matréli kun o kil
5 - Puah! Nínge o kil kérla mal.
Čiv ndren písla ǧet ta śut
6 - Me na χáva o χabén ke χačóla t'o
χabén ke i-lo trop londó
7 - E me nastik χáva bi lon. Na fantól
ma. Kerdóm sar pendás-lo o
nasaléngero ma nastik váva sikló.
Peró mukjóm te piáu o brúno ta na
fifaváva butér
1 - Sapessi che fame! Dammi un po' di
carne di maiale, del lardo, del cavolo ed
anche del grasso
2 - Oh! Non mangiare tutti quei cibi
grassi! Sembrano buoni ma fanno male
3 - Allora, che cosa mangio? Muoio di
fame!
4 - Aspetta. Vado a cucinare un pezzo
di carne di vitello e metto delle patate
con il burro
5 - Puah! Anche il burro fa male.
Mettici un po' di olio e di aceto
6 - Io non mangio il cibo troppo
piccante o troppo salato
7 - Ed io non posso mangiare il cibo
insipido (senza sale). Non mi piace. Ho
fatto come mi ha detto il dottore ma non
riesco ad abituarmici. Però ho smesso
di prendere il caffè e non fumo più
2 - kérna = fanno. Contrazione di keréna.
5 - kérla = fa. Contrazione di keréla.
- mal = male (piem.).
6 - trop = troppo (piem.).
7 - fantól ma = mi piace. Fantól(a) = piacere
(verbo imperson.). La radice dovrebbe essere
fant- e di conseguenza tale verbo dovrebbe
essere coniugabile come S.F.- GRAMM.- tab
IV (pag.26) o tab. V (pqg. 27) , tuttavia non è
stato possibile rilevare l'esistenza di altre
forme. La terza persona singolare viene quindi
usata anche quando il predicato è al plurale.
Es.: fantól ma i mol "mi piace il vino"; fantól
ma le baré naśibángere "mi piacciono le
grosse automobili". Per tradurre il verbo
piacere si fa spesso ricorso a kam- "amare,
piacere", quindi è altrettanto corretto dire: me
kamáva i mol e me kamáva le baré
naśibángere.
- peró = però. (ital. e piem.).
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8 - Tu ǧivóssa śel berś, móre!
9 - Te na mukél o Baró Devél!
8 - Vivrai cent'anni, amico!
9 - Che il Buon Dio me ne scampi!
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RAKARIBÉN 20 (BIŚ) TESTO 20 NOTE
1 - Maró ba vjas-lo palé do gáu.
Inǧjás men ne χaχnín, písla purumá,
pabalolé ta matréli par te pekás ne
lačí zumín
2 - Ba, inǧjál tu nínge čomoni par te
kelás?
3 - Ová. Le so kaméssa, tiknó
4 - Me láva i tikní naśibangeri lolí ta
mukáva o tiknó graj da kast par mro
tiknó pral
5 - Tu, mri pen, le kajá śukár kúkja
kun le bal brúni, le vuśt lolé ta kun o
rivibén zélto ke pangéla le jaká par te
sovél-li
6 - Rakaréla-li nínge ta penéla:
"mamma"! Dik ke śukár ke i-li!
8 - Óni kópo ke o ba véla keré déla
čomóni par sassaré. Par mánde i-lo
trop guló lénča!
1 - Nostro papà è tornato dal paese. Ci
ha portato un pollo, qualche cipolla,
pomodori e patate per cucinare una
buona minestra
2 - Papà, hai portato anche qualche
giocattolo?
3 - Sì, prendi quello che vuoi, piccolo
4 - Prendo l'automobilina rossa e lascio
il cavallino di legno per il mio fratellino
5 - Tu, sorella, prendi questa bella
bambola con i capelli neri, le labbra
rosse e con il vestito giallo che chiude
gli occhi per dormire
6 - Parla anche e dice: "mamma"!
Guarda quant'è bella!
8 - Ogni volta che il papà torna a casa
dà qualcosa a tutti. Per me è troppo
gentile con loro.
1 - inǧjás men = ci ha portato. In questo caso
sembrerebbe corretto usare il pronome
personale nella forma dativa ménge (a noi)
anziché nella forma accusativa men. Ma la
lingua parlata spesso è poco rispettosa di
regole peraltro mai stabilmente codificate. Si
può quindi affermare che entrambe le forme
siano corrette.
2 - čomóni par te kelás = lett. qualcosa per
giocare. Il sostantivo per indicare giocattolo
potrebbe essere kelabén (dalla radice verbale
kel- "giocare, ballare"), ma si tratta di un
termine inusitato.
5 - I colori in SP sono:
loló = rosso, bláŭto = blu, zélto, ǧílto = giallo,
zéleno (?) = verde, brúno (meno usato kaló) =
nero, parnó = bianco. Non sono stati rilevati
termini per indicare i colori derivati da quelli
primari (es. arancione, viola, celeste, ecc.).
8 - guló = buono. Letteralmente "dolce".
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RAKARIBÉN 21 (BIŚ TA JEK) TESTO 21 NOTE
1 - Na si butér langár ta sa le vínkle i-
le panglé. Kavá divés merássa do śil!
2 - Ke purdiné san tumén! But ménči
ndro ker ta na si jek ke déla goǧí ke si
te ǧal te kinél o langár o te rodél
komóni tokór da kast!
3 - Paś nasaló sar som, naśaváva me
ndro baró śil!
4 - Ma śun ke ková, móre! Sa čéna-le
kun o muj putardó ta déna číro ke
véla ndren o χabén pekó. Na i-tumén
laǧ?
5 - Na si jek maśkár tuménde ke déla
ne vast. Te meráv!
6 - Dóstra gjal! Na de butér góli!
Kaná ǧa čačarés le kan da ne kaśukó!
1 - Non c'è più carbone ed i negozi sono
tutti chiusi. Oggi moriremo di freddo!
2 - Che (razza di) tisici siete! Tante
persone in casa e non uno che si
preoccupi di andare a comperare il
carbone o a cercare un po' di legna!
3 - Malandato come sono, mi perdo nel
freddo!
4 - Ma senti che roba! Se ne stanno tutti
con la bocca aperta ad aspettare che si
riempia di cibo già cotto. Non vi
vergognate?
5 - Non c'è uno di voi che aiuti! Che io
possa morire!
6 - Basta così! Smettila di strillare!
Adesso vai a scaldare le orecchie di un
sordo!
2 - purdiné = tisici. Lett. "soffiati". E' un
tipico insulto usato dai SP, oltre a purimén
"marci" ed alcune altre espressioni altrettanto
colorite.
- d- goǧí = ricordare, pensare. Locuzione
formata dal verbo d- "dare" e dal sost. góǧi
(probabile variante di godín"cervello").
Anche d- ǧodé (?)
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RAKARIBÉN 22 (BIŚ TA DUJ) TESTO 22 NOTE
1 - Mujás-lo o puró Ríku. Inǧjám les
ko muléskero kalikó
2 - Oj! Me na ǧanávas ke sas-lo nasaló!
3 - Ová. Komensodás ta śunél ne duk
ko beč trin čon fa ta óni kópo ke χálaslo
o čororó rom čardélas vrin sa o
χabén. Le nasaléngere na χajovénas-le
so sas-les. Djen les but drab ma na
sastólas
4 - Ke baró ková, móre! Sóske na gjas
te dikél ne gaǧí ke sastaréla? Da le
kópi jon keréna fedér da le
nasaléngere
5 - Tu pačéssa? Kánte véla tri kóra
nínge i gaǧí ke sastaréla nastik kerél či.
Ne kurkó fa rikardén les ndri spitája
ta koj dikjén-le ke sas-les ne ǧungaló
nasálimo
6 - Jóŭ sas-lo pivló, na?
7 - Ová, péskri čórí romní mujás-li ǧa
oχto berś fa ta jóŭ ǧivólas-lo kokoró
1 - E' morto il vecchio Ricu. Gli abbiamo
fatto il funerale ieri
2 - Oh! Non sapevo che fosse malato!
3 - Sì. Ha iniziato a sentire un dolore allo
stomaco (al petto) tre mesi fa ed ogni
volta che mangiava il pover'uomo
vomitava tutto il cibo. I medici non
capivano che cosa avesse. Gli hanno dato
molte medicine ma non guariva
4 - Accidenti che roba! Perchè non è
andato a consultare una guaritrice? Alle
volte fanno meglio dei dottori
5 - Tu credi? Quando viene la tua ora
nemmeno la guaritrice puó farci nulla.
Una settimana fa lo hanno ricoverato in
ospedale ed hanno visto che si trattava di
una malattia grave
6 - Era vedovo, no?
7 - Sì, la sua povera moglie era morta giá
otto anni fa ed era rimasto solo, ma i suoi
3 - beč = petto.
Per dire che si ha "male allo stomaco" si usa
l'espressione dukóla o beč, indicando in tal
modo la sede in cui il dolore è percepito. Il
termine che indica propriamente lo stomaco è
ǧi (talora usato come sinonimo di "cuore"). Gli
altri organi interni sono: bukó = fegato. Il
plur. buké significa polmoni, reni, ma anche
milza, pancreas, ecc.; porjá = intestini.
- sas-les = aveva. Anche is-les.
S.F. - GRAMM. - Tab. ΧI - Pag. 33.
4 - gaǧí ke sastaréla = guaritrice, santona.
Detta anche háligi gaǧí "santa donna" (non
zingara). Quest'ultima espressione è
prevalentemente usata dai Sinti Lombardi.
Fa parte della cultura dei Sinti l'usanza di
rivolgersi, in caso di malattia, a dei guaritori o
a delle guaritrici.
Allo stesso scopo essi ricorrono inoltre alla
devozione religiosa rivolgendosi in particolare
alla Madonna (Devléskeri Daj) ed a santi
popolari (tra questi Padre Pio e Sant'Antonio
da Padova).
Questa tradizione, che evidenzia la pratica di
una religiosità di tipo superstizioso è ancora
significativamente radicata ai giorni nostri ma
non esclude comunque, soprattutto nei casi più
gravi, il ricorso alle strutture sanitarie.
46
ma péskre čavé nakénas-le sémpar te
lačén les
8 - Tinkaráva ma pándra ke kánte
mujás-lo mro čóro papú dop ke inǧjén
les ko muléskero mro ba ta péskre pral
χačardén i vardín e sa gjam vek kotár
9 - Ová. Kavá kaj sas maró siklipén. Sa
le ková do muló vénas-le χačardé ta
binkavélas pes o graj
10 - Nínge me dáva ma pándra goǧí da
kalá siklipén. Χargá číro kánte komóni
merélas ndren ne plása sa kolá ke sasle
koj ǧánas pénge vek óske o stéto
vélas-lo mulanó ta le Sínti na čénas-le
butér koj
11 - Ndren maré divés sa parodás. But
Sínti ǧivóna-le ndren le ker ta kolá ke
si-len pándra le vardinjá ta le kampíne
si te čén-le ndren le pláse ke déla o
móskero
12 - Dik, kaná jamén sam naśadé. Na
stik te kerás butér o trúpo da le Sínti!
figli passavano sempre a trovarlo
8 - Mi ricordo ancora che quando morí il
mio povero nonno dopo avergli fatto il
funerale mio padre ed i suoi fratelli
bruciarono il carrozzone e ce ne
andammo tutti via di lá
9 -Sì. Questa era la nostra tradizione.
Tutte le cose appartenute al defunto
venivano bruciate ed il cavallo veniva
venduto
10 - Anch'io mi ricordo ancora di quelle
tradizioni. Quando qualcuno moriva in
un accampamento tutti quelli che si
trovavano là se ne andavano perchè il
posto diventava impuro ed i Sinti non ci
restavano più
11 - Ai nostri giorni è tutto cambiato.
Molti Sinti vivono nelle case e quelli che
hanno ancora i carrozzoni e le roulotte
debbono restare nei campi comunali (che
dà il sindaco)
12 - Che vuoi, ai nostri giorni siamo
perduti. Non possiamo più fare la vita dei
Sinti!
8 / 12 - I Sinti ed i Rom hanno un grande
rispetto per i loro defunti (vedere TESTO 38 -
pagg. 74-75) e "finestra" a pag. 41
Tra i riti legati alla morte vi era quello di dare
fuoco al carrozzone con tutto il suo contenuto
e di distruggere gli oggetti appartenuti al
morto per evitare di profanarne la memoria.
I cavalli venivano invece venduti ed il luogo in
cui era vissuto il defunto veniva abbandonato
in quanto considerato mulanó (impuro a causa
della morte).
Ai giorni nostri con il processo di
sedentarizzazione le cose sono cambiate. La
morte avviene prevalentemente in ospedale o
in luogo diverso dalla propria abitazione, le
case prefabbricate o in muratura non vengono
certamente date alle fiamme o distrutte ed i
cavalli sono scomparsi. Tutto questo non
significa che sia venuta meno la venerazione
che i Sinti hanno per i loro cari trapassati che
essi continuano ad esprimere attraverso atti di
devozione (una cura estrema del luogo di
sepoltura, celebrazione di messe di suffragio,
ecc.).
- 8 - kotár = da lá. Anche da koj
10 - χargá číro = molto tempo fa
- sas-le = erano. Anche is-le.
S.F. - GRAMM. - Tab. Χ - Pag. 32.
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48
RAKARIBÉN 23 (BIŚ TA TRIN) TESTO 23 NOTE
1 - Den váχta! Me dáva ne félzo guló
par sa le čavé ke si-len o muj zuzó ta le
vavér bičaváva len durál mándra!
2 - Dik, bibí. Me som zuzí. Todjóm
mro muj ta mre vast kun o
tovimáskero ta χanadjóm mre bal kun
o demelváro. Alúra stik te váu χáu?
3 - Ová. Tu sal zuzí. Fantól ma kánte le
čavé keréna gjal.
Tu, Máverik, so keréssa kun o nak sa
melaló? Par so déssa číro te zuzavés
tu?
4 - Jáŭ ndren ta na déna góli. Beśén.
Me dáva ne gulí kaj sassaré!
5 - De nínge ne glázo da tud
6 - Na si-tu laǧ te mangés?
7 - Si-amén ne barí bok, bibí
8 - Χan miśtó ta na fardén či pri čik, ta
palál ǧan te tovén le čaré!
1 - Attenzione! Darò un dolce a tutti i
bambini che hanno il viso pulito e gli
altri li farò allontanare da me!
2 - Guarda zia. Mi sono lavata la faccia e
le mani con il sapone e mi sono pettinata
i capelli con il pettine. Allora posso
venire a mangiare?
3 - Sì. Tu sei pulita. Mi piace quando i
bambini fanno così.
Tu, Maverick, cosa fai con il naso tutto
sporco? Cosa aspetti a pulirti?
4 - Venite dentro e non urlate. Sedetevi.
Darò un dolce a ciascuno (a tutti)!
5 - Dacci anche un bicchiere di latte
6 - Non ti vergogni a chiedere?
7 - Abbiamo una gran fame, zia
8 - Mangiate come si deve, non buttate
niente per terra e dopo andate a lavare i
piatti!
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RAKARIBÉN 24 (BIŚ TA ŚTAR) TESTO 24 NOTE
1 - Me gjom pro búto do gáu ma na si
kek ke kaméla te kinél mre kórbi da
gúra
2 - Stik te meráu! Kavá divés na χajóm
či. Śun, móre, de ma paś-śel éuri par te
kináu písla χabén par le tikné. Dimánś
me dáva tu palé sa le χajéri
3 - Sal pándra kaj te mangés? Sóske na
rodéssa ne vavér bitrávimo par te na ǧás
te mangés in sa le ker da le gaǧé? E
ǧanéssa ke se léna tu bi volín keréna
túke i strófa?
4 - Me na laǧáva. Kon si-les o félzo na si
te kerél le rigá sakón kun le bokalé? Na
de ma i doś!
5 - Doś o na doś tu véssa sa le divés kaj
paśál mánde par te mangés, móre!
6 - Na ves χolinjákero mánča. Le lové
dáva len tu palé kalikó. Tejsa ǧáva te
kinau o musjéskero ta le vángli da mri
romní ta nínge mri baśadí da sonakáj!
1 - Sono arrivato in cima al paese ma non
c'è nessuno che voglia comperare i miei cesti
in vimini
2 - Che io possa morire! Oggi non ho
mangiato nulla. Ascolta, amico, dammi
cinquanta euro per comperare un po' di cibo
per i bambini. Domenica ti renderò tutti i
soldi
3 - Sei di nuovo qui a chiedere? Perché non
ti cerchi un altro lavoro per non andare a
elemosinare in tutte le case dei gagé? E sai
che se ti prendono senza la licenza ti faranno
il processo?
