Sergio Franzese - RAKARÁSSA ROMANÉS

TESTI IN LINGUA ROMANÍ (zingara) DIALETTO SINTO PIEMONTESE TESTI IN LINGUA ROMANÍ (zingara)
DIALETTO SINTO PIEMONTESE

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Sergio FranzeseRAKARÁSSA ROMANÉSTESTI IN LINGUA ROMANÍ (zingara)DIALETTO SINTO PIEMONTESE

Sergio Franzese

RAKARÁSSA ROMANÉS

TESTI IN LINGUA ROMANÍ (zingara)

DIALETTO SINTO PIEMONTESE


Foto di copertina: Famiglie Vincent - Simon (foto d'epoca, 1935). Per gentile concessione di Roger Vincent


Marí čib si-li i jag ke čačaréla men.

Na mukás la te mundarél-li

(La nostra lingua è il fuoco che ci riscalda.

Non lasciamo che esso si spenga)



Contenuto

Introduzione 1

A proposito di questo manuale… 2

Regole di ortografia e pronuncia 7

L'accento 9

Sigle utilizzate nel testo 9

PARTE PRIMA - Dialoghi e racconti in sinto piemontese 11

Testi 1 - 38 13-75

PARTE SECONDA - O Bovedantúna (un racconto nel dialetto dei Sinti Piemontesi del Sud-est della Francia) 77

Nota introduttiva al testo 79

Testi 39 - 50 85-109

Bibliografia 111

In conclusione… 115

Finestre

Origini (pag. 14) - Stanziamenti (pag. 16 - pag. 20) - Nascita e infanzia / Il matrimonio (pag. 26) - La morte / La religione

(pag. 41) - Come si viveva una volta…(1) (pag. 51) - Come si viveva una volta… (2) (pag. 54) - Cucina sinta (1): "Il níglo"

(pag. 61) - Cucina sinta (2): Il "šukló χabén" (pag. 71)



Introduzione

La grammatica ed il dizionario di sinto piemontese 1 costituiscono indubbiamente il supporto didattico fondamentale per

l'apprendimento di questa variante dialettale della lingua romaní.

Tuttavia, a seguito della pubblicazione di tale sussidio, è apparsa evidente la necessità di disporre di uno strumento

complementare il cui scopo fosse quello di presentare allo studioso una serie di testi su argomenti diversi.

Naturalmente nulla può sostituire la pratica che si acquisisce attraverso la frequentazione di chi utilizza una determinata lingua

nella vita quotidiana ed attraverso la quale esprime innanzitutto i sentimenti che gli appartengono, il proprio modo di vivere, in

sintesi la propria anima. Com’è noto a tutti l’inglese lo si impara ed approfondisce con maggiore profitto soggiornando in

Inghilterra o negli Stati Uniti, il francese in Francia, il catalano in Catalogna, e così via, ma nel caso del sinto piemontese (come

di ogni altra variante della lingua romaní) questa condizione appare difficile da realizzare. A differenza dei Sinti Lombardi, ad

essi strettamente imparentati anche da un punto di vista linguistico, i Sinti Piemontesi non hanno mantenuto l'uso della propria

lingua. Questa risulta ormai soppiantata da una "strana" forma di piemontese mescolato a parole sinte. La conoscenza del sinto

piemontese è circoscritta a un numero sempre più limitato di persone, perlopiù di età avanzata.

1 Sergio Franzese, Il dialetto dei Sinti Piemontesi https://www.yumpu.com/it/document/read/65202012/il-dialetto-dei-sinti-piemontesi

1


Tale circostanza, oltre a un atteggiamento di reticenza nei confronti del mondo esterno, spesso per ovvie ragioni percepito come

ostile, determina di fatto l'impossibilità ad apprendere il sinto piemontese attraverso il metodo dell'immersione totale.

Diversa appare la situazione presso le comunità di Sinti Piemontesi stanziate in Francia nelle regioni delle Alpi Marittime-Costa

Azzurra e Var. 2 Tuttavia il sinto piemontese di quelle comunità, pur mantenendo la medesima struttura di quello parlato in Italia,

si differenzia da esso in modo abbastanza sensibile nel lessico ed in alcune forme espressive.

Questo manuale intende pertanto sopperire alla carenza di fonti dirette ed è rivolto non solo a chi intende imparare il dialetto in

questione ma soprattutto e in primo luogo ai Sinti Piemontesi delle generazioni più giovani che intendono riscattare il proprio

patrimonio culturale partendo dal recupero della propria lingua.

Va comunque precisato che il presente lavoro, pur contenendo diversi richiami alla struttura grammaticale ed utilizzando un

lessico fondamentale abbastanza ampio, non è concepito per l’apprendimento del sinto piemontese da parte di un principiante ma

è destinato a chi ne possiede già i rudimenti o, quantomeno, a chi già conosce una diversa variante linguistica del romanés.

A proposito di questo manuale…

Dovendo attingere a elementi culturali appartenenti alla realtà quotidiana e alla tradizione dei Sinti mi sono avvalso di un

precedente lavoro realizzato dal compianto André Barthélémy (Joška) dal titolo Źanes Romanés e basato sul dialetto dei Rom

2 Dal 2004 ad oggi (2021) purtroppo la situazione è cambiata anche presso le comunità sinte piemontesi d'Oltralpe con il progressivo abbandono della

lingua sinta tra le giovani generazioni

2


Kalderaš. I numerosi denominatori comuni culturali esistenti tra i Rom ed i Sinti hanno permesso una agevole traduzione di

buona parte di quei dialoghi e di quei brevi racconti essendo già impostati, per così dire, su una lunghezza d'onda comune a tutto

il mondo zigano. Naturalmente si sono resi necessari alcuni adattamenti. In alcuni testi è stato sufficiente cambiare qualche

espressione lasciando il resto inalterato mentre altrove sono state introdotte modifiche più importanti.

Analogamente al modello proposto dal succitato lavoro di Barthélémy questo volume contiene alcuni esempi di conversazione ed

alcuni monologhi o racconti suddivisi in capitoli. Occorre però sottolineare che la perdita della memoria orale dei racconti

tradizionali (paramíssi) presso i Sinti Piemontesi ha reso necessario il ricorso alle scarse risorse alternative disponibili. Nella

compilazione di questo lavoro ho quindi attinto da alcuni capitoli del libro O ker kun le penijá (La casa con le ruote) pubblicato

nel 1995 da Sinnos Editrice nella collana “I mappamondi” ed il cui autore è Annibale Niemen, sinto piemontese che vive a Roma.

Questa operazione mi ha fornito l’occasione per una loro corretta stesura dal punto di vista ortografico. Inoltre ho trascritto per

intero il racconto O Bovedantúna pubblicato in Lacio Drom (n. 4 del 1984) anche con il preciso scopo di evidenziare alcune delle

differenze esistenti tra le due varianti della lingua parlata dai Sinti del Piemonte e da quelli stanziati in Francia.

Il succitato racconto è stato narrato al ricercatore Bernard Formoso nel 1982 da Fernand Dubois detto “Guillaume”, un sinto

sedentarizzato fin dal 1960 nell’area di Mougins (Alpi Marittime). Si tratta di un racconto del quale si ha una precedente versione

(con numerose varianti) pubblicata nel 1911 dal Journal of the Gypsy Lore Society e registrata nell’anno precedente da A.E.John.

Data la peculiarità del dialetto sinto piemontese parlato nel sud-est della Francia e l’ampiezza del racconto O Bovedantúna ho

ritenuto opportuno considerarne la trascrizione come seconda parte del volume rispetto al materiale precedente facendola

precedere da una specifica nota introduttiva. Va inoltre sottolineato che i testi che costituiscono la prima parte (ad eccezione di

3


quelli di A.Niemen) sono frutto di una mia traduzione dal francese e dal romaní kalderaš (per i dialoghi contenuti nel manuale di

A.Barthélémy) o di brevi composizioni da me redatte direttamente in sinto. Nonostante la mia buona conoscenza del sinto

piemontese è probabile che alcuni testi difettino in spontaneità e risultino un po’ troppo didascalici. Per quanto io mi sia sforzato

forse non sempre sono riuscito a pensare e a esprimermi come si esprimerebbe un sinto. Successive verifiche fatte con alcuni

Sinti Piemontesi residenti nell'area torinese mi hanno consentito un’ampia revisione del lavoro confermandomi di aver comunque

prodotto un’opera complessivamente di buon livello sotto il profilo linguistico e didattico. E’ opportuno ribadire una volta di più

che la progressiva rinuncia all'uso della propria lingua da parte dei Sinti Piemontesi nella vita quotidiana rende difficile qualsiasi

tipo di riscontro. Al di là di alcuni Sinti in età avanzata (ultra 70-enni), ai quali ho fatto riferimento, raramente soggetti più

giovani (20-50 anni) si sono dimostrati in grado di offrire un valido apporto. E' apparsa evidente una competenza linguistica

decrescente in rapporto alla diminuzione della fascia di età.

Dopo aver quindi specificato le ragioni, le circostanze ed i limiti di questo lavoro non mi resta che precisare che questo volume si

presenta allo studioso come qualcosa a metà strada tra un manuale di conversazione ed una mini-antologia. I testi seguono,

almeno nella parte iniziale, una certa progressione per quanto concerne l’estensione e la complessità. Nel loro insieme essi

contengono le regole principali di forma e di sintassi e forniscono al lettore un lessico quantitativamente significativo, senza

andare naturalmente al di là di quanto già contenuto nella grammatica e nel dizionario.

La colonna “NOTE” contiene numerose precisazioni grammaticali facenti riferimento all’opera citata a pag.1, nota 1 (indicati

come: S.F. - GRAMM. Pag. xx), oltre ad osservazioni specifiche sullo stile e sul lessico e ad approfondimenti sul testo.

4


Inoltre sono state inserite alcune "finestre" contenenti informazioni di carattere storico ed etnografico nonché gastronomico, i cui

testi sono tratti dal volume "S. Franzese - I Sinti Piemontesi - Le Sínti Piemontákeri" (vedere bibliografia - pag. 111) e dal

volume di A. Niemen O ker kun le penijá, già citato in precedenza.

Attraverso questa opera lo studioso potrà acquisire l'immediatezza della conversazione e lo stile espressivo propri della realtà dei

Sinti Piemontesi. Si tratta, è giusto dirlo, di una lingua semplice parlata da persone semplici e adatta ad esprimere concetti e

pensieri in linea con questa realtà. Ciò non significa che i Sinti non possano essere persone erudite o esprimersi in maniera

profonda ed articolata, ma in quel caso essi ricorrono all'utilizzo della lingua italiana (o di parlate regionali) il cui lessico è più

ricco. D'altro canto però non è neppure detto che la saggezza e la sapienza non possano essere talvolta rivelate anche attraverso

parole semplici…

Non posso mancare di esprimere qui il mio sincero ringraziamento a coloro che con molta pazienza e disponibilità, ma soprattutto

con grande fiducia, mi hanno aiutato nel portare a compimento questo progetto: Cale Laforé, Vanni Deglaudi e, in particolare,

Venerino Deglaudi insieme alle loro famiglie sempre accoglienti ed ospitali. Sono inoltre immensamente riconoscente alle

famiglie Vincent, Brant Hoffman, Laporte, Laurot, Chevalier, Lafleur e Landoer per aver acconsentito all'utilizzo delle fotografie

che corredano il presente volume. 3 Si tratta di immagini messe a disposizione da Roger Vincent, sinto francese di origini

piemontesi, che documentano l'ambiente di vita dei Sinti Piemontesi in Francia tra gli anni venti e la metà degli anni sessanta.

3 pubblicate alle pagg. 18, 28, 34, 40, 43, 48, 51, 68 e 87 (oltre alla foto di copertina). La fotografia a pag. 20 è dell'autore; la fotografia a pag. 67 è

stata realizzata da A.Artuffo.

5


L'obiettivo di questo lavoro che mi ha visto a lungo impegnato è forse un sogno? Un'utopia? Può darsi, ma non importa. Ciò che

conta per me in primo luogo è di aver messo in atto un ulteriore tentativo per non far morire questa lingua al cui studio ho profuso

una parte significativa ed importante della mia vita. Un impegno che nasce prima di tutto dalla volontà di fare qualcosa di

concreto per riscattare la dignità di una popolazione che la società moderna, fondata sul profitto e sulla speculazione, ha confinato

ai suoi margini.

Le pagine che seguono vogliono dunque essere un piccolo contributo al dialogo tra le culture, un dialogo possibile soltanto nel

rispetto reciproco, presupposto per una pace di cui il mondo sembra aver ogni giorno più bisogno.

Sergio Franzese

Torre Pellice, Febbraio 2004

revisione: gennaio 2021

6


REGOLE DI ORTOGRAFIA E PRONUNCIA

1) le vocali (a, e, i, o, u) e le consonanti b, d, f, g (di "gatto"), l, m, n, p, r, s, t, v non presentano

modificazioni rispetto alla lingua italiana e pertanto si leggono e si scrivono allo stesso modo.

2) la lingua romaní (e, nel caso specifico, il dialetto sinto piemontese) presenta inoltre una serie di fonemi che

differiscono nella grafia dall'italiano. Essi sono:

- č che si legge come c di cena. Es. číro (tempo)

- k che si legge come c di cane. Es. ker (casa)

- ǧ che si legge come g di gente. Es. ǧukél (cane)

- z che si legge come s in rosa. Es. zor (forza)

- š che si legge come sc di scienza. Nel sinto piemontese parlato in Italia questo fonema si è conformato

alla fonetica del dialetto piemontese ed è stato sostituito con ś (vedasi punto successivo) mentre permane

inalterato nella variante parlata in Francia.

7


3) Vi sono fonemi che non hanno corrispettivo nella lingua italiana. Essi sono:

- h che si pronuncia lievemente aspirata. Es. háligo (santo).

- χ che si pronuncia come ch nella parola tedesca Buch. Es. χajéri (soldi).

- ś che si legge come sj (una via di mezzo tra s di sole e e sc di scienza)

- ź che si pronuncia come un suono collocato a metà tra j francese di jour (ž) e s dolce di rosa (z). Es.

piźúno (piccione).

- n- (ŋ) presente in parole piemontesi adottate dal dialetto sinto. Es. fín-a, fín-a kaj (fino, fino a). Il fonema

n- (ŋ) corrisponde al suono inglese -ing (es. getting) ove la g finale tende a scomparire.

- ö e ü presenti in parole di origine piemontese e francese. Es. pöj (poi < piem. pöj), malerözo (in SPF:

triste < fr. malheureux), ütav- (in SPF: aiutare < piem. giüté (?)).

4) Le semivocali: i come in italiano nella parola ieri si scrive j. Es. jag (fuoco), daj (madre) e u come w in

inglese nella parola cow si scrive ŭ. Es. boŭ (forno), śoŭ (sei).

8


L'ACCENTO

L'accento cade prevalentemente sull'ultima sillaba finale (tronche), in misura minore sulla penultima (piane) e

sulla terzultima (sdrucciole) nei termini di origine genitiva in -éskero, -ákero, ecc.

Per una corretta pronuncia si rimanda comunque all'ascolto dei seguenti file audio (testi narrati da "Taro"

Amilcare Debar. La loro trascrizione e traduzione è reperibile in Sergio Franzese - Il dialetto dei Sinti

Piemontesi):

Testimonianza di "Taro" Amilcare Debar (a pag. 39 del succitato volume)

https://www.yumpu.com/it/document/read/65202012/il-dialetto-dei-sinti-piemontesi

[file audio: http://www.progettoniglo.org/taro.mp3]

il racconto di Cenerentola (testo a pag. 45 del succitato volume)

https://www.yumpu.com/it/document/read/65202012/il-dialetto-dei-sinti-piemontesi

[file audio: http://www.progettoniglo.org/Buciarorì.mp3]

Sigle utilizzate nel testo

SP Sinto Piemontese, Sinti Piemontesi

SPP Sinto Piemontese parlato dai Sinti Piemontesi in Piemonte (e - per estensione - nelle regioni italiane in cui essi sono presenti )

SPF Sinto Piemontese (variante francese)

9


10


- PARTE PRIMA -

Dialoghi e racconti in sinto piemontese

11


12


RAKARIBÉN 1 (JEK) TESTO 1 NOTE

1 - Lačó divés!

2 - Lačó divés!

3 - Sar ǧála túke?

4 - Ǧála miśtó. So kaméssa?

5 - Kamáva te ǧánáu kaj si tro ba

6 - Na ǧanáu. Mri daj si-li keré; jáŭ

ndrén se kaméssa

7 - Na, me na pinǧaráva la

8 - Kánte véla-lo keré tro ba?

9 - Kon ǧanéla? Stik ke véla-lo kalikó

1 - Buongiorno!

2 - Buongiorno!

3 - Come stai?

4 - Bene. Cosa desideri?

5 - Voglio sapere dov'è tuo papà

6 - Non so dov'è. Mia madre è in casa;

entra se vuoi

7 - No, non la conosco

9 - Quando torna a casa tuo padre?

10 - Chi lo sa? Forse domani

Ciascuna nota è preceduta dal numero

della frase a cui è riferita

Sono stati evidenziati in carattere corsivo i

seguenti termini in piemontese (o in italiano -

mutuati dal piemontese) entrati nell'uso del

dialetto SPP e rimasti inalterati:

alúra = allora, dop = dopo, e = e (alternativo

a "ta"), fa = fa, fin-a = fino a, finké = finché,

ǧa = già, kúntra = contro, ma = ma, maj =

mai

- mal = male, in keréla mal "fa male"

(alternativo a "dukóla")

- o = o, oppure

- peró = però

- pi = più

- pöj = poi (alternativo a "palé")

- se = se (alternativo a"te")

- trop = troppo

3 - sar ǧála túke? Lett.: come ti va?.

5 - kamáva te ǧánáu… Lett.: voglio che so.

In romanés l'infinito è sostituito dalla

subordinazione attraverso la congiunzione te

"che, affinché" seguita dall'indicativo.

presente-futuro nella forma breve. Es. vado a

13


mangiare > vado che mangio > ǧáva te χáu.

S.F.- GRAMM. - Pag.19.

6 - na ǧanáu = non so. Forma breve.

- si-li / i-li. Le particelle -lo (masch.) -li

(femm) e -le (plur. per entrambi i generi)

poste dopo la terza persona del verbo, dette

particelle clitiche, derivano da una forma

arcaica e conservano un valore rafforzativo

nei confronti del soggetto.

S.F.- GRAMM. - Pag.21.

8 - kánte = quando (piem. cánde, quánde).

Anche kántu. In SPF anche kúnte.

9 - stik è la radice del verbo servile "potere".

In questo caso viene utilizzata nell'accezione

di "forse, può darsi, è possibile che, ecc".

Normalmente è seguita da te e dal verbo in

forma breve. Es. stik te vel = puó venire

S.F.- GRAMM. - Pag.21.

- kalikó = domani. Anche téjsa (quest'ultimo

è considerato però un termine proprio del

sinto lombardo).

Se il contesto della frase è al passato kalikó e

téjsa possono assumere il significato di "ieri"

(tuttavia è preferibile utilizzare tali avverbi

nell'accezione futura). Il termine "ieri" può

anche essere efficacemente espresso dalla

locuzione o divés nakló "il giorno passato".

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RAKARIBÉN 2 (DUJ) TESTO 2 NOTE

1 - Kaj ǧássa, čaj?

2 - Ǧáva te kináu o félzo t'o mas

3 - Váva túsal. Na si-ma či te keráu

4 - Ová, jáŭ mánča. Presaráva túke o

brúno

5 - Tu sal da lačó lió. Presár mánge

nínge fifamángeri

6 - Na si-ma dóstra χajéri

7 - Se i-lo gjal alúra na váva túsal. Na

ves χolinjákeri mánča

8 - Śun, ker so kaméssa. Me na síma

χolín

1 - Dove vai, ragazza?

2 - Vado a comperare il pane e la carne

3 - Vengo con te. Non ho nulla da fare

4 - Sì, vieni con me. Ti pagherò il caffè

5 - Sei buona. Pagami anche le sigarette

6 - Non ho abbastanza soldi

7 - Se è così allora non verrò con te.

Non prendertela

8 - Ascolta, fa quello che ti pare. Io non

sono offeso (io non ho rabbia)

2 - félzo = pane. E' un termine tipico del sinto

piemontese. (il termine ha origine dal tedesco

Falz, scanalatura, e si riferisce all'incisione

fatta sul pane per favorirne la cottura).

Utilizzato anche il termine maró, comune -

con alcune varianti di natura fonetica - a tutti i

dialetti sinti e rom.

-t'o = contrazione di ta (e) ed o

(art.determ.masch.). Analogamente, per il

femminile, t'i, contrazione di ta (e) ed i

(art.determ.femm.).

3 - si-ma. Lett.: è (III pers. sing. del verbo

"essere") + pron.person. me "io" in forma

accusativa.

Il verbo "avere" è formato dalla terza persona

singolare del verbo "essere" seguito dal

pronome personale in forma accusativa.

S.F.- GRAMM. - Pag.20 e pag. 33 (Tab. ΧI).

4 - mánča = con me. Anche mánsal

5 - tu sal da lačó lió. Lett.: tu sei di buon

cuore.

6 - χajéri = soldi, denaro. Sinonimo di lové

(comune a tutti i dialetti zingari). Presenta una

certa analogia fonetica con χaddé, di uguale

significato, utilizzato dai Rom dell'Italia

15


Centro-meridionale.

7 - alúra = allora (piem.).

- na vava túsal = non vengo / non verró con

te. Non esiste distinzione tra tempo presente e

tempo futuro. La collocazione temporale è

definita dal contesto della frase.

- Na ves χolinjákeri mánča. Lett.: non

diventare arrabbiata con me.

Le principali comunita' di Sinti Piemontesi sono stanziate nei pressi delle

grandi citta' (Torino, Cuneo, Asti, Alessandria) e vicino a paesi quali

Carmagnola (CN), Villafalletto (CN), Villafranca (CN), San Damiano (AT),

Chivasso (TO), Ivrea (TO) ed in diverse altre localita'.

Se ne trovano anche nelle zone di Vercelli, nel Biellese e di Novara, dove la

presenza si mescola a quella dei Sinti Lombardi.

Oltre che in Piemonte, i Sinti Piemontesi sono presenti in maniera sporadica

e più limitata anche in altre regioni italiane quali Lombardia, Liguria,

Toscana, Lazio.

16


RAKARIBÉN 3 (TRIN) TESTO 3 NOTE

1 - Śun, móre, de ma ne vast

2 - Par so?

3 - Mro sugáro sejvardás mánge ne

lil. De mánge pren kavá papíro óske

me na ǧanáva te dáu pren

4 - De ma kaj. I-lo ne puró lil

5 - Ová, si-lo mánde da but číro.

Na sas kek ke stikolas te del pren

6 - Me dáva pren tro lil. Beś tu pri

śéza.

7 - Parkaráva tu da sa mro lió

1 - Ascolta, amico, aiutami

2 - Per cosa?

3 - Mio cognato mi ha scritto una

lettera. Leggimi questo foglio (lettera)

perché io non so leggere

4 – Dammi qua. E’ una vecchia lettera

5 - Sì, ce l’ho da tanto.

Non c’era nessuno che potesse leggerla

6 - Leggerò io la tua lettera. Siediti

sulla sedia.

7 - Ti ringrazio con tutto il cuore

1 - móre = termine che significa amico/a,

compagno/a. Usato come intercalare (ma non

come sostantivo) in una espressione nella

quale ci si rivolge ad un'altra persona, sia di

sesso maschile che femminile.

- de ma ne vast. Lett.: dammi una mano.

Calco dal dial. piem. "dé na man" (aiutare,

lett.: dare una mano).

- ne è l’articolo indeterminativo "uno, una"

derivato dal piemontese. In SPP tende a

sostituirsi quasi ovunque a je, jek.

S.F.- GRAMM. - Pag.7.

2 - par so? = Lett.: per cosa?.

3 - sejvar- = scrivere. Anche sibjar- e

skrivar-. Si tratta in tutti i casi di una

derivazione dalla radice italiana (mutuata dal

piem.) del verbo "scrivere".

- óske, perché, poiché. Anche sóske.

5 - si-lo mánde = è presso di me (locativo).

17


18


RAKARIBÉN 4 (ŚTAR) TESTO 4

NOTE

1 - Sar si ke rakaréssa romanés tu ke

sal ne petláro?

2 - Sikadén les mánge le Sínti. E tu?

3 - Me som ne čačó sínto. I čib romaní

si mri čib. Kíči čibjá ǧanés tu?

4 - Me ǧanáva śtar čibjá. Ma i čib

romaní da le Sínti Piemontákeri si i

kaví koj ke me rakaráva fedér da

sassaré

5 - Tu pirdál but trujál o bolibén ta

dikjál but gáŭ, na si čačó?

6 - Ová, me pirdóm kaj le Tejč, kaj le

Válči, ta nínge pi durál. Kon piréla

but sikavéla but

1 - Com’è che parli romanes tu che non

sei sinto (sei un "villano")?

2 - Me lo hanno insegnato i Sinti. E tu?

3 - Io sono un vero sinto. La lingua

romaní è la mia lingua. Tu quante

lingue conosci?

4 - Conosco quattro lingue. Ma la

lingua romaní dei Sinti Piemontesi è

quella che parlo meglio di ogni altra

5 - Hai girato molto per il mondo e hai

visto molti paesi non è vero?

6 - Sì, sono stato in Germania, in

Francia ed anche piú lontano. Chi

viaggia molto impara molto

1 - romanés = alla zingara. Si tratta di una forma

avverbiale. In questo caso è usata come se si

trattasse di un sostantivo.

- petláro = non zingaro, sedentario, villano. E’ un

termine tipico dei SPP ed è utilizzato come

sinonimo di gaǧó (quest'ultimo è comune a tutti i

dialetti zingari). E' conosciuto anche dai SPF ma

usato come equivalente di pirdó "viaggiante,

girovago non zingaro".

2 - e tu = e tu?. La congiunzione "e" è spesso

usata sia nella forma italiana (mutuata dal piem.)

che in sinto (ta), senza attenersi ad una regola

precisa se non - presumibilmente - per una scelta

di tipo fonetico.

4 - kaví koj = lett.: la quale là (al. masch. kavó

koj, plur. kavé koj)

- sassaré "tutti, tutte".

5 - bolibén = mondo. Significa allo stesso tempo

anche cielo. Si usa anche il termine vélto (anche

esso con entrambi i significati). L'espressione v-

pro bolibén (o v- pro vélto) traduce il verbo

"nascere".

6 - I nomi di alcuni Stati sono espressi dalla

nazionalitá dei rispettivi abitanti. Ad esempio

Germania = kaj le Tejč = dove (stanno) i

Tedeschi; Francia = kaj le Válči = dove (stanno) i

Francesi, ecc.

- pi = più (piem.).

19


Una comunita' di Sinti Piemontesi significativa sotto l'aspetto numerico si trova in Francia nella regione delle Alpi Marittime-

Costa Azzurra, ivi stanziata da almeno due secoli.

Nei pressi di Grasse, e precisamente a Plan de Grasse, vi e' un quartiere abitato esclusivamente da Sinti Piemontesi. Essi

abitano in case, hanno un'occupazione stabile ed i giovani frequentano regolarmente la scuola.

Si tratta di una situazione sicuramente piu' favorevole di quelle che conosciamo in Piemonte poiché' la' l'inserimento sociale

si coniuga con il mantenimento delle tradizioni, tra cui l'uso della propria lingua da parte di tutti, senza vergogna, anche dei

bambini.

Sinti Piemontesi nelle Alpi Marittime. Al centro Lick Dubois (foto S.Franzese)

20


RAKARIBÉN 5 (PANČ) TESTO 5 NOTE

1 - Máma, stik te ǧáu ndro fóro?

2 - Na, na stik. Tro ba na kaméla ke

ǧássa kokoró

3 - Ma me ǧáva koj kun mre kikiǧalé

4 - Pendóm te na. Nínge se na ǧássa

kokoró tro ba na kaméla

5 - Par so na kaméla-lo? Jóŭ ǧála

sémpar trujál ta me na stik

6 - Jóŭ keréla so kaméla. Si tro ba.

Tu sal pándra ne čavó

7 - Muk ma te ǧáu mónsi paś kóra

8 - Pendóm te na. Kaná če stil!

9 - Oj ke baró ková! Tumén san bi lió

1 - Mamma, posso andare in cittá?

2 - No, non puoi.Tuo padre non vuole

che tu vada solo

3 - Ma io ci andró con i miei cugini

4 - Ti ho detto di no. Anche se non ci

vai da solo tuo padre non vuole

5 - Perché non vuole? Lui se ne va

sempre in giro ed io non posso

6 - Lui fa quello che gli pare. E’ tuo

padre. Tu sei ancora un bambino

7 - Lasciami andare solo mezz’ora

8 - Ho detto di no. Adesso sta’ zitto!

9 - Oh che diamine! Siete senza cuore

1 - máma = forma diretta (piem.) per

rivolgersi alla madre. Il sostantivo "madre" è

daj.

- stik = E’ una forma avverbiale (possibile)

che traduce il verbo "potere". Talvolta è

utilizzata come radice verbale.

S.F.- GRAMM. - Pag.21.

- ndro = nel, dentro il. Preposizione articolata

formata dalla contrazione di ndren "in" e di o

"il". Femminile ndri. Plurale ndren le.

Ugualmente utilizzate le forme an o (forma

contratta no) "nel". Femm. an i (forma

contratta ni) "nella". Plur. an le "nei, negli,

nelle".

S.F.- GRAMM. - Pag. 36.

3 - ma = ma. (ital. e piem.).

5 - sémpar = sempre (ital. e piem. sempre).

7 - kóra = ora. Talora viene usato anche il

termine śtúnda (dal tedesco Stunde), come in

sinto lombardo.

9 - ke baró ková! Tipica espressione del

dialetto SP (e degli altri diall. sinti dell’Italia

del Nord). Letteralmente significa "che grande

cosa" ed esprime disappunto, stupore, ecc.

21


RAKARIBÉN 6 (ŚÓU) TESTO 6 NOTE

1 - Χajovéssa so penáva me?

2 - Χajováva kánte rakaréssa

puśukár

3 - Ová. Te si gjal me na rakaráva sig

4 -Túsal me stik te sikaráva miśtó

5 - Si-ma i bok. Jáŭ te χas čomóni

mánča

6 - Ová. Me na χajóm pándra či ta

śunáva ma te meráu

7 - So kaméssa te χas? O śukló χabén

o i χaχnín?

8 - Ne tokór di χaχnín ǧála miśtó par

mánde

9 - Kaméssa nínge śuklí?

10 - Na, palál di χaχnín me pjáva glej

ne bóla da brúno, ma na čiv o cúkro

ndren léste óske me kamáva les bíter

1 - Capisci quello che dico?

2 - Capisco quando parli adagio

3 - Sì. Se è così non parlerò veloce

4 - Con te posso imparare bene

5 - Io ho fame. Vieni a mangiare

qualcosa con me

6 - Sì. Non ho mangiato ancora nulla e

mi sento morire

7 - Cosa vuoi mangiare? Il "śukló

χabén" o la gallina?

8 - Un pezzo di gallina per me va bene

9 - Vuoi anche dell'insalata?

10 - No, dopo (aver mangiato) la gallina

berrò subito una tazza di caffè, ma non

metterci dello zucchero perché a me

piace amaro.

2 - puśukár = adagio. Anche piśukár.

3 - sig = veloce. Anche sígo.

5 - si-ma i bok = ho (la) fame.

Notare le seguenti espressioni: som bokaló =

sono affamato, som truśaló = sono assetato,

som traśunó = sono impaurito.

7 - śukló χabén = gallina brusca.. Lett. cibo

agro. Vedere "finestra" a pag. 71.

- o = o, oppure (ital. e piem.). Non si ha

riscontro di un termine originale in alcun

dialetto sinto.

22


RAKARIBÉN 7 (EFTÁ) TESTO 7 NOTE

1 - Tu bitravéssa but, kaké Balín

2 - Si bróχa te bitraváu. So pačés?

Ke na kamáva o bitrávimo?

3 - Nínge me bitraváva ma kánte som

kinó ačaváva ma ne písla

4 - Se na keráva či déla zer ke som

nasaló. O bitrávimo i-lo sastipén

5 - Čačó. O bitrávimo i-lo sastipén. E

te čés sémpar sastó si bróχa te sovés

but…

6 - Ová, ová. Ǧanáva le Sínti sar tu.

Kánte si te den ne vast keréna vináke

te bitravén, déna čiro ke kek na

dikéla e naśena pénge vek…

1 -Tu lavori molto, zio Balin

2 - E’ necessario lavorare. Cosa credi?

Che a me il lavoro non piaccia?

3 - Anch’io lavoro ma quando sono

stanco mi fermo un po’

4 - Se non faccio nulla mi sembra di

essere malato. Il lavoro è salute

5 - E’ vero. Il lavoro è salute. E per

restare sempre in salute bisogna

dormire molto…

6 - Sì, sì. Conosco i sinti come te.

Quando c'è da dare una mano fingono

di lavorare, aspettano che nessuno veda

e scappano via…

2 - si bróχa = è necessario, bisogna. E’

composto dalla III pers.sing. del verbo essere

+ il sost.femm.sing. bróχa (bisogno). Dal ted.

"brauchen" (bisognare).

3 - ačav- pes = fermarsi. Anche ačov- pes e č-

pes.

4 - d- zer = sembrare, somigliare, apparire.

Lett. "dare somiglianza (avere la stessa aria di

qualcuno)".

Vedere NOTA 4 al TESTO 10 (pag. 27).

Anche bičov-

Vedere NOTA n. 3 al TESTO 25 (pag. 52)

- sastipén = salute. Termine composto dalla

radice sastó (sano) e dal suffisso pén.

Il suffisso -pén (o -bén) indica nomi astratti e

conferisce loro l’appartenenza al genere

maschile. Es. puribén "vecchiaia" (puró

"vecchio" + -bén); miśtipén "bene" [sost.]

(miśtó "bene" [avv.] + -pén); rakaribén

"dialogo, testo" (rakar- "parlare" +

-pén).

S.F.- GRAMM. - Pag. 9.

6 - d- číro = aspettare. Lett. dare tempo -

Vedere NOTA 4 al TESTO 10 (pag. 27).

- ker- vináke = fingere, far finta di

23


RAKARIBÉN 8 (OΧTÓ) TESTO 8 NOTE

1 - Katár véssa?

2 - Váva da mro ker

3 - So penéla pes da nevó?

4 - Rivodén komóni Sínti da vrín

5 - Ke Sínti i-le?

6 - I-le Lumbárdi

7 - Par so vjen-le kaj?

8 - Keréna o bétrimo droméskero.

Vjen-le kun le mesté par i fuára

9 - Fin-a kánte čéna-le kaj?

10 -Trin o śtar divés, ta palé ǧána

pénge vek.

1 - Da dove vieni?

2 - Vengo da casa mia

3 - Che si dice di nuovo?

4 - Sono arrivati alcuni Sinti da fuori

5 - Che Sinti sono?

6 - Sono Lombardi

7 - Che cosa sono venuti a fare?

8 - Fanno spettacolo viaggiante.

Sono venuti con le giostre per la fiera

9 - Fino a quando restano?

10 - Tre o quattro giorni, e poi se ne

andranno

1 - Katár = da dove. Anche da kaj.

4 - komóni Sínti = alcuni Sinti. L’avverbio

komóni significa letteralmente "qualcuno" ed

è composto da kon "chi" + -móni (suffisso

indeterminativo). In modo analogo è formato

l’avverbio čomóni "qualcosa", composto da

čo (derivato da so "cosa") + -móni (suffisso

indeterminativo).

8 - bétrimo droméskero = spettacolo

viaggiante. Lett. "lavoro della strada". Notare

il genitivo droméskero.

- mesté = il termine (sing. e plur.) sta ad

indicare giostre ed altre attivitá di Luna Park

(piem. mesté = mestieri).

9 - fin-a = fino a. (piem.). Non vi è riscontro

di alcun termine sinto avente lo stesso

significato.

24


RAKARIBÉN 9 (ENJÁ) TESTO 9 NOTE

1 - I purí Döra sganǧadás pes di

trasárla ta gjas ko merčéto

2 - Na sas kek ke inǧjás la fin-a koj ta

par kavá kaj sas-la te kerél sa o drom

pre pirénde

3 - Čjas-li ndro merčéto sa o divés te

dukarél e par te kinél čomóni par

péskre tikné nebúdi

4 - Rivodás keré ke sas-li kiní ta is-la

pándra te kiravél o χabén par sassaré

5 - Oj! Ke ǧungaló trúpo keréla i

čororí! Ndren maré divés le tarné

romnjá inǧéna le naśibángere sar le

gaǧjá ta na ǧána butér te zumavén o

vast da le petlári sar kerden-le ne

kópo

6 - Na ǧanáva so i fedér. Da ne rik o

bolibén ǧála angjál ma da ne vavér rik

méngre puré siklipén naśavéna pen…

1 - La vecchia Dora si è alzata la

mattina ed è andata al mercato

2 - Non c’era nessuno per

accompagnarla fin là e per questo ha

dovuto fare tutta la strada a piedi

3 - E’ rimasta al mercato tutto il giorno

per leggere la mano (predire il futuro) e

per comperare qualcosa per i suoi nipoti

4 - E' tornata a casa che era stanca e

doveva ancora cucinare il cibo per tutti

5 - Oh! Che brutta vita fa la poveretta!

Ai giorni nostri le giovani donne

guidano le auto come le (altre) donne e

non vanno più a leggere la mano ai

gagé come facevano una volta

6 - Non so cosa sia meglio. Da un lato il

mondo progredisce ma da un altro lato le

nostre vecchie usanze si perdono…

2 - sas-la te kerél = ha dovuto fare. Lett.: a lei

era di fare. Il verbo "dovere" si esprime con il

verbo avere (essere + pron. pers.acc.) seguito

dalla congiunzione te.

S.F.- GRAMM. - Pag. 21.

- pre pirénde = a piedi. Lett. sui piedi

(locativo).

3 - dukar- = predire il futuro.

E’ un’attività tradizionale condivisa da Rom e

Sinti e viene (veniva) esercitata dalle donne

attraverso la lettura della mano (chiromanzia),

delle carte (cartomanzia), dei fondi di caffè,

ecc.

Presso i SP si tratta di un’attività ormai poco

praticata. Essa è sempre comunque rivolta ai

gaǧé e rientra nella piú ampia tradizione del

mangipén "questua". In passato il mangipén

non equivaleva come oggi (soprattutto per

alcuni gruppi rom di provenienza balcanica ed

est-europea) alla mendicitá ma era un’attivitá

costituita dalla ricerca di beni di prima

necessità anche in cambio della cessione di

beni o di servizi. Nel caso dei SP questi

potevano essere costituiti da manufatti

artigianali come cestini di vimini o articoli di

merceria, riparazione di sedie, ecc. Tra i

servizi che potevano essere resi in cambio di

un po’ di denaro o di qualche prodotto vi era

25


Nascita e infanzia.

Non ci sono particolari riti legati alla nascita, che di solito avviene in

ospedale.

Una volta invece le donne partorivano nell'accampamento, fuori dalla

roulotte, assistite dalle donne piu' anziane.

I Sinti amano molto i bambini e generalmente hanno molti figli.

I bambini sinti, come tutti i bambini del mondo, amano divertirsi e giocare

ma appena essi crescono iniziano a badare ai fratelli ed alle sorelle piu'

piccoli e accompagnano la madre o il padre nelle loro attivita'.

Il matrimonio.

appunto il dukaripén, la divinazione

attraverso la lettura della mano.

- tikné = piccoli (anche tiné). Analogamente

tiknó (anche tinó) e tikní (anche tiní).

4 - sas-li = era. Anche is-li

S.F. - GRAMM. - Tab. Χ - Pag. 32

5 - zumav- o vast = leggere (lett. interrogare)

la mano.

6 - fedér = meglio.

- rik = lato, parte. Plur. rigá

- méngre = nostri/e. Sinonimo di maré

(masch. sing. méngro; femm.sing. méngri)

Presso i Sinti vi e' ancora l'usanza del matrimonio per fuga.

Due giovani che desiderano sposarsi, dopo essersi corteggiati per un po' di

tempo in modo discreto, decidono di fuggire insieme, andando a rifugiarsi

per alcuni giorni presso dei parenti.

Al loro ritorno essi si presentano ai rispettivi genitori che, dopo averli

rimproverati, solitamente danno loro la benedizione che sancisce l'unione e

da quel momento essi sono da tutti considerati come marito e moglie.

Questo matrimonio non necessita di essere confermato ne' in chiesa ne' in

municipio. Per questa ragione i figli solitamente portano il cognome

materno.

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RAKARIBÉN 10 (DEŚ) TESTO 10 NOTE

1 - Dik so kapitodás mánge!

2 - Duj divés fa sas-ma čomóni te

keráu a Türináte

3 - Sganǧadóm ma kaj le eftá da

trasárla, na χajóm či ta gjom vek paś

sutó

4 - Na djom váχta ta naśadóm o póχo

5 - Oj! Sas but lové ndren?

6 - Na. Par i baχt sas mónsi paś śel

éuri ma sas le kliǧinjá di naśibángeri,

ta sa le lil

7 - So keráva? Gjom palé ko ker ta

čjom koj sa o divés pardó di χolín

8 - Kalikó vjás ne gavaló ke inǧjás

mánge palé o póχo kun le lil, le χajéri

ta sa

9 - Par i báχt ke si pándra ménči da

lačó lió. Te dikél pren lénde o Baró

Devél!

1 - Guarda cosa mi è capitato!

2 - Due giorni fa avevo qualcosa da fare a

Torino

3 - Mi sono alzato alle sette di mattina, non

ho mangiato niente e sono uscito mezzo

addormentato

4 - Non ho fatto attenzione e ho perso il

borsello

5 - Oh! C’erano molti soldi dentro?

6 - No. Per fortuna solo cinquanta euro ma

c’erano le chiavi dell’auto e tutti i

documenti

7 - Che fare? Sono tornato a casa e sono

rimasto arrabbiato per tutto il giorno

8 - Ieri se n'è arrivato un ragazzo che mi ha

riportato il borsello con i documenti, i

soldi e tutto quanto

9 - Per fortuna che ci sono ancora persone

buone. Che il Buon Dio le benedica!

2 - Türináte = Torino. I nomi delle località in sinto

sono in molti casi costituiti dal nome del luogo (alle

volte pronunciato in maniera storpiata) a cui si

aggiunge il suffisso -áte (locativo). Es. Fujisáte

"Foglizzo" (in piem. Fujís + -áte), Astráte "Asti" (in

piem. Ast + -áte, con l’introduzione di una -r-), ecc.

- sas-ma = avevo. Anche is-ma.

S.F. - GRAMM. Tab. ΧI - Pag. 33.

- fa = fa (ital. e piem.)

4 - d- váχta. Locuzione formata dal verbo d- "dare"

e dal sostantivo vaχta "guardia".

Molte locuzioni verbali sono formate con l'ausilio del

verbo d- dare.

Ad es. d- briśindó "piovere", d- búka "mordere", d-

číro "aspettare", d- damént "ascoltare, dare retta", d-

goǧí "ricordare, pensare" d- góli "gridare", d- jiv

"nevicare", d- jag "accendere (il fuoco)" (per dire

accendere la luce o premere un interruttore si usa il

verbo tabar-), d-pále, "rispondere, rendere", d- pren

"leggere", d- suné "sognare", d- táu "telefonare", d-

zer, "apparire, sembrare, somigliare".

6 - éuri = plurale di euro!

-lil = lettera, documento, libro.

8 - gavaló = ragazzo (non sinto). Sinonimo di rakló.

Probabilmente da gaŭ "paese, villaggio"

9 - Baró Devél = il Buon Dio. Lett. il Grande Dio.

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RAKARIBÉN 11 (DEŚ TA JEK) TESTO 11 NOTE

1 - Kále, kon si o rakló ke véla túsal?

2 - Si mro mal, o Sándro

3 - Par so véla maśkarál ménde?

4 - Kaméla te dikél sar ǧivovássa

jamén Sínti

5 - Dik, ke baró ková, móre ! O ker si

sa χamardó. Ke barí laǧ!

6 - Čaj! De les ne śéza par te beśél pes

kaj paričál ménde

7 - Melíza, le péskro kóro. Na dikéssa

ke meréla-lo do tatipén?

8 - Pöj ker ne písla brúno, ma ker les

kun i strímpa gjal o rakló dikéla sar

kerénas maré puré …

1 - Cale, chi è il ragazzo che viene

insieme a te?

2 - E’ il mio amico Sandro

3 - Cosa viene a fare tra di noi?

4 - Vuole vedere come viviamo noi

Sinti

5 - Guarda tu che roba! La casa è tutta

sporca. Che vergogna!

6 - Ragazza! Dagli una sedia per farlo

sedere qui vicino a noi

7 - Melissa, prendi la sua giacca. Non

vedi che sta morendo di caldo?

8 - Poi prepara un po’ di caffè ma fallo

con la calza così il ragazzo vede come

facevano i nostri vecchi…

4 - ǧivov- = vivere.

Me ǧivováva (anche ǧiváva); tu ǧivóssa; jóŭ

/ joj ǧivóla, jamén ǧivovássa (anche

ǧivássa), tumén ǧivóna, jon ǧivóna.

8 - pöj = poi (piem.). Usato in alternativa a

palé.

- o brúno kun i strímpa = il caffè alla

"strimpa" lett. (calza). E’ un modo tradizionale

per la preparazione del caffè, così come

descritto nel TESTO 37 (pag. 72-73).

29


RAKARIBÉN 12 (DEŚ TA DUJ) TESTO 12 NOTE

1 - Sar karéla pes kajá tikní?

2 - Karéla pes Molly. Si i čaj da mri

pen

3 - Muk ma te láŭ la an le musjá

4 - Na! Mutrjás-li pre péste

5 - Bah! Alúra parúv lákre χovajá

6 - Muk la te sovél. Na ker la te rovél.

Dakáj písla čiro si te lel o tud di čučí

da péskri daj

8 - Kaj si i daj?

9 - Gjas andri vínkla te del táu par

péskro rom ma véla-li palé sígo

1 - Come si chiama questa bambina?