4 - Io non me ne vergogno. Chi ha il pane
non deve forse dividerlo con gli affamati?
Non dare la colpa a me!
5 - Colpevole o no vieni tutti i giorni da me
a chiedere, amico!
6 - Non arrabbiarti con me. I soldi te li
renderò domani. Domani andrò a vendere il
braccialetto e gli orecchini di mia moglie ed
anche il mio orologio d'oro!
2 - dimánś = domenica (dal francese
dimanche). Il termine sinto originale è
"kurkó". Per inidicare i restanti giorni della
settimana si fa ricorso ai termini in
piemontese: lünes, mártes, mércu, gióbia,
véner e sába.
E' ipotizzabile che in passato esistesse una
nomenclatura originale dal momento che essa
si riscontra tuttora in altre varianti della lingua
romaní.
3 - strófa = processo. Lett. storia.
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Come si viveva una volta… (1)
I vecchi raccontano che un tempo i Sinti si spostavano di paese in paese con le
loro roulottes trainate dai cavalli e che quando volevano fermarsi tre o quattro
giorni in un posto nessuno arrivava a cacciarli, come avviene adesso, che
subito arriva la polizia o i vigili.
I mestieri tradizionali dei Sinti erano già allora il Luna Park ed il circo e
costituivano la ragione principale della loro vita itinerante.
Le donne se ne andavano di casa in casa a vendere qualcosa come centrini,
lenzuola, pettini, specchietti ed altri oggetti di quel tipo.
Inoltre esse conoscevano l'arte della chiromanzia o, quantomeno,
raccontavano di saper leggere la mano a quei gagé disposti a crederci.
Gli uomini esercitavano il mestiere di commercianti di cavalli: li acquistavano
che erano in condizioni non buone e dopo averli ben curati li rivendevano.
Inoltre aggiustavano le sedie e fabbricavano cestini con il vimini.
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RAKARIBÉN 25 (BIŚ TA PANČ) TESTO 25 NOTE
1 - Si tro pral kavá kaj?
2 - Si mro paśprál. Mro ba soloχadás
pes duj kópi. Léskri vági romní sas-li
mri daj. Palé soloχadás pes ne vavér
kópo ta ljas-lo ne vavér romní ke si i
daj da kavá kaj
3 - Kaná χajováva óske na bičóla tu.
Sar si túsal tri paśdáj? Kamél tu
miśtó?
4 - Ová, ová, ma kaméla-li pi but mro
pral pi tiknó. Jóŭ i-lo o pi pučanó
5 - Komóni kópi me čingaráva lésa
óske déna les sémpar so mangéla tanké
na déna ma so kamáva
6 - Χajovéla pes! Tu sál pi puró léstra.
Kíči berś i-tu?
7 - Dakaj ne písla si-ma deś-u-śtar berś
ta jóŭ si-les mónsi deś
1 - E' tuo fratello questo?
2 - E' il mio fratellastro. Mio padre si è
sposato due volte. La sua prima moglie
era mia madre. Dopo si è sposato un'altra
volta ed ha preso un'altra donna che è la
madre di questo qui
3 - Adesso capisco perché non ti
assomiglia. Come si comporta con te la
tua matrigna? Ti vuole bene?
4 - Sì, sì, ma vuole più bene al mio
fratellino. E' il più coccolato
5 - Alle volte litigo con lui perché gli
danno sempre quello che vuole mentre a
me no
6 - Si capisce! Tu sei più vecchio di lui.
Quanti anni hai?
7 - Tra poco ne compirò quattordici e lui
ne ha solamente dieci
1 - paśprál = fratellastro. Letteralm. mezzo
fratello. Paśpén = sorellastra.
3 - bičov- = somigliare, sembrare. Sinonimo
di d- zer-.
Me bičováva, tu bičovéssa (o bičóssa (?)),
jóŭ-joj bičóla, jamén bičovássa, tumén
bičovéna (o bičóna), jon bičovéna (o bičóna)
- seguito dal pron. pers. al nominativo o dal
sostantivo (all'accusativo).
Es. io ti somiglio= me bičováva tu; egli mi
somiglia = jóŭ bičóla ma; egli somiglia a suo
fratello = jóŭ bičóla péskro pral; noi
somigliamo a nostro padre = jamén bičovássa
maró ba, ecc.
Per tradurre l'espressione "a me pare, a te pare,
ecc." si usa bičola seguito o preceduto dal
pron. pers. al dativo (o déla [+ pron.pers.acc.]
zer). Es. A me pare che stia piovendo = bičóla
mánge (o déla ma zer) ke déla briśandó;
bičóla túke (o déla tu zer) ke si komoni kaj?
= ti pare che qui ci sia qualcuno?
- paśdáj = matrigna. Letteralm. mezza madre;
paśbá = patrigno; paśčavó = figliastro;
paśčaj = figliastra.
5 - lésa = con lui. anche lésal. Al femminile
lása (con lei) ed anche lásal.
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RAKARIBÉN 26 (BIŚ TA ŚÓU) TESTO 26 NOTE
1 - Ndren le divés naklé le Sínti
kerdén-le ne patreǧí. O Tuló inǧjás
śtár durialjá di mol. Pöj gjen-le da ne
kampína ki vavér te pjen-le
2 - Móre, sar pjen-le but: mol,
χačardí... o Čáno sas-lo lénča. Sa
pinǧaréna les óske i-lo síkló te pjel da
kánte sas-lo tarnó!
3 - Alúra le rakárimi kerdén pen pi
zoralé. Ne láŭ čardéla ne vavér ta
komensodén te čingarén. O Čáno t'o
Fríku komensodén ta kurén pen da
sa lengre zor
4 - Glej rivodas-lo o Tóni, o pral do
Fríku ta komensodás te kurél o Čáno,
pardás les da dabá ta mukjás les koj
pri čik
5 - Ki trasárla, kánte o Čáno
sganǧadás pes sas-les ne musín
pagardí
6 - Dik ke baró ková! Na kamáva o
1 - Nei giorni scorsi i sinti hanno fatto
una festa. Tuló ha portato quattro
damigiane di vino. Poi sono andati a
bere da una roulotte all'altra
2 - Amico, quanto hanno bevuto: vino,
grappa… con loro c'era Ciano. Lo
conoscono tutti perché è abituato a bere
fin da quando era giovane!
3 - Allora le discussioni si sono fatte
più accese. Una parola tira l'altra ed
hanno cominciato a litigare. Ciano e
Fricu hanno iniziato a darsele di santa
ragione
4 - Allora improvvisamente è arrivato
Toni, il fratello di Fricu e ha cominciato
a battere Ciano, lo ha riempito di botte
poi lo ha lasciato lì disteso in terra
5 - La mattina, quando Ciano si è
risvegliato aveva un braccio rotto
6 - Ma guarda tu che roba! Non mi
piace quando i Sinti si comportano così.
1 - patreǧí = festa. Lett. "Pasqua". Termine
utilizzato per indicare, oltre alla Pasqua
qualsiasi festa; ker- ne patreǧí = fare una
festa.
I Sinti sono generalmente persone pacifiche
che non amano le risse. Tuttavia in occasione
di feste o altro, complice qualche bevuta di
troppo, può accadere che insorgano dispute e
che i contendenti arrivino alle mani. Ma è
davvero raro che questi momenti degenerino e
non di rado accade che nel giro di pochissimo
tempo i soggetti coinvolti tornino a
riappacificarsi. Anche queste situazioni, che il
racconto ci illustra in modo un po' pittoresco,
fanno parte di un mondo diverso che esprime
in maniera spontanea i propri sentimenti, un
mondo che in fondo appare più genuino di
quello dei "gaǧé".
Sempre a proposito di feste e ricorrenze si puó
dire che non esistono festività specifiche dei
SP, i quali, essendo perlopiù di confessione
cattolica, celebrano le festività tradizionali
come il Natale, i Vajnáχta - dal ted.
Weinachte - (ma in SPF Netálo - dall'ital. e
piem.), la Pasqua, i Patreǧí (pare che il
termine derivi da patrín = foglia, essendo la
Pasqua simboleggiata dalle foglie di palma e
53
vínkimo da le Sínti kánte keréna gjal.
Keréna le patreǧjá par te lačén
maśkar pénde ta komensóna te pjen
fin-a kánte čingaréna. Ke laǧ!
7 - Par i baχt ke na sa le Sínti i-le sar
o Čáno. Jóŭ i-lo sémpar piló ta par ne
ková da či rodéla o čingárimo.
Kon pjéla but pjéla nínge péskri
godín!
Fanno le feste per incontrarsi tra di loro
e cominciano a bere fino a litigare. Che
vergogna!
7 - Per fortuna che non tutti i Sinti sono
come Ciano. Lui è sempre ubriaco e
attacca brighe per una cosa da niente.
Chi beve molto si beve anche il proprio
cervello!
di ulivo) e, naturalmente il Capodanno, o vágo
divés do berś.
Tra le ricorrenze più sentite vi è sicuramente il
novembre, Giorno dei Morti, o Divés da le
Mulé (sull'argomento vedere TESTO 38 pag.
74-75).
Come si viveva una volta… (2)
In estate i Sinti giravano per cercare lavoro in campagna ed in autunno andavano a caccia di ricci.
Il riccio, la cui carne grassa è molto apprezzata, e' il piatto tipico della cucina sinta; altre specialita' come la "puzústra"
(salame piccante fatto con le interiora della gallina macinate e fatte soffriggere insieme a uova sbattute) e il "śukló χabén"
(ricetta a base di interiora e carne di gallina con aceto e numerosi altri ingredienti).
Quando avevano bisogno di qualcosa per sfamarsi andavano dai gage' a chiedere pane, patate, uova, salame, lardo.
Talvolta accadeva che alcuni gage' particolarmente generosi regalassero loro un po' di carne, una gallina o un coniglio.
La sera, dopo aver mangiato, i Sinti si sedevano intorno ad un fuoco. C'era sempre un uomo anziano o una donna anziana
che raccontava alcune fiabe e tutti ascoltavano prestando attenzione.
Nei giorni di festa gli uomini suonavano i loro strumenti. La maggior parte di essi sapeva suonare solamente la chitarra,
qualcuno forse anche il violino. Essi cantavano le canzoni mentre le giovani ragazze ballavano.
Allora non esisteva la tivu', i Sinti erano piu' poveri ma anche piu' felici e per essi i tempi erano migliori.
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RAKARIBÉN 27 (BIŚ TA EFTÁ) TESTO 27 NOTE
1 - Jáŭ kaj paśál mánde, tikní, ke me
na śunáva tu óske som kaśukí
2 - Pándra pi paričál ta rakár pi zor.
Véssa da durál, na?
3 - Na. Váva da kaj paśál. Jamén sam
plasadé koj pren. Mro kaké o Pepíno
i-lo dur. Gjám ménge vek léstra óske
sas-lo dinó ménča
4 - Mro ba pendás léske: Ǧa par tro
drom. Ǧa durál méndra ta na ves
butér kaj kun tro śeró narvaló
5 - Kaná sam pi paśál túke, nóna.
Gjal čássa pi but ketané
6 - Si-tumen i naśibángeri?
7 - Dik! Ǧanés ke mro ba na inǧéla i
naśibángeri. Si-amén duj graj, jek
brúno ta jek parnó. Na χána-le but:
mónsi sŭámo ta ǧov kun o panín.
Lénge si dóstra gjal
1 - Vieni qui vicino a me, piccolina, che
non ci sento perché sono sorda
2 - Ancora più vicino e parla più forte.
Vieni da lontano, no?
3 - No, vengo da qui vicino. Siamo
accampati lassù. Mio zio Pepino è
lontano. Siamo venuti via da lui perché
si comportava male con noi
4 - Mio padre gli ha detto: Va per la tua
strada. Vai lontano da noi e non venire
più qui con la tua testa matta
5 - E adesso siamo più vicino a te,
nonna. Così resteremo di più assieme
6 - Avete la macchina?
7 - Toh, guarda! Lo sai che mio papà
non guida. Abbiamo due cavalli, uno
nero ed uno bianco. Non mangiano
molto: solo fieno e avena con acqua. A
loro basta
3 - ménča = con noi. Anche ménsal.
Tuménča = con voi. Anche tuménsal
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RAKARIBÉN 28 (BIŚ TA OΧTÓ) TESTO 28 NOTE
1 - Sas ne kópo ne baró raj ta ne
sínto. Jon pirénas-le pro drom sa o
divés fin-a ki ratí
2 - Jon sas-le ǧa kiné, pirénas-le finké
dikjén-le ne tinó ker ke o vudár sas
putardó ta ndren nas kek
3 - "Dik, stik te sovás ndren kavá tinó
ker - pendás o sínto. Tu, baró raj, čiv
tu koj paričál o máuro ta me čáva kaj
paśál o vudár"
4 - "Ová. Lačí rat, sínto - pendás-lo o
baró raj"
5 - Čidén pen te sovén ta glej vjas o
petláro ke čélas ndren ková ker ta jóŭ
sas-lo piló
6 - "So keréla kavá kaj ndren mro
ker?" penéla o petláro. Léla je kast ta
komensóla te kurél o čororó sínto ta
palé ǧála péske vek...
7 - O sínto, sa dukadó, karéla o baró
1 - C'era una volta un signore ed un
sinto. Passeggiavano lungo la strada
tutto il giorno fino a sera
2 - Erano già stanchi, continuarono a
camminare finché videro una piccola
casa con la porta aperta e dentro non
c'era nessuno
3 - "Guarda che potremo dormire in
questa capanna - disse il sinto.
Tu, signore, mettiti lì vicino al muro ed
io resterò qui nei pressi della porta"
4 - "Va bene. Buona notte, sinto - disse
il signore"
5 - Cominciarono a dormire finché
all'improvviso arrivò il padrone della
casa che era ubriaco
6 - "Cosa ci fa questo nella mia casa?"
dice l'uomo. Prende un bastone e
comincia a picchiare il povero sinto e
poi se ne va…
1 - baró raj = Lett. gran signore. Indica una
persona "di rango". Il femminile è barí raní.
Significa anche "padrone" e , per estensione
"datore di lavoro". Es. O raj do ker "il
padrone di casa", mro raj "il mio datore di
lavoro" ecc.
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raj: "Sganǧés tu, baró raj! Jáŭ tu kaj
paśál o vudár ta me ǧáva te sováu koj
an o vavér rik". Jon parovéna-le da
stéto ta čivéna pen te sovén
8 - Dop ne písla čiro véla palé o
petláro ke sas-lo pándra piló, véla-lo
palé kun o kast ta déla goǧí: me djom
ǧa but dabá par kavá kaj ke sovéla-lo
paśál o vudár. Kaná ǧáva te dáu par
o vavér ke sovéla paričál o máuro
9 - Čororó sínto! Sas pándra jóŭ ke
ljás sa le dabá.
Gjal si o trúpo da le čororé Sínti: in
sa le stéti kaj ǧána-le, da ne rik o da
ne vavér sémpar léna le dabá...
7 - Il sinto, tutto dolorante, chiama il
signore: "Sveglia, signore! Vieni tu
vicino alla porta e io vengo a dormire là
dall'altra parte". Si cambiano posto e si
rimettono a dormire
8 - Dopo un po' di tempo ritorna il
padrone di casa che era ancora ubriaco,
torna con il bastone e pensa: ho dato
abbastanza botte a questo che dorme
vicino alla porta. Adesso vado a
picchiare un po' anche quell'altro che
sta dormendo vicino al muro
9 - Povero sinto! E' di nuovo lui ad
essersi preso le botte.
Così è la vita dei poveri Sinti: in tutti i
posti in cui vanno, da una parte o
dall'altra, se le prendono sempre…
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RAKARIBÉN 29 (BIŚ TA ENJÁ) TESTO 29 NOTE
1 - Sas ne Sínto ke pirélas kun léskri
vardín čardiné da duj graj
2 - Le duj graj naśjen-le ta gjen-le
ndri čik fin-a telál da léngre kan
3 - O Sínto pendás: Baró Devél, se tu
keréssa te ven vrin di čik mre duj
graj me tabaráva ne momolín barí
sar ne ruk!
4 - Alúra péskri čaj pendás-li: "Mro
ba, par so na penéssa o čačipén?
Ǧanéssa miśtó ke na si momoljá baré
sar le ruk!"
5 - "Dik ke purdiní! - pendás o Sínto -
par so rakaréssa? Na stik te čes stil?
Muk o Baró Devél ta del ma ne vast
ta palé dikássa!"
1 - C'era un sinto che viaggiava con il
suo carrozzone trainato da due cavalli
2 - I due cavalli si staccarono e finirono
nel fango fino all'altezza delle orecchie
3 - Il Sinto disse: Signore, se fai uscire i
miei due cavalli accenderò un cero
grande come un albero!
4 - Allora sua figlia disse: "Papà, perché
dici bugie? Sai bene che non ci sono
candele grandi come alberi!"
5 - "Guarda che schifosa! - disse il
Sinto - ma perché parli? Non puoi
startene in silenzio? Lascia prima che il
Buon Dio mi aiuti, poi si vedrà!"
L'astuzia è una caratteristica dei Rom e dei
Sinti e spesso è argomento di racconti dal tono
umoristico.
Molti racconti della tradizione orale dei Rom e
dei Sinti mettono in risalto la capacità di
cavarsela proprio grazie all'astuzia che è di
gran lunga superiore a quella dei "gaǧé" e
talvolta perfino a quella del diavolo (beng) e
del Buon Dio (Baró Devél)...
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RAKARIBÉN 30 (TRIÁNDA) TESTO 30 NOTE
I romní t'o krapódo
1 - Sas ne kópo ne rom ta péskri
romní ke ǧánas pro drom kun i
vardín
2 - Glej i romní penéla ko rom: "Če
kaj ke ǧáva ndren ková ker"
3 - Véla ndro ker par te dukarél i
gaǧí
4 - I gaǧí penéla: "Si-ma sonakáj ma
nastik láva les óske si ne krapódo pre
léste. Se déssa mánge ne vast dáva
túke o paś"
5 - I gaǧí inǧjás-li ne kakaví kun o
sonakáj ta pri di kakaví χip sas ne
krapódo
6 - I romní penéla ki gaǧí: "Ǧa koj
pren te rodés mánge písla panín"
7 - Gjas-li i gaǧí, i romní djas ne
La donna e il rospo
1 - C'era una volta un uomo con sua
moglie che viaggiavano con la roulotte
2 - Improvvisamente la donna dice al
marito: "Fermati che vado in quella
casa"
3 - Entra in casa per leggere la mano
alla gagí
4 - La gagí dice: "Ho dell'oro ma non
posso prenderlo perché sopra c’è un
rospo. Se mi aiuti te ne darò la metà"
5 - La gagí porta una pentola con l'oro e
sopra il coperchio c'è un rospo
6 - la donna dice alla gagí: "Va lassù a
cercarmi dell'acqua"
7 - La gagí va, la donna dà un calcio
alla pentola ed il rospo scappa
Si tratta di un racconto dei Manouche tradotto
in sinto piemontese.
E' interessante notare come i protagonisti dei
racconti tradizionali (paramíssi) siano
frequentemente entità soprannaturali: Dio
(Devél), il diavolo (beng), i defunti (mulé).
Queste figure costituiscono infatti il mondo
soprannaturale dei Rom e dei Sinti, costituito
da una visione dualistica del bene
contrapposto al male.
Le paramíssi darané sono i "racconti della
paura" che un tempo venivano raccontate la
sera intorno al fuoco, quasi a sfidare il
coraggio di chi le ascoltava prima di andarsi a
coricare...
3 - dukaréla i gaǧí = leggere la mano alla
gagí. Notare che il verbo dukar- è transitivo.
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latadiní ki kakaví t'o krapódo naśjás
8 - Alúra i gaǧí čidás o pas do sonakáj
ndri putísa di romní
9 - I romní ǧála paričál da péskro
rom ta penéla léske: "Ǧas vek kun o
graj, kaná sam bravalé"
10 - Dop ne písla penéla: "Dik palál
ke śunáva čomoni ke véla palál
mánde"
11 - O rom penéla: "Me na dikáva či"
12 - Dop ne písla i romní penéla
pándra: "Dik palál ke śunáva
čomóni"
13 - "Me na dikáva či" - penéla o rom
14 - Dop písla číro: "Dik, śunáva
čomóni, dik"
15 - "Ová - penéla o rom - dikáva ne
baró krapódo, ma na dar".
16 - O rom gjas telé di vardín ta
mardás o krapódo kun ne barí čurín
ta pendás ki romní: "Kaná stik te čas
8 - Allora la gagí ha messo metà
dell'oro nella tasca della donna
9 - La donna va vicino al marito e gli
dice: "Andiamocene con il cavallo, ora
siamo ricchi"
10 - Dopo un po' dice: "Guarda indietro
che sento qualcosa che mi segue"
11 - L'uomo dice: "Io non vedo nulla"
12 - Dopo un po' la donna dice
nuovamente: "Guarda indietro che
sento qualcosa"
13 - "Io non vedo nulla" - risponde
l'uomo
14 - Un istante dopo: "Guarda, sento
qualcosa, guarda"
15 - "Sì - dice l'uomo - vedo un grosso
rospo, ma non aver paura".
16 - L'uomo scese dalla roulotte e
uccise il rospo con un lungo coltello poi
disse alla donna: "Adesso possiamo
rimanere tranquilli"
60
kamlé"
17 - O divés dópu, o rom sganǧavéla
pes ta keréla ne písla brúno par
péskri romní. Pučéla ki romní se
kaméla te pjel o brúno ma i romní na
penéla či
18 - Ǧala paričál di romní ta dikéla
ke si ne krapódo pre lákro beč. I
čororí romní sas-li mulí
19 - I romní fardjás o beng vek do
ker di gaǧí ma o beng pejás pren láte
17 - Il giorno successivo, l'uomo si alza
e prepara un po' di caffè per sua moglie.
Chiede alla moglie se vuole bere il
caffè ma la donna non dice nulla
18 - Si avvicina alla donna e vede che
sul suo stomaco (petto) c'è un rospo. La
donna giaceva morta
19 - La donna aveva cacciato il diavolo
dalla casa della gagí ma il diavolo era
caduto addosso a lei
Cucina sinta (1) – il "níglo"
Il niglo (riccio) si mangia solamente durante l'autunno e l'inverno. Per togliere gli aculei si fa un'incisione in una zampa
posteriore, si prende una cannuccia, la si infila nell'incisione e si soffia. Quando è gonfio come una palla lo si immerge
nell'acqua calda per alcuni minuti e con un rasoio affilato si radono le spine.
Normalmente si cucina il maschio che può essere fatto alla brace o bollito oppure anche al forno ripieno di carne di pollo o di
maiale.
Níglo n'lajáda (riccio in gelatina)
Si prepara un soffritto con tanto aglio e altri odori, si soffrigge il riccio fatto a pezzi, poi si aggiunge l'acqua e lo si fa cuocere
finché il brodo diventa denso. Giunto il tutto a cottura si copre e si mette a raffreddare per tutta la notte finché il brodo e la
carne formano una gelatina saporita.
61
RAKARIBÉN 31 (TRIÁNDA TA JEK) TESTO 31 NOTE
1 - Ke śukár tinó ǧukél! Ke i-lo
kamló! Da kaj véla-lo?
2 - Da mri ǧuklí. Joj kerdás pándra
vavér trin tiné ǧukéj
3 -Na si-ma o lió par te maráu len
4 - Kánte véna-le pro bolibén le tiné
ǧukéj sa le čávé mangéna jek. Kavá
kaj i-lo par i tiní čaj. O tinó parnó si
par o Romeo, o vavér loló par i tiní
Debora
5 - Kaj me na kamáva butér kek
ǧukéj. Fardáva len vek. Mutréna-le
pri čik sa o divés, ćingaréna-le,
čardéna le rivibén ta le tuále, déna
búka kaj le tiné čavé... óni divés
pjéna but tud...
6 - Dik! O Elvis čardéla i porín di
ǧuklí ! Čororí! Na ker gjal, ej! Oj ke
diné čavé!
1 - Che bel cagnolino! Com'è
simpatico! Da dove viene?
2 - Dalla mia cagna. Ha fatto altri tre
piccoli cani
3 - Non ho il coraggio di ucciderli
4 - Quando nascono i cagnolini tutti i
bambini ne chiedono uno. Questo è per
la bambina. Il piccolo bianco è per
Romeo, quell'altro rossiccio per la
piccola Debora
5 - Qui da me non voglio più nessun
cane. Li mando fuori. Fanno pipì in
terra tutto il giorno, litigano, tirano i
vestiti e le tende, mordono i bambini...
ogni giorno bevono un mucchio di
latte...
6 - Guarda! Elvis tira la coda della
cagna! Poveretta! Non fare così, ehi!
Oh che bambini dispettosi!
2 - ǧukéj = cani. Plur. di ǧukél. In SPF il
plurale rimane invariato.
62
RAKARIBÉN 32 (TRIÁNDA TA DUJ) TESTO 32 NOTE
1 - I romní: Na ǧanáva sar stik te
inǧés i naśibángeri maśkarál da kalá
vavér naśibángere ke véna-le da sa le
rigá ta fardéna le líχte ndren méngre
jaká! Meráva di dar...
2 - O rom: Oj, na ves traśuní, kuč
romní, ker sar me: pang tre jaká!
***
1 -Duj váχte ǧána kaj ne romní.
Śun, romní - penéla o śéfo - par i
bibáχt tro rom gjas-lo kúntra ne
naśibángeri
2 - Oj! Mujás-lo?
3 - Ová! I-lo čindó in duj tokór
4 - Ah! Χajóváva. Beh, na keréla či.
Inǧén mánge o tokór kaj si léskro
póχo!
1 - La moglie: non so come fai a
guidare in mezzo a tutte queste auto che
arrivano da tutte le parti gettandoci le
luci negli occhi! Muoio di paura...
2 - Il marito: Oh, non spaventarti, cara
moglie, fa come faccio io: chiudi gli
occhi!
***
1 - Due vigili si recano da una donna.
Ascolti, signora - dice il capo -
disgraziatamente suo marito è andato (a
sbattere) contro un'auto
2 - Oh! E' morto?
3 - Sì! E' diviso in due pezzi
4 - Ah! Capisco. Beh pazienza.
Portatemi il pezzo nel quale si trova il
suo portafogli!
63
RAKARIBÉN 33 (TRIÁNDA TA TRIN) TESTO 33 NOTE
"Le Röze"
1 - "Le Röze" si o láŭ da ne plása da
le Sínti a Türináte. Jon ǧivóna-le koj
da pi but da paś śel berś
2 - But číro fa sa trujál da ková stéto
sas mónsi i félda ta o fóro is-lo durál.
Pöj koj paričál komensodén te kerén
le ker
3 - Fin-a biś berś fa sa le Sínti da "Le
Röze" ǧivónas-le ndren le baré
vardinjá. Kaná pi but ǧivóna ndren le
tiné ker.
4 - Mónsi o kaké Vánni ta léskri
romní si-len pándra ne śukár purí
barí vardín
5 - O kaké Vánni na si butér tarnó ta
déla pes pandra goǧí da kánte le Sínti
pirénas kun le vardinjá čardiné da le
graj
6 -Maśkarál da kolá Sínti da "Le
"Le Röze"
1 - "Le Röze" è il nome di una piazza
dei Sinti a Torino. Essi vivono lì da
oltre cinquant'anni
2 - Molto tempo fa tutto attorno a quel
posto c'era solo campagna e la città era
distante. Poi lì vicino hanno cominciato
a costruire le case
3 - Fino a vent'anni fa tutti i Sinti del
campo "Le Röze" vivevano nei
carrozzoni. Ora molti vivono in casette
(prefabbricati).
4 - Soltanto lo zio Vanni e sua moglie
hanno ancora un bel carrozzone antico
5 - Lo zio Vanni non è più giovane e si
ricorda ancora di quando i Sinti si
spostavano con le roulotte trainate dai
cavalli
6 - Tra quei Sinti del campo "Le Röze"
c'è anche il Cale con la sua famiglia. Al
4 - o kaké Vánni = Lo zio Vanni. Il termine
kaké "zio" è usato anche come espressione di
riguardo nei confronti di persone anziane. Lo
stesso vale per bibí "zia".
Nel caso specifico kaké Vanni è tra coloro che,
con molta pazienza e disponibilità, hanno reso
possibile la realizzazione di questo volume,
come anche l'amico Cale, citato in questo
stesso testo. Entrambi, purtroppo, scomparsi
da alcuni anni (rev. Gennaio 2021)
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Röze" si nínge o Kále ta léskri famía.
O Kále kaméla but te baśavél i séjla
7 -Si but Sínti ke baśavéna o ke
gjavéna miśto. Ma par bibáχt jon
bistardén le puré giljá romané
8 - Le giljá ke jon kaména pi but si le
giljá napuléngere ta le giljá da
kamlipén
9 - Kánte le Sínti dikéna ne gaǧó ke
véla máśkar lénde se na prinǧaréna
les glej pučéna léske: "Par so vjal
kaj? Kon rodés?" di dar ke na si ne
mal
10 - Ma se jon pinǧaréna les alúra glej
karéna les te pjél ne brúno o ne glázo
di mol lénča o nínge par te χal se si i
kóra do χabén
11 - Kánte ne gaǧó véla-lo mal da le
Sínti ta i-lo pinǧardó si sar komóni di
famía
Cale piace molto suonare la chitarra
7 - Vi sono molti Sinti che suonano o
che cantano bene. Ma purtroppo essi
hanno dimenticato le vecchie canzoni
zingare
8 - Essi preferiscono le canzoni
napoletane e le canzoni d'amore
9 - Quando i Sinti vedono arrivare un
gagió in mezzo a loro se non lo
conoscono gli chiedono subito: "Perchè
sei venuto qui? Chi cerchi?" per timore
che non sia un amico
10 - Ma se essi lo conoscono allora lo
invitano subito a prendere un caffé o un
bicchiere di vino insieme a loro o anche
a mangiare se è l'ora del pranzo
11 - Quando un gagió diventa amico dei
Sinti ed è conosciuto è come qualcuno
di famiglia
65
RAKARIBÉN 34 (TRIÁNDA TA ŚTAR) TESTO 34 NOTE
O śtár kráfjo
1- O Baró Devél dikéla pren sa le
Sínti. Le Sínti stik te bičavén le
ramanjá palál le gaǧé ma le ramánjá
ke le gaǧé bičavéna palál le Sínti na
keréna či
2 - Kaná penáva túmenge óske si gjal.
Kánte čidén o Baró Devél pro truśúl
sas te marén pro truśúl nínge duj
gaǧé
3 - Le gaǧé kerdén deś ta duj kráfi,
śtar par óni jek. Ne čoribángero ke
sas te vel mardó sas ne sínto. Ková
čororó sínto na kamélas ke le zunári
maréna o Baró Devél
4 - Par kavá kaj čordás jek kráfjo ta
garadás les. Le zúnari rodjén rodjén
ma nastik dikjén kaj sas garadó o
kráfjo
5 - Jon mardén-le o Baró Devél pro
truśúl kun mónsi trin kráfi: duj par
Il quarto chiodo
1 - Il Buon Dio si prende cura di tutti i
Sinti. I Sinti possono maledire i gagé
ma le maledizioni che i gagé mandano
ai Sinti sono inefficaci
2 - Ora vi dico il perché. Quando
crocifissero il Signore dovevano
uccidere sulla croce altri due uomini
3 - I gagé prepararono dodici chiodi,
quattro per ciascuno. Uno dei ladri che
doveva essere ucciso era un sinto. Quel
povero sinto non voleva che i soldati
uccidessero il Signore
4 - Per questo egli rubò un chiodo e lo
nascose. I soldati cercarono, cercarono
ma non trovarono dov'era stato nascosto
il chiodo
5 - Essi crocifissero il Signore soltanto
con tre chiodi: due per le mani ed uno
solamente per i piedi
- o śtár kráfjo = il quarto chiodo. In sinto
piemontese non esiste la numerazione
ordinale. Probabilmente in origine i numeri
ordinali venivano formati con l'aggiunta del
suffisso -to alla radice ordinale, analogamente
a quanto avviene in altri diall. sinti e rom.
Per la numerazione ordinale vedere le NOTE
al TESTO 18 (pagg. 39-40).
E' una leggenda molto diffusa tra i Rom ed i
Sinti con diverse varianti.
Una di queste giustifica il procacciamento del
cibo attraverso il furto.
Un'altra versione narra invece che fu un Rom
(o un Sinto) a forgiare i chiodi della croce. A
causa di questo egli attirò su di sé e sui suoi
discendenti il castigo divino che costringe gli
Zingari a vagabondare per il mondo senza
poter mai trovare un luogo in cui sostare.
66
le vast ta mónsi jek par le piré
6 - Alúra o Baró Devél pendás-lo par
o sínto: Tu kerdál miśtipén par
mánde.