2 - Si chiama Molly. E’ la figlia di mia

sorella.

3 - Lascia che la prenda in braccio

4 - No! Si è fatta la pipì addosso

5 - Bah! Allora cambiale il pannolino

(gli indumenti)

6 - Lasciala dormire. Non farla

piangere. Tra poco deve prendere il

latte dal seno di sua madre

8 - Dov’è sua madre?

9 - E’ andata nella bottega a telefonare

a suo marito ma torna subito

1 - kar- pes = chiamarsi. Me karáva ma, tu

karéssa tu, jóŭ / joj karéla pes, ecc. In SPF

si usa anche la locuzione verbale d- (+

pron.rifl.) góli letteralmente: gridarsi. Es. Me

dáva ma góli, tu déssa tu góli, jóŭ déla pes

góli, ecc.

4 - pre péste = su di sé.

9 - d- táu = telefonare. Lett. dare filo.

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RAKARIBÉN 13 (DEŚ TA TRIN) TESTO 13 NOTE

1 - So si kalá góli?

2 - Si i Maríza ke čingaréla kun

péskri sasúj

3 - Te marél tu o Baró Devél! Ǧuklí

χandiní! - penéla i purí. - Tu mukjál

ma kokorí te zuzaráu o ker ta te

pekáu o χabén tanké tu ǧássas te

pirés ándro fóro kun le rakljá!

4 - Χoχaní! - penéla i borí - Na si

čačó! Tu sal sémpar kúntra mánde!

Na čáva butér kaj. Naśáva tuméndra!

Ǧáva mánge kaj mri daj!

5 - Na ǧanéla pes kon si i pi diní

maśkarál le duj. Se véla-lo palé o

puró maréla sa le duj!

1 - Cosa sono quelle urla?

2 - E' Marisa che litiga con sua suocera

3 - Che Dio ti castighi! Cagna

puzzolente! - dice la vecchia. - Mi hai

lasciata sola a pulire la casa e a

preparare da mangiare mentre tu te ne

sei andata a passeggio in città con le

ragazze!

4 - Bugiarda! - dice la nuora - Non è

vero! Tu sei sempre contro di me! Non

resterò più qui. Scapperò via da voi! Me

ne vado da mia madre!

5 - Non si sa chi è la più cattiva tra le

due. Se torna il vecchio le picchierà

tutte e due!

3 - Non ci si deve stupire di insulti che

possono sembrare particolarmente offensivi.

Essi infatti fanno parte di un linguaggio

colorito che viene adoperato in circostanze di

litigi, dispute, ecc. Va invece sottolineato che

sono considerate ingiurie imperdonabili quelle

rivolte ai defunti e che queste possono

scatenare reazioni molto violente.

- tu = tu. All'accusativo anche tut.

- tanké = mentre. Dal franc. tant que.

4 - kúntra = contro (piem.). Regge il

locativo.

31


RAKARIBÉN 14 (DEŚ TA ŚTAR) TESTO 14 NOTE

1 - Baχtaló nevó berś tuménge!

2 - Nínge túke, pral! Jau pasál ménde

te pjes čomóni

3 - Na, me na pjáva butér. Pjom ǧa

trin glázi da mol ta śunáva ma paś

piló

4 - Pje mónsi ne písla par méngro

sastipén!

5 - Miśtó! Te ǧivón śel berś ta sar

dikjám kavá berś kaj ke stik te dikás

nínge o berś ke véla!

6 - Te śunél tu o Baró Devél! Nínge tu

ta tri romní kun tre čavé ta sa i famía

te ǧivón pándra but čiro

7 - Te vén lačí baχt ta χajéri par

sassaré. Ke o Baró Devél léla durál

méndra le nasálimi e dikéla pre

ménde ta pre maré čavé!

1 - Buon anno nuovo a voi!

2 - Anche a te, fratello! Vieni a bere

qualcosa qui con noi

3 - No, non bevo più. Ho gia bevuto tre

bicchieri di vino e mi sento stordito

4 - Bevi solo un po' alla nostra salute!

5 - Va bene! Che viviate cento anni e

così come abbiamo visto quest'anno che

possiamo vedere anche il prossimo!

6 - Che Dio ti ascolti! Anche tu, tua

moglie ed i tuoi figli con tutta la tua

famiglia, che viviate ancora a lungo

7 - Che vi sia felicità e denaro per tutti.

Che Dio allontani da noi i malanni e

prenda cura di noi e dei nostri figli!

3 - ǧa = già (ital. e piam.). Anche ǧam e

ǧamóu (?)

6 - famía = famiglia (piem.). Non esiste una

parola specifica per indicare la famiglia intesa

come nucleo famigliare. La famiglia sinta è

infatti una famiglia allargata. Per indicare

l'insieme della parentela si usa l'espressione

"mre sínti" cioè "i miei sinti".

32


RAKARIBÉN 15 (DEŚ TA PANČ) TESTO 15 NOTE

1 - Kaj paśál ménde ǧivólas ne tarní

romní. Na penáva túke o láŭ óske me

bistardóm sar karélas pes

2 - Joj čingardás-li sémpar kun péskro

rom. O rom sas-lo ne pilokár ke

rodélas o čingárimo kun sassaré in sa

le vínkimi

3 - Par ne ková da či o dinó rom délaslo

góli, nínge se i romní na kerélas či

da bilačó

4 - Ne divés o bopéro ta i sasúj bičadén

la palé da péskri daj ta da péskro ba

5 - Pro drom joj rovélas-li da sa lákri

zor. Par i baχt na sas-la čavé

6 - Kánte rivodás-li ndro ker do ba, o

ba t'i daj di romní bičadén le ramanjá

palál léngro bofíso. Nakjén trin kurké

t'o rom mujás-lo

7 - Sas par péskro dinipén ke o rom

mujás-lo pándra tarnó

1 - Qui da noi viveva una giovane

donna. Non ti dirò come si chiamava

perché ho dimenticato il nome

2 - Litigava sempre con suo marito. Il

marito era un ubriacone ed un

attaccabrighe

3 - Per un nonnulla gridava, anche se la

moglie non faceva nulla di male

4 - Un giorno il suocero e la suocera la

rimandarono dai suoi genitori

5 - Lungo la strada piangeva con

disperazione. Per fortuna non aveva

figli

6 - Quando arrivò alla casa paterna, il

padre e la madre maledirono il genero.

Passarono tre settimane e l’uomo morì

7 - Fu a causa della sua cattiveria che

l'uomo morì ancora giovane

2 - pilokár = ubriacone.

- čingárimo = litigio, baruffa. Anche

čingaripén.

- sas-lo = era. Anche is-lo

S.F. - GRAMM. - Tab. Χ -Pag. 32

3 - bi "senza" è spesso utilizzato come

particella privativa per conferire ad un

aggettivo o ad un sostantivo il senso opposto

(o assenza di). Es. lačó = buono, bilačó

cattivo, malvagio; lon = sale, bi lon =

insipido; bal = capelli, bi bal = calvo, ecc.

4 - 6 - I temini di parentela sono:

ba = padre; daj (máma) = madre;

čavó = figlio; čaj = figlia; papú = nonno;

nóna = nonna; nebúdo (pl. -i) / -a (pl. -e) =

nipote/i (sia di nonni che di zii); kaké = zio;

bibí = zia; kikiǧaló (femm. -i plur. -é) =

cugino /-a/ -i / -e; rom = marito, romní =

moglie; bopéro = suocero; sasúj = suocera;

bofíso = genero; borí = nuora; sugáro =

cognato (in SPF kunjádo); sugára = cognata

(in SPF kunjáda).

5 - sas-la = aveva (femm.). Anche is-la.

S.F. - GRAMM. - Tab. ΧI - Pag. 33

33


34


RAKARIBÉN 16 (DEŚ TA ŚÓU) TESTO 16 NOTE

1 - Ne divés o Baró Devél t'o beng

pirénas-le ketané pre ne drom ta

rakarénas-le finké rivodén-le paśál ne

félda da matréli

2 - O Baró Devél pendás par o beng:

"Alúra, Beng, dikéssa sar i-lo śukár o

bolibén? So kaméssa les túke? Le

ková ke i-le pri čik o le ková ke i-le

telál di čik?"

3 - "Me láva le ková ke i-le pri čik"

djas palé o beng. Gjal o Devél pendás

ke jóŭ lélas le ková ke i-le telál di čik

4 - O Baró Devél ljas le matréli,

kerdás le rigá paś sakón kun péskre

mal ta χajás le matréli lénča. O beng

ljas le blúmi ta le patrjá ke sígo vjenle

śuké ndre péskre vast ta jóŭ

merélas di bok

5 - Da koj jon pirénas ne písla pi

durál. Alúra dikjén-le ne félda pardí

da čóndro. O Baró Devél pučjás ko

beng: "So léssa tu kaná?"

1 - Un giorno il Buon Dio e il diavolo

camminavano insieme lungo una strada

conversando finché giunsero nei pressi

di un campo di patate

2 - Il Buon Dio disse al diavolo: "allora,

Diavolo, vedi quanto è bello il mondo?

Cosa vuoi prendere per te? Le cose che

sono sopra la terra o le cose che stanno

sotto?"

3 - "Prendo le cose che si trovano sopra

la terra" - rispose il diavolo. Così Dio

disse che avrebbe preso quelle che

stavano di sotto

4 - Il Buon Dio raccolse le patate, le

divise con i suoi amici e le mangiò

insieme a loro. Il diavolo raccolse i fiori

e le foglie che presto si seccarono tra

sue mani e moriva di fame

5 - Allontanandosi di lì videro un

campo pieno di granturco. Il Buon Dio

chiese al diavolo: "Cosa prendi

1 - finké = finché. (ital. e piem.).

4 - ker- le rigá paś sakón = spartire (in parti

uguali). L’omissione del termine paś (metá)

all’interno della locuzione indica una

spartizione in parti non necessariamente

uguali l’una all’altra.

- patrjá = foglie. E' il plurale di patrín. I

termini in -ín al plurale omettono la n.

Es. χaχnín "gallina", plur. χaχnjá; kisín

"borsa, plur. kisjá.

E' però interessante notare che questi stessi

termini presentano delle varianti in SPF, dove

il plurale di patrín risulta patrinjá, il termine

χaχnín elide la -n- finale già nella forma

singolare (come in sinto lombardo) diventando

χáχni.

- lénča = con loro. Anche lénsal.

35


6 - O beng pendás: "Kavá kópo kaj

me láva o telál". Alúra komensodás te

rodél čomoni da lačo telál di čik ma

na sas kek

7 - Gjal o beng sas-les te χal tiné bar

di čik kun tinó stréjo ta jóŭ merélas

ne vavér kópo di bok tanké o Baró

Devél ljas o čóndro ta χajás les kun

péskre mal

8 - O Baró Devél i-lo sémpar pi

goǧaró do beng…

adesso?"

6 - Disse il diavolo: "Questa volta

prendo ciò che sta sotto". Allora

cominciò a cercare qualcosa di buono

sotto terra ma non c'era nulla

7 - Così il diavolo dovette nutrirsi di

piccole zolle di terra con delle

pagliuzze ed egli moriva un'altra volta

di fame mentre il Buon Dio prese il

granturco e lo mangiò con i suoi amici

8 - Il Buon Dio è sempre più astuto del

diavolo…

36


RAKARIBÉN 17 (DEŚ TA EFTÁ) TESTO 17 NOTE

1 - Sas ne rom ta ne romní bi čavé.

Jon komensodén-le te prijavén o

Baró Devél te del len tikné čavé

2 - O Baró Devél śundás léngro

prijávimo ta kerdás-lo te ven duj

tikné, ne čavó ta ne čaj. Sa le duj saslen

le bal rupané e le dand da sonakáj

3 - Ne ǧungaló divés o ba mujás-lo ta

mónsi dop duj čon mujás-li nínge i

daj. Le duj tikné čjen-le kokoré e na

sas-len či te χan

4 - I tikní čaj sas sémpar but tuganí,

rovélas e mangélas kaj péskro tiknó

pral čomóni te χal. O pral gjas te lel

písla čik ta panín, kerdás sar ne félzo

ta čidás i čik ndro bóŭ

5 - Nakjás písla číro t'i čaj pendás-li

Par lakro pral: "Sígo, le o félzo katár

o bóŭ par te χás les. Me meráva di

bok"

6 - "Na - pendás o čavó - na i-lo

1 - C'erano un uomo ed una donna

senza figli. Cominciarono a pregare il

Buon Dio perché desse loro dei figli

2 - Il Buon Dio ascoltò la loro preghiera

e fece giungere loro due bambini, un

maschietto ed una femminuccia. Tutti e

due avevano i capelli d'argento e i denti

d'oro

3 - Un brutto giorno il padre morì e

dopo soli due mesi morì anche la

madre. I due bambini rimasero soli e

senza cibo

4 - La bambina era sempre molto triste,

piangeva e chiedeva al fratellino

qualcosa da mangiare. Il fratello andò a

prendere un po' di terra e dell'acqua, la

impastò come fosse pane e la mise

dentro al forno

5 - Trascorso un po' di tempo la

bambina disse a suo fratello: "Presto,

prendi il pane dal forno che ce lo

2 - sas-len = avevano. Anche is-len.

S.F. - GRAMM. - Tab. ΧI - Pag. 33.

3 - dop = dopo (piem.). L'uso del termine

piemontese è prevalente rispetto al termine

romaní palál " dietro, dopo".

37


pándra pekó. De písla číro"

7 . Rivodás o Baró Devél paśál lénde

ta pendás: "So keréna tumén kaj,

tikné?" - " Čássa kaj paričál di jag te

čačarás amen " - djas palé o čavó

8 - "So i-tumén ndro bóŭ?" pučjás o

Devél? - "Laǧáva te penáu túke…

čidóm písla čik, gjal mri pen pačéla

ke si o félzo e na rovéla butér óske joj

si but bokalí"

9 - "Ah, χajováva! Len ta χan o ková

ke i-lo ndro bóŭ" - pendás-lo o Baró

Devél ta gjas péske durál léndra

10 - Kánte ljen-le i čik vrin do bóŭ

dikjén ke na sas butér čik ma sas

félzo čačó. Čidén vek le bučár, χajénle

o félzo, pjen-le o panín e na sas-len

butér bok

mangiamo. Sto morendo dalla fame"

6 - "No - disse il bambino - non è

ancora cotto. Aspetta un po'"

7 - Arrivò il Buon Dio presso di loro e

disse: "Cosa fate qui, bambini?" -

"Restiamo qui vicino al fuoco a

scaldarci " - rispose il bambino

8 - "Cosa avete nel forno?" Chiese il

Buon Dio?" - "Mi vergogno a dirlo…

ho messo un po' di terra, così che mia

sorella creda che si tratti di pane e

smetta di piangere perché ha tanta

fame"

9 - Ah! Capisco! Prendete e mangiare

quello che c'è nel forno" - disse il Buon

Dio e si allontanò da loro

10 - Quando presero la terra che si

trovava nel forno videro era diventata

del pane vero. Tolsero via la cenere,

mangiarono il pane, bevvero l'acqua e

non ebbero più fame

38


RAKARIBÉN 18 (DEŚ TA OΧTÓ) TESTO 18 NOTE

1 - Kíči berś í-tu, mro tiknó?

2 - Deś ta duj. E tu, kaké?

3 - Me si-ma paś śel ta trin. Tri pen i-

li pi purí o pi tarní tútra?

4 - Joj i-li pi tarní. Si-la deś-ta-jek

berś

5 - Oj, si ǧá ne tarní čaj! E kajá tikní?

6 - Joj si-la ne čon. Na boldám la

pándra. Ménča si nínge o papú da

maró ba

7 - Penéna ke si-les śel berś. Na i-lo

nasaló?

8 - Na sas-lo maj nasaló jóŭ ma i-lo ne

písla čibaló. Si ne rom ke ǧanéla o

trúpo, kaméla but te rakarél-lo.

Ginéla ménge sémpar le puré

paramíssi

9 - Par i baχt ke jóŭ na si kuśténgero

1 - Quanti anni hai, bambino?

2 - Dodici. E tu, zio?

3 - Io ne ho cinquantatre. Tua sorella è

più vecchia o più giovane di te?

4 - E' più giovane. Ha undici anni

5 - Oh, è già una ragazzina. E questa

piccolina?

6 - Ha un mese. Non l'abbiamo ancora

battezzata. E con noi c'è anche il

bisnonno (il nonno di nostro padre)

7 - Dicono che abbia cento anni. Non è

ammalato?

8 - Non è mai stato ammalato ma è un

po' chiacchierone. E' un uomo che

conosce la vita, gli piace molto

conversare. Ci racconta sempre le

vecchie storie

9 - Per fortuna non è un piagnone come

2 - kaké = zio. E' usato anche come termine di

rispetto nei confronti di un uomo piú anziano.

Allo stesso modo ci si rivolge ad una donna

piú anziana con il termine bibí (zia).

La numerazione in sinto piemontese:

da 1 a 10 = jek, duj (anche jek ta jek) , trin,

śtar, panč, śóu, eftá, oχtó, enjá, deś

da 11 a 19 = deś ta jek, deś ta duj, deś ta

trin, ecc.

20 = biś. L'unità di misura biś è utilizzata per

formare i suoi multipli

da 21 a 29 = biś ta jek, biś ta duj, biś ta trin,

ecc.

Nota: la congiunzione che separa i numerali

deś e biś dalle unità può essere anche u. Es.

deś-u-jek (11), deś-u-duj (12)... deś-u-panč

(15), biś-u-jek (21)... biś-u-trin (23), ecc.

30 = triánda

da 31 a 39 = triánda ta jek, triánda ta duj,

triánda ta trin, ecc.

40 = duj biś

da 41 a 49 = duj biś ta jek, duj biś ta duj,

duj biś ta trin, ecc.

50 = paś śel. Lett. metá cento.

da 51 a 59 = paś śel ta jek, paś śel ta duj, paś

śel ta trin, ecc.

60 = trin biś. Vedi nota a n. 20.

39


sar o papú da kalá Lumbárdi!

10 - Oj na! Maró puró papú na si

gjal. Sa kaména les but!

il nonno di quei (Sinti) Lombardi!

10 - Oh no! Il nostro vecchio nonno non

è così. Tutti gli vogliono bene!

da 61 a 69 = trin biś ta jek, trin biś ta duj,

ecc.

70 = trin biś ta deś.

da 71 a 79 = 70 + jek, 70 + duj, 70 + trin,

ecc.

80 = śtar bis.

da 81 a 90 = śtar bis ta jek, śtar bis ta duj,

śtar bis ta trin, ecc.

90 = śtar bis ta deś.

da 91 a 99 = śtar bis ta deś ta jek, śtar bis ta

deś ta duj, śtar bis ta deś ta trin, ecc.

100 = śel; 200 = duj śel; ecc.

1.000 = jek míla; 2.000 = duj míla; ecc.

(piem.). (paró, paré quando è riferito a

denaro. Es. Duj paré = duemila lire [o

franchi])

1.000.000 = jek miljún; 2.000.000 = duj

miljún; ecc. (piem.).

1.000.000.000 = jek miljárd; 2.000.000.000 =

duj miljárd, ecc. (piem.).

Per menzionare gli anni si tende ad enunciare

singolarmente le prime due cifre di cui è

composto il numero seguito dal numero a due

cifre. Ad. es. 1958 = jek/enjá/paś śel ta oχtó

(anziché jek míla ta enjá śel ta paś śel ta

oχtó), ma 2003 si dirà duj míla ta trin (non

esiste alcun termine specifico per designare la

cifra zero che può essere resa dalla

preposizione či = nulla).

S.F.- GRAMM. - Pag. 16.

8 - maj = mai (ital. e piem.)

40


La morte.

Quando un Sinto moriva, tradizionalmente veniva bruciata la roulotte e le cose che gli appartenevano, per evitare che

attraverso di esse se ne potesse offendere la memoria.

Ora le condizioni di vita sono diverse, tuttavia il rispetto dei Sinti per i defunti rimane molto profondo e quando ne

parlano lo fanno premettendo sempre l'aggettivo "povero" o "povera" al nome del defunto o della defunta.

La religione.

Quasi tutti i Sinti Piemontesi praticano la religione cattolica, battezzano i loro figli in chiesa e si mostrano

particolarmente devoti alla Madonna e ad alcuni Santi.

Come tutti i Sinti ed i Rom, anche i Sinti Piemontesi credono nell'esistenza di forze spirituali soprannaturali benigne e

maligne, all'esistenza del diavolo, ai santi ed agli spiriti dei defunti.

Molti Sinti quando sono malati si recano presso una "santa donna" (non zingara) per essere aiutati a guarire.

In Piemonte ogni anno in estate a Forno di Coazze ha luogo un raduno religioso al quale partecipano molti Sinti

Piemontesi che vi si recano per venerare la Madonna.

E' stato don Renato Rosso, un prete che ha vissuto a lungo tra i Sinti, ad iniziare tale consuetudine.

La prima volta l'incontro ebbe luogo nell'anno 1982.

Qualche famiglia di Sinti Piemontesi partecipa al pellegrinaggio delle Saintes Maries de la Mer che si svolge ogni anno

in Francia, nella regione della Camargue, alla fine di maggio e che vede la partecipazione di Zingari che giungono da

molte parti d'Europa per venerare Santa Sara la nera, considerata la patrona degli Zingari.

41


RAKARIBÉN 19 (DEŚ TA ENJÁ) TESTO 19 NOTE

1 - Dik ke bok ke i-ma! De ma písla

mas da baličó, balavás, śeχ ta nínge

tulipén

2 - Oj! Na χa sa kalá χabén tulé! Déna

zer lačé ma kérna duk

3 - Alúra, so χáva? Meráva di bok!

4 - De číro. Ǧava pekáu ne tokór mas

da tinó gurúv ta čiváva ndren

matréli kun o kil

5 - Puah! Nínge o kil kérla mal.

Čiv ndren písla ǧet ta śut

6 - Me na χáva o χabén ke χačóla t'o

χabén ke i-lo trop londó

7 - E me nastik χáva bi lon. Na fantól

ma. Kerdóm sar pendás-lo o

nasaléngero ma nastik váva sikló.

Peró mukjóm te piáu o brúno ta na

fifaváva butér

1 - Sapessi che fame! Dammi un po' di

carne di maiale, del lardo, del cavolo ed

anche del grasso

2 - Oh! Non mangiare tutti quei cibi

grassi! Sembrano buoni ma fanno male

3 - Allora, che cosa mangio? Muoio di

fame!

4 - Aspetta. Vado a cucinare un pezzo

di carne di vitello e metto delle patate

con il burro

5 - Puah! Anche il burro fa male.

Mettici un po' di olio e di aceto

6 - Io non mangio il cibo troppo

piccante o troppo salato

7 - Ed io non posso mangiare il cibo

insipido (senza sale). Non mi piace. Ho

fatto come mi ha detto il dottore ma non

riesco ad abituarmici. Però ho smesso

di prendere il caffè e non fumo più

2 - kérna = fanno. Contrazione di keréna.

5 - kérla = fa. Contrazione di keréla.

- mal = male (piem.).

6 - trop = troppo (piem.).