Da kavá divés sa le Sínti kánte si
bokalé stik te ǧan ndro bolibén te
čorén so si-len bróχa par te ningavén
pen i bok
6 - Allora il Signore disse al sinto: Tu
hai fatto del bene per me. Da oggi tutti i
Sinti quando avranno fame potranno
andare per il mondo a rubare ciò che
servirà loro a sfamarsi
Il campo "le reuse" ( via Silvestro Lega 50) a Torino all' inizio degli anni 80
67
68
RAKARIBÉN 35 (TRIÁNDA TA PANČ) TESTO 35 NOTE
1 - O divés di dimánś o Mónali ǧála ki
míssa. Maśkarál di kangerín o raśaj
čivéla ne barí momolín ta sibjaréla
pren láte le keladé do berś: jek, enjá,
eftá, panč (1975)
2 - Sa o číro o Mónali dikéla kojá
śukár barí momolín. O raśáj pačéla ke
ková sínto prijavéla pi but da sassaré:
le jaká sa putardé, o muj paś putardó...
3 - Ke sínto kamló ke i-lo ta sar
prijávela but ! - tinkaréla o raśaj
4 - Dop di míssa o raśáj pučéla léske:
"Mro pral, so mangjál da sa tri zor ko
Devél kánte śunéssas i míssa ta
dikéssas katár i momolín?"
5 - "Na mangjóm či, raśáj, ljóm le
keladé ke si-le sibjardé pri momolín:
jek, enja, eftá, panč par te čiváu len
pre le graj kalikó. Kalá keladé inǧénale
but baχt ta lové óske si-le boldé kun
o háligo panín!"
1 - Il giorno di festa Monali va a messa.
Nel centro della chiesa il prete mette una
grande candela e scrive su di essa le cifre
dell'anno: uno, nove, sette, cinque (1975)
2 - Per tutto il tempo Monali guarda quella
bella candela. Il prete crede che quel sinto
preghi più di chiunque altro: gli occhi
spalancati, la bocca semiaperta...
3 - Com'è educato questo sinto e quanto
prega! - pensa il prete
4 - Al termine della messa il prete gli
chiede: "Fratello mio, cosa hai chiesto con
tutta la tua forza al Signore mentre
ascoltavi la messa e guardavi verso la
candela?"
5 - "Non ho chiesto nulla, padre (prete), ho
imparato (preso) i numeri che sono scritti
sulla candela: uno, nove, sette, cinque per
puntarli ai cavalli domani. Quei numeri
porteranno molta fortuna e denaro poiché
sono stati benedetti con l'acqua santa!"
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RAKARIBÉN 36 (TRIÁNDA TA ŚÓU) TESTO 36 NOTE
O panín ta i jag
1 - Maśkerál le Sínti o zuzipén si ne
śukár ková
2 - Par ne gaǧó stik te ven-le χamardé
ma si te ǧanén ke le Sínti čavéna an le
rik kaj si but panín
3 - O panín ta i jag i duj ková śukár
ta lačé. Le romnjá, tanké keravéna o
χabén, maśkerál tovéna le lúmpi
ndren le baré čaré
4 - Le lúmpi ta o parnipén tovéna len
čindé: le mesajá ta le tiné mesajá da
ne rik, da ne vavér rik le rivibén
5 - Rojá, čaré, kakavjá tovéna len
ndren baré čaré na sajék da le baré
čaré ke broχavéna-le par te továs o
parnipén ta le lúmpi χamardé
6 - Kun i jag le Sínti čačaréna pen ta
keravéna
L’acqua ed il fuoco
1 - Tra i Sinti la pulizia è considerata
importante
2 - Ad un estraneo essi possono
apparire sporchi, ma si deve sapere che
i Sinti si fermano nei posti in cui c’è
molta acqua
3 - L’acqua ed il fuoco sono due cose
belle e buone. Le donne, mentre
preparano il cibo, nel frattempo lavano i
panni nelle bacinelle
4 - I panni e la biancheria vengono
lavati separatamente: le tovaglie ed i
tovaglioli da una parte, i vestiti da
un’altra
5 - Cucchiai, piatti e pentole vengono
lavati in bacinelle diverse dalle
bacinelle usate per lavare la biancheria
ed i panni sporchi
6 - Con il fuoco i Sinti si scaldano e
Questo è il primo di tre testi tratti dal libro "O
ker kun le penijá (La casa con le ruote)
pubblicato nel 1995 da Sinnos Editrice nella
collana “I mappamondi” ed il cui autore è
Annibale Niemen, sinto piemontese che vive a
Roma.
Rispetto alla pubblicazione originale è stata
normalizzata l'ortografia.
Ciò che caratterizza questi testi rispetto a
quelli precedenti è la loro immediatezza
espressiva in quanto trascritti da dialoghi
registrati e non costruiti "a tavolino". Vale
quindi la pena fornire la traduzione letterale di
alcuni interi passaggi:
1 - si ne śukár ková "è una cosa bella"
(importante).
2 - stik te ven-le χamardé = può (è possibile)
che vengano sporchi.
3 - maśkerál tovéna le lúmpi = in mezzo (nel
frattempo) lavano i panni.
5 - ...na sajék da le baré čaré ke broχavénale
par te továs o parnipén... = ...non uguali
(diverse) dai grandi piatti (bacinelle) che (di
cui) necessitano per lavare (laviamo) la
70
7 - Trujál i jag piréla o trúpo da
sassaré. Si koj ke lačéna pen o
ternipén ta le puré
8 - Le tarné i-len vagéstre kamlipén
ta pöj solaχavéna pen
9 - Pasál i jag le puré rakaréna da le
stéti ke dikjén-le, kaj čela pes miśtó ta
kaj na stik ačavés tu par o dinipén da
le petlári
10 - Ginéna i strófa da méngri sléχa,
sikaréna le čavé o kamlipén rik le
baré
(segue)
cucinano
7 - Intorno al fuoco ruota la vita di tutti.
E’ lì che i giovani incontrano gli
anziani
8 - I giovani hanno i loro primi incontri
amorosi e poi si sposeranno
9 - Vicino al fuoco i vecchi raccontano i
luoghi che hanno visitato, dove si sta
bene e dove invece non ci si può
fermare a causa della cattiveria degli
abitanti
10 - Lì viene raccontata la storia della
nostra gente ed ai bambini vien
inegnato il rispetto per gli adulti
biancheria...
10 - sléχa = gente, stirpe.
- rik le baré = verso gli adulti.
Cucina sinta (2) – Il "śukló xabén" (gallina brusca)
Si tagliano a pezzetti le interiora e la carne della gallina e si mettono a soffriggere nell'aceto. Poi, per un'ora si fanno
cuocere con aglio, cipolla, noce moscata, prezzemolo, un po' di lauro, rosmarino e peperoncino.
Alla fine della cottura si prendono le uova, si sbattono e si mettono nel tegame insieme alla carne ed alle interiora e si lascia
cuocere il tutto ancora per qualche minuto.
La base del condimento di questa ricetta è l'aceto. I Sinti ne usano molto perchè amano i sapori forti.
71
RAKARIBÉN 37 (TRIÁNDA TA EFTÁ) TESTO 37 NOTE
O panín ta i jag (2)
1 - Ta sa le Sínti pasjóla ta kaména o
baśávimo ta o gilibén, sémpar si
komóni ke léla in ganjé i séjla, ke si o
basavimángero ke kaména fedér
2 - Inǧéla ková koj ta rakaréla. Jóŭ bi
te ǧanél-lo rakaréla-lo sa o číro do
baśávimo ta pöj čivéla pes te gjavél
3 - Alúra sassaré kun i puśukár véjzla
keréna ne vávro giló ta but véjzi jek
ta jek sassaré gjavéna ne gilí inǧadé
di séjla ta sa le véjzi
L’acqua e il fuoco (2)
1 -Tutti i Sinti sono appassionati ed
amano la musica ed il canto, c’è sempre
qualcuno che prende tra le braccia la
chitarra, che è lo strumento preferito
2 - Lo prende ed inizia a parlare. Senza
rendersene conto segue il ritmo della
musica e poi si mette a cantare
3 - Allora tutti intonano un’aria
sottovoce e in coro cantano una
canzone trascinati dalla chitarra e dalle
voci
Vedi nota introduttiva nella colonna in
NOTE del TESTO 36 (pagg. 70-71).
1 - pasj- = appassionare, piacere".
Ta sa le Sínti pasjóla ta kaména o
baśávimo... = E tutti i Sinti (li) appassiona ed
amano la musica...
3 - kun i pusukár véjzla = sottovoce. Lett.
Con voce adagio.
4 - … keléna pren o číro baśadó... = ballano
a suon di musica. Lett. Ballano sopra il tempo
suonato.
6 - ramá = pertiche, rami (piem).
Eftá but = settanta. Lett. Sette molti.
4 - Le romnjá ta le ǧuvjá gjavéna
nínge jon, tanké le vavér keléna pren
o číro baśadó
5 - Ndren le číri naklé, vagéstra te vel
o gaz, i jag tabarénas la telál le trin
kast
6 - Sas-le trin ramá da kast hog duj
méter, panglé da pren ta putardé da
4 - Anche le donne cantano mentre gli
altri ballano a suon di musica
5 - In passato prima che arrivase il gas
si accendeva il fuoco sotto tre pertiche
di legno
6 - C’erano tre pertiche alte due metri e
legate in punta in punta ed aperte a
triangolo nella parte inferiore. In alto
72
telál. Maśkerál o pren sas ne veranglí
hog eftá but (70) centímer
7 - Kaj da telál sas ne suví puterdí kaj
čivénas le kakavja do śudrúno t’o
kófro par te keravél o i kasséla par o
panín tató
8 - Pasál le trin kast čivassas le bar da
čik te na naśavél le langár t’o tatipén.
I bučár vélas-li zuzardí marχárli par
te tovél
9 - Par i suví pi hog sas ne pirín kun
ndren ta marχárli par kerél o brúno
kun i strímpa
10 - I strímpa si ne góno pangló da
telál ke vélas paś-pardó kun o brúno
čidó ndri pirín
11 - Ndri pirín čivásas o panín tató
par te vel o brúno sar kamássa. Si ne
brúno zoraló, kek brunéskero stik
kerél.
12 - O vagéstra ková ke le Sínti déna
a le mal si o brúno
c’era una catena fissata all’altezza di
circa settanta centimetri
7 - Su un gancio sistemato un po’ più in
alto venivano appese le pentole di rame
o di alluminio per cucinare o il tegame
per l’acqua calda
8 - Attorno alle tre pertiche si
mettevano le pietre per non disperdere
il carbone ed il calore. La cenere
ripulita (dal carbone) veniva usata per il
bucato
9 - Nel gancio più in alto c’era un
pentolino contenente l’acqua calda
usata per fare il caffè "con la calza"
10 - La calza è un sacchetto chiuso alla
base che veniva riempito a metà di
polvere di caffè immerso nel pentolino
11 - Nel pentolino mettevamo
dell'acqua calda per far venire il caffè
come ci piaceva. E' un caffè forte che
non si può fare con la caffettiera.
12 - La prima cosa che i Sinti offrono
agli amici è il caffè
7 - suví = gancio. Da suv (femm) = ago.
8 - i bučár vélas-li zuzardí marχárli par te
tovél = lett. La cenere veniva pulita servireessa
per lavare.
9 - ... o panín tató ta marχárli par kerél o
brúno kun i strímpa... = lett. ...l'acqua calda e
servire-essa per fare il caffé con la calza.
73
RAKARIBÉN 38 (TRIÁNDA-TA OΧTÓ) TESTO 38 NOTE
I Fuára da le Mulé
1 - Jek sikipén méngro si i míssa ta o
tinkárimo ke i-amén par le mulé.
O muló na véla kardó sar te vel ǧidó.
Karássa les “čóro” o “čororó” gjal te
ǧanás ke na i-lo butér
2 - Sa le Sínti i-len ne gáu o ne fóro
kaj inǧéna péngre mulé. Si gáu ke o
muléskero i-lo paś-pardó par paś-śél
(50) o śóu but (60) da Sínti, sar o
Savján
3 - O muléskero da koj i-lo pardó da
sa le Sínti da Itália hog. Méngre tíne
mulé véna-le inǧardé pro trúpo da le
péskre ménči pi panglé
4 - O drom ke ǧála di kangérin ko
muléskero véla-lo učardó da blúmi.
Kánte i kísa ǧála ndren o
murbaréskero ne pral o ne mal
gjavéla ne gilí ke fantólas ko čóro
muló
La Festa (Fiera) dei Morti
1 - Una nostra usanza è la messa ed il
ricordo che noi abbiamo per i nostri
defunti. Il defunto non viene chiamato
come se fosse ancora vivo. Lo
chiamiamo "povero" o "poveretto"
cosicché si sappia che non c’è più
2 - Tutti i Sinti hanno un paese o una
città in cui seppelliscono i propri morti.
Ci sono paesi il cui cimitero è per metà
riempito da cinquanta o sessanta Sinti,
come a Savigliano
3 - Quel cimitero è pieno di Sinti di
tutto il nord Italia. I nostri cari (piccoli)
defunti vengono accompagnati a spalle
dai loro parenti più prossimi.
4 - La strada che va dalla chiesa al
cimitero viene coperta di fiori. Quando
la cassa entra nel loculo un fratello o un
amico intona una canzone che piaceva
al povero defunto
Vedi nota introduttiva nella colonna in
NOTE del TESTO 36 (pagg.70-71).
2 - śóu but = 60. Variante di trin biš.
Lett. Sei molti
Savján = Savigliano, nome (in piemontese) di
una località in provincia di Cuneo.
3 - ménči pi panglé = parenti più prossimi.
Lett. Uomini (persone) più chiusi (stretti).
74
5 - Ndren le divés trin-jek (31) utúber
ta o jek (1) ta duj (2) nuémber sa le
bétrimi ačavéna pen sóske le Sínti
ǧána-le te lačén péngre kuč tíne mulé
6 - Si kon véna da gáu pasál, kon
kerdás ne paró (1000) kilómetri par
te inǧél ne blúma a le piré do truśúl
ke čéla no maśkerál do muléskero
7 - Ta an kolá divés le famíji ke i-le
vek par i Itália, ketané déna pen o
randivú par o berś ta vel
5 - Nei giorni trentuno ottobre ed il
primo e due novembre si fermano tutti i
lavori perché i Sinti vanno a rendere
visita al loro cari (piccoli) defunti
6 - C’è chi arriva da paesi vicini, chi ha
percorso mille chilometri per portare un
fiore ai piedi della croce che si trova al
centro del cimitero
7 - Ed in quei giorni le famiglie che
sono in giro per l’Italia, si danno un
appuntamento per l’anno seguente
5 - utúber e nuémber = ottobre e novembre
(piem.). Così come per i giorni della
settimana anche per indicare i mesi dell'anno
vengono utilizzati termini piemontesi, in
quanto sembra non sussistere una terminologia
sinta originale.
75
76
- PARTE SECONDA -
O Bovedantúna
(un racconto nel dialetto dei Sinti Piemontesi del Sud-est della Francia)
77
78
Nota introduttiva al testo
Come specificato nelle pagine di introduzione al presente volume il dialetto sinto piemontese è costituito da due varianti, quella
parlata in Piemonte e per estensione nelle regioni italiane in cui vi è una presenza di Sinti Piemontesi e quella parlata dai Sinti
Piemontesi stanziati nel sud-est della Francia.
I Sinti Piemontesi sono sicuramente giunti in Italia all’inizio del ΧV sec. e precisamente tra il 1410 ed il 1430. La presenza di
Zingari è infatti già segnalata in Germania meridionale, in Svizzera tra il 1417 ed il 1419 ed in alcune regioni della Francia,
sempre intorno alla stessa epoca. E' dunque da ritenere che gli attuali Sinti Piemontesi siano in larga misura i discendenti di
quelle popolazioni nomadi. Tale tesi è suffragata dalla continuità esistente nei nomi di persona, che ritroviamo ancora oggi
inalterati rispetto a quelli che attestano i registri anagrafici e parrocchiali a cominciare dagli anni intorno al 1450. I cognomi
portati dai Sinti Piemontesi sono in larga misura francesi, come La Forêt, De la Garenne, Du Bois, La Fleur, De Barre.
La presenza attuale di Sinti Piemontesi nella regione francese è però frutto di migrazioni avvenute dal Piemonte risalenti al secolo
scorso a seguito di movimenti migratori verso zone già attraversate in precedenza e non, come si potrebbe pensare, ciò che resta
di stanziamenti più antichi. Essi infatti sono ben consapevoli delle loro origini “italiane”. Questa comunità, dal punto di vista
linguistico, presenta numerose particolarità che possono essere così riassunte:
1. la presenza di termini sinti che non appartengono solo al dialetto dei Sinti Piemontesi ma anche a quello dei Sinti
Lombardi.
La supposizione che la migrazione verso la Francia abbia coinvolto oltre a Sinti Piemontesi anche un consistente numero di
Sinti Lombardi è confermata dalle affermazioni di alcuni membri di quella comunità i quali rivendicano un’origine mista
piemontese e lombarda. L’etnonimo Sinti Piemontesi avrebbe finito con il prevalere probabilmente a causa della maggior
presenza di questi ma le tracce linguistiche, oltre che la diretta memoria, costituiscono una prova evidente che essi
discendono da una popolazione sinta eterogenea.
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2. il sinto piemontese parlato in Piemonte è più conservativo rispetto a quello parlato in Francia.
Quest’ultimo è fortemente impregnato di imprestiti dalla lingua francese e dal dialetto piemontese e dall’italiano. E’
interessante notare come alcuni imprestiti dal dialetto piemontese o dall’italiano non siano affatto presenti nel sinto parlato
in Piemonte e ad essi corrispondano invece termini originali arcaici o di diversa origine.
Es. La forchetta SPP = i gábla, SPF = i furšéta (franc. fourchette); la finestra: SPP = i valín, SPF = i finíštra (piem.
fnéstra); il bisogno: SPP = i bróχa (ted. “brauchen” ), SPF o bizónjo (ital. bisogno); selvatico, selvaggio: SPP = divjó,
SPF salvatíko (ital. selvatico) [il termine divjó compare anche nel lessico del sinto piemontese francese ma con il
significato di “cattivo, mordace”]. ecc.
3 nel sinto Piemontese parlato in Piemonte vi è anche un certo numero di parole di origine francese. Queste tuttavia sono
state sostituite dai Sinti Piemontesi della Francia con termini di origine piemontese o italiana, quasi in una sorta di
scambio.
Es. la domenica = SPP o dimanš (dal franc. le dimanche); SPF = i domínika (dal piem. düminica). La sedia = SPP i šéza
(dal franc. chaise), SPF i kadréga (dal piem. cadréga).
Questo fenomeno può essere spiegato dal fatto che il sinto, come qualsiasi altro dialetto romaní, è da sempre utilizzato
anche come lingua “furbesca”. L’introduzione di parole da un’altra lingua in sostituzione a quelle già esistenti può essere
avvenuta per una scelta strategica. Nel momento in cui i Sinti Piemontesi sono “ritornati” in Francia possono aver sostituito
i termini francesi già presenti nel dialetto sinto con quelli piemontesi di uguale significato al solo fine di nascondere parole
ed espressioni che sarebbero state facilmente decriptate dai “gaǧé”.
4 Molti termini non esistono in sinto o, quantomeno, sono stati completamente dimenticati in entrambe le varianti.
Si sopperisce alla mancanza di alcuni lemmi ricorrendo a imprestiti che sono necessariamente diversi nelle due varianti.
Nel sinto piemontese parlato in Italia essi derivano dal piemontese o dall’italiano mentre nel sinto piemontese parlato in
Francia questi derivano dal francese.
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Es. Allora: SPP = alúra (piem. alura); SPF = alors (franc. Alors, pron. alór). Ma: SPP = ma (piem. e ital. ma); SPF = mais
(franc. mais, pron. me).
5 Il sinto piemontese parlato in Italia è certamente più puro da un punto di vista linguistico e ciò è dovuto ad un fenomeno di
cristallizzazione della lingua. Per contro il sinto piemontese parlato in Francia presenta interessanti aspetti innovativi.
Come già detto, in Italia il sinto piemontese non è più parlato correntemente presso le comunità italiane mentre invece esso
è ancora ampiamente utilizzato in Francia 4 . La minor purezza di quella variante è compensata da una maggiore creatività
anche se spesso essa si esprime attraverso l’introduzione di lemmi derivati dal francese.
Es. Abbassarsi: SPP = “mettersi sotto” = čiv- pes telé; SPF = basar-. Partire: SPP = “andare via” = ǧ- vek oppure
“prendere le strada” = l- o drom; SPF = partov- (franc. partir). Accerchiare: SPP = “mettersi intorno” = čiv- pes trujál;
SPF = anserklav- (franc. encercler). Curare, prendersi cura di: SPP = “guardare su” = dik- pren; SPF = suanjav- (franc.
soigner), ecc.
E’ interessante notare la creazione, in qualche caso, di neologismi anche curiosi. Uno di questi è šovnak (cinema). Questa
parola è la traduzione precisa di “six nez” (ovvero “sei nasi”, che foneticamente corrisponde a “cine”, ovvero “cinema”!)
Purtroppo anche per quanto riguarda la variante francese del sinto piemontese il materiale disponibile, per quanto accurato e
prezioso, è ampiamente insufficiente allo studio della lingua e soprattutto manca una grammatica. L’interesse che molti Sinti
Piemontesi residenti in Francia dimostrano per la loro lingua necessiterebbe invece di tali strumenti.
A differenza dei testi che costituiscono la prima parte di questo volume il racconto O Bovedantúna è la trasposizione di una
narrazione orale. Di conseguenza la forma risulta più imprecisa, la sintassi più incerta, l’impostazione meno lineare dei
dialoghi e dei brevi racconti letti in precedenza. Vi sono espressioni che possono risultare un po’ confuse e ripetizioni di
parole ed intercalari (ad es.: penéla “dice” - che a volte assume anche il significato di “risponde”) o espressioni tipicamente
verbali tipo “alors” (allora), eh beh, ecc., l’uso dei tempi verbali è talvolta incoerente e tutto questo rientra nelle caratteristiche
specifiche della narrazione orale, del racconto.
4 V. pag. 2, nota 2
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I racconti in sinto vengono detti “paramíssi” (dal greco παραμυθι). Presso i Rom il patrimonio letterario orale è composto da
narrazioni cosmogoniche e soprattutto dalla rielaborazione di storie tradizionali delle popolazioni sedentarie. ed è ampiamente
documentato grazie anche all’opera di molti ricercatori. Pare invece che i Sinti non abbiano un patrimonio di tradizione orale
altrettanto vasto ed elaborato, o quantomeno, esso non è stato conservato come invece è avvenuto in maggiore misura presso i
Rom. Nel caso specifico i Sinti Piemontesi dimostrano di essere a conoscenza di una tradizione orale basata sui racconti ma
questa sembra essersi inesorabilmente interrotta con l’avvento dei moderni mezzi di comunicazione (TV, radio), ovvero di
distruzione delle specificità culturali e dell’asservimento ad un unico modello di vita. La maggiore fragilità rispetto ad altre
minoranze linguistiche e culturali e la mancanza di precisa codificazione linguistica ha fatto sì che per essi l’impatto con la
società moderna sia risultato assai più devastante che in altri casi.
Il racconto O Bovedantúna riportato nelle pagine seguenti è la versione raccolta da Bernard Formoso narrata nel 1982 da
Fernand Dubois detto “Guillaume”, un sinto sedentarizzato fin dal 1960 a Mougins (Alpi Marittime). Si tratta di un racconto
già noto del quale si ha una precedente versione datata 1910 raccolta da A.E.John da un sinto piemontese chiamato Baukols.
Quest’ultima fu pubblicata nel 1911 dal Journal of the Gypsy Lore Society e presenta numerose differenze con la versione più
recente.
Il testo, suddiviso qui in dodici parti, è la trascrizione di quello pubblicato su Lacio Drom n. 4 del 1984 (pagg. 5-8). Sono stati
introdotti alcuni piccoli aggiustamenti per conferire ad esso una maggiore leggibilità, senza tuttavia snaturarne in alcun modo
la caratteristica di narrazione orale. Si è inoltre intervenuti sull’ortografia uniformandola alle regole osservate nei testi
precedenti che si richiamano ad un modello di trascrizione della lingua romaní convenzionalmente accettato dalla maggior
parte degli studiosi. La traduzione in lingua italiana è stata realizzata a partire dal testo sinto e presenta pertanto alcune
variazioni (di stile e non di contenuto) da quella curata da Mirella Karpati in Lacio Drom a partire dal testo francese.
La matrice del racconto O Bovedantúna - dice Mirella Karpati su Lacio Drom n. 4/1984 a margine del testo - va ricercata nel
filone cavalleresco derivato dalla chanson de geste e diffusosi in Italia intorno al 1200. La prima forma fu quella dei cantari,
racconti in versi che esaltavano le gesta compiute da un cavaliere per liberare la pulzella vittima di sorprusi… Si tratta di
una letteratura aulica portata dai trovatori di castello in castello che ben presto trovò forma scritta… La vena letteraria
sembra esaurirsi nel ΧVI secolo, ma contemporaneamente la stessa ispirazione cavalleresca si era andata radicando
fortemente nella tradizione popolare… Come mai - si chiede ancora Mirella Karpati - questa tradizione è giunta ed è stata
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evidentemente portata avanti dai Sinti Piemontesi? E’ un problema di facile soluzione. I Sinti italiani si sono sempre dedicati
allo spettacolo in tutte le sue forme ed è quindi estremamente probabile che abbiano interpretato con le marionette o di
persona un repertorio tratto dai romanzi cavallereschi...
Nella colonna “NOTE” posta a destra dei testi in sinto ed in italiano sono stati privilegiati richiami alle specificità lessicali e
sintattiche riscontrabili nella variante francese del dialetto sinto piemontese.
Per concludere va comunque sottolineato che, malgrado le numerose differenze evidenziate, queste non sono tali da creare
problemi di comunicazione tra i parlanti dell’una o dell’altra variante e forse soltanto la significativa presenza di una comunità
di Sinti Piemontesi oltralpe potrà contrastare l’estinzione di questa lingua.
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RAKARIBÉN 39 (TRIÁNDA TA ENJÁ) TESTO 39 NOTE
1 - Jas e dab je králi ta ková králi
délas pa-lo góli Dúka Gojdóli, o ba do
Bóvo, Dúka Gojdóli, ta léskri romní
délas-la góli Béla Brandórja
2 - Alors ková králi jas-lo zoraló par
kur pes-lo kun o sábro kun le vavér
žunári. Jov marlás len kaj sa, mak
péstar
3 - Ta vjas, vjas puró, ková králi.
Alors léskri romní kamélas je vavér,
la Béla Brandórja, kamélas je vavér,
je vavér králi ta ková králi jas e
türko, o králi da le türki
4 - Alors léskri romní, do ková Dúka
Gojdóli, mordás pa-li sa ándro
safráno, sa, sa ándro kórpo. Alors jov
véla-lo ta joj jas-li ándro vódro, mais
špitáke kerdás-li dová
5 - Alors lákro rom, o Dúka Gojdóli:
"Mais so i-tu? Mais so i-tu? Pen
mánge so i-tu! Inǧáva túke le médiki
1 - C'era una volta un re e quel re si
chiamava Duca Goidoli, il padre di
Bovo, Duca Goidoli, e sua moglie si
chiamava Bela Brandoria
2 - Allora quel re era forte a battersi con
la sciabola con gli altri soldati. Li
uccideva tutti da solo
3 - E diventava, diventava vecchio, quel
re. Allora sua moglie voleva un altro, la
Bela Brandoria, voleva un altro, un
altro re e quel re era un turco, il re dei
turchi
4 - Allora sua moglie, di quel Duca
Goidoli, si era cosparsa di zafferano,
tutto, su tutto il corpo. Allora lui arriva
e lei era nel letto, ma lo aveva fatto
apposta
5 - Allora suo marito, il Duca Goidoli
(dice): "Ma che cos'hai? Ma che
cos'hai? Dimmi che cos'hai! Ti porto i
dottori che ci sono là!". "Ah! Non sai? -
Sono stati evidenziati in carattere corsivo i
seguenti termini (ricorrenti) in lingua francese
presenti nel racconto (e, più in generale, nel
dialetto SPF):
- alors = allora
- allez! = su!, orsu!
- faut = bisogna, occorre
- mais = ma
oltre a numerose espressioni in francese
presenti nel testo.
1 - jas = era, c'era. In SPP sas. Il passaggio s >
j nei verbi (es. Sas > jas, kaméssa > kaméja,
vássa > vája, ecc.) è tipico del dialetto sinto
lombardo.
jas e dab = c'era una volta. In SPP sas ne
kópo.
- e = un (art.indeterm.) Come je.
- délas pa-lo goli = si chiamava (lett. si
gridava).
E' interessante notare che la particella
rafforzativa -lo viene posposta al pronome
riflessivo pa (quest'ultimo inoltre è
sconosciuto in SPP che utilizza unicamente la
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ke in koj!". "Ah!, či ǧanés? - penéla -
so kamáva man?"
6 - O králi penéla:"Eh beh! Mang so
kaméja! Keráva les túte". Léskri
romní penéla: "Eh beh! Faut inǧás
les mánge je tiknó čiriklo. Mais te na
mars les! Faut les les kun tre vast! -
penéla - Te inǧés les mánge kaj, váva
mištó!"
(segue)
dice - cosa desidero?"
6 - Il re dice: "Eh beh! Domanda ciò
che vuoi! Lo farò per te". Sua moglie
dice: "Eh beh! Devi andarmi a prendere
un uccellino! Devi catturarlo con le tue
mani! - dice - se me lo porterai qui,
starò bene!"
forma pes).
2 - alors = Franc. allora.
- par kur pes-lo = per battersi.
E' interessante notare che:
1) viene utilizzata la radice verbale (kur-) per
esprimere l'infinito;
2) anche qui la particella rafforzativa -lo viene
posposta al pronome riflessivo pes.
In SPP la traduzione sarebbe di preferenza par
te kuréla pes o par te kuréla-lo pes.
- jov = egli. In SPP jóŭ. Si tratta di una
leggera differenza fonetica riscontrabile anche
nell'elision del verbo alla prima persona
singolare. Es. Ǧáva (te) dikáu > ǧáva (te)
dikáv (vado a vedere). In SPP tale fonema è in
realtà una semivocale che sarebbe più corretto
scrivere ŭ (ma che, per semplificare, nelle
forme abbreviate dei verbi si è scelto di
trascrivere come u).
- mak (piem.), ma in SPP mónsi.
- mak péstar = solo lui. In SPP è preferibile
tradurre con da péstra (da sé) o mónsi jóŭ
(solamente lui). Notare péstra > péstar. I
pronomi personali in forma ablativa in SPF
trasformano la finale ra in ar/er: mándra >
mándar; tutra > tútar, léstra > léstar; látra
> látar; méndra > méndar; tuméndra >
tuméndar; léndra > léndar; péstra > péstar;
péndra > péndar. (anche mánder, tutér,
léster, ecc.).
4 - mordás pa-li = si è cosparsa.
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Anche in questa frase è curioso notare che la
particella rafforzativa -li viene posposta al
pron. rifl. che anche in questo caso è pa.
- mais = ma (franc. mais).
- špitáke = apposta.
5 - médiki = medici, dottori (ital. medici) ma
in SPP nasaléngere (da nasaló "malato" +
éngere [suff. genit.plur.]).
- in = è / sono. In SPP i (o si).
- man = mi, me (pron. I pers. sing.
accusativo). In SPP la n finale è praticamente
scomparsa diventando ma.
Es. O rom dikéla man > o rom dikéla ma
"l'uomo mi guarda".
Nella frase "so kamáva man?" l'uso di questa
forma appare peraltro grammaticalmente
scorretto in quanto si dovrebbe dire "so
kamáva me?".
6 - kaméja = vuoi, desideri (vedi nota 1
kaméja / kaméssa).
Faut = Franc. bisogna, devi. In SPP il verbo
bisognare si esprime con si te o si bróχa (te)
ved. TESTO 7 - NOTA n. 2 (pag. 23)
- Mais = Franc. ma (pron. me).
- te na mars les = non ucciderlo. Forma
contratta di te na marés les.
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RAKARIBÉN 40 (DUJ BIŠ) TESTO 40 NOTE
1 - Alors jov penéla: "Eh beh! Ǧáva
ka i matína, ǧáva lav túke je čirikló".
Ta partodás-lo i mátina, ljas péskro
sábro ta gjas-lo vek
2 - "Mais à pied! - pendás léske i
romní - Pas o graj!". Alors nakéla-lo
tel di finíštra da péskro šatólo ta joj
čidás péske ki finíštra, léskri romní,
ta dikjás o sábro
3 - "Oh! Dúka Gojdóli! - penéla - na
laǧéja? Kun o sábro ǧája rodés je
tiknó čirikló? I-tu bizónjo dová?".
Penéla:"Ah! In čačó mri romní!".
Alors returnadás, mukjás-lo o sábro
ta partodás-lo gjal, nangó, gjal
4 - Sar pírla-lo andró je baró veš,
dikéla-lo je tiknó čirikló. Ková čiriklo
partólas-lo da kaj, da koj, ǧálas,
kérlas je paš-métro, je métro
5 - Alors ǧálas-lo koj. Hop! O tiknó
čirikló, e písla pi dur ta antrendás les
1 - Allora lui dice: "Eh beh! Andrò di
mattina, andrò a catturarti un uccello".