7 - fantól ma = mi piace. Fantól(a) = piacere

(verbo imperson.). La radice dovrebbe essere

fant- e di conseguenza tale verbo dovrebbe

essere coniugabile come S.F.- GRAMM.- tab

IV (pag.26) o tab. V (pqg. 27) , tuttavia non è

stato possibile rilevare l'esistenza di altre

forme. La terza persona singolare viene quindi

usata anche quando il predicato è al plurale.

Es.: fantól ma i mol "mi piace il vino"; fantól

ma le baré naśibángere "mi piacciono le

grosse automobili". Per tradurre il verbo

piacere si fa spesso ricorso a kam- "amare,

piacere", quindi è altrettanto corretto dire: me

kamáva i mol e me kamáva le baré

naśibángere.

- peró = però. (ital. e piem.).

42


8 - Tu ǧivóssa śel berś, móre!

9 - Te na mukél o Baró Devél!

8 - Vivrai cent'anni, amico!

9 - Che il Buon Dio me ne scampi!

43


RAKARIBÉN 20 (BIŚ) TESTO 20 NOTE

1 - Maró ba vjas-lo palé do gáu.

Inǧjás men ne χaχnín, písla purumá,

pabalolé ta matréli par te pekás ne

lačí zumín

2 - Ba, inǧjál tu nínge čomoni par te

kelás?

3 - Ová. Le so kaméssa, tiknó

4 - Me láva i tikní naśibangeri lolí ta

mukáva o tiknó graj da kast par mro

tiknó pral

5 - Tu, mri pen, le kajá śukár kúkja

kun le bal brúni, le vuśt lolé ta kun o

rivibén zélto ke pangéla le jaká par te

sovél-li

6 - Rakaréla-li nínge ta penéla:

"mamma"! Dik ke śukár ke i-li!

8 - Óni kópo ke o ba véla keré déla

čomóni par sassaré. Par mánde i-lo

trop guló lénča!

1 - Nostro papà è tornato dal paese. Ci

ha portato un pollo, qualche cipolla,

pomodori e patate per cucinare una

buona minestra

2 - Papà, hai portato anche qualche

giocattolo?

3 - Sì, prendi quello che vuoi, piccolo

4 - Prendo l'automobilina rossa e lascio

il cavallino di legno per il mio fratellino

5 - Tu, sorella, prendi questa bella

bambola con i capelli neri, le labbra

rosse e con il vestito giallo che chiude

gli occhi per dormire

6 - Parla anche e dice: "mamma"!

Guarda quant'è bella!

8 - Ogni volta che il papà torna a casa

dà qualcosa a tutti. Per me è troppo

gentile con loro.

1 - inǧjás men = ci ha portato. In questo caso

sembrerebbe corretto usare il pronome

personale nella forma dativa ménge (a noi)

anziché nella forma accusativa men. Ma la

lingua parlata spesso è poco rispettosa di

regole peraltro mai stabilmente codificate. Si

può quindi affermare che entrambe le forme

siano corrette.

2 - čomóni par te kelás = lett. qualcosa per

giocare. Il sostantivo per indicare giocattolo

potrebbe essere kelabén (dalla radice verbale

kel- "giocare, ballare"), ma si tratta di un

termine inusitato.

5 - I colori in SP sono:

loló = rosso, bláŭto = blu, zélto, ǧílto = giallo,

zéleno (?) = verde, brúno (meno usato kaló) =

nero, parnó = bianco. Non sono stati rilevati

termini per indicare i colori derivati da quelli

primari (es. arancione, viola, celeste, ecc.).

8 - guló = buono. Letteralmente "dolce".

44


RAKARIBÉN 21 (BIŚ TA JEK) TESTO 21 NOTE

1 - Na si butér langár ta sa le vínkle i-

le panglé. Kavá divés merássa do śil!

2 - Ke purdiné san tumén! But ménči

ndro ker ta na si jek ke déla goǧí ke si

te ǧal te kinél o langár o te rodél

komóni tokór da kast!

3 - Paś nasaló sar som, naśaváva me

ndro baró śil!

4 - Ma śun ke ková, móre! Sa čéna-le

kun o muj putardó ta déna číro ke

véla ndren o χabén pekó. Na i-tumén

laǧ?

5 - Na si jek maśkár tuménde ke déla

ne vast. Te meráv!

6 - Dóstra gjal! Na de butér góli!

Kaná ǧa čačarés le kan da ne kaśukó!

1 - Non c'è più carbone ed i negozi sono

tutti chiusi. Oggi moriremo di freddo!

2 - Che (razza di) tisici siete! Tante

persone in casa e non uno che si

preoccupi di andare a comperare il

carbone o a cercare un po' di legna!

3 - Malandato come sono, mi perdo nel

freddo!

4 - Ma senti che roba! Se ne stanno tutti

con la bocca aperta ad aspettare che si

riempia di cibo già cotto. Non vi

vergognate?

5 - Non c'è uno di voi che aiuti! Che io

possa morire!

6 - Basta così! Smettila di strillare!

Adesso vai a scaldare le orecchie di un

sordo!

2 - purdiné = tisici. Lett. "soffiati". E' un

tipico insulto usato dai SP, oltre a purimén

"marci" ed alcune altre espressioni altrettanto

colorite.

- d- goǧí = ricordare, pensare. Locuzione

formata dal verbo d- "dare" e dal sost. góǧi

(probabile variante di godín"cervello").

Anche d- ǧodé (?)

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RAKARIBÉN 22 (BIŚ TA DUJ) TESTO 22 NOTE

1 - Mujás-lo o puró Ríku. Inǧjám les

ko muléskero kalikó

2 - Oj! Me na ǧanávas ke sas-lo nasaló!

3 - Ová. Komensodás ta śunél ne duk

ko beč trin čon fa ta óni kópo ke χálaslo

o čororó rom čardélas vrin sa o

χabén. Le nasaléngere na χajovénas-le

so sas-les. Djen les but drab ma na

sastólas

4 - Ke baró ková, móre! Sóske na gjas

te dikél ne gaǧí ke sastaréla? Da le

kópi jon keréna fedér da le

nasaléngere

5 - Tu pačéssa? Kánte véla tri kóra

nínge i gaǧí ke sastaréla nastik kerél či.

Ne kurkó fa rikardén les ndri spitája

ta koj dikjén-le ke sas-les ne ǧungaló

nasálimo

6 - Jóŭ sas-lo pivló, na?

7 - Ová, péskri čórí romní mujás-li ǧa

oχto berś fa ta jóŭ ǧivólas-lo kokoró

1 - E' morto il vecchio Ricu. Gli abbiamo

fatto il funerale ieri

2 - Oh! Non sapevo che fosse malato!

3 - Sì. Ha iniziato a sentire un dolore allo

stomaco (al petto) tre mesi fa ed ogni

volta che mangiava il pover'uomo

vomitava tutto il cibo. I medici non

capivano che cosa avesse. Gli hanno dato

molte medicine ma non guariva

4 - Accidenti che roba! Perchè non è

andato a consultare una guaritrice? Alle

volte fanno meglio dei dottori

5 - Tu credi? Quando viene la tua ora

nemmeno la guaritrice puó farci nulla.

Una settimana fa lo hanno ricoverato in

ospedale ed hanno visto che si trattava di

una malattia grave

6 - Era vedovo, no?

7 - Sì, la sua povera moglie era morta giá

otto anni fa ed era rimasto solo, ma i suoi

3 - beč = petto.

Per dire che si ha "male allo stomaco" si usa

l'espressione dukóla o beč, indicando in tal

modo la sede in cui il dolore è percepito. Il

termine che indica propriamente lo stomaco è

ǧi (talora usato come sinonimo di "cuore"). Gli

altri organi interni sono: bukó = fegato. Il

plur. buké significa polmoni, reni, ma anche

milza, pancreas, ecc.; porjá = intestini.

- sas-les = aveva. Anche is-les.

S.F. - GRAMM. - Tab. ΧI - Pag. 33.

4 - gaǧí ke sastaréla = guaritrice, santona.

Detta anche háligi gaǧí "santa donna" (non

zingara). Quest'ultima espressione è

prevalentemente usata dai Sinti Lombardi.

Fa parte della cultura dei Sinti l'usanza di

rivolgersi, in caso di malattia, a dei guaritori o

a delle guaritrici.

Allo stesso scopo essi ricorrono inoltre alla

devozione religiosa rivolgendosi in particolare

alla Madonna (Devléskeri Daj) ed a santi

popolari (tra questi Padre Pio e Sant'Antonio

da Padova).

Questa tradizione, che evidenzia la pratica di

una religiosità di tipo superstizioso è ancora

significativamente radicata ai giorni nostri ma

non esclude comunque, soprattutto nei casi più

gravi, il ricorso alle strutture sanitarie.

46


ma péskre čavé nakénas-le sémpar te

lačén les

8 - Tinkaráva ma pándra ke kánte

mujás-lo mro čóro papú dop ke inǧjén

les ko muléskero mro ba ta péskre pral

χačardén i vardín e sa gjam vek kotár

9 - Ová. Kavá kaj sas maró siklipén. Sa

le ková do muló vénas-le χačardé ta

binkavélas pes o graj

10 - Nínge me dáva ma pándra goǧí da

kalá siklipén. Χargá číro kánte komóni

merélas ndren ne plása sa kolá ke sasle

koj ǧánas pénge vek óske o stéto

vélas-lo mulanó ta le Sínti na čénas-le

butér koj

11 - Ndren maré divés sa parodás. But

Sínti ǧivóna-le ndren le ker ta kolá ke

si-len pándra le vardinjá ta le kampíne

si te čén-le ndren le pláse ke déla o

móskero

12 - Dik, kaná jamén sam naśadé. Na

stik te kerás butér o trúpo da le Sínti!

figli passavano sempre a trovarlo

8 - Mi ricordo ancora che quando morí il

mio povero nonno dopo avergli fatto il

funerale mio padre ed i suoi fratelli

bruciarono il carrozzone e ce ne

andammo tutti via di lá

9 -Sì. Questa era la nostra tradizione.

Tutte le cose appartenute al defunto

venivano bruciate ed il cavallo veniva

venduto

10 - Anch'io mi ricordo ancora di quelle

tradizioni. Quando qualcuno moriva in

un accampamento tutti quelli che si

trovavano là se ne andavano perchè il

posto diventava impuro ed i Sinti non ci

restavano più

11 - Ai nostri giorni è tutto cambiato.

Molti Sinti vivono nelle case e quelli che

hanno ancora i carrozzoni e le roulotte

debbono restare nei campi comunali (che

dà il sindaco)

12 - Che vuoi, ai nostri giorni siamo

perduti. Non possiamo più fare la vita dei

Sinti!

8 / 12 - I Sinti ed i Rom hanno un grande

rispetto per i loro defunti (vedere TESTO 38 -

pagg. 74-75) e "finestra" a pag. 41

Tra i riti legati alla morte vi era quello di dare

fuoco al carrozzone con tutto il suo contenuto

e di distruggere gli oggetti appartenuti al

morto per evitare di profanarne la memoria.

I cavalli venivano invece venduti ed il luogo in

cui era vissuto il defunto veniva abbandonato

in quanto considerato mulanó (impuro a causa

della morte).

Ai giorni nostri con il processo di

sedentarizzazione le cose sono cambiate. La

morte avviene prevalentemente in ospedale o

in luogo diverso dalla propria abitazione, le

case prefabbricate o in muratura non vengono

certamente date alle fiamme o distrutte ed i

cavalli sono scomparsi. Tutto questo non

significa che sia venuta meno la venerazione

che i Sinti hanno per i loro cari trapassati che

essi continuano ad esprimere attraverso atti di

devozione (una cura estrema del luogo di

sepoltura, celebrazione di messe di suffragio,

ecc.).

- 8 - kotár = da lá. Anche da koj

10 - χargá číro = molto tempo fa

- sas-le = erano. Anche is-le.

S.F. - GRAMM. - Tab. Χ - Pag. 32.

47


48


RAKARIBÉN 23 (BIŚ TA TRIN) TESTO 23 NOTE

1 - Den váχta! Me dáva ne félzo guló

par sa le čavé ke si-len o muj zuzó ta le

vavér bičaváva len durál mándra!

2 - Dik, bibí. Me som zuzí. Todjóm

mro muj ta mre vast kun o

tovimáskero ta χanadjóm mre bal kun

o demelváro. Alúra stik te váu χáu?

3 - Ová. Tu sal zuzí. Fantól ma kánte le

čavé keréna gjal.

Tu, Máverik, so keréssa kun o nak sa

melaló? Par so déssa číro te zuzavés

tu?

4 - Jáŭ ndren ta na déna góli. Beśén.

Me dáva ne gulí kaj sassaré!

5 - De nínge ne glázo da tud

6 - Na si-tu laǧ te mangés?

7 - Si-amén ne barí bok, bibí

8 - Χan miśtó ta na fardén či pri čik, ta

palál ǧan te tovén le čaré!

1 - Attenzione! Darò un dolce a tutti i

bambini che hanno il viso pulito e gli

altri li farò allontanare da me!

2 - Guarda zia. Mi sono lavata la faccia e

le mani con il sapone e mi sono pettinata

i capelli con il pettine. Allora posso

venire a mangiare?

3 - Sì. Tu sei pulita. Mi piace quando i

bambini fanno così.

Tu, Maverick, cosa fai con il naso tutto

sporco? Cosa aspetti a pulirti?

4 - Venite dentro e non urlate. Sedetevi.

Darò un dolce a ciascuno (a tutti)!

5 - Dacci anche un bicchiere di latte

6 - Non ti vergogni a chiedere?

7 - Abbiamo una gran fame, zia

8 - Mangiate come si deve, non buttate

niente per terra e dopo andate a lavare i

piatti!

49


RAKARIBÉN 24 (BIŚ TA ŚTAR) TESTO 24 NOTE

1 - Me gjom pro búto do gáu ma na si

kek ke kaméla te kinél mre kórbi da

gúra

2 - Stik te meráu! Kavá divés na χajóm

či. Śun, móre, de ma paś-śel éuri par te

kináu písla χabén par le tikné. Dimánś

me dáva tu palé sa le χajéri

3 - Sal pándra kaj te mangés? Sóske na

rodéssa ne vavér bitrávimo par te na ǧás

te mangés in sa le ker da le gaǧé? E

ǧanéssa ke se léna tu bi volín keréna

túke i strófa?

4 - Me na laǧáva. Kon si-les o félzo na si

te kerél le rigá sakón kun le bokalé? Na

de ma i doś!

5 - Doś o na doś tu véssa sa le divés kaj

paśál mánde par te mangés, móre!

6 - Na ves χolinjákero mánča. Le lové

dáva len tu palé kalikó. Tejsa ǧáva te

kinau o musjéskero ta le vángli da mri

romní ta nínge mri baśadí da sonakáj!

1 - Sono arrivato in cima al paese ma non

c'è nessuno che voglia comperare i miei cesti

in vimini

2 - Che io possa morire! Oggi non ho

mangiato nulla. Ascolta, amico, dammi

cinquanta euro per comperare un po' di cibo

per i bambini. Domenica ti renderò tutti i

soldi

3 - Sei di nuovo qui a chiedere? Perché non

ti cerchi un altro lavoro per non andare a

elemosinare in tutte le case dei gagé? E sai

che se ti prendono senza la licenza ti faranno

il processo?

4 - Io non me ne vergogno. Chi ha il pane

non deve forse dividerlo con gli affamati?

Non dare la colpa a me!

5 - Colpevole o no vieni tutti i giorni da me

a chiedere, amico!

6 - Non arrabbiarti con me. I soldi te li

renderò domani. Domani andrò a vendere il

braccialetto e gli orecchini di mia moglie ed

anche il mio orologio d'oro!

2 - dimánś = domenica (dal francese

dimanche). Il termine sinto originale è

"kurkó". Per inidicare i restanti giorni della

settimana si fa ricorso ai termini in

piemontese: lünes, mártes, mércu, gióbia,

véner e sába.

E' ipotizzabile che in passato esistesse una

nomenclatura originale dal momento che essa

si riscontra tuttora in altre varianti della lingua

romaní.

3 - strófa = processo. Lett. storia.

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Come si viveva una volta… (1)

I vecchi raccontano che un tempo i Sinti si spostavano di paese in paese con le

loro roulottes trainate dai cavalli e che quando volevano fermarsi tre o quattro

giorni in un posto nessuno arrivava a cacciarli, come avviene adesso, che

subito arriva la polizia o i vigili.

I mestieri tradizionali dei Sinti erano già allora il Luna Park ed il circo e

costituivano la ragione principale della loro vita itinerante.

Le donne se ne andavano di casa in casa a vendere qualcosa come centrini,

lenzuola, pettini, specchietti ed altri oggetti di quel tipo.

Inoltre esse conoscevano l'arte della chiromanzia o, quantomeno,

raccontavano di saper leggere la mano a quei gagé disposti a crederci.

Gli uomini esercitavano il mestiere di commercianti di cavalli: li acquistavano

che erano in condizioni non buone e dopo averli ben curati li rivendevano.

Inoltre aggiustavano le sedie e fabbricavano cestini con il vimini.

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RAKARIBÉN 25 (BIŚ TA PANČ) TESTO 25 NOTE

1 - Si tro pral kavá kaj?

2 - Si mro paśprál. Mro ba soloχadás

pes duj kópi. Léskri vági romní sas-li

mri daj. Palé soloχadás pes ne vavér

kópo ta ljas-lo ne vavér romní ke si i

daj da kavá kaj

3 - Kaná χajováva óske na bičóla tu.

Sar si túsal tri paśdáj? Kamél tu

miśtó?

4 - Ová, ová, ma kaméla-li pi but mro

pral pi tiknó. Jóŭ i-lo o pi pučanó

5 - Komóni kópi me čingaráva lésa

óske déna les sémpar so mangéla tanké

na déna ma so kamáva

6 - Χajovéla pes! Tu sál pi puró léstra.

Kíči berś i-tu?

7 - Dakaj ne písla si-ma deś-u-śtar berś

ta jóŭ si-les mónsi deś

1 - E' tuo fratello questo?

2 - E' il mio fratellastro. Mio padre si è

sposato due volte. La sua prima moglie

era mia madre. Dopo si è sposato un'altra

volta ed ha preso un'altra donna che è la

madre di questo qui

3 - Adesso capisco perché non ti

assomiglia. Come si comporta con te la

tua matrigna? Ti vuole bene?

4 - Sì, sì, ma vuole più bene al mio

fratellino. E' il più coccolato

5 - Alle volte litigo con lui perché gli

danno sempre quello che vuole mentre a

me no

6 - Si capisce! Tu sei più vecchio di lui.

Quanti anni hai?

7 - Tra poco ne compirò quattordici e lui

ne ha solamente dieci

1 - paśprál = fratellastro. Letteralm. mezzo

fratello. Paśpén = sorellastra.

3 - bičov- = somigliare, sembrare. Sinonimo

di d- zer-.

Me bičováva, tu bičovéssa (o bičóssa (?)),

jóŭ-joj bičóla, jamén bičovássa, tumén

bičovéna (o bičóna), jon bičovéna (o bičóna)

- seguito dal pron. pers. al nominativo o dal

sostantivo (all'accusativo).

Es. io ti somiglio= me bičováva tu; egli mi

somiglia = jóŭ bičóla ma; egli somiglia a suo

fratello = jóŭ bičóla péskro pral; noi

somigliamo a nostro padre = jamén bičovássa

maró ba, ecc.

Per tradurre l'espressione "a me pare, a te pare,

ecc." si usa bičola seguito o preceduto dal

pron. pers. al dativo (o déla [+ pron.pers.acc.]

zer). Es. A me pare che stia piovendo = bičóla

mánge (o déla ma zer) ke déla briśandó;

bičóla túke (o déla tu zer) ke si komoni kaj?

= ti pare che qui ci sia qualcuno?

- paśdáj = matrigna. Letteralm. mezza madre;

paśbá = patrigno; paśčavó = figliastro;

paśčaj = figliastra.

5 - lésa = con lui. anche lésal. Al femminile

lása (con lei) ed anche lásal.

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RAKARIBÉN 26 (BIŚ TA ŚÓU) TESTO 26 NOTE

1 - Ndren le divés naklé le Sínti

kerdén-le ne patreǧí. O Tuló inǧjás

śtár durialjá di mol. Pöj gjen-le da ne

kampína ki vavér te pjen-le

2 - Móre, sar pjen-le but: mol,

χačardí... o Čáno sas-lo lénča. Sa

pinǧaréna les óske i-lo síkló te pjel da

kánte sas-lo tarnó!

3 - Alúra le rakárimi kerdén pen pi

zoralé. Ne láŭ čardéla ne vavér ta

komensodén te čingarén. O Čáno t'o

Fríku komensodén ta kurén pen da

sa lengre zor

4 - Glej rivodas-lo o Tóni, o pral do

Fríku ta komensodás te kurél o Čáno,

pardás les da dabá ta mukjás les koj

pri čik

5 - Ki trasárla, kánte o Čáno

sganǧadás pes sas-les ne musín

pagardí

6 - Dik ke baró ková! Na kamáva o

1 - Nei giorni scorsi i sinti hanno fatto

una festa. Tuló ha portato quattro

damigiane di vino. Poi sono andati a

bere da una roulotte all'altra

2 - Amico, quanto hanno bevuto: vino,

grappa… con loro c'era Ciano. Lo

conoscono tutti perché è abituato a bere

fin da quando era giovane!

3 - Allora le discussioni si sono fatte

più accese. Una parola tira l'altra ed

hanno cominciato a litigare. Ciano e

Fricu hanno iniziato a darsele di santa

ragione

4 - Allora improvvisamente è arrivato

Toni, il fratello di Fricu e ha cominciato

a battere Ciano, lo ha riempito di botte

poi lo ha lasciato lì disteso in terra

5 - La mattina, quando Ciano si è

risvegliato aveva un braccio rotto

6 - Ma guarda tu che roba! Non mi

piace quando i Sinti si comportano così.

1 - patreǧí = festa. Lett. "Pasqua". Termine

utilizzato per indicare, oltre alla Pasqua

qualsiasi festa; ker- ne patreǧí = fare una

festa.

I Sinti sono generalmente persone pacifiche

che non amano le risse. Tuttavia in occasione

di feste o altro, complice qualche bevuta di

troppo, può accadere che insorgano dispute e

che i contendenti arrivino alle mani. Ma è

davvero raro che questi momenti degenerino e

non di rado accade che nel giro di pochissimo

tempo i soggetti coinvolti tornino a

riappacificarsi. Anche queste situazioni, che il

racconto ci illustra in modo un po' pittoresco,

fanno parte di un mondo diverso che esprime

in maniera spontanea i propri sentimenti, un

mondo che in fondo appare più genuino di

quello dei "gaǧé".

Sempre a proposito di feste e ricorrenze si puó

dire che non esistono festività specifiche dei

SP, i quali, essendo perlopiù di confessione

cattolica, celebrano le festività tradizionali

come il Natale, i Vajnáχta - dal ted.

Weinachte - (ma in SPF Netálo - dall'ital. e

piem.), la Pasqua, i Patreǧí (pare che il

termine derivi da patrín = foglia, essendo la

Pasqua simboleggiata dalle foglie di palma e

53


vínkimo da le Sínti kánte keréna gjal.

Keréna le patreǧjá par te lačén

maśkar pénde ta komensóna te pjen

fin-a kánte čingaréna. Ke laǧ!