E partì la mattina, prese la sua sciabola
e se ne andò via
2 - "Ma a piedi! - gli aveva detto la
moglie - senza il cavallo!". Allora passa
sotto la finestra del suo castello e lei si
è messa alla finestra, sua moglie ed ha
visto la sciabola
3 - "Oh! Duca Goidoli! - dice - non ti
vergogni? Con la sciabola vai a cercare
un uccellino? Hai bisogno di quella?".
Dice: "Ah! E' vero moglie mia!".
Allora è ritornato, ha lasciato la
sciabola ed è partito così, disarmato
(nudo), così
4 - Appena giunto in un grande bosco
vede un uccellino. Quell'uccello partiva
di 1à, di là, andava, faceva mezzo
metro, un metro
5 - Allora andava là. Hop! L'uccellino,
1-matína = mattina. (piem. matin-a, ital.
mattina). La parola sinta originale, ancora
utilizzata anche dai SPF è trasárla.
- partodás-lo = è partito (< partov- "partire"
[franc. partir , ital. partire, piem. parti]).
2 - Mais à pied! = Franc. Ma a piedi!
- Pas = Franc. non.
- finíštra = finestra (ital. finestra, piem.
fnéstra). In SPP i valín.
3 - na laǧéja? < na laǧéssa? = non ti
vergogni?; ǧája < ǧássa = vai. Vedere NOTA
1 al TESTO 39 (pagg. 85-86).
- i-tu bizónjo...? = hai bisogno (ital. bisogno).
In SPP i-tu bróχa.
- dová = quello (sinonimo di ková). Questo
pronome dimostrativo è usato nel dialetto
sinto lombardo mentre in SPP si usa
esclusivamente ková.
- returnadás = è ritornato (ital. ritornare,
piem. riturné).
4 - sar pírla-lo = come camminava. Pírla-lo è
la contrazione di piréla-lo. In SPF si ricorre
spesso alla contrazione dei verbi alla seconda
pers.sing. In misura minore ciò avviene anche
in SPP.
- kérlas = faceva (contrazione di kerélas).
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maškarál do baro veš, ková čirikló ta
kántu čjas-lo koj, sa le žunári
anturadén les, anserkladén les koj le
žunári do králi ke kamélas léskri
romní
6 - Alors penéna (le žunári):"Dúka
Gojdóli, na in tu kek ármi! Šun! Faut
randavés tu!" "Oh! Béla Dóna
Brandórja, tronpadál man, χoχadál
man, te na lav mro sábro"
un po' più lontano sino ad trascinato nel
mezzo del bosco, quell'uccellino e
quando si trovava là tutti i soldati lo
circondano, lo accerchiano là i soldati
del re che amava sua moglie
6 - Allora dicono (i soldati): "Duca
Goidoli, non hai nessuna arma!
Ascolta! Devi arrenderti!". "Oh! Bela
Dona Brandoria, tu mi hai ingannato,
mi hai mentito affinché non prendessi la
mia sciabola"
5 - antrenadás les = lo ha trascinato (franc.
entrainer).
- anturadén les = lo hanno circondato (franc.
entourer).
- anserkaldén les = lo hanno accerchiato
(franc. encercler).
6 - ármi = armi (ital. armi).
Faut randavés tu = devi arrenderti. (franc. se
rendre).
- tronpadál man = mi hai ingannato (franc.
tromper).
(segue)
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RAKARIBÉN 41 (DUJ BIŠ TA JEK) TESTO 41 NOTE
1 -"Ah! - penéna - Jam obližádo te
marás tu!". Parce que na jas kek te
ganjavén-le kojá rása, na jas kek
2 -"Allez beh žunári! marén ma!"
penéla, ta mardén les, čindén léskri
men ta mukjén les koj. Ǧjen-le vek le
žunári ta jov, o králi da kolá türki
vjas-lo koj
3 -"Oh! - penéla - tro rom i-lo
muló!". I romní do králi
penéla:"Mais vraiment mardén les?".
"Ovoá! Ovoá! I-lo muló!"
4 - Ta čélas les péskro tiknó, akój jas
o Bóvo, kavá o Dúka Gujdúni. Na
penáva butér Dúka Gujdúni mais
Bóvo. Allez, o tiknó čavó, na jas-lo
baró, na jas-lo baró gjal
5 - I daj kamélas te ker disparólo
ková tiknó par te na véla butér da
kojá rása
6 - Je gaǧí, ke lákro rom jas léskro
1 - "Ah! - dicono - siamo obbligati a
ucciderti!". Perchè non c'era nessuno
che potesse vincere quella razza, non
c'era nessuno
2 - "Su soldati! Uccidetemi!" dice, e lo
uccisero, gli tagliarono il collo e lo
abbandonarono là. Se ne andarono i
soldati e lui, il re di quei turchi arrivò
3 - "Oh! - dice - tuo marito è morto!".
La moglie del re dice: "Ma lo hanno
ucciso davvero?". "Sì! Sì! E' morto!"
4 - E gli restava suo figlio, era Bovo,
questo Duca Guiduni. Non dirò più
Duca Guiduni ma (soltanto) Bovo.
Ebbene, il bambino non era grande, non
era grande per niente
5 - La madre voleva far sparire quel
piccolo per far scomparire quella razza
6 - Una donna il cui marito era il
padrino di Bovo dice: "Ascolta! Non
ucciderlo! Dammelo! - dice - lo faccio
1 - obližádo = obbligato (franc. obligé). In
questo caso sarebbe stato più corretto dire
obližádi trattandosi di soggetto plurale.
- Parce que = Franc. perché, poiché. In SPP si
usa óske.
- ganjav- = guadagnare, vincere (franc.
gagner).
- rása = razza (franc. race).
2 - Allez = Franc. su, orsù, forza.
In SPF è molto comune l'espressione allez
dik! "su guarda!".
- ǧjen-le vek = sono andati via. Notare che in
SPP la radice del verbo "andare" è sempre ǧ-
(presente e passato) mentre in SPP al passato
diventa g- (es. gjen-le vek).
3 - Mais vraiment = Franc. ma davvero
- ovoá = sì. In SPP è ová.
4 - akój =Probabilmente si tratta di una
contrazione di ková koj (quello là).
5 - te ker disparólo = far sparire (lett. fare
sparito). Notare che per tradurre il verbo "fare"
all'infinito viene utilizzata la radice verbale
ker- mentre disparólo è la forma nominativa
(III pers. sing) del verbo dispar- "sparire"
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paríno do Bóvo, penéla:"Šun! Na
mar les! De les mánder! - penéla -
keráva mer-lo à petit feu, čiváva les
ándro fúndo di túrna ta koj - penéla -
mérla-lo koj!". Penéla: "Eh beh!
Ovoá, le les"
(segue)
morire a poco a poco, lo metto in fondo
alla torre e là - dice - morirà là!". Dice
(la madre di Bovo): "Eh beh! Sì,
prendilo"
(franc. disparaître).
6 - paríno = padrino (piem. parín e franc.
parrain). In SPP kirvó.
- keráva mer-lo = Contrazione di keráva
meréla-lo "(lo) faccio morire".
- de les mánder = dammelo. E' curioso l'uso
del verbo d- "dare" seguito dall'ablativo.
Normalmente il verb d- regge l'accusativo. In
questo caso probabilmente ciò è dovuto alla
presenza di un secondo pronome accusativo.
Notare inoltre che la frase è un calco del
francese "donne le moi" mentre se questa fosse
coniata su una espressione italiana sarebbe de
ma les (modo nel quale ci si esprimerebbe in
SPP).
- A petit feu = Franc. a fuoco lento.
- fúndo = fondo (piem. fund, franc. fond).
- túrna = torre (piem. tur, franc. tour).
- mérla-lo = muore (contrazione di meréla-lo).
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RAKARIBÉN 42 (DUJ BIŠ TA DUJ) TESTO 42 NOTE
1 - Alors o králi da le türki čidás peslo
kun léskri romní do Dúka Gojdóli,
ándro šatólo. Sa le oχtó divés ǧálas-li,
léskri daj do Bóvo
2 -"Alors, i-lo muló?" penéla. "Oh!
Ǧanés, na ǧála-lo dur" t'i vavér kérla
te χal-lo o pi lačó χabén ke vjas-lo
baró
3 - Alors e divés léskri daj penéla:
"Na í-lo na pándar muló mais keráva
mer-lo kajá dab!". Kerdás léske je
gatólo, léskri lačí daj
4 - T'o gatólo jas-lo anpuazonádo, t'i
gaǧí ke suanjavélas les, jas je tikní
ǧuklí gjal, sémpar palál láte ǧálas-li
5 - Alors véla koj tel. "Alors dik -
penéla - tri daj so kerdás-li túke par
χas!". "Oh! - penéla o rakló - de les
kek mánge!". "Ah! - penéla - na, de
číro!"
6 - Čindás-li e tiknó tóko ta
1 - Allora il re dei turchi si è messo con
la moglie di Duca Goidoli nel castello.
Ogni otto giorni sua madre andava da
Bovo
2 - "Allora è morto?" dice. "Oh! Sai,
non durerà a lungo" e l'altra lo faceva
mangiare il miglior cibo per farlo
crescere
3 - Allora un giorno sua madre dice:
"Non è ancora morto ma questa volta lo
farò morire!". Gli ha preparato un
dolce, la sua brava mamma
4 - Ed il dolce era avvelenato e la donna
che lo curava aveva una cagnetta che le
andava sempre dietro
5 - Allora viene laggiù. "Allora guarda -
dice - cosa ti ha preparato da mangiare
tua madre!". "Oh! - dice il ragazzo -
dammene un po'". "Ah - dice - no,
aspetta!"
6 - Ne ha tagliato un pezzetto e dice:
2 - kérla = fa. Contrazione di keréla.
3 - gatólo = dolce. Dal franc. gateau. In SPP
félzo guló (pane dolce) o semplicemente guló
(dolce).
- pándar = ancora. In SPP pándra.
4 - ampuazonádo = avvelenato (franc.
empoisonner).
5 - koj tel = laggiù. Variante di koj telé.
- de les kek mánge = dammene un po'. Il
termine kek, a seconda del contesto in cui si
trova, può significare "qualche", "alcuni", "un
poco" o "niente", "nessuno". Ad es. na si kek
= non c'è nessuno.
In SPP questo termine viene usato
esclusivamente con il significato di "niente",
"nessuno" mentre per dire "qualche", "alcuni "
si usa il pronome komóni. Ad. es. si komóni
Sinti koj "ci sono alcuni Sinti là"; komóni
kópi me gjom a Türináte "qualche volta sono
andato a Torino".
6 - tóko = pezzo. In questo caso sembra essere
un imprestito dal piem. toc "pezzo" anziché
una variante di tokór.
7 - akaná = adesso. Variante di kaná.
92
penéla:"Dikés tri daj so kerdás
túke". Déla ka i tikní ǧuklí, i tikní
ǧuklí, hop, mulí, pri dab
7 - "Ah! - penéla - kántu váva mištó
baró - penéla - mro graj faut χal-lo
ǧov t'o bréno ándre lákro per!".
Ke vjas-lo baró alors penéla:
"Akaná, o moménto ke faut našés
túke, ke faut ǧas túke - ta penéla - de
damént!"
8 - Alors ljas léskro paríno o graj,
Kaválo Rundélo, délas pes góli o graj,
ta rukjadén les le duj aprén ta inǧás
lésa vek
"Guarda cosa voleva farti tua madre".
Lo dà alla cagnetta e la cagnetta, hop,
morta stecchita
7 - "Ah! - dice - quando sarò grande - il
mio cavallo dovrà mangiare l'avena e la
crusca dal suo ventre!". Quando è
diventato grande allora dice (la donna):
"E' venuto il momento di fuggire, di
andartene - e dice - dai retta!"
8 - Allora suo padrino ha preso il
cavallo e lo ha chiamato Cavalo
Rundelo e i due gli sono montati sopra
e lo hanno portato via
- moménto = ital. momento, franc. moment.
- de damént = dai retta, ascolta (piem. de
dament).
8 - aprén = sopra. Variante di pren.
(segue)
93
RAKARIBÉN 43 (DUJ BIŠ TA TRIN) TESTO 43 NOTE
1 - T'o graj deferadás pes-lo. Kántu
se deferadás, na pírlas-lo butér, o
graj. Alors léskro paríno penéla:
"Bovo, akáj faut ke abandunaváv tu.
O graj i-lo deferimén, na štik anav tu
pi dur"
2 - "Šun - penéla - če kaj. Ta à la
volonté de Dieu".
Allez, o Bovo čéla koj ta véna-le sa le
žunári do králi ke našénas palál léste.
Anserkladén les ta o králi ljas les da
le bal par činél léskri men
3 - Alors djas góli ke na činél léskri
men. Mukjén les gjal, abandunádo ta
jov pirdás-lo, pirdás-lo, vjas-lo ka je
baró foro, ková Bóvo ta gjas-lo ko
šatólo, ko králi
4 - Alors ková králi penéla:"Mais sar
kars tu tu?". "Ah - penéla - mais sar
karáva man?". Penéla:
"Travajavávas andré je mulíno,
kerávas i farína ta dáva man góli -
1 - Ed il cavallo ha perso i ferri.
Quando ha perso i ferri non camminava
più il cavallo. Allora suo padrino dice:
"Bovo, qui ti devo lasciare. Il cavallo è
senza ferri, non posso portarti più
lontano"
2 - "Ascolta - dice - resta qui. Sarà ciò
che Dio vorrà".
Ebbene, Bovo rimane lì e tutti i soldati
del re lo rincorrevano. Lo hanno
accerchiato ed il re lo ha afferrato per i
capelli per tagliargli il collo
3 - Allora ha gridato di non tagliargli il
collo. Lo hanno lasciato così,
abbandonato e lui ha ha camminato, ha
camminato ed è arrivato in una grande
città quel Bovo ed è andato al castello
dal re
4 - Allora quel re dice: "Ma come ti
chiami?". "Ah - dice - ma come mi
chiamo?". Dice: "Lavoravo in un
mulino, facevo la farina e mi chiamavo
1 - deferadás pes-lo = ha perso i ferri, si è
sferrato. (franc. déferrer).
- se deferadás = si è sferrato. Qui il narratore
usa il pronome rifl. in francese anziché in sinto
(deferadás pes).
deferimén = sferrato. Defer- sferrare + -imén
suffisso di participio passato. Questo suffisso
viene usato in SP solo con alcuni verbi. Es.
pendimén = impiccato/i; ondimén =
ondulato/i; purimén = marcio/i.
- abandun = abbandonare (franc.
abandonner).
2 - A la volonté de Dieu = Franc. al volere di
Dio.
4 - Mais sar kars tu? = Ma come ti chiami?;
kars tu = contrazione di karés tu.
- travajav- = lavorare (franc. travailler; piem,.
travajé). Sinonimo di bitrav- bejtrav- (notare
la comune radice -trav-).
- mulíno = mulino (ital. mulino, franc.
moulin).
- farína = farina (ital. farina, franc. farine). In
SPP parnó (bianco).
94
penéla - Meskíno"
5 - O králi penéla: "Eh beh! Dáva tu
góli Meskíno". Allez čéla-lo koj kun
ková králi. Tellement šukár ke jas-lo,
i čaj do králi kamélas les
6 - "Véja - penéla o králi - te servavés
pri tíša!". Allez, jov servavélas-lo pri
tíša léskri čaj, léskri romní do králi, o
králi o vágo
7 - Ta per-la je roj, i raklí kérlas perl
i roj špitáke tel di tíša, ta jov
basardás pes t'i raklí basardás pes ta
čumidjás les. Alors koj kamélas-li o
Bóvo
- dice - Meschino"
5 - Il re dice: "Eh beh! Ti chiamerò
Meschino". Ebbene, rimane lì con quel
re. Era talmente bello che la figlia de re
lo amava
6 - "Vieni - dice il re - a servire a
tavola!". Ebbene, lui serviva a tavola
sua figlia, sua moglie del re, il re per
primo
7 - E cade un cucchiaio. La ragazza lo
faceva cadere apposta sotto la tavola e
lui si abbassava ed (anche) la ragazza si
abbassava per baciarlo. Allora là amava
Bovo
5 - Tellement =Franc. talmente.
6 - servav- = servire (ital. servire, franc.
servir).
7 - kérlas perl = fece (faceva) cadere.
Contrazione di kerélas te perél (o kerdás
perél "fece cadere").
- špitáke = apposta.
- basaráv-, pass. basard- = abbassarsi (piem.
bassése, franc. se baisser).
(segue)
95
RAKARIBÉN 44 (DUJ BIŠ TA ŠTAR) TESTO 44 NOTE
1 - Alors kavá Bóvo ǧála dikélo je
domestíko ke suanjavélas le graj
ándri stánja. Alors o Bóvo kérla:
"Mais na štik dikávas kalá graj?"