7 - Par i baχt ke na sa le Sínti i-le sar

o Čáno. Jóŭ i-lo sémpar piló ta par ne

ková da či rodéla o čingárimo.

Kon pjéla but pjéla nínge péskri

godín!

Fanno le feste per incontrarsi tra di loro

e cominciano a bere fino a litigare. Che

vergogna!

7 - Per fortuna che non tutti i Sinti sono

come Ciano. Lui è sempre ubriaco e

attacca brighe per una cosa da niente.

Chi beve molto si beve anche il proprio

cervello!

di ulivo) e, naturalmente il Capodanno, o vágo

divés do berś.

Tra le ricorrenze più sentite vi è sicuramente il

novembre, Giorno dei Morti, o Divés da le

Mulé (sull'argomento vedere TESTO 38 pag.

74-75).

Come si viveva una volta… (2)

In estate i Sinti giravano per cercare lavoro in campagna ed in autunno andavano a caccia di ricci.

Il riccio, la cui carne grassa è molto apprezzata, e' il piatto tipico della cucina sinta; altre specialita' come la "puzústra"

(salame piccante fatto con le interiora della gallina macinate e fatte soffriggere insieme a uova sbattute) e il "śukló χabén"

(ricetta a base di interiora e carne di gallina con aceto e numerosi altri ingredienti).

Quando avevano bisogno di qualcosa per sfamarsi andavano dai gage' a chiedere pane, patate, uova, salame, lardo.

Talvolta accadeva che alcuni gage' particolarmente generosi regalassero loro un po' di carne, una gallina o un coniglio.

La sera, dopo aver mangiato, i Sinti si sedevano intorno ad un fuoco. C'era sempre un uomo anziano o una donna anziana

che raccontava alcune fiabe e tutti ascoltavano prestando attenzione.

Nei giorni di festa gli uomini suonavano i loro strumenti. La maggior parte di essi sapeva suonare solamente la chitarra,

qualcuno forse anche il violino. Essi cantavano le canzoni mentre le giovani ragazze ballavano.

Allora non esisteva la tivu', i Sinti erano piu' poveri ma anche piu' felici e per essi i tempi erano migliori.

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RAKARIBÉN 27 (BIŚ TA EFTÁ) TESTO 27 NOTE

1 - Jáŭ kaj paśál mánde, tikní, ke me

na śunáva tu óske som kaśukí

2 - Pándra pi paričál ta rakár pi zor.

Véssa da durál, na?

3 - Na. Váva da kaj paśál. Jamén sam

plasadé koj pren. Mro kaké o Pepíno

i-lo dur. Gjám ménge vek léstra óske

sas-lo dinó ménča

4 - Mro ba pendás léske: Ǧa par tro

drom. Ǧa durál méndra ta na ves

butér kaj kun tro śeró narvaló

5 - Kaná sam pi paśál túke, nóna.

Gjal čássa pi but ketané

6 - Si-tumen i naśibángeri?

7 - Dik! Ǧanés ke mro ba na inǧéla i

naśibángeri. Si-amén duj graj, jek

brúno ta jek parnó. Na χána-le but:

mónsi sŭámo ta ǧov kun o panín.

Lénge si dóstra gjal

1 - Vieni qui vicino a me, piccolina, che

non ci sento perché sono sorda

2 - Ancora più vicino e parla più forte.

Vieni da lontano, no?

3 - No, vengo da qui vicino. Siamo

accampati lassù. Mio zio Pepino è

lontano. Siamo venuti via da lui perché

si comportava male con noi

4 - Mio padre gli ha detto: Va per la tua

strada. Vai lontano da noi e non venire

più qui con la tua testa matta

5 - E adesso siamo più vicino a te,

nonna. Così resteremo di più assieme

6 - Avete la macchina?

7 - Toh, guarda! Lo sai che mio papà

non guida. Abbiamo due cavalli, uno

nero ed uno bianco. Non mangiano

molto: solo fieno e avena con acqua. A

loro basta

3 - ménča = con noi. Anche ménsal.

Tuménča = con voi. Anche tuménsal

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RAKARIBÉN 28 (BIŚ TA OΧTÓ) TESTO 28 NOTE

1 - Sas ne kópo ne baró raj ta ne

sínto. Jon pirénas-le pro drom sa o

divés fin-a ki ratí

2 - Jon sas-le ǧa kiné, pirénas-le finké

dikjén-le ne tinó ker ke o vudár sas

putardó ta ndren nas kek

3 - "Dik, stik te sovás ndren kavá tinó

ker - pendás o sínto. Tu, baró raj, čiv

tu koj paričál o máuro ta me čáva kaj

paśál o vudár"

4 - "Ová. Lačí rat, sínto - pendás-lo o

baró raj"

5 - Čidén pen te sovén ta glej vjas o

petláro ke čélas ndren ková ker ta jóŭ

sas-lo piló

6 - "So keréla kavá kaj ndren mro

ker?" penéla o petláro. Léla je kast ta

komensóla te kurél o čororó sínto ta

palé ǧála péske vek...

7 - O sínto, sa dukadó, karéla o baró

1 - C'era una volta un signore ed un

sinto. Passeggiavano lungo la strada

tutto il giorno fino a sera

2 - Erano già stanchi, continuarono a

camminare finché videro una piccola

casa con la porta aperta e dentro non

c'era nessuno

3 - "Guarda che potremo dormire in

questa capanna - disse il sinto.

Tu, signore, mettiti lì vicino al muro ed

io resterò qui nei pressi della porta"

4 - "Va bene. Buona notte, sinto - disse

il signore"

5 - Cominciarono a dormire finché

all'improvviso arrivò il padrone della

casa che era ubriaco

6 - "Cosa ci fa questo nella mia casa?"

dice l'uomo. Prende un bastone e

comincia a picchiare il povero sinto e

poi se ne va…

1 - baró raj = Lett. gran signore. Indica una

persona "di rango". Il femminile è barí raní.

Significa anche "padrone" e , per estensione

"datore di lavoro". Es. O raj do ker "il

padrone di casa", mro raj "il mio datore di

lavoro" ecc.

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raj: "Sganǧés tu, baró raj! Jáŭ tu kaj

paśál o vudár ta me ǧáva te sováu koj

an o vavér rik". Jon parovéna-le da

stéto ta čivéna pen te sovén

8 - Dop ne písla čiro véla palé o

petláro ke sas-lo pándra piló, véla-lo

palé kun o kast ta déla goǧí: me djom

ǧa but dabá par kavá kaj ke sovéla-lo

paśál o vudár. Kaná ǧáva te dáu par

o vavér ke sovéla paričál o máuro

9 - Čororó sínto! Sas pándra jóŭ ke

ljás sa le dabá.

Gjal si o trúpo da le čororé Sínti: in

sa le stéti kaj ǧána-le, da ne rik o da

ne vavér sémpar léna le dabá...

7 - Il sinto, tutto dolorante, chiama il

signore: "Sveglia, signore! Vieni tu

vicino alla porta e io vengo a dormire là

dall'altra parte". Si cambiano posto e si

rimettono a dormire

8 - Dopo un po' di tempo ritorna il

padrone di casa che era ancora ubriaco,

torna con il bastone e pensa: ho dato

abbastanza botte a questo che dorme

vicino alla porta. Adesso vado a

picchiare un po' anche quell'altro che

sta dormendo vicino al muro

9 - Povero sinto! E' di nuovo lui ad

essersi preso le botte.

Così è la vita dei poveri Sinti: in tutti i

posti in cui vanno, da una parte o

dall'altra, se le prendono sempre…

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RAKARIBÉN 29 (BIŚ TA ENJÁ) TESTO 29 NOTE

1 - Sas ne Sínto ke pirélas kun léskri

vardín čardiné da duj graj

2 - Le duj graj naśjen-le ta gjen-le

ndri čik fin-a telál da léngre kan

3 - O Sínto pendás: Baró Devél, se tu

keréssa te ven vrin di čik mre duj

graj me tabaráva ne momolín barí

sar ne ruk!

4 - Alúra péskri čaj pendás-li: "Mro

ba, par so na penéssa o čačipén?

Ǧanéssa miśtó ke na si momoljá baré

sar le ruk!"

5 - "Dik ke purdiní! - pendás o Sínto -

par so rakaréssa? Na stik te čes stil?

Muk o Baró Devél ta del ma ne vast

ta palé dikássa!"

1 - C'era un sinto che viaggiava con il

suo carrozzone trainato da due cavalli

2 - I due cavalli si staccarono e finirono

nel fango fino all'altezza delle orecchie

3 - Il Sinto disse: Signore, se fai uscire i

miei due cavalli accenderò un cero

grande come un albero!

4 - Allora sua figlia disse: "Papà, perché

dici bugie? Sai bene che non ci sono

candele grandi come alberi!"

5 - "Guarda che schifosa! - disse il

Sinto - ma perché parli? Non puoi

startene in silenzio? Lascia prima che il

Buon Dio mi aiuti, poi si vedrà!"

L'astuzia è una caratteristica dei Rom e dei

Sinti e spesso è argomento di racconti dal tono

umoristico.

Molti racconti della tradizione orale dei Rom e

dei Sinti mettono in risalto la capacità di

cavarsela proprio grazie all'astuzia che è di

gran lunga superiore a quella dei "gaǧé" e

talvolta perfino a quella del diavolo (beng) e

del Buon Dio (Baró Devél)...

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RAKARIBÉN 30 (TRIÁNDA) TESTO 30 NOTE

I romní t'o krapódo

1 - Sas ne kópo ne rom ta péskri

romní ke ǧánas pro drom kun i

vardín

2 - Glej i romní penéla ko rom: "Če

kaj ke ǧáva ndren ková ker"

3 - Véla ndro ker par te dukarél i

gaǧí

4 - I gaǧí penéla: "Si-ma sonakáj ma

nastik láva les óske si ne krapódo pre

léste. Se déssa mánge ne vast dáva

túke o paś"

5 - I gaǧí inǧjás-li ne kakaví kun o

sonakáj ta pri di kakaví χip sas ne

krapódo

6 - I romní penéla ki gaǧí: "Ǧa koj

pren te rodés mánge písla panín"

7 - Gjas-li i gaǧí, i romní djas ne

La donna e il rospo

1 - C'era una volta un uomo con sua

moglie che viaggiavano con la roulotte

2 - Improvvisamente la donna dice al

marito: "Fermati che vado in quella

casa"

3 - Entra in casa per leggere la mano

alla gagí

4 - La gagí dice: "Ho dell'oro ma non

posso prenderlo perché sopra c’è un

rospo. Se mi aiuti te ne darò la metà"

5 - La gagí porta una pentola con l'oro e

sopra il coperchio c'è un rospo

6 - la donna dice alla gagí: "Va lassù a

cercarmi dell'acqua"

7 - La gagí va, la donna dà un calcio

alla pentola ed il rospo scappa

Si tratta di un racconto dei Manouche tradotto

in sinto piemontese.

E' interessante notare come i protagonisti dei

racconti tradizionali (paramíssi) siano

frequentemente entità soprannaturali: Dio

(Devél), il diavolo (beng), i defunti (mulé).

Queste figure costituiscono infatti il mondo

soprannaturale dei Rom e dei Sinti, costituito

da una visione dualistica del bene

contrapposto al male.

Le paramíssi darané sono i "racconti della

paura" che un tempo venivano raccontate la

sera intorno al fuoco, quasi a sfidare il

coraggio di chi le ascoltava prima di andarsi a

coricare...

3 - dukaréla i gaǧí = leggere la mano alla

gagí. Notare che il verbo dukar- è transitivo.

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latadiní ki kakaví t'o krapódo naśjás

8 - Alúra i gaǧí čidás o pas do sonakáj

ndri putísa di romní

9 - I romní ǧála paričál da péskro

rom ta penéla léske: "Ǧas vek kun o

graj, kaná sam bravalé"

10 - Dop ne písla penéla: "Dik palál

ke śunáva čomoni ke véla palál

mánde"

11 - O rom penéla: "Me na dikáva či"

12 - Dop ne písla i romní penéla

pándra: "Dik palál ke śunáva

čomóni"

13 - "Me na dikáva či" - penéla o rom

14 - Dop písla číro: "Dik, śunáva

čomóni, dik"

15 - "Ová - penéla o rom - dikáva ne

baró krapódo, ma na dar".

16 - O rom gjas telé di vardín ta

mardás o krapódo kun ne barí čurín

ta pendás ki romní: "Kaná stik te čas

8 - Allora la gagí ha messo metà

dell'oro nella tasca della donna

9 - La donna va vicino al marito e gli

dice: "Andiamocene con il cavallo, ora

siamo ricchi"

10 - Dopo un po' dice: "Guarda indietro

che sento qualcosa che mi segue"

11 - L'uomo dice: "Io non vedo nulla"

12 - Dopo un po' la donna dice

nuovamente: "Guarda indietro che

sento qualcosa"

13 - "Io non vedo nulla" - risponde

l'uomo

14 - Un istante dopo: "Guarda, sento

qualcosa, guarda"

15 - "Sì - dice l'uomo - vedo un grosso

rospo, ma non aver paura".

16 - L'uomo scese dalla roulotte e

uccise il rospo con un lungo coltello poi

disse alla donna: "Adesso possiamo

rimanere tranquilli"

60


kamlé"

17 - O divés dópu, o rom sganǧavéla

pes ta keréla ne písla brúno par

péskri romní. Pučéla ki romní se

kaméla te pjel o brúno ma i romní na

penéla či

18 - Ǧala paričál di romní ta dikéla

ke si ne krapódo pre lákro beč. I

čororí romní sas-li mulí

19 - I romní fardjás o beng vek do

ker di gaǧí ma o beng pejás pren láte

17 - Il giorno successivo, l'uomo si alza

e prepara un po' di caffè per sua moglie.

Chiede alla moglie se vuole bere il

caffè ma la donna non dice nulla

18 - Si avvicina alla donna e vede che

sul suo stomaco (petto) c'è un rospo. La

donna giaceva morta

19 - La donna aveva cacciato il diavolo

dalla casa della gagí ma il diavolo era

caduto addosso a lei

Cucina sinta (1) – il "níglo"

Il niglo (riccio) si mangia solamente durante l'autunno e l'inverno. Per togliere gli aculei si fa un'incisione in una zampa

posteriore, si prende una cannuccia, la si infila nell'incisione e si soffia. Quando è gonfio come una palla lo si immerge

nell'acqua calda per alcuni minuti e con un rasoio affilato si radono le spine.

Normalmente si cucina il maschio che può essere fatto alla brace o bollito oppure anche al forno ripieno di carne di pollo o di

maiale.

Níglo n'lajáda (riccio in gelatina)

Si prepara un soffritto con tanto aglio e altri odori, si soffrigge il riccio fatto a pezzi, poi si aggiunge l'acqua e lo si fa cuocere

finché il brodo diventa denso. Giunto il tutto a cottura si copre e si mette a raffreddare per tutta la notte finché il brodo e la

carne formano una gelatina saporita.

61


RAKARIBÉN 31 (TRIÁNDA TA JEK) TESTO 31 NOTE

1 - Ke śukár tinó ǧukél! Ke i-lo

kamló! Da kaj véla-lo?

2 - Da mri ǧuklí. Joj kerdás pándra

vavér trin tiné ǧukéj

3 -Na si-ma o lió par te maráu len

4 - Kánte véna-le pro bolibén le tiné

ǧukéj sa le čávé mangéna jek. Kavá

kaj i-lo par i tiní čaj. O tinó parnó si

par o Romeo, o vavér loló par i tiní

Debora

5 - Kaj me na kamáva butér kek

ǧukéj. Fardáva len vek. Mutréna-le

pri čik sa o divés, ćingaréna-le,

čardéna le rivibén ta le tuále, déna

búka kaj le tiné čavé... óni divés

pjéna but tud...

6 - Dik! O Elvis čardéla i porín di

ǧuklí ! Čororí! Na ker gjal, ej! Oj ke

diné čavé!

1 - Che bel cagnolino! Com'è

simpatico! Da dove viene?

2 - Dalla mia cagna. Ha fatto altri tre

piccoli cani

3 - Non ho il coraggio di ucciderli

4 - Quando nascono i cagnolini tutti i

bambini ne chiedono uno. Questo è per

la bambina. Il piccolo bianco è per

Romeo, quell'altro rossiccio per la

piccola Debora

5 - Qui da me non voglio più nessun

cane. Li mando fuori. Fanno pipì in

terra tutto il giorno, litigano, tirano i

vestiti e le tende, mordono i bambini...

ogni giorno bevono un mucchio di

latte...

6 - Guarda! Elvis tira la coda della

cagna! Poveretta! Non fare così, ehi!

Oh che bambini dispettosi!

2 - ǧukéj = cani. Plur. di ǧukél. In SPF il

plurale rimane invariato.

62


RAKARIBÉN 32 (TRIÁNDA TA DUJ) TESTO 32 NOTE

1 - I romní: Na ǧanáva sar stik te

inǧés i naśibángeri maśkarál da kalá

vavér naśibángere ke véna-le da sa le

rigá ta fardéna le líχte ndren méngre

jaká! Meráva di dar...

2 - O rom: Oj, na ves traśuní, kuč

romní, ker sar me: pang tre jaká!

***

1 -Duj váχte ǧána kaj ne romní.

Śun, romní - penéla o śéfo - par i

bibáχt tro rom gjas-lo kúntra ne

naśibángeri

2 - Oj! Mujás-lo?

3 - Ová! I-lo čindó in duj tokór

4 - Ah! Χajóváva. Beh, na keréla či.

Inǧén mánge o tokór kaj si léskro

póχo!

1 - La moglie: non so come fai a

guidare in mezzo a tutte queste auto che

arrivano da tutte le parti gettandoci le

luci negli occhi! Muoio di paura...

2 - Il marito: Oh, non spaventarti, cara

moglie, fa come faccio io: chiudi gli

occhi!

***

1 - Due vigili si recano da una donna.

Ascolti, signora - dice il capo -

disgraziatamente suo marito è andato (a

sbattere) contro un'auto

2 - Oh! E' morto?

3 - Sì! E' diviso in due pezzi

4 - Ah! Capisco. Beh pazienza.

Portatemi il pezzo nel quale si trova il

suo portafogli!

63


RAKARIBÉN 33 (TRIÁNDA TA TRIN) TESTO 33 NOTE

"Le Röze"

1 - "Le Röze" si o láŭ da ne plása da

le Sínti a Türináte. Jon ǧivóna-le koj

da pi but da paś śel berś

2 - But číro fa sa trujál da ková stéto

sas mónsi i félda ta o fóro is-lo durál.

Pöj koj paričál komensodén te kerén

le ker

3 - Fin-a biś berś fa sa le Sínti da "Le

Röze" ǧivónas-le ndren le baré

vardinjá. Kaná pi but ǧivóna ndren le

tiné ker.

4 - Mónsi o kaké Vánni ta léskri

romní si-len pándra ne śukár purí

barí vardín

5 - O kaké Vánni na si butér tarnó ta

déla pes pandra goǧí da kánte le Sínti

pirénas kun le vardinjá čardiné da le

graj

6 -Maśkarál da kolá Sínti da "Le

"Le Röze"

1 - "Le Röze" è il nome di una piazza

dei Sinti a Torino. Essi vivono lì da

oltre cinquant'anni

2 - Molto tempo fa tutto attorno a quel

posto c'era solo campagna e la città era

distante. Poi lì vicino hanno cominciato

a costruire le case

3 - Fino a vent'anni fa tutti i Sinti del

campo "Le Röze" vivevano nei

carrozzoni. Ora molti vivono in casette

(prefabbricati).

4 - Soltanto lo zio Vanni e sua moglie

hanno ancora un bel carrozzone antico

5 - Lo zio Vanni non è più giovane e si

ricorda ancora di quando i Sinti si

spostavano con le roulotte trainate dai

cavalli

6 - Tra quei Sinti del campo "Le Röze"

c'è anche il Cale con la sua famiglia. Al

4 - o kaké Vánni = Lo zio Vanni. Il termine

kaké "zio" è usato anche come espressione di

riguardo nei confronti di persone anziane. Lo

stesso vale per bibí "zia".

Nel caso specifico kaké Vanni è tra coloro che,

con molta pazienza e disponibilità, hanno reso

possibile la realizzazione di questo volume,

come anche l'amico Cale, citato in questo

stesso testo. Entrambi, purtroppo, scomparsi

da alcuni anni (rev. Gennaio 2021)

64


Röze" si nínge o Kále ta léskri famía.

O Kále kaméla but te baśavél i séjla

7 -Si but Sínti ke baśavéna o ke

gjavéna miśto. Ma par bibáχt jon

bistardén le puré giljá romané

8 - Le giljá ke jon kaména pi but si le

giljá napuléngere ta le giljá da

kamlipén

9 - Kánte le Sínti dikéna ne gaǧó ke

véla máśkar lénde se na prinǧaréna

les glej pučéna léske: "Par so vjal

kaj? Kon rodés?" di dar ke na si ne

mal

10 - Ma se jon pinǧaréna les alúra glej

karéna les te pjél ne brúno o ne glázo

di mol lénča o nínge par te χal se si i

kóra do χabén

11 - Kánte ne gaǧó véla-lo mal da le

Sínti ta i-lo pinǧardó si sar komóni di

famía

Cale piace molto suonare la chitarra

7 - Vi sono molti Sinti che suonano o

che cantano bene. Ma purtroppo essi

hanno dimenticato le vecchie canzoni

zingare

8 - Essi preferiscono le canzoni

napoletane e le canzoni d'amore

9 - Quando i Sinti vedono arrivare un

gagió in mezzo a loro se non lo

conoscono gli chiedono subito: "Perchè

sei venuto qui? Chi cerchi?" per timore

che non sia un amico

10 - Ma se essi lo conoscono allora lo

invitano subito a prendere un caffé o un

bicchiere di vino insieme a loro o anche

a mangiare se è l'ora del pranzo

11 - Quando un gagió diventa amico dei

Sinti ed è conosciuto è come qualcuno

di famiglia

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RAKARIBÉN 34 (TRIÁNDA TA ŚTAR) TESTO 34 NOTE

O śtár kráfjo

1- O Baró Devél dikéla pren sa le

Sínti. Le Sínti stik te bičavén le

ramanjá palál le gaǧé ma le ramánjá

ke le gaǧé bičavéna palál le Sínti na

keréna či

2 - Kaná penáva túmenge óske si gjal.