2 - "Oh! Oui mais - penéla - ajín e
graj ke te n'avansós autrement -
penéla - χála tu-lo! Dik! Ke χája-lo da
kojá χóta"
3 - Je tikní χóta gjal par délas les o
kas t'o panín da koj, ta jas-lo sa
pangló kun čéni, ková graj, kun čéni,
i rat ta divés na štik čalólas ková graj
4 - Alors ková domestíko penéla: "Na
štil ková graj! Ke na štilés les!". Ková
Bóvo penéla: "Ah! Kavá kaj in mro
graj, kavá kaj in mro graj, eh beh! -
penéla - šun! Ǧála". Dikjás-lo o graj
koj
5 - Alors je divés ǧála-lo ko králi mais
o králi na dutadás pes-lo da dová.
"Šun - penéla - lačó králi. Depuis ke
1 - Allora questo Bovo vede un
domestico che si occupava della stalla.
Allora Bovo fa: "Ma non posso vedere
quei cavalli?"
2 - "Oh! Sì ma - dice - c'è un cavallo al
quale non ti devi avvicinare sennò -
dice - ti mangia! Guardalo da questo
buco mentre mangia "
3 - Un piccolo buco così per dargli
fieno e acqua ed era tutto legato con le
catene quel cavallo, con le catene la
notte ed il giorno non poteva muoversi
quel cavallo
4 - Allora quel domestico dice: "Non
toccare quel cavallo! Non toccarlo!".
Quel Bovo dice: "Ah! Questo è il mio
cavallo, questo è il mio cavallo, eh beh!
- dice - ascolta! Va bene!". Aveva visto
quel cavallo
5 - Allora un giorno va dal re ma il re
non sospettava di quello. "Ascolta -
1 - domestíko = domestico (ital. domestico,
franc. domestique).
-suanjav = curare (franc. soigner).
2 - avans- = avanzare, venire avanti. Dal
franc. avancer.
- χóta = buco.
3 - čéni = catene (franc. chaîne(s)).
5 - dutadás = dubitó. Part. pass. di dutav-
"dubitare" (franc. douter).
- depuis = Franc. da.
- ǧamáj = mai . (franc. jamais).
- servíso = servizio (franc. service).
96
jom akáj, kíči berš ta kíči bérš, na
mangjóm tutar ǧamáj je servíso"
6 - "Oh! - penéla o králi - Meskíno,
mang so kaméja, vélalo túte!" Penéla:
"Eh beh! Kamáva le kliǧinjá te
putaráv ková graj"
7 - "Oh! - o králi na štik kérlas-lo
autrement - Ovoá! Mais - penéla -
ǧála χalo tu, ková graj, oh! - penéla -
χála tu-lo". "De ma le kliǧinjá pi
dikéja ke na χála ma-lo" - penéla o
Bóvo
dice - buon re. Da quando sono qui, da
tanti e tanti anni, non ti ho mai chiesto
un servizio"
6 - "Oh! - dice il re - Meschino,
domanda ciò che vuoi e lo avrai!". Dice
(Meschino): "Eh beh! Voglio le chiavi
per aprire a quel cavallo"
7 - "Oh! - il re non poteva fare
diversamente - Sì! Ma - dice - ti
mangerà"."Dammi le chiavi e vedrai
che non mi mangerà" - dice Bovo
7 - χála tu-lo = ti mangerà. Interessante notare
la particella clitica rafforzativa del soggetto
(lo) posta dopo il pronome anziché dopo il
verbo.
- pi = poi (franc. puis).
(segue)
97
RAKARIBÉN 45 (DUJ BIŠ TA PANČ) TESTO 45 NOTE
1 - Alors o králi djas le kliǧinjá ta jov
gjas-lo ka i stánja. Alors rakarlás-lo
kun o graj mais o graj kamélas vólo
pre léste par χa les
2 - Putárla je čéna do graj sa an te
rakár lésal. Penéla: "Ah! Pinǧaráva
tri rása, tri ženerasjúna, Kaválo
Rundélo!"
3 - O Bovedantúna penéla: "Če štil,
ke liberaváv tu da káj!". Allez. Put, o
graj sémpar kamélas te χa les, ta
délas pro graj kumadinjá ta o graj
χajolás-lo le dabá vela da léskri rása
4 - Putárlo o graj t'o graj hup! Ta jov
bum! ansükadás o graj je kumadiní
5 - O graj χajodás-lo, barlikadás
léskre piré do Bovedantúna. Alors
ková graj na čalólas-lo butér. Alors
ljas-lo je brúsa, brosadás mištó
péskro graj, sa, ta vjas-lo ko králi
6 - "Dikéja ke o graj na χajás ma-lo! -
1 - Allora il re gli ha dato le chiavi e lui
è andato nella stalla. Allora ha parlato
con il cavallo ma il cavallo voleva
volare sopra di lui per mangiarlo
2 - Ha aperto una catena del cavallo per
parlare con lui. Dice: "Ah! Conosco la
tua razza, la tua generazione, Cavalo
Rundelo!"
3 - Il Bovedantuna dice: "Sta fermo
(zitto), che ti libero di qui!". Su! Apri, il
cavallo voleva sempre mangiarlo e dava
al cavallo pugni e il cavallo ha capito
che i colpi provenivano dalla sua razza
4 - Ha liberato il cavallo ed il cavallo
hup! E lui bum! ha stordito il cavallo
con un pugno
5 - Il cavallo ha capito, ha leccato i
piedi del Bovedantuna. Allora quel
cavallo non poteva più restarsene
fermo. Allora ha preso una brusca ed ha
strigliato bene il suo cavallo, tutto, ed è
1 - kamélas vólo = voleva volare (ital. volare,
franc. voler).
2 - rása = razza. (piem. rasa, franc. race)
- ženerasjúna = generazione, (piem.
generasiun, franc. genération).
3 - liberav- = liberare. (piem. liberé , franc.
liberer, ital. liberare).
4 - ansükadás = ha stordito. Part. pass. di
ansük- "stordire, ubriacare". (piem. anciuché
= ubriacare e, per estensione, stordire).
5 - barlik- = leccare (piem. barliché).
- brúsa = brusca, spazzola (piem. brusa, franc.
brosse).
- brosad- = part. pass. di brosav-
"spazzolare". (franc. brosser, piem. brussé).
98
penéla - akaná faut keráv o túrno, en
cavale!" penéla. Allez, o králi kerdás
te publiavél sa ándro gav ke sa te
pangen pénge, ke o Kavalo Rundélo
vélas-lo avrín
7 - Alors sa le gaǧé, sa panglé, dikénas
le da le finíštri t'o Bóvo aprén. Na
dikénas-le da trop sig. O graj vololáslo,
čovaχanó ková
8 - "Défense! - penéla - ke te
suanjáven mro graj, te na den les či,
sauf ke me te suanjavél o graj!".
"Oh! - penéla o králi - na traš, na
traš, ke kek na štik lel ková graj!"
(segue)
venuto dal re
6 - "Vedi che il cavallo non mi ha
mangiato! - dice - adesso bisogna fare
un giro, di corsa" dice. Su, il re ha fatto
pubblicare in tutto il paese di restare
chiusi (in casa) perchè sarebbe uscito il
Cavalo Rundelo
7 - Allora tutta la gente, tutti al chiuso,
guardavano dalle finestre ed il Bovo
sopra. Non vedevano niente talmente
era troppo veloce. Il cavallo volava, era
una magia
8 - "Vietato - dice - occuparsi del mio
cavallo o dargli qualcosa, solo io posso
occuparmi del cavallo!". "Oh! - dice il
re - non temere, non temere, che
nessuno prenderà quel cavallo!"
6 - túrno = giro (franc. tour).
- En cavale! = Franc. (interiez.) in fuga!
(pron. ancavál).
-publiav- = pubblicare (franc. publier).
7 - finíštri = finestre. (ital. finestre). In SPP
valín (pl. valinjá).
8 - Défense = Franc. vietato (pron. defáns);
sauf = Franc. eccetto.
99
RAKARIBÉN 46 (DUJ BIŠ TA ŠÓU) TESTO 46 NOTE
1 - Nakéla je divés, nakéla duj. Vélalo
palé ko králi. "Alors šun! - penéla -
kamáva feraváv mro graj. Kun sastr
na štik pírla mro graj. Faut feraváv
les en sonakáj"
2 -"Oh!" - penéla o králi ta djás les
bédi gjal, bóči da sonakáj ta penéla:
"Allez, ǧa ker te feravén tro graj". Ta
feradás o graj, kek marešáli na
kaménas, di barí traš
3 - Vjas-lo dur do fóro. Lačjás je
tiknó puró, je marešálo: "Allez!
penéla - ferá mánge mro graj!".
Penéla: "Oh! Na! Na! Na feraváva
kavá graj par χal ma-lo!"
4 - Alors djas les pardó lové da
sonakáj ta jov rikarlás-lo sa le piré
t'o graj ne jas bizónjo, délas-lo jov le
piré par feravén les
5 - Ke feradás o graj o puró na
dikéjas ková graj, o graj pírlas,
1 - Passa un giorno, passano due
(giorni). Torna dal re. "Allora ascolta! -
dice - voglio ferrare il mio cavallo. Con
il ferro non può camminare il mio
cavallo. Bisogna ferrarlo con oro"
2 - "Oh!" - dice il re e gli ha dato gli
attrezzi, bocce d'oro e dice: "Su, vai a
far ferrare il tuo cavallo".
Ma nessun maniscalco voleva ferrare il
cavallo per la paura
3 - E' uscito dalla città. Ha incontrato
un vecchietto, un maniscalco: "Su! -
dice - ferrami il cavallo!". Dice: "Oh!
No! No! Non ferro questo cavallo
perchè mi mangerà!"
4 - Allora lo ha riempito di monete
d'oro e lui ha preso i piedi del cavallo
ma non era necessario perchè (il
cavallo) gli dava (spontaneamente) i
piedi per ferrarli
5 - Dopo aver ferrato il cavallo il
2 - bóči = bocce. (piem. boce, ital. bocce)
- marešálo = maniscalco (franc. maréchalferrant).
5 - líbro = libero (franc. libre).
100
vololás-lo. Allez, mukélas les agjál,
líbro te χal-lo i víza
6 - Ta je divés, kerdén les i géra,
vavér králi. T'o Bóvo koj ándro
šatólo ke kérlas-lo o χabén, kérlas-lo
o menáǧo, sa, ta o králi mardén sa
léskre čoré žunári
7 - Čélas ko králi štíldo, čidén les
prizonjéro koj t'o Bóvo jás-lo koj.
Alors penéla o vavér králi: "Na čélas
tu butér žunári?"
8 - "Ah - penéla - čéla ma jek - penéla
- na faut gináv man ke pren". Alors
jov dikélas-lo o Bóvo di finíštra.
Penéla pri raklí: "Na in tu kek ármi
kaj andrén?"
vecchio non vedeva quel cavallo, il
cavallo camminava, volava. Ebbene, lo
lasciava libero di mangiare l'erba
6 - Ed un giorno a quell'altro re hanno
fatto la guerra. Ed il Bovo là dentro al
castello che preparava il cibo, faceva le
faccende, ogni cosa, ed hanno
ammazzato tutti i poveri soldati del re
7 - Il re era rimasto imprigionato, lo
avevano fatto prigioniero ed il Bovo era
là. Allora dice l'altro re: "Non ti restano
più soldati?"
8 - "Ah - dice - me ne resta uno solo -
dice - ma non posso contare su di lui".
Allora vede Bovo dalla finestra. Dice
alla ragazza: "Non ci sono armi qui
dentro?"
6 - géra = guerra (franc. guerre). In SPP
kuribén (m).
- šatólo = castello (franc. chateau) . Usato
anche in SPP (śatólo).
- menáǧo = faccende di casa (franc. ménage).
7 - prizonjéro = prigioniero. (framc.
prisonnier). Sinonimo di štíldo.
(segue)
101
RAKARIBÉN 47 (DUJ BIŠ TA EFTÁ) TESTO 47 NOTE
1 - "Ovoá!" penéla. "Allez dik!". Jov
klotadás pri čik ta sa le sábri
brizodás. "Ta o graj?". "Akáj!".
penéla. "Ajín sa le ármi da mro ba, in
man je sábro, mais i-lo puró!" penéla
i raklí
2 - "Oh! - penéla - muk dikáva!".
Dikéla-lo o sábro, o sábro délas pes
góli la Béla Klarénsa, da trop
vajánto, ǧás-lo koj andrén. O sábro
jas sar o graj
3 - Allez, ǧálalo koj, bang! Déla pri
čik le trin skalíni do šatólo pren lénde
ta penéla: "Ka i-le le rivibén ke véla
kun kavá sábro?". "Oh beh! - penéla
- kaj andrén i šámbra"
4 - "Allez - penéla - ker glej, putér!".
Putradás, dikjás le lúmpi koj da
péskro ba. "Allez - penéla - il est
temps ke riváva man!". Ridás pes-lo
ta markadás ngjál di stadín kaj,
ándro kásko, kun sonakáj, faut
1 - "Sì!" dice. "Su guarda!". Lui ha
sbattuto a terra e tutte le sciabole si
sono rotte. "Ed il cavallo?". "Qui!" dice
"Ci sono tutte le armi di mio padre, io
ho una sciabola ma è vecchia!" dice la
ragazza
2 - "Oh! - dice - fammela vedere!".
Guarda la sciabola, la sciabola si
chiamava la Bela Clarensa e colpiva
troppo forte. La sciabola era come il
cavallo
3 - Su, va là, bang! Fa cadere tre scale
del castello su di loro (gli assalitori) e
dice: "Dove sono i vestiti che stanno
insieme alla spada?". "Oh beh! - dice -
qui dentro alla stanza"
4 - "Su! - dice - fa in fretta, apri!". Ha
aperto ed ha visto gli abiti di suo padre.
"Su - dice - è ora che io arrivi!". Si è
vestito e sul cappello, sul casco, ha
marchiato con oro, là doveva mettere
1 - klotad- = part. pass. di klotav- (dal ted.
klopfen?).
- brizod- = part. pass. di brizov- "rompere,
infrangere" (franc. briser).
2 - da trop vajánto = (colpiva) troppo forte.
Letteralm. di troppo vigorosa (franc. trop
vaillante).
3 - skalíni = scale, scalini. (ital.).
-šámbra = stanza (franc. chambre)
4 = Il est temps = Franc. è ora.
- markad- = part. pass. di markav-
"marcare". Franc. marquer.
- kásko = casco. (ital. casco. franc. casque).
- la devise = Franc. il motto
- Feu t'i fiáma = fuoco e fiamma (Franc. feu)
t'i fiáma (piem. fiáma).
102
čidálas sonakáj kaj, la devise: "Feu t'i
fiáma"
5 - Allez, partóla-lo koj, dikéna les, o
králi, sar dikén le kojá béda akáj.
"Šun! - penéla - na kurás min!". Ke
pendás-lo par i raklí: "Inǧáva túke
léskro šeró pri púnta da mro sábro! -
ta penéla - vája la andré je čaró!"
6 - "Ah!" penéla o králi. "Allez, allez!
- penéla o Bóvo - akáj discuter, allez,
faut kurés tu!". O graj kerdás pándar
pi but ko raj
7 - Čindás léskri men ta mardás
leskri žunári péstar, o Bóvo, ta ljas o
šeró, inǧás léske ki rakli t'o králi kaj
péskro šatólo
oro, il motto: "Fuoco e fiamma"
5 - Su, parte là, lo vedono, il re, come
vedono quel coso là. "Ascolta - dice il
re - non combattermi!". Aveva detto
alla ragazza: "Ti porterò la sua testa
sulla punta della mia spada! - e dice -
l'avrai in un piatto!"
6 - "Ah!" dice il re. "Andate, andate! -
dice il Bovo - basta discutere, andate,
devi batterti!". Il cavallo faceva ancora
più del padrone
7 - Gli ha tagliato il collo ed ha ucciso i
suoi soldati da solo Bovo ed ha portato
la testa alla ragazza ed al re nel suo
castello
5 - part- = partire (franc. partir, ital. partire)
- púnta = punta. ital.
6 - discuter = Franc .discutere.
(segue)
103
RAKARIBÉN 48 (DUJ BIŠ TA OΧTÓ) TESTO 48 NOTE
1 - Alors o králi: "Ah Bóvo! Na jal o
Meskíno tu - penéla - tu véja avrín da
je rása ke jas-lo o Buvéto tro papún,
ta tro ba jas-lo o Dúka Gojdóli"
2 - "Ovoá - penéla o Bóvo - mais mri
daj kerdás mar mro ba". Koj, ková
Bovedantúna na jas butér o králi, o
raj jas jov ma na kamés-lo či
3 - O králi penéla: "Le mri korúna!".