Kánte čidén o Baró Devél pro truśúl

sas te marén pro truśúl nínge duj

gaǧé

3 - Le gaǧé kerdén deś ta duj kráfi,

śtar par óni jek. Ne čoribángero ke

sas te vel mardó sas ne sínto. Ková

čororó sínto na kamélas ke le zunári

maréna o Baró Devél

4 - Par kavá kaj čordás jek kráfjo ta

garadás les. Le zúnari rodjén rodjén

ma nastik dikjén kaj sas garadó o

kráfjo

5 - Jon mardén-le o Baró Devél pro

truśúl kun mónsi trin kráfi: duj par

Il quarto chiodo

1 - Il Buon Dio si prende cura di tutti i

Sinti. I Sinti possono maledire i gagé

ma le maledizioni che i gagé mandano

ai Sinti sono inefficaci

2 - Ora vi dico il perché. Quando

crocifissero il Signore dovevano

uccidere sulla croce altri due uomini

3 - I gagé prepararono dodici chiodi,

quattro per ciascuno. Uno dei ladri che

doveva essere ucciso era un sinto. Quel

povero sinto non voleva che i soldati

uccidessero il Signore

4 - Per questo egli rubò un chiodo e lo

nascose. I soldati cercarono, cercarono

ma non trovarono dov'era stato nascosto

il chiodo

5 - Essi crocifissero il Signore soltanto

con tre chiodi: due per le mani ed uno

solamente per i piedi

- o śtár kráfjo = il quarto chiodo. In sinto

piemontese non esiste la numerazione

ordinale. Probabilmente in origine i numeri

ordinali venivano formati con l'aggiunta del

suffisso -to alla radice ordinale, analogamente

a quanto avviene in altri diall. sinti e rom.

Per la numerazione ordinale vedere le NOTE

al TESTO 18 (pagg. 39-40).

E' una leggenda molto diffusa tra i Rom ed i

Sinti con diverse varianti.

Una di queste giustifica il procacciamento del

cibo attraverso il furto.

Un'altra versione narra invece che fu un Rom

(o un Sinto) a forgiare i chiodi della croce. A

causa di questo egli attirò su di sé e sui suoi

discendenti il castigo divino che costringe gli

Zingari a vagabondare per il mondo senza

poter mai trovare un luogo in cui sostare.

66


le vast ta mónsi jek par le piré

6 - Alúra o Baró Devél pendás-lo par

o sínto: Tu kerdál miśtipén par

mánde.

Da kavá divés sa le Sínti kánte si

bokalé stik te ǧan ndro bolibén te

čorén so si-len bróχa par te ningavén

pen i bok

6 - Allora il Signore disse al sinto: Tu

hai fatto del bene per me. Da oggi tutti i

Sinti quando avranno fame potranno

andare per il mondo a rubare ciò che

servirà loro a sfamarsi

Il campo "le reuse" ( via Silvestro Lega 50) a Torino all' inizio degli anni 80

67


68


RAKARIBÉN 35 (TRIÁNDA TA PANČ) TESTO 35 NOTE

1 - O divés di dimánś o Mónali ǧála ki

míssa. Maśkarál di kangerín o raśaj

čivéla ne barí momolín ta sibjaréla

pren láte le keladé do berś: jek, enjá,

eftá, panč (1975)

2 - Sa o číro o Mónali dikéla kojá

śukár barí momolín. O raśáj pačéla ke

ková sínto prijavéla pi but da sassaré:

le jaká sa putardé, o muj paś putardó...

3 - Ke sínto kamló ke i-lo ta sar

prijávela but ! - tinkaréla o raśaj

4 - Dop di míssa o raśáj pučéla léske:

"Mro pral, so mangjál da sa tri zor ko

Devél kánte śunéssas i míssa ta

dikéssas katár i momolín?"

5 - "Na mangjóm či, raśáj, ljóm le

keladé ke si-le sibjardé pri momolín:

jek, enja, eftá, panč par te čiváu len

pre le graj kalikó. Kalá keladé inǧénale

but baχt ta lové óske si-le boldé kun

o háligo panín!"

1 - Il giorno di festa Monali va a messa.

Nel centro della chiesa il prete mette una

grande candela e scrive su di essa le cifre

dell'anno: uno, nove, sette, cinque (1975)

2 - Per tutto il tempo Monali guarda quella

bella candela. Il prete crede che quel sinto

preghi più di chiunque altro: gli occhi

spalancati, la bocca semiaperta...

3 - Com'è educato questo sinto e quanto

prega! - pensa il prete

4 - Al termine della messa il prete gli

chiede: "Fratello mio, cosa hai chiesto con

tutta la tua forza al Signore mentre

ascoltavi la messa e guardavi verso la

candela?"

5 - "Non ho chiesto nulla, padre (prete), ho

imparato (preso) i numeri che sono scritti

sulla candela: uno, nove, sette, cinque per

puntarli ai cavalli domani. Quei numeri

porteranno molta fortuna e denaro poiché

sono stati benedetti con l'acqua santa!"

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RAKARIBÉN 36 (TRIÁNDA TA ŚÓU) TESTO 36 NOTE

O panín ta i jag

1 - Maśkerál le Sínti o zuzipén si ne

śukár ková

2 - Par ne gaǧó stik te ven-le χamardé

ma si te ǧanén ke le Sínti čavéna an le

rik kaj si but panín

3 - O panín ta i jag i duj ková śukár

ta lačé. Le romnjá, tanké keravéna o

χabén, maśkerál tovéna le lúmpi

ndren le baré čaré

4 - Le lúmpi ta o parnipén tovéna len

čindé: le mesajá ta le tiné mesajá da

ne rik, da ne vavér rik le rivibén

5 - Rojá, čaré, kakavjá tovéna len

ndren baré čaré na sajék da le baré

čaré ke broχavéna-le par te továs o

parnipén ta le lúmpi χamardé

6 - Kun i jag le Sínti čačaréna pen ta

keravéna

L’acqua ed il fuoco

1 - Tra i Sinti la pulizia è considerata

importante

2 - Ad un estraneo essi possono

apparire sporchi, ma si deve sapere che

i Sinti si fermano nei posti in cui c’è

molta acqua

3 - L’acqua ed il fuoco sono due cose

belle e buone. Le donne, mentre

preparano il cibo, nel frattempo lavano i

panni nelle bacinelle

4 - I panni e la biancheria vengono

lavati separatamente: le tovaglie ed i

tovaglioli da una parte, i vestiti da

un’altra

5 - Cucchiai, piatti e pentole vengono

lavati in bacinelle diverse dalle

bacinelle usate per lavare la biancheria

ed i panni sporchi

6 - Con il fuoco i Sinti si scaldano e

Questo è il primo di tre testi tratti dal libro "O

ker kun le penijá (La casa con le ruote)

pubblicato nel 1995 da Sinnos Editrice nella

collana “I mappamondi” ed il cui autore è

Annibale Niemen, sinto piemontese che vive a

Roma.

Rispetto alla pubblicazione originale è stata

normalizzata l'ortografia.

Ciò che caratterizza questi testi rispetto a

quelli precedenti è la loro immediatezza

espressiva in quanto trascritti da dialoghi

registrati e non costruiti "a tavolino". Vale

quindi la pena fornire la traduzione letterale di

alcuni interi passaggi:

1 - si ne śukár ková "è una cosa bella"

(importante).

2 - stik te ven-le χamardé = può (è possibile)

che vengano sporchi.

3 - maśkerál tovéna le lúmpi = in mezzo (nel

frattempo) lavano i panni.

5 - ...na sajék da le baré čaré ke broχavénale

par te továs o parnipén... = ...non uguali

(diverse) dai grandi piatti (bacinelle) che (di

cui) necessitano per lavare (laviamo) la

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7 - Trujál i jag piréla o trúpo da

sassaré. Si koj ke lačéna pen o

ternipén ta le puré

8 - Le tarné i-len vagéstre kamlipén

ta pöj solaχavéna pen

9 - Pasál i jag le puré rakaréna da le

stéti ke dikjén-le, kaj čela pes miśtó ta

kaj na stik ačavés tu par o dinipén da

le petlári

10 - Ginéna i strófa da méngri sléχa,

sikaréna le čavé o kamlipén rik le

baré

(segue)

cucinano

7 - Intorno al fuoco ruota la vita di tutti.

E’ lì che i giovani incontrano gli

anziani

8 - I giovani hanno i loro primi incontri

amorosi e poi si sposeranno

9 - Vicino al fuoco i vecchi raccontano i

luoghi che hanno visitato, dove si sta

bene e dove invece non ci si può

fermare a causa della cattiveria degli

abitanti

10 - Lì viene raccontata la storia della

nostra gente ed ai bambini vien

inegnato il rispetto per gli adulti

biancheria...

10 - sléχa = gente, stirpe.

- rik le baré = verso gli adulti.

Cucina sinta (2) – Il "śukló xabén" (gallina brusca)

Si tagliano a pezzetti le interiora e la carne della gallina e si mettono a soffriggere nell'aceto. Poi, per un'ora si fanno

cuocere con aglio, cipolla, noce moscata, prezzemolo, un po' di lauro, rosmarino e peperoncino.

Alla fine della cottura si prendono le uova, si sbattono e si mettono nel tegame insieme alla carne ed alle interiora e si lascia

cuocere il tutto ancora per qualche minuto.

La base del condimento di questa ricetta è l'aceto. I Sinti ne usano molto perchè amano i sapori forti.

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RAKARIBÉN 37 (TRIÁNDA TA EFTÁ) TESTO 37 NOTE

O panín ta i jag (2)

1 - Ta sa le Sínti pasjóla ta kaména o

baśávimo ta o gilibén, sémpar si

komóni ke léla in ganjé i séjla, ke si o

basavimángero ke kaména fedér

2 - Inǧéla ková koj ta rakaréla. Jóŭ bi

te ǧanél-lo rakaréla-lo sa o číro do

baśávimo ta pöj čivéla pes te gjavél

3 - Alúra sassaré kun i puśukár véjzla

keréna ne vávro giló ta but véjzi jek

ta jek sassaré gjavéna ne gilí inǧadé

di séjla ta sa le véjzi

L’acqua e il fuoco (2)

1 -Tutti i Sinti sono appassionati ed

amano la musica ed il canto, c’è sempre

qualcuno che prende tra le braccia la

chitarra, che è lo strumento preferito

2 - Lo prende ed inizia a parlare. Senza

rendersene conto segue il ritmo della

musica e poi si mette a cantare

3 - Allora tutti intonano un’aria

sottovoce e in coro cantano una

canzone trascinati dalla chitarra e dalle

voci

Vedi nota introduttiva nella colonna in

NOTE del TESTO 36 (pagg. 70-71).

1 - pasj- = appassionare, piacere".

Ta sa le Sínti pasjóla ta kaména o

baśávimo... = E tutti i Sinti (li) appassiona ed

amano la musica...

3 - kun i pusukár véjzla = sottovoce. Lett.

Con voce adagio.

4 - … keléna pren o číro baśadó... = ballano

a suon di musica. Lett. Ballano sopra il tempo

suonato.

6 - ramá = pertiche, rami (piem).

Eftá but = settanta. Lett. Sette molti.

4 - Le romnjá ta le ǧuvjá gjavéna

nínge jon, tanké le vavér keléna pren

o číro baśadó

5 - Ndren le číri naklé, vagéstra te vel

o gaz, i jag tabarénas la telál le trin

kast

6 - Sas-le trin ramá da kast hog duj

méter, panglé da pren ta putardé da

4 - Anche le donne cantano mentre gli

altri ballano a suon di musica

5 - In passato prima che arrivase il gas

si accendeva il fuoco sotto tre pertiche

di legno

6 - C’erano tre pertiche alte due metri e

legate in punta in punta ed aperte a

triangolo nella parte inferiore. In alto

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telál. Maśkerál o pren sas ne veranglí

hog eftá but (70) centímer

7 - Kaj da telál sas ne suví puterdí kaj

čivénas le kakavja do śudrúno t’o

kófro par te keravél o i kasséla par o

panín tató

8 - Pasál le trin kast čivassas le bar da

čik te na naśavél le langár t’o tatipén.

I bučár vélas-li zuzardí marχárli par

te tovél

9 - Par i suví pi hog sas ne pirín kun

ndren ta marχárli par kerél o brúno

kun i strímpa

10 - I strímpa si ne góno pangló da

telál ke vélas paś-pardó kun o brúno

čidó ndri pirín

11 - Ndri pirín čivásas o panín tató

par te vel o brúno sar kamássa. Si ne

brúno zoraló, kek brunéskero stik

kerél.

12 - O vagéstra ková ke le Sínti déna

a le mal si o brúno

c’era una catena fissata all’altezza di

circa settanta centimetri

7 - Su un gancio sistemato un po’ più in

alto venivano appese le pentole di rame

o di alluminio per cucinare o il tegame

per l’acqua calda

8 - Attorno alle tre pertiche si

mettevano le pietre per non disperdere

il carbone ed il calore. La cenere

ripulita (dal carbone) veniva usata per il

bucato

9 - Nel gancio più in alto c’era un

pentolino contenente l’acqua calda

usata per fare il caffè "con la calza"

10 - La calza è un sacchetto chiuso alla

base che veniva riempito a metà di

polvere di caffè immerso nel pentolino

11 - Nel pentolino mettevamo

dell'acqua calda per far venire il caffè

come ci piaceva. E' un caffè forte che

non si può fare con la caffettiera.

12 - La prima cosa che i Sinti offrono

agli amici è il caffè

7 - suví = gancio. Da suv (femm) = ago.

8 - i bučár vélas-li zuzardí marχárli par te

tovél = lett. La cenere veniva pulita servireessa

per lavare.

9 - ... o panín tató ta marχárli par kerél o

brúno kun i strímpa... = lett. ...l'acqua calda e

servire-essa per fare il caffé con la calza.

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RAKARIBÉN 38 (TRIÁNDA-TA OΧTÓ) TESTO 38 NOTE

I Fuára da le Mulé

1 - Jek sikipén méngro si i míssa ta o

tinkárimo ke i-amén par le mulé.

O muló na véla kardó sar te vel ǧidó.

Karássa les “čóro” o “čororó” gjal te

ǧanás ke na i-lo butér

2 - Sa le Sínti i-len ne gáu o ne fóro

kaj inǧéna péngre mulé. Si gáu ke o

muléskero i-lo paś-pardó par paś-śél

(50) o śóu but (60) da Sínti, sar o

Savján

3 - O muléskero da koj i-lo pardó da

sa le Sínti da Itália hog. Méngre tíne

mulé véna-le inǧardé pro trúpo da le

péskre ménči pi panglé

4 - O drom ke ǧála di kangérin ko

muléskero véla-lo učardó da blúmi.

Kánte i kísa ǧála ndren o

murbaréskero ne pral o ne mal

gjavéla ne gilí ke fantólas ko čóro

muló

La Festa (Fiera) dei Morti

1 - Una nostra usanza è la messa ed il

ricordo che noi abbiamo per i nostri

defunti. Il defunto non viene chiamato

come se fosse ancora vivo. Lo

chiamiamo "povero" o "poveretto"

cosicché si sappia che non c’è più

2 - Tutti i Sinti hanno un paese o una

città in cui seppelliscono i propri morti.

Ci sono paesi il cui cimitero è per metà

riempito da cinquanta o sessanta Sinti,

come a Savigliano

3 - Quel cimitero è pieno di Sinti di

tutto il nord Italia. I nostri cari (piccoli)

defunti vengono accompagnati a spalle

dai loro parenti più prossimi.

4 - La strada che va dalla chiesa al

cimitero viene coperta di fiori. Quando

la cassa entra nel loculo un fratello o un

amico intona una canzone che piaceva

al povero defunto

Vedi nota introduttiva nella colonna in

NOTE del TESTO 36 (pagg.70-71).

2 - śóu but = 60. Variante di trin biš.

Lett. Sei molti

Savján = Savigliano, nome (in piemontese) di

una località in provincia di Cuneo.

3 - ménči pi panglé = parenti più prossimi.

Lett. Uomini (persone) più chiusi (stretti).

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5 - Ndren le divés trin-jek (31) utúber

ta o jek (1) ta duj (2) nuémber sa le

bétrimi ačavéna pen sóske le Sínti

ǧána-le te lačén péngre kuč tíne mulé

6 - Si kon véna da gáu pasál, kon

kerdás ne paró (1000) kilómetri par

te inǧél ne blúma a le piré do truśúl

ke čéla no maśkerál do muléskero

7 - Ta an kolá divés le famíji ke i-le

vek par i Itália, ketané déna pen o

randivú par o berś ta vel

5 - Nei giorni trentuno ottobre ed il

primo e due novembre si fermano tutti i

lavori perché i Sinti vanno a rendere

visita al loro cari (piccoli) defunti

6 - C’è chi arriva da paesi vicini, chi ha

percorso mille chilometri per portare un

fiore ai piedi della croce che si trova al

centro del cimitero

7 - Ed in quei giorni le famiglie che

sono in giro per l’Italia, si danno un

appuntamento per l’anno seguente

5 - utúber e nuémber = ottobre e novembre

(piem.). Così come per i giorni della

settimana anche per indicare i mesi dell'anno

vengono utilizzati termini piemontesi, in

quanto sembra non sussistere una terminologia

sinta originale.

75


76


- PARTE SECONDA -

O Bovedantúna

(un racconto nel dialetto dei Sinti Piemontesi del Sud-est della Francia)

77


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Nota introduttiva al testo

Come specificato nelle pagine di introduzione al presente volume il dialetto sinto piemontese è costituito da due varianti, quella

parlata in Piemonte e per estensione nelle regioni italiane in cui vi è una presenza di Sinti Piemontesi e quella parlata dai Sinti

Piemontesi stanziati nel sud-est della Francia.

I Sinti Piemontesi sono sicuramente giunti in Italia all’inizio del ΧV sec. e precisamente tra il 1410 ed il 1430. La presenza di

Zingari è infatti già segnalata in Germania meridionale, in Svizzera tra il 1417 ed il 1419 ed in alcune regioni della Francia,

sempre intorno alla stessa epoca. E' dunque da ritenere che gli attuali Sinti Piemontesi siano in larga misura i discendenti di

quelle popolazioni nomadi. Tale tesi è suffragata dalla continuità esistente nei nomi di persona, che ritroviamo ancora oggi

inalterati rispetto a quelli che attestano i registri anagrafici e parrocchiali a cominciare dagli anni intorno al 1450. I cognomi

portati dai Sinti Piemontesi sono in larga misura francesi, come La Forêt, De la Garenne, Du Bois, La Fleur, De Barre.

La presenza attuale di Sinti Piemontesi nella regione francese è però frutto di migrazioni avvenute dal Piemonte risalenti al secolo

scorso a seguito di movimenti migratori verso zone già attraversate in precedenza e non, come si potrebbe pensare, ciò che resta

di stanziamenti più antichi. Essi infatti sono ben consapevoli delle loro origini “italiane”. Questa comunità, dal punto di vista

linguistico, presenta numerose particolarità che possono essere così riassunte:

1. la presenza di termini sinti che non appartengono solo al dialetto dei Sinti Piemontesi ma anche a quello dei Sinti

Lombardi.

La supposizione che la migrazione verso la Francia abbia coinvolto oltre a Sinti Piemontesi anche un consistente numero di

Sinti Lombardi è confermata dalle affermazioni di alcuni membri di quella comunità i quali rivendicano un’origine mista

piemontese e lombarda. L’etnonimo Sinti Piemontesi avrebbe finito con il prevalere probabilmente a causa della maggior

presenza di questi ma le tracce linguistiche, oltre che la diretta memoria, costituiscono una prova evidente che essi

discendono da una popolazione sinta eterogenea.

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2. il sinto piemontese parlato in Piemonte è più conservativo rispetto a quello parlato in Francia.

Quest’ultimo è fortemente impregnato di imprestiti dalla lingua francese e dal dialetto piemontese e dall’italiano. E’

interessante notare come alcuni imprestiti dal dialetto piemontese o dall’italiano non siano affatto presenti nel sinto parlato

in Piemonte e ad essi corrispondano invece termini originali arcaici o di diversa origine.

Es. La forchetta SPP = i gábla, SPF = i furšéta (franc. fourchette); la finestra: SPP = i valín, SPF = i finíštra (piem.

fnéstra); il bisogno: SPP = i bróχa (ted. “brauchen” ), SPF o bizónjo (ital. bisogno); selvatico, selvaggio: SPP = divjó,

SPF salvatíko (ital. selvatico) [il termine divjó compare anche nel lessico del sinto piemontese francese ma con il

significato di “cattivo, mordace”]. ecc.

3 nel sinto Piemontese parlato in Piemonte vi è anche un certo numero di parole di origine francese. Queste tuttavia sono

state sostituite dai Sinti Piemontesi della Francia con termini di origine piemontese o italiana, quasi in una sorta di

scambio.

Es. la domenica = SPP o dimanš (dal franc. le dimanche); SPF = i domínika (dal piem. düminica). La sedia = SPP i šéza

(dal franc. chaise), SPF i kadréga (dal piem. cadréga).

Questo fenomeno può essere spiegato dal fatto che il sinto, come qualsiasi altro dialetto romaní, è da sempre utilizzato

anche come lingua “furbesca”. L’introduzione di parole da un’altra lingua in sostituzione a quelle già esistenti può essere

avvenuta per una scelta strategica. Nel momento in cui i Sinti Piemontesi sono “ritornati” in Francia possono aver sostituito

i termini francesi già presenti nel dialetto sinto con quelli piemontesi di uguale significato al solo fine di nascondere parole

ed espressioni che sarebbero state facilmente decriptate dai “gaǧé”.

4 Molti termini non esistono in sinto o, quantomeno, sono stati completamente dimenticati in entrambe le varianti.

Si sopperisce alla mancanza di alcuni lemmi ricorrendo a imprestiti che sono necessariamente diversi nelle due varianti.

Nel sinto piemontese parlato in Italia essi derivano dal piemontese o dall’italiano mentre nel sinto piemontese parlato in

Francia questi derivano dal francese.

80


Es. Allora: SPP = alúra (piem. alura); SPF = alors (franc. Alors, pron. alór). Ma: SPP = ma (piem. e ital. ma); SPF = mais

(franc. mais, pron. me).

5 Il sinto piemontese parlato in Italia è certamente più puro da un punto di vista linguistico e ciò è dovuto ad un fenomeno di

cristallizzazione della lingua. Per contro il sinto piemontese parlato in Francia presenta interessanti aspetti innovativi.

Come già detto, in Italia il sinto piemontese non è più parlato correntemente presso le comunità italiane mentre invece esso

è ancora ampiamente utilizzato in Francia 4 . La minor purezza di quella variante è compensata da una maggiore creatività

anche se spesso essa si esprime attraverso l’introduzione di lemmi derivati dal francese.

Es. Abbassarsi: SPP = “mettersi sotto” = čiv- pes telé; SPF = basar-. Partire: SPP = “andare via” = ǧ- vek oppure

“prendere le strada” = l- o drom; SPF = partov- (franc. partir). Accerchiare: SPP = “mettersi intorno” = čiv- pes trujál;

SPF = anserklav- (franc. encercler). Curare, prendersi cura di: SPP = “guardare su” = dik- pren; SPF = suanjav- (franc.

soigner), ecc.

E’ interessante notare la creazione, in qualche caso, di neologismi anche curiosi. Uno di questi è šovnak (cinema). Questa

parola è la traduzione precisa di “six nez” (ovvero “sei nasi”, che foneticamente corrisponde a “cine”, ovvero “cinema”!)

Purtroppo anche per quanto riguarda la variante francese del sinto piemontese il materiale disponibile, per quanto accurato e

prezioso, è ampiamente insufficiente allo studio della lingua e soprattutto manca una grammatica. L’interesse che molti Sinti

Piemontesi residenti in Francia dimostrano per la loro lingua necessiterebbe invece di tali strumenti.

A differenza dei testi che costituiscono la prima parte di questo volume il racconto O Bovedantúna è la trasposizione di una

narrazione orale. Di conseguenza la forma risulta più imprecisa, la sintassi più incerta, l’impostazione meno lineare dei

dialoghi e dei brevi racconti letti in precedenza. Vi sono espressioni che possono risultare un po’ confuse e ripetizioni di

parole ed intercalari (ad es.: penéla “dice” - che a volte assume anche il significato di “risponde”) o espressioni tipicamente

verbali tipo “alors” (allora), eh beh, ecc., l’uso dei tempi verbali è talvolta incoerente e tutto questo rientra nelle caratteristiche

specifiche della narrazione orale, del racconto.

4 V. pag. 2, nota 2

81


I racconti in sinto vengono detti “paramíssi” (dal greco παραμυθι). Presso i Rom il patrimonio letterario orale è composto da

narrazioni cosmogoniche e soprattutto dalla rielaborazione di storie tradizionali delle popolazioni sedentarie. ed è ampiamente

documentato grazie anche all’opera di molti ricercatori. Pare invece che i Sinti non abbiano un patrimonio di tradizione orale

altrettanto vasto ed elaborato, o quantomeno, esso non è stato conservato come invece è avvenuto in maggiore misura presso i

Rom. Nel caso specifico i Sinti Piemontesi dimostrano di essere a conoscenza di una tradizione orale basata sui racconti ma

questa sembra essersi inesorabilmente interrotta con l’avvento dei moderni mezzi di comunicazione (TV, radio), ovvero di

distruzione delle specificità culturali e dell’asservimento ad un unico modello di vita. La maggiore fragilità rispetto ad altre

minoranze linguistiche e culturali e la mancanza di precisa codificazione linguistica ha fatto sì che per essi l’impatto con la

società moderna sia risultato assai più devastante che in altri casi.

Il racconto O Bovedantúna riportato nelle pagine seguenti è la versione raccolta da Bernard Formoso narrata nel 1982 da

Fernand Dubois detto “Guillaume”, un sinto sedentarizzato fin dal 1960 a Mougins (Alpi Marittime). Si tratta di un racconto

già noto del quale si ha una precedente versione datata 1910 raccolta da A.E.John da un sinto piemontese chiamato Baukols.

Quest’ultima fu pubblicata nel 1911 dal Journal of the Gypsy Lore Society e presenta numerose differenze con la versione più

recente.

Il testo, suddiviso qui in dodici parti, è la trascrizione di quello pubblicato su Lacio Drom n. 4 del 1984 (pagg. 5-8). Sono stati

introdotti alcuni piccoli aggiustamenti per conferire ad esso una maggiore leggibilità, senza tuttavia snaturarne in alcun modo

la caratteristica di narrazione orale. Si è inoltre intervenuti sull’ortografia uniformandola alle regole osservate nei testi

precedenti che si richiamano ad un modello di trascrizione della lingua romaní convenzionalmente accettato dalla maggior

parte degli studiosi. La traduzione in lingua italiana è stata realizzata a partire dal testo sinto e presenta pertanto alcune

variazioni (di stile e non di contenuto) da quella curata da Mirella Karpati in Lacio Drom a partire dal testo francese.

La matrice del racconto O Bovedantúna - dice Mirella Karpati su Lacio Drom n. 4/1984 a margine del testo - va ricercata nel

filone cavalleresco derivato dalla chanson de geste e diffusosi in Italia intorno al 1200. La prima forma fu quella dei cantari,

racconti in versi che esaltavano le gesta compiute da un cavaliere per liberare la pulzella vittima di sorprusi… Si tratta di

una letteratura aulica portata dai trovatori di castello in castello che ben presto trovò forma scritta… La vena letteraria

sembra esaurirsi nel ΧVI secolo, ma contemporaneamente la stessa ispirazione cavalleresca si era andata radicando

fortemente nella tradizione popolare… Come mai - si chiede ancora Mirella Karpati - questa tradizione è giunta ed è stata

82


evidentemente portata avanti dai Sinti Piemontesi? E’ un problema di facile soluzione. I Sinti italiani si sono sempre dedicati

allo spettacolo in tutte le sue forme ed è quindi estremamente probabile che abbiano interpretato con le marionette o di

persona un repertorio tratto dai romanzi cavallereschi...

Nella colonna “NOTE” posta a destra dei testi in sinto ed in italiano sono stati privilegiati richiami alle specificità lessicali e

sintattiche riscontrabili nella variante francese del dialetto sinto piemontese.

Per concludere va comunque sottolineato che, malgrado le numerose differenze evidenziate, queste non sono tali da creare

problemi di comunicazione tra i parlanti dell’una o dell’altra variante e forse soltanto la significativa presenza di una comunità

di Sinti Piemontesi oltralpe potrà contrastare l’estinzione di questa lingua.

83


84


RAKARIBÉN 39 (TRIÁNDA TA ENJÁ) TESTO 39 NOTE

1 - Jas e dab je králi ta ková králi

délas pa-lo góli Dúka Gojdóli, o ba do

Bóvo, Dúka Gojdóli, ta léskri romní

délas-la góli Béla Brandórja

2 - Alors ková králi jas-lo zoraló par

kur pes-lo kun o sábro kun le vavér

žunári. Jov marlás len kaj sa, mak

péstar

3 - Ta vjas, vjas puró, ková králi.

Alors léskri romní kamélas je vavér,

la Béla Brandórja, kamélas je vavér,

je vavér králi ta ková králi jas e

türko, o králi da le türki

4 - Alors léskri romní, do ková Dúka

Gojdóli, mordás pa-li sa ándro

safráno, sa, sa ándro kórpo. Alors jov

véla-lo ta joj jas-li ándro vódro, mais

špitáke kerdás-li dová

5 - Alors lákro rom, o Dúka Gojdóli:

"Mais so i-tu? Mais so i-tu? Pen

mánge so i-tu! Inǧáva túke le médiki

1 - C'era una volta un re e quel re si

chiamava Duca Goidoli, il padre di

Bovo, Duca Goidoli, e sua moglie si

chiamava Bela Brandoria

2 - Allora quel re era forte a battersi con

la sciabola con gli altri soldati. Li

uccideva tutti da solo

3 - E diventava, diventava vecchio, quel

re. Allora sua moglie voleva un altro, la

Bela Brandoria, voleva un altro, un

altro re e quel re era un turco, il re dei

turchi

4 - Allora sua moglie, di quel Duca

Goidoli, si era cosparsa di zafferano,

tutto, su tutto il corpo. Allora lui arriva

e lei era nel letto, ma lo aveva fatto

apposta

5 - Allora suo marito, il Duca Goidoli

(dice): "Ma che cos'hai? Ma che

cos'hai? Dimmi che cos'hai! Ti porto i

dottori che ci sono là!". "Ah! Non sai? -

Sono stati evidenziati in carattere corsivo i

seguenti termini (ricorrenti) in lingua francese

presenti nel racconto (e, più in generale, nel

dialetto SPF):

- alors = allora

- allez! = su!, orsu!

- faut = bisogna, occorre

- mais = ma

oltre a numerose espressioni in francese

presenti nel testo.

1 - jas = era, c'era. In SPP sas. Il passaggio s >

j nei verbi (es. Sas > jas, kaméssa > kaméja,

vássa > vája, ecc.) è tipico del dialetto sinto

lombardo.

jas e dab = c'era una volta. In SPP sas ne

kópo.

- e = un (art.indeterm.) Come je.

- délas pa-lo goli = si chiamava (lett. si

gridava).

E' interessante notare che la particella

rafforzativa -lo viene posposta al pronome

riflessivo pa (quest'ultimo inoltre è

sconosciuto in SPP che utilizza unicamente la

85


ke in koj!". "Ah!, či ǧanés? - penéla -

so kamáva man?"

6 - O králi penéla:"Eh beh! Mang so

kaméja! Keráva les túte". Léskri

romní penéla: "Eh beh! Faut inǧás

les mánge je tiknó čiriklo. Mais te na

mars les! Faut les les kun tre vast! -

penéla - Te inǧés les mánge kaj, váva

mištó!"

(segue)

dice - cosa desidero?"

6 - Il re dice: "Eh beh! Domanda ciò

che vuoi! Lo farò per te". Sua moglie

dice: "Eh beh! Devi andarmi a prendere

un uccellino! Devi catturarlo con le tue

mani! - dice - se me lo porterai qui,

starò bene!"

forma pes).

2 - alors = Franc. allora.

- par kur pes-lo = per battersi.

E' interessante notare che:

1) viene utilizzata la radice verbale (kur-) per

esprimere l'infinito;

2) anche qui la particella rafforzativa -lo viene

posposta al pronome riflessivo pes.

In SPP la traduzione sarebbe di preferenza par

te kuréla pes o par te kuréla-lo pes.

- jov = egli. In SPP jóŭ. Si tratta di una

leggera differenza fonetica riscontrabile anche

nell'elision del verbo alla prima persona

singolare. Es. Ǧáva (te) dikáu > ǧáva (te)

dikáv (vado a vedere). In SPP tale fonema è in

realtà una semivocale che sarebbe più corretto

scrivere ŭ (ma che, per semplificare, nelle

forme abbreviate dei verbi si è scelto di

trascrivere come u).

- mak (piem.), ma in SPP mónsi.

- mak péstar = solo lui. In SPP è preferibile

tradurre con da péstra (da sé) o mónsi jóŭ

(solamente lui). Notare péstra > péstar. I

pronomi personali in forma ablativa in SPF

trasformano la finale ra in ar/er: mándra >

mándar; tutra > tútar, léstra > léstar; látra

> látar; méndra > méndar; tuméndra >

tuméndar; léndra > léndar; péstra > péstar;

péndra > péndar. (anche mánder, tutér,

léster, ecc.).

4 - mordás pa-li = si è cosparsa.

86


Anche in questa frase è curioso notare che la

particella rafforzativa -li viene posposta al

pron. rifl. che anche in questo caso è pa.

- mais = ma (franc. mais).

- špitáke = apposta.

5 - médiki = medici, dottori (ital. medici) ma

in SPP nasaléngere (da nasaló "malato" +

éngere [suff. genit.plur.]).

- in = è / sono. In SPP i (o si).

- man = mi, me (pron. I pers. sing.

accusativo). In SPP la n finale è praticamente

scomparsa diventando ma.

Es. O rom dikéla man > o rom dikéla ma

"l'uomo mi guarda".

Nella frase "so kamáva man?" l'uso di questa

forma appare peraltro grammaticalmente

scorretto in quanto si dovrebbe dire "so

kamáva me?".

6 - kaméja = vuoi, desideri (vedi nota 1

kaméja / kaméssa).

Faut = Franc. bisogna, devi. In SPP il verbo

bisognare si esprime con si te o si bróχa (te)

ved. TESTO 7 - NOTA n. 2 (pag. 23)

- Mais = Franc. ma (pron. me).

- te na mars les = non ucciderlo. Forma

contratta di te na marés les.

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RAKARIBÉN 40 (DUJ BIŠ) TESTO 40 NOTE

1 - Alors jov penéla: "Eh beh! Ǧáva

ka i matína, ǧáva lav túke je čirikló".

Ta partodás-lo i mátina, ljas péskro

sábro ta gjas-lo vek

2 - "Mais à pied! - pendás léske i

romní - Pas o graj!". Alors nakéla-lo

tel di finíštra da péskro šatólo ta joj

čidás péske ki finíštra, léskri romní,

ta dikjás o sábro

3 - "Oh! Dúka Gojdóli! - penéla - na

laǧéja? Kun o sábro ǧája rodés je

tiknó čirikló? I-tu bizónjo dová?".

Penéla:"Ah! In čačó mri romní!".

Alors returnadás, mukjás-lo o sábro

ta partodás-lo gjal, nangó, gjal

4 - Sar pírla-lo andró je baró veš,

dikéla-lo je tiknó čirikló. Ková čiriklo

partólas-lo da kaj, da koj, ǧálas,

kérlas je paš-métro, je métro

5 - Alors ǧálas-lo koj. Hop! O tiknó

čirikló, e písla pi dur ta antrendás les

1 - Allora lui dice: "Eh beh! Andrò di

mattina, andrò a catturarti un uccello".

E partì la mattina, prese la sua sciabola

e se ne andò via

2 - "Ma a piedi! - gli aveva detto la

moglie - senza il cavallo!". Allora passa

sotto la finestra del suo castello e lei si

è messa alla finestra, sua moglie ed ha

visto la sciabola

3 - "Oh! Duca Goidoli! - dice - non ti

vergogni? Con la sciabola vai a cercare

un uccellino? Hai bisogno di quella?".

Dice: "Ah! E' vero moglie mia!".

Allora è ritornato, ha lasciato la

sciabola ed è partito così, disarmato

(nudo), così

4 - Appena giunto in un grande bosco

vede un uccellino. Quell'uccello partiva

di 1à, di là, andava, faceva mezzo

metro, un metro

5 - Allora andava là. Hop! L'uccellino,

1-matína = mattina. (piem. matin-a, ital.

mattina). La parola sinta originale, ancora

utilizzata anche dai SPF è trasárla.

- partodás-lo = è partito (< partov- "partire"

[franc. partir , ital. partire, piem. parti]).

2 - Mais à pied! = Franc. Ma a piedi!

- Pas = Franc. non.

- finíštra = finestra (ital. finestra, piem.

fnéstra). In SPP i valín.

3 - na laǧéja? < na laǧéssa? = non ti

vergogni?; ǧája < ǧássa = vai. Vedere NOTA

1 al TESTO 39 (pagg. 85-86).

- i-tu bizónjo...? = hai bisogno (ital. bisogno).

In SPP i-tu bróχa.

- dová = quello (sinonimo di ková). Questo

pronome dimostrativo è usato nel dialetto

sinto lombardo mentre in SPP si usa

esclusivamente ková.

- returnadás = è ritornato (ital. ritornare,

piem. riturné).

4 - sar pírla-lo = come camminava. Pírla-lo è

la contrazione di piréla-lo. In SPF si ricorre

spesso alla contrazione dei verbi alla seconda

pers.sing. In misura minore ciò avviene anche

in SPP.

- kérlas = faceva (contrazione di kerélas).

88


maškarál do baro veš, ková čirikló ta

kántu čjas-lo koj, sa le žunári

anturadén les, anserkladén les koj le

žunári do králi ke kamélas léskri

romní

6 - Alors penéna (le žunári):"Dúka

Gojdóli, na in tu kek ármi! Šun! Faut

randavés tu!" "Oh! Béla Dóna

Brandórja, tronpadál man, χoχadál

man, te na lav mro sábro"

un po' più lontano sino ad trascinato nel

mezzo del bosco, quell'uccellino e

quando si trovava là tutti i soldati lo

circondano, lo accerchiano là i soldati

del re che amava sua moglie

6 - Allora dicono (i soldati): "Duca

Goidoli, non hai nessuna arma!

Ascolta! Devi arrenderti!". "Oh! Bela

Dona Brandoria, tu mi hai ingannato,

mi hai mentito affinché non prendessi la

mia sciabola"

5 - antrenadás les = lo ha trascinato (franc.

entrainer).

- anturadén les = lo hanno circondato (franc.

entourer).

- anserkaldén les = lo hanno accerchiato

(franc. encercler).

6 - ármi = armi (ital. armi).

Faut randavés tu = devi arrenderti. (franc. se

rendre).

- tronpadál man = mi hai ingannato (franc.

tromper).

(segue)

89


RAKARIBÉN 41 (DUJ BIŠ TA JEK) TESTO 41 NOTE

1 -"Ah! - penéna - Jam obližádo te

marás tu!". Parce que na jas kek te

ganjavén-le kojá rása, na jas kek

2 -"Allez beh žunári! marén ma!"

penéla, ta mardén les, čindén léskri

men ta mukjén les koj. Ǧjen-le vek le

žunári ta jov, o králi da kolá türki

vjas-lo koj

3 -"Oh! - penéla - tro rom i-lo

muló!". I romní do králi

penéla:"Mais vraiment mardén les?".

"Ovoá! Ovoá! I-lo muló!"

4 - Ta čélas les péskro tiknó, akój jas

o Bóvo, kavá o Dúka Gujdúni. Na

penáva butér Dúka Gujdúni mais

Bóvo. Allez, o tiknó čavó, na jas-lo

baró, na jas-lo baró gjal

5 - I daj kamélas te ker disparólo

ková tiknó par te na véla butér da

kojá rása

6 - Je gaǧí, ke lákro rom jas léskro

1 - "Ah! - dicono - siamo obbligati a

ucciderti!". Perchè non c'era nessuno

che potesse vincere quella razza, non

c'era nessuno

2 - "Su soldati! Uccidetemi!" dice, e lo

uccisero, gli tagliarono il collo e lo

abbandonarono là. Se ne andarono i

soldati e lui, il re di quei turchi arrivò

3 - "Oh! - dice - tuo marito è morto!".

La moglie del re dice: "Ma lo hanno

ucciso davvero?". "Sì! Sì! E' morto!"

4 - E gli restava suo figlio, era Bovo,

questo Duca Guiduni. Non dirò più

Duca Guiduni ma (soltanto) Bovo.

Ebbene, il bambino non era grande, non

era grande per niente

5 - La madre voleva far sparire quel

piccolo per far scomparire quella razza

6 - Una donna il cui marito era il

padrino di Bovo dice: "Ascolta! Non

ucciderlo! Dammelo! - dice - lo faccio

1 - obližádo = obbligato (franc. obligé). In

questo caso sarebbe stato più corretto dire

obližádi trattandosi di soggetto plurale.

- Parce que = Franc. perché, poiché. In SPP si

usa óske.

- ganjav- = guadagnare, vincere (franc.

gagner).

- rása = razza (franc. race).

2 - Allez = Franc. su, orsù, forza.

In SPF è molto comune l'espressione allez

dik! "su guarda!".

- ǧjen-le vek = sono andati via. Notare che in

SPP la radice del verbo "andare" è sempre ǧ-

(presente e passato) mentre in SPP al passato

diventa g- (es. gjen-le vek).

3 - Mais vraiment = Franc. ma davvero

- ovoá = sì. In SPP è ová.

4 - akój =Probabilmente si tratta di una

contrazione di ková koj (quello là).

5 - te ker disparólo = far sparire (lett. fare

sparito). Notare che per tradurre il verbo "fare"

all'infinito viene utilizzata la radice verbale

ker- mentre disparólo è la forma nominativa

(III pers. sing) del verbo dispar- "sparire"

90


paríno do Bóvo, penéla:"Šun! Na

mar les! De les mánder! - penéla -

keráva mer-lo à petit feu, čiváva les

ándro fúndo di túrna ta koj - penéla -

mérla-lo koj!". Penéla: "Eh beh!

Ovoá, le les"

(segue)

morire a poco a poco, lo metto in fondo

alla torre e là - dice - morirà là!". Dice

(la madre di Bovo): "Eh beh! Sì,

prendilo"

(franc. disparaître).

6 - paríno = padrino (piem. parín e franc.

parrain). In SPP kirvó.

- keráva mer-lo = Contrazione di keráva

meréla-lo "(lo) faccio morire".

- de les mánder = dammelo. E' curioso l'uso

del verbo d- "dare" seguito dall'ablativo.

Normalmente il verb d- regge l'accusativo. In

questo caso probabilmente ciò è dovuto alla

presenza di un secondo pronome accusativo.

Notare inoltre che la frase è un calco del

francese "donne le moi" mentre se questa fosse

coniata su una espressione italiana sarebbe de

ma les (modo nel quale ci si esprimerebbe in

SPP).

- A petit feu = Franc. a fuoco lento.

- fúndo = fondo (piem. fund, franc. fond).

- túrna = torre (piem. tur, franc. tour).

- mérla-lo = muore (contrazione di meréla-lo).

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RAKARIBÉN 42 (DUJ BIŠ TA DUJ) TESTO 42 NOTE

1 - Alors o králi da le türki čidás peslo

kun léskri romní do Dúka Gojdóli,

ándro šatólo. Sa le oχtó divés ǧálas-li,

léskri daj do Bóvo

2 -"Alors, i-lo muló?" penéla. "Oh!

Ǧanés, na ǧála-lo dur" t'i vavér kérla

te χal-lo o pi lačó χabén ke vjas-lo

baró

3 - Alors e divés léskri daj penéla:

"Na í-lo na pándar muló mais keráva

mer-lo kajá dab!". Kerdás léske je

gatólo, léskri lačí daj

4 - T'o gatólo jas-lo anpuazonádo, t'i

gaǧí ke suanjavélas les, jas je tikní

ǧuklí gjal, sémpar palál láte ǧálas-li

5 - Alors véla koj tel. "Alors dik -

penéla - tri daj so kerdás-li túke par

χas!". "Oh! - penéla o rakló - de les

kek mánge!". "Ah! - penéla - na, de

číro!"

6 - Čindás-li e tiknó tóko ta

1 - Allora il re dei turchi si è messo con

la moglie di Duca Goidoli nel castello.

Ogni otto giorni sua madre andava da

Bovo

2 - "Allora è morto?" dice. "Oh! Sai,

non durerà a lungo" e l'altra lo faceva

mangiare il miglior cibo per farlo

crescere

3 - Allora un giorno sua madre dice:

"Non è ancora morto ma questa volta lo

farò morire!". Gli ha preparato un

dolce, la sua brava mamma

4 - Ed il dolce era avvelenato e la donna

che lo curava aveva una cagnetta che le

andava sempre dietro

5 - Allora viene laggiù. "Allora guarda -

dice - cosa ti ha preparato da mangiare

tua madre!". "Oh! - dice il ragazzo -

dammene un po'". "Ah - dice - no,

aspetta!"

6 - Ne ha tagliato un pezzetto e dice:

2 - kérla = fa. Contrazione di keréla.

3 - gatólo = dolce. Dal franc. gateau. In SPP

félzo guló (pane dolce) o semplicemente guló

(dolce).

- pándar = ancora. In SPP pándra.

4 - ampuazonádo = avvelenato (franc.

empoisonner).

5 - koj tel = laggiù. Variante di koj telé.

- de les kek mánge = dammene un po'. Il

termine kek, a seconda del contesto in cui si

trova, può significare "qualche", "alcuni", "un

poco" o "niente", "nessuno". Ad es. na si kek

= non c'è nessuno.

In SPP questo termine viene usato

esclusivamente con il significato di "niente",

"nessuno" mentre per dire "qualche", "alcuni "

si usa il pronome komóni. Ad. es. si komóni

Sinti koj "ci sono alcuni Sinti là"; komóni

kópi me gjom a Türináte "qualche volta sono

andato a Torino".

6 - tóko = pezzo. In questo caso sembra essere

un imprestito dal piem. toc "pezzo" anziché

una variante di tokór.

7 - akaná = adesso. Variante di kaná.

92


penéla:"Dikés tri daj so kerdás

túke". Déla ka i tikní ǧuklí, i tikní

ǧuklí, hop, mulí, pri dab

7 - "Ah! - penéla - kántu váva mištó

baró - penéla - mro graj faut χal-lo

ǧov t'o bréno ándre lákro per!".

Ke vjas-lo baró alors penéla:

"Akaná, o moménto ke faut našés

túke, ke faut ǧas túke - ta penéla - de

damént!"

8 - Alors ljas léskro paríno o graj,

Kaválo Rundélo, délas pes góli o graj,

ta rukjadén les le duj aprén ta inǧás

lésa vek

"Guarda cosa voleva farti tua madre".