"Na - penéla - na kamáva kek, so
káma ma - penéla - kamáva te ǧav
palé kaj o gav ke jas mro ba, váva
palé!"
4 - "Eh beh! - penéla o králi - ǧa!" ta
ljas péskro graj ta vjas-lo palé ka
péskro gav ta kántu dikjén arivólo
rantrodás ándro péskro šatólo, ta
léskri daj jas-li koj, kun o vavér králi
5 - "Oh Bóvo! Oh Bóvo!". "Ah -
Bóvo penéla - kamejál marés man,
kers meráv! Heureusement da koj ke
1 - Allora il re: "Ah Bovo! Tu non sei
Meschino - dice - tu arrivi da quella
razza il cui nonno era Buveto e tuo
padre era il Duca Goidoli"
2 - "Sì - dice Bovo - ma mia madre ha
fatto uccidere mio padre". Là, quel
Bovedantuna non era più re, era un
signore ma non voleva nulla
3 - Il re dice: "Prendi la mia corona!".
"No - dice - non voglio nulla, quello
che desidero - dice - desidero tornare
nel paese di mio padre, tornare!"
4 - "Eh beh! - dice il re - va'!" ed ha
preso il suo cavallo ed è tornato al suo
paese e quando lo hanno visto arrivare è
entrato nel suo castello e sua madre
(era) là con l'altro re
5 - "Oh Bovo! Oh Bovo!". "Ah - dice
Bovo - volevi uccidermi, farmi morire!
Per fortuna che mi hanno salvato! Su -
dice - Cavalo Rundelo!" E l'ha presa
1 - papún = nonno. anche papú.
3 - korúna = corona. (franc. couronne, ital.
corona).
- so káma ma = quello che desidero.
Probabilmente distorsione di so kamáv me.
4 - rantrodás = é entrato. Rantrov- = entrare
(franc. rentrer).
5 - Heureusement = Franc. Per fortuna
-sovad- = pass. di sovav- "salvare" (franc.
sauver).
104
sovadén ma-le, allez! - penéla -
Kaválo Rundélo!" Te šnapardás la
agjál, čidás-lo ǧov, bréno akáj andren
lákro per t'o graj χálas-lo dová
6 - Au lieu de i ǧov t'o bréno, χálas-lo
lákro mas, ta o králi penéla: "Na in
me, in tri daj!". "Ah oui! - penéla o
Bóvo - ǧanáva, mais - penéla - tu si
ǧas túke, si ǧas tuke, na maráva tu!"
7 - O králi ǧas vek ta gjás-lo palé ta
tant que gjas-lo ková Bóvo pírlas-lo à
pied t'o graj nakélas, ǧájas kun
péskro raj, par te rodél i čaj do králi
così, le ha messo avena e crusca nella
pancia e il cavallo l'ha mangiata
6 - Invece di mangiare l'avena e la
crusca ha mangiato la sua carne, ed il re
dice: "Non sono io, è tua madre!". "Ah
sì! - dice Bovo - lo so ma - dice - te ne
devi andare, te ne devi andare, non ti
ucciderò"
7 - Il re se n'è andato via e mentre lui se
ne andava Bovo camminava a piedi ed
il cavallo lo seguiva, andava con il suo
padrone per cercare la figlia del re
6 - Au lieu de = Franc. invece di
- Ah oui! = Franc. ah sì!
7 - tant que = Franc. mentre, fintanto che
- à pied = Franc. a piedi.
105
RAKARIBÉN 49 (DUJ BIŠ TA ENJÁ) TESTO 49 NOTE
1 - Lačéla-lo je pelegríno. Alors ková
pelegríno jas les duj gúrdi da panín.
Alors reskuntravéna pen-le. "Oh! -
penéla - Bóvo kaj ǧája?". "Ǧáva ko
králi" penéla o Bóvo. "Na in tu
truš?"
2 - "Ovoá, in man truš!" penéla.
"Allez! Panín" penéla o Bóvo. Lélas
je gúrda t'o pelegríno rakardás-lo
lačó mais andré ková panín ke djas
les, čidás-lo opium andrén
3 - o Bóvo sutjás-lo koj ke na
ganǧolás-lo butér t'o pelegríno ljas
léstar o sábro ta mukjás-lo o péskero
ta kántu ganǧolás-lo o Bóvo na jas-li
butér kek sábro
4 - "Ah - penéla - ǧa, ke mro tiknó
pelegríno, te se lačaráv tu...".
Jargál palál renkontradén pén-le. "Ah
dik! - penela - Ah! I-lo kaj, i-lo kaj! -
penéla - akáj ǧáva čalaváv les"
1 - Incontra un pellegrino. Allora quel
pellegrino aveva due zucche piene
d'acqua. Allora si sono incontrati. "Oh!
- dice - Bovo dove vai?". "Vado dal re"
dice Bovo. "Non hai sete?"
2 - "Sì ho sete" dice. "Su! Acqua" dice
Bovo. Prendeva una zucca ed il
pellegrino gli ha parlato bene ma dentro
a quell'acqua c'era dell'oppio
3 - Bovo si è addomentato lì senza
risvegliarsi ed il pellegrino gli ha preso
la sciabola e gli ha lasciato la sua e
quando si è risvegliato Bovo non aveva
più la sua sciabola
4 - "Ah! - dice - va che se ti incontro,
mio piccolo pellegrino...".
Molto tempo dopo si sono incontrati.
"Toh guarda! - Dice - Ah! E' qui! È qui!
- dice - adesso lo metto a posto io"
5 - "Oh Bovo!". "Oh pelegrino! Hai
sete?". "Sì, ho sete!". "Ah sì! - dice - su,
1 - pelegríno = pellegrino (ital. pellegrino,
franc. pèlerin).
-reskuntrav- = incontrare (provenzale
rescountrar ?).
3 - ganǧov- = svegliare, svegliarsi. In SPP
anche sganǧav-, sganǧov-.
4 - te se lačarav tu = se ti incontro.
Probabilmente te se lačáv tu, in quanto lačarsignifica
"aggiustare".
- jargál = molto tempo. SPP = χargá
106
5 - "Oh Bóvo!". "Oh pelegríno! In tu
truš?". "Ovoá, in man truš!" "Ah
oui! - penéla - allez, de ma mro sábro
kaj!". "Mais non!"
6 - Allez, mardás-lo o pelegríno ta
delanǧardás pa-lo, o Bóvo, ta ljas le
rivibén do pelégríno ta ridás pes-lo do
pelegríno ta pirdás-lo à pied ta gjas-lo
koj ko šatólo andró fóro
rendimi la mia sciabola!". "Ma no!"
6 - Ebbene Bovo ha ucciso il pellegrino
e lo ha spogliato ed ha preso i vestiti del
pellegrino e si è vestito da pellegrino ed
ha camminato a piedi ed è andato al
castello nella città
6 - delanǧar- = spogliare. (franc. de- +
(l,r)anǧar "aggiustare") (piem. rangé, franc.
ranger).
(segue)
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RAKARIBÉN 50 (PAŠ SEL) TESTO 50 NOTE
1 - Alors mangélas-lo. Penéla:
"Kerén i karitáda!". Alors le gaǧé do
fóro: "Ah! Te šunéla tu o králi, márla
tu, činéla tri men!". "Ah! - penéla -
Eh beh! muk činéla mri men!"
2 - Allez, pándar: "Kerén i
karitáda!". Vjas ko králi ta čidás peslo
koj: "I karitáda par o
Bovedantúna!"
3 - Koj jas léskro graj pírlas-lo kun o
graj ta pírlas-lo à pied, ta léskri
romní i raklí, vjas-li duj čavé léstar ta
baré agjál
4 - Ta i gaǧí jas-li beští avrin pre je
bánko t'o graj pašjolás-lo par le tikné
raklé ke rukjen-le pren, ta jov: "Mais
so i-les mro graj? - penéla - ǧamáj na
kerdás-lo dová!"
5 - Alors léskri romní na pinǧardás-la
butér, jov, jas-lo puró ninge. Alors
penéla: "O gráj, pinǧaráva péskri
1 - Allora chiedeva la carità. Dice:
"Fate la carità!". Allora la gente della
città: "Ah! Se ti sente il re ti uccide, ti
taglia il collo!". "Ah! - dice - Eh beh!
lascia che mi tagli il collo!"
2 - Ed ancora: "Fate la carità!". E'
arrivato dal re e si è messo li: "la carità
per Bovedantuna!"
3 - Là c'era il suo cavallo camminava
con il cavallo e camminava a piedi, e
sua moglie la ragazza aveva avuto due
figli da lui che erano (già) grandi
4 - E la donna era seduta su una
panchina ed il cavallo si era coricato
per far montare su di lui i due ragazzi, e
lui: "Ma cos'ha il mio cavallo? - dice -
non si è mai comportato così!"
5 - Allora non conosceva più sua
moglie, anche lui era diventato vecchio.
Allora dice: "O cavallo, conosco la sua
generazione ma non conosco la
1 - karitáda = carità. (ital. e piem).
4 - bánko = panca (piem.).
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ženerasjúna mais o raj na pinǧaráva
péskri ženerasjúna!"
6 - "Mais sar! - penéla - mais so, ku in
tu?". "Eh oui! - penéla - o graj
pašjóla par rukél péskri ženerasjúna
aprén, t'o raj, na χajóla-lo dová!"
7 - Alors penéla: "Jal tu mri romní!"
"Eh beh oui! Jom tri romní" penéla.
Alors koj le tikné raklé jas-le pro graj
ta jov jas-lo kun péskri romni. Da koj
vjas ke čajas kun péskri romní, ková
Bovedantúna
generazione del suo padrone!"
6 - "Ma come! - dice - ma cosa, chi sei
tu?". "Eh sì! - dice - il cavallo si corica
per far montare su di lui la sua
generazione e il padrone non capisce
questa cosa!"
7 - Allora dice: "Tu sei mia moglie!"
"Ebbene sì! Sono tua moglie" dice.
Allora i bambini andavano sul cavallo e
lui andava con sua moglie. Da allora
quel Bovedantuna rimase con sua
moglie
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Bibliografia
a) sinto piemontese parlato in Italia:
1) Sergio Franzese, Grammatica di Sinto Piemontese (con collegamenti ipertestuali e supporto audio su CD-
ROM) - Pagg. 64 Dizionario Italiano - Sinto Piemontese - Inglese - Francese (e registri inversi) (su CD-
ROM), Ed. O Vurdón, 2001 (prima edizione anno 1985)
Revisione 2021: https://www.yumpu.com/it/document/read/65202012/il-dialetto-dei-sinti-piemontesi
2) Sergio Franzese, I Sinti Piemontesi - Le Sínti Piemontákeri (testo bilingue), Ed. O Vurdón, 2001
3) Sergio Franzese, Marí čib… maró braválimo (La nostra lingua... la nostra ricchezza), sussidiario di lingua
romaní - dialetto sinto piemontese, Centro Studi Zingari di Torino, 1987
4) Annibale Niemen, O ker kun le penijà, Editrice Sinnos Roma - Collana “I Mappamondi”, 1995
5) Sergio Partisani, Glossario del dialetto zingaro piemontese, in Lacio Drom 6/72 p. 11-32
6) Giulio Soravia, Dialetti degli Zingari Italiani, Pacini, Pisa, 1977, pp. 51-56
111
7) O sucar gau (o lil da le ticné sinti), a cura del Centro Studi Zingari di Torino, 1984
b) sinto piemontese - variante francese:
1) Shmit Chaudy - Jean Charles.Brulé, Storielle sinte, in Lacio Drom 5/79, pp. 2-3
2) Bernard Formoso (a cura di), O Bovedantuna, in Lacio Drom 4/84, pp. 2-14
3) Bernard Formoso - Georges Calvet, Lexique Tsigane. Dialecte sinto piémontais, P.O.F., Paris, 1987
c) discografia :
Lick Dubois (et les Zingaria), Sinti Song (Zingaria production, 1999)
CD contenente 10 canzoni in sinto piemontese
( i testi sono reperibili su Internet all’URL: https://www.progettoniglo.org/Sinti_Song.htm
Lick Dubois (et les Zingaria), Nomadsong (Zingaria production, 2015)
CD contenente 7 canzoni in sinto piemontese
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d) testi diversi su storia e tradizioni:
Armando Brignolo (a cura di), Sinti: un modo di vivere, pagg. 19, Gruppo editoriale "Il Torchio", Asti (senza
data). Racconto biografico di Michele Iussi "Balin", sinto piemontese (fotografie di A.Brignolo - testi curati da
Renato Rosso);
Lick Dubois, Scènes de la vie manouche - Sur les routes de Provence avec le Sinti Piémontais 1935 - 1945
(Récit), pagg. 430 Ed. Wallada, 1998;
Lick Dubois, Il était une fois les Bohémiens - Scènes de la vie manouche - Tome II - 1945 - 2000 (Récit),
pagg. 222 Ed. Wallada, 2003;
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In conclusione …
La realizzazione di questo lavoro è durata oltre un anno ed è stata portata avanti nel "tempo libero", quello che resta oltre al
tempo dedicato al lavoro, agli impegni famigliari, ecc.
Ha richiesto impegno, sacrificio e soprattutto passione. Ha coinvolto alcuni Sinti (menzionati nel capitolo introduttivo) che con
me hanno condiviso le finalità di questo progetto. E' stato revisionato molte volte e nonostante ciò probabilmente ha ancora
diverse lacune ed imperfezioni (perlomeno più di qualche errore di battitura sfuggito alle numerose riletture).
Ritengo che questi difetti siano comunque nell'insieme piuttosto trascurabili in rapporto alla qualità complessiva dell'opera e
comunque di essi mi scuso con i lettori. Tutti coloro che desiderano far pervenire osservazioni, suggerimenti o richieste di
chiarimento potranno comunicare con me attraverso l'indirizzo di posta elettronica: vurdon@tiscali.it
L'auspicio è che a breve termine possa seguire la realizzazione di un CD audio con la registrazione dei testi contenuti nel presente
volume al fine di integrarlo con un supporto utile a familiarizzare con la lettura e con la pronuncia del sinto piemontese. Ma per il
momento è solo un'idea, un progetto ancora tutto da realizzare, insieme a molti altri che hanno per scopo la salvaguardia della
lingua e delle tradizioni dei Sinti Piemontesi nell'ambito di una difesa dei valori della cultura romaní.
Nel frattempo…te čen baχtalé ta sasté! (…siate felici ed in buona salute!)
Sergio Franzese
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Sergio Franzese è nato a Torino il 6 febbraio 1958, ha fatto parte del Comitato
Promotore del Centro Studi Zingari (Via dei Barbieri 22, 00186 Roma), editore
della rivista Lacio Drom.
Ha svolto per oltre quattro decenni ricerche sull'identità culturale (aspetti
storici, socio-antropologici e linguistici) dei Rom e dei Sinti, in modo
particolare ha approfondito questa tematica nell'ambito delle comunità dei
Sinti Piemontesi, minoranza storica presente all'interno del territorio
piemontese e francese (Alpes Maritimes, Côte d'Azur) da oltre mezzo secolo,
attraverso contatti e lunghe frequentazioni.
Ha curato la sezione dedicata a Rom e Sinti allestita presso il Centro Inteculturale della Città di Torino (laboratorio
sulle minoranze storiche cittadine).
Ha realizzato e curato dal mese di aprile 1977 al mese di marzo 2013 il sito Internet (ora non più attivo) "O
Vurdón" dedicato alla storia e cultura romaní (zingara) e, successivamente, nel 2013, ha fondato l’Associazione
Culturale "ProgettoNiglo" per la tutela delle tradizioni e della lingua dei Sinti in Italia, di cui è presidente,
realizzando contestualmente il sito "Progettoniglo.org" (http://www.progettoniglo.org), che raccoglie i frutti delle
sue ricerche sul dialetto dei Sinti Piemontesi e altri contributi.
Tra le sue principali pubblicazioni e ricerche figurano il vocabolario dei Rom Χoraχané, pubblicato sul n. 2/1983
della rivista Lacio Drom, le due precedenti edizioni di questa grammatica (1985 e 2002), un sussidiario per
bambini di lingua romaní in due differenti varianti linguistiche (rom χoraχanó e sinto piemontese), il testo bilingue
italiano/sinto piemontese "I Sinti Piemontesi - Le Sínti Piemontákeri" (2002) e il manuale di conversazione
Rakarássa Romanés (testi in lingua romaní - dialetto sinto piemontese) (2004). Ha collaborato inoltre con diverse
associazioni del settore in Italia ed all’estero.
© 1a edizione: 2004
© 2a edizione: 2021