Lo dà alla cagnetta e la cagnetta, hop,

morta stecchita

7 - "Ah! - dice - quando sarò grande - il

mio cavallo dovrà mangiare l'avena e la

crusca dal suo ventre!". Quando è

diventato grande allora dice (la donna):

"E' venuto il momento di fuggire, di

andartene - e dice - dai retta!"

8 - Allora suo padrino ha preso il

cavallo e lo ha chiamato Cavalo

Rundelo e i due gli sono montati sopra

e lo hanno portato via

- moménto = ital. momento, franc. moment.

- de damént = dai retta, ascolta (piem. de

dament).

8 - aprén = sopra. Variante di pren.

(segue)

93


RAKARIBÉN 43 (DUJ BIŠ TA TRIN) TESTO 43 NOTE

1 - T'o graj deferadás pes-lo. Kántu

se deferadás, na pírlas-lo butér, o

graj. Alors léskro paríno penéla:

"Bovo, akáj faut ke abandunaváv tu.

O graj i-lo deferimén, na štik anav tu

pi dur"

2 - "Šun - penéla - če kaj. Ta à la

volonté de Dieu".

Allez, o Bovo čéla koj ta véna-le sa le

žunári do králi ke našénas palál léste.

Anserkladén les ta o králi ljas les da

le bal par činél léskri men

3 - Alors djas góli ke na činél léskri

men. Mukjén les gjal, abandunádo ta

jov pirdás-lo, pirdás-lo, vjas-lo ka je

baró foro, ková Bóvo ta gjas-lo ko

šatólo, ko králi

4 - Alors ková králi penéla:"Mais sar

kars tu tu?". "Ah - penéla - mais sar

karáva man?". Penéla:

"Travajavávas andré je mulíno,

kerávas i farína ta dáva man góli -

1 - Ed il cavallo ha perso i ferri.

Quando ha perso i ferri non camminava

più il cavallo. Allora suo padrino dice:

"Bovo, qui ti devo lasciare. Il cavallo è

senza ferri, non posso portarti più

lontano"

2 - "Ascolta - dice - resta qui. Sarà ciò

che Dio vorrà".

Ebbene, Bovo rimane lì e tutti i soldati

del re lo rincorrevano. Lo hanno

accerchiato ed il re lo ha afferrato per i

capelli per tagliargli il collo

3 - Allora ha gridato di non tagliargli il

collo. Lo hanno lasciato così,

abbandonato e lui ha ha camminato, ha

camminato ed è arrivato in una grande

città quel Bovo ed è andato al castello

dal re

4 - Allora quel re dice: "Ma come ti

chiami?". "Ah - dice - ma come mi

chiamo?". Dice: "Lavoravo in un

mulino, facevo la farina e mi chiamavo

1 - deferadás pes-lo = ha perso i ferri, si è

sferrato. (franc. déferrer).

- se deferadás = si è sferrato. Qui il narratore

usa il pronome rifl. in francese anziché in sinto

(deferadás pes).

deferimén = sferrato. Defer- sferrare + -imén

suffisso di participio passato. Questo suffisso

viene usato in SP solo con alcuni verbi. Es.

pendimén = impiccato/i; ondimén =

ondulato/i; purimén = marcio/i.

- abandun = abbandonare (franc.

abandonner).

2 - A la volonté de Dieu = Franc. al volere di

Dio.

4 - Mais sar kars tu? = Ma come ti chiami?;

kars tu = contrazione di karés tu.

- travajav- = lavorare (franc. travailler; piem,.

travajé). Sinonimo di bitrav- bejtrav- (notare

la comune radice -trav-).

- mulíno = mulino (ital. mulino, franc.

moulin).

- farína = farina (ital. farina, franc. farine). In

SPP parnó (bianco).

94


penéla - Meskíno"

5 - O králi penéla: "Eh beh! Dáva tu

góli Meskíno". Allez čéla-lo koj kun

ková králi. Tellement šukár ke jas-lo,

i čaj do králi kamélas les

6 - "Véja - penéla o králi - te servavés

pri tíša!". Allez, jov servavélas-lo pri

tíša léskri čaj, léskri romní do králi, o

králi o vágo

7 - Ta per-la je roj, i raklí kérlas perl

i roj špitáke tel di tíša, ta jov

basardás pes t'i raklí basardás pes ta

čumidjás les. Alors koj kamélas-li o

Bóvo

- dice - Meschino"

5 - Il re dice: "Eh beh! Ti chiamerò

Meschino". Ebbene, rimane lì con quel

re. Era talmente bello che la figlia de re

lo amava

6 - "Vieni - dice il re - a servire a

tavola!". Ebbene, lui serviva a tavola

sua figlia, sua moglie del re, il re per

primo

7 - E cade un cucchiaio. La ragazza lo

faceva cadere apposta sotto la tavola e

lui si abbassava ed (anche) la ragazza si

abbassava per baciarlo. Allora là amava

Bovo

5 - Tellement =Franc. talmente.

6 - servav- = servire (ital. servire, franc.

servir).

7 - kérlas perl = fece (faceva) cadere.

Contrazione di kerélas te perél (o kerdás

perél "fece cadere").

- špitáke = apposta.

- basaráv-, pass. basard- = abbassarsi (piem.

bassése, franc. se baisser).

(segue)

95


RAKARIBÉN 44 (DUJ BIŠ TA ŠTAR) TESTO 44 NOTE

1 - Alors kavá Bóvo ǧála dikélo je

domestíko ke suanjavélas le graj

ándri stánja. Alors o Bóvo kérla:

"Mais na štik dikávas kalá graj?"

2 - "Oh! Oui mais - penéla - ajín e

graj ke te n'avansós autrement -

penéla - χála tu-lo! Dik! Ke χája-lo da

kojá χóta"

3 - Je tikní χóta gjal par délas les o

kas t'o panín da koj, ta jas-lo sa

pangló kun čéni, ková graj, kun čéni,

i rat ta divés na štik čalólas ková graj

4 - Alors ková domestíko penéla: "Na

štil ková graj! Ke na štilés les!". Ková

Bóvo penéla: "Ah! Kavá kaj in mro

graj, kavá kaj in mro graj, eh beh! -

penéla - šun! Ǧála". Dikjás-lo o graj

koj

5 - Alors je divés ǧála-lo ko králi mais

o králi na dutadás pes-lo da dová.

"Šun - penéla - lačó králi. Depuis ke

1 - Allora questo Bovo vede un

domestico che si occupava della stalla.

Allora Bovo fa: "Ma non posso vedere

quei cavalli?"

2 - "Oh! Sì ma - dice - c'è un cavallo al

quale non ti devi avvicinare sennò -

dice - ti mangia! Guardalo da questo

buco mentre mangia "

3 - Un piccolo buco così per dargli

fieno e acqua ed era tutto legato con le

catene quel cavallo, con le catene la

notte ed il giorno non poteva muoversi

quel cavallo

4 - Allora quel domestico dice: "Non

toccare quel cavallo! Non toccarlo!".

Quel Bovo dice: "Ah! Questo è il mio

cavallo, questo è il mio cavallo, eh beh!

- dice - ascolta! Va bene!". Aveva visto

quel cavallo

5 - Allora un giorno va dal re ma il re

non sospettava di quello. "Ascolta -

1 - domestíko = domestico (ital. domestico,

franc. domestique).

-suanjav = curare (franc. soigner).

2 - avans- = avanzare, venire avanti. Dal

franc. avancer.

- χóta = buco.

3 - čéni = catene (franc. chaîne(s)).

5 - dutadás = dubitó. Part. pass. di dutav-

"dubitare" (franc. douter).

- depuis = Franc. da.

- ǧamáj = mai . (franc. jamais).

- servíso = servizio (franc. service).

96


jom akáj, kíči berš ta kíči bérš, na

mangjóm tutar ǧamáj je servíso"

6 - "Oh! - penéla o králi - Meskíno,

mang so kaméja, vélalo túte!" Penéla:

"Eh beh! Kamáva le kliǧinjá te

putaráv ková graj"

7 - "Oh! - o králi na štik kérlas-lo

autrement - Ovoá! Mais - penéla -

ǧála χalo tu, ková graj, oh! - penéla -

χála tu-lo". "De ma le kliǧinjá pi

dikéja ke na χála ma-lo" - penéla o

Bóvo

dice - buon re. Da quando sono qui, da

tanti e tanti anni, non ti ho mai chiesto

un servizio"

6 - "Oh! - dice il re - Meschino,

domanda ciò che vuoi e lo avrai!". Dice

(Meschino): "Eh beh! Voglio le chiavi

per aprire a quel cavallo"

7 - "Oh! - il re non poteva fare

diversamente - Sì! Ma - dice - ti

mangerà"."Dammi le chiavi e vedrai

che non mi mangerà" - dice Bovo

7 - χála tu-lo = ti mangerà. Interessante notare

la particella clitica rafforzativa del soggetto

(lo) posta dopo il pronome anziché dopo il

verbo.

- pi = poi (franc. puis).

(segue)

97


RAKARIBÉN 45 (DUJ BIŠ TA PANČ) TESTO 45 NOTE

1 - Alors o králi djas le kliǧinjá ta jov

gjas-lo ka i stánja. Alors rakarlás-lo

kun o graj mais o graj kamélas vólo

pre léste par χa les

2 - Putárla je čéna do graj sa an te

rakár lésal. Penéla: "Ah! Pinǧaráva

tri rása, tri ženerasjúna, Kaválo

Rundélo!"

3 - O Bovedantúna penéla: "Če štil,

ke liberaváv tu da káj!". Allez. Put, o

graj sémpar kamélas te χa les, ta

délas pro graj kumadinjá ta o graj

χajolás-lo le dabá vela da léskri rása

4 - Putárlo o graj t'o graj hup! Ta jov

bum! ansükadás o graj je kumadiní

5 - O graj χajodás-lo, barlikadás

léskre piré do Bovedantúna. Alors

ková graj na čalólas-lo butér. Alors

ljas-lo je brúsa, brosadás mištó

péskro graj, sa, ta vjas-lo ko králi

6 - "Dikéja ke o graj na χajás ma-lo! -

1 - Allora il re gli ha dato le chiavi e lui

è andato nella stalla. Allora ha parlato

con il cavallo ma il cavallo voleva

volare sopra di lui per mangiarlo

2 - Ha aperto una catena del cavallo per

parlare con lui. Dice: "Ah! Conosco la

tua razza, la tua generazione, Cavalo

Rundelo!"

3 - Il Bovedantuna dice: "Sta fermo

(zitto), che ti libero di qui!". Su! Apri, il

cavallo voleva sempre mangiarlo e dava

al cavallo pugni e il cavallo ha capito

che i colpi provenivano dalla sua razza

4 - Ha liberato il cavallo ed il cavallo

hup! E lui bum! ha stordito il cavallo

con un pugno

5 - Il cavallo ha capito, ha leccato i

piedi del Bovedantuna. Allora quel

cavallo non poteva più restarsene

fermo. Allora ha preso una brusca ed ha

strigliato bene il suo cavallo, tutto, ed è

1 - kamélas vólo = voleva volare (ital. volare,

franc. voler).

2 - rása = razza. (piem. rasa, franc. race)

- ženerasjúna = generazione, (piem.

generasiun, franc. genération).

3 - liberav- = liberare. (piem. liberé , franc.

liberer, ital. liberare).

4 - ansükadás = ha stordito. Part. pass. di

ansük- "stordire, ubriacare". (piem. anciuché

= ubriacare e, per estensione, stordire).

5 - barlik- = leccare (piem. barliché).

- brúsa = brusca, spazzola (piem. brusa, franc.

brosse).

- brosad- = part. pass. di brosav-

"spazzolare". (franc. brosser, piem. brussé).

98


penéla - akaná faut keráv o túrno, en

cavale!" penéla. Allez, o králi kerdás

te publiavél sa ándro gav ke sa te

pangen pénge, ke o Kavalo Rundélo

vélas-lo avrín

7 - Alors sa le gaǧé, sa panglé, dikénas

le da le finíštri t'o Bóvo aprén. Na

dikénas-le da trop sig. O graj vololáslo,

čovaχanó ková

8 - "Défense! - penéla - ke te

suanjáven mro graj, te na den les či,

sauf ke me te suanjavél o graj!".

"Oh! - penéla o králi - na traš, na

traš, ke kek na štik lel ková graj!"

(segue)

venuto dal re

6 - "Vedi che il cavallo non mi ha

mangiato! - dice - adesso bisogna fare

un giro, di corsa" dice. Su, il re ha fatto

pubblicare in tutto il paese di restare

chiusi (in casa) perchè sarebbe uscito il

Cavalo Rundelo

7 - Allora tutta la gente, tutti al chiuso,

guardavano dalle finestre ed il Bovo

sopra. Non vedevano niente talmente

era troppo veloce. Il cavallo volava, era

una magia

8 - "Vietato - dice - occuparsi del mio

cavallo o dargli qualcosa, solo io posso

occuparmi del cavallo!". "Oh! - dice il

re - non temere, non temere, che

nessuno prenderà quel cavallo!"

6 - túrno = giro (franc. tour).

- En cavale! = Franc. (interiez.) in fuga!

(pron. ancavál).

-publiav- = pubblicare (franc. publier).

7 - finíštri = finestre. (ital. finestre). In SPP

valín (pl. valinjá).

8 - Défense = Franc. vietato (pron. defáns);

sauf = Franc. eccetto.

99


RAKARIBÉN 46 (DUJ BIŠ TA ŠÓU) TESTO 46 NOTE

1 - Nakéla je divés, nakéla duj. Vélalo

palé ko králi. "Alors šun! - penéla -

kamáva feraváv mro graj. Kun sastr

na štik pírla mro graj. Faut feraváv

les en sonakáj"

2 -"Oh!" - penéla o králi ta djás les

bédi gjal, bóči da sonakáj ta penéla:

"Allez, ǧa ker te feravén tro graj". Ta

feradás o graj, kek marešáli na

kaménas, di barí traš

3 - Vjas-lo dur do fóro. Lačjás je

tiknó puró, je marešálo: "Allez!

penéla - ferá mánge mro graj!".

Penéla: "Oh! Na! Na! Na feraváva

kavá graj par χal ma-lo!"

4 - Alors djas les pardó lové da

sonakáj ta jov rikarlás-lo sa le piré

t'o graj ne jas bizónjo, délas-lo jov le

piré par feravén les

5 - Ke feradás o graj o puró na

dikéjas ková graj, o graj pírlas,

1 - Passa un giorno, passano due

(giorni). Torna dal re. "Allora ascolta! -

dice - voglio ferrare il mio cavallo. Con

il ferro non può camminare il mio

cavallo. Bisogna ferrarlo con oro"

2 - "Oh!" - dice il re e gli ha dato gli

attrezzi, bocce d'oro e dice: "Su, vai a

far ferrare il tuo cavallo".

Ma nessun maniscalco voleva ferrare il

cavallo per la paura

3 - E' uscito dalla città. Ha incontrato

un vecchietto, un maniscalco: "Su! -

dice - ferrami il cavallo!". Dice: "Oh!

No! No! Non ferro questo cavallo

perchè mi mangerà!"

4 - Allora lo ha riempito di monete

d'oro e lui ha preso i piedi del cavallo

ma non era necessario perchè (il

cavallo) gli dava (spontaneamente) i

piedi per ferrarli

5 - Dopo aver ferrato il cavallo il

2 - bóči = bocce. (piem. boce, ital. bocce)

- marešálo = maniscalco (franc. maréchalferrant).

5 - líbro = libero (franc. libre).

100


vololás-lo. Allez, mukélas les agjál,

líbro te χal-lo i víza

6 - Ta je divés, kerdén les i géra,

vavér králi. T'o Bóvo koj ándro

šatólo ke kérlas-lo o χabén, kérlas-lo

o menáǧo, sa, ta o králi mardén sa

léskre čoré žunári

7 - Čélas ko králi štíldo, čidén les

prizonjéro koj t'o Bóvo jás-lo koj.

Alors penéla o vavér králi: "Na čélas

tu butér žunári?"

8 - "Ah - penéla - čéla ma jek - penéla

- na faut gináv man ke pren". Alors

jov dikélas-lo o Bóvo di finíštra.

Penéla pri raklí: "Na in tu kek ármi

kaj andrén?"

vecchio non vedeva quel cavallo, il

cavallo camminava, volava. Ebbene, lo

lasciava libero di mangiare l'erba

6 - Ed un giorno a quell'altro re hanno

fatto la guerra. Ed il Bovo là dentro al

castello che preparava il cibo, faceva le

faccende, ogni cosa, ed hanno

ammazzato tutti i poveri soldati del re

7 - Il re era rimasto imprigionato, lo

avevano fatto prigioniero ed il Bovo era

là. Allora dice l'altro re: "Non ti restano

più soldati?"

8 - "Ah - dice - me ne resta uno solo -

dice - ma non posso contare su di lui".

Allora vede Bovo dalla finestra. Dice

alla ragazza: "Non ci sono armi qui

dentro?"

6 - géra = guerra (franc. guerre). In SPP

kuribén (m).

- šatólo = castello (franc. chateau) . Usato

anche in SPP (śatólo).

- menáǧo = faccende di casa (franc. ménage).

7 - prizonjéro = prigioniero. (framc.

prisonnier). Sinonimo di štíldo.

(segue)

101


RAKARIBÉN 47 (DUJ BIŠ TA EFTÁ) TESTO 47 NOTE

1 - "Ovoá!" penéla. "Allez dik!". Jov

klotadás pri čik ta sa le sábri

brizodás. "Ta o graj?". "Akáj!".

penéla. "Ajín sa le ármi da mro ba, in

man je sábro, mais i-lo puró!" penéla

i raklí

2 - "Oh! - penéla - muk dikáva!".

Dikéla-lo o sábro, o sábro délas pes

góli la Béla Klarénsa, da trop

vajánto, ǧás-lo koj andrén. O sábro

jas sar o graj

3 - Allez, ǧálalo koj, bang! Déla pri

čik le trin skalíni do šatólo pren lénde

ta penéla: "Ka i-le le rivibén ke véla

kun kavá sábro?". "Oh beh! - penéla

- kaj andrén i šámbra"

4 - "Allez - penéla - ker glej, putér!".

Putradás, dikjás le lúmpi koj da

péskro ba. "Allez - penéla - il est

temps ke riváva man!". Ridás pes-lo

ta markadás ngjál di stadín kaj,

ándro kásko, kun sonakáj, faut

1 - "Sì!" dice. "Su guarda!". Lui ha

sbattuto a terra e tutte le sciabole si

sono rotte. "Ed il cavallo?". "Qui!" dice

"Ci sono tutte le armi di mio padre, io

ho una sciabola ma è vecchia!" dice la

ragazza

2 - "Oh! - dice - fammela vedere!".

Guarda la sciabola, la sciabola si

chiamava la Bela Clarensa e colpiva

troppo forte. La sciabola era come il

cavallo

3 - Su, va là, bang! Fa cadere tre scale

del castello su di loro (gli assalitori) e

dice: "Dove sono i vestiti che stanno

insieme alla spada?". "Oh beh! - dice -

qui dentro alla stanza"

4 - "Su! - dice - fa in fretta, apri!". Ha

aperto ed ha visto gli abiti di suo padre.

"Su - dice - è ora che io arrivi!". Si è

vestito e sul cappello, sul casco, ha

marchiato con oro, là doveva mettere

1 - klotad- = part. pass. di klotav- (dal ted.

klopfen?).

- brizod- = part. pass. di brizov- "rompere,

infrangere" (franc. briser).

2 - da trop vajánto = (colpiva) troppo forte.

Letteralm. di troppo vigorosa (franc. trop

vaillante).

3 - skalíni = scale, scalini. (ital.).

-šámbra = stanza (franc. chambre)

4 = Il est temps = Franc. è ora.

- markad- = part. pass. di markav-

"marcare". Franc. marquer.

- kásko = casco. (ital. casco. franc. casque).

- la devise = Franc. il motto

- Feu t'i fiáma = fuoco e fiamma (Franc. feu)

t'i fiáma (piem. fiáma).

102


čidálas sonakáj kaj, la devise: "Feu t'i

fiáma"

5 - Allez, partóla-lo koj, dikéna les, o

králi, sar dikén le kojá béda akáj.

"Šun! - penéla - na kurás min!". Ke

pendás-lo par i raklí: "Inǧáva túke

léskro šeró pri púnta da mro sábro! -

ta penéla - vája la andré je čaró!"

6 - "Ah!" penéla o králi. "Allez, allez!

- penéla o Bóvo - akáj discuter, allez,

faut kurés tu!". O graj kerdás pándar

pi but ko raj

7 - Čindás léskri men ta mardás

leskri žunári péstar, o Bóvo, ta ljas o

šeró, inǧás léske ki rakli t'o králi kaj

péskro šatólo

oro, il motto: "Fuoco e fiamma"

5 - Su, parte là, lo vedono, il re, come

vedono quel coso là. "Ascolta - dice il

re - non combattermi!". Aveva detto

alla ragazza: "Ti porterò la sua testa

sulla punta della mia spada! - e dice -

l'avrai in un piatto!"

6 - "Ah!" dice il re. "Andate, andate! -

dice il Bovo - basta discutere, andate,

devi batterti!". Il cavallo faceva ancora

più del padrone

7 - Gli ha tagliato il collo ed ha ucciso i

suoi soldati da solo Bovo ed ha portato

la testa alla ragazza ed al re nel suo

castello

5 - part- = partire (franc. partir, ital. partire)

- púnta = punta. ital.

6 - discuter = Franc .discutere.

(segue)

103


RAKARIBÉN 48 (DUJ BIŠ TA OΧTÓ) TESTO 48 NOTE

1 - Alors o králi: "Ah Bóvo! Na jal o

Meskíno tu - penéla - tu véja avrín da

je rása ke jas-lo o Buvéto tro papún,

ta tro ba jas-lo o Dúka Gojdóli"

2 - "Ovoá - penéla o Bóvo - mais mri

daj kerdás mar mro ba". Koj, ková

Bovedantúna na jas butér o králi, o

raj jas jov ma na kamés-lo či

3 - O králi penéla: "Le mri korúna!".

"Na - penéla - na kamáva kek, so

káma ma - penéla - kamáva te ǧav

palé kaj o gav ke jas mro ba, váva

palé!"

4 - "Eh beh! - penéla o králi - ǧa!" ta

ljas péskro graj ta vjas-lo palé ka

péskro gav ta kántu dikjén arivólo

rantrodás ándro péskro šatólo, ta

léskri daj jas-li koj, kun o vavér králi

5 - "Oh Bóvo! Oh Bóvo!". "Ah -

Bóvo penéla - kamejál marés man,

kers meráv! Heureusement da koj ke

1 - Allora il re: "Ah Bovo! Tu non sei

Meschino - dice - tu arrivi da quella

razza il cui nonno era Buveto e tuo

padre era il Duca Goidoli"

2 - "Sì - dice Bovo - ma mia madre ha

fatto uccidere mio padre". Là, quel

Bovedantuna non era più re, era un

signore ma non voleva nulla

3 - Il re dice: "Prendi la mia corona!".

"No - dice - non voglio nulla, quello

che desidero - dice - desidero tornare

nel paese di mio padre, tornare!"

4 - "Eh beh! - dice il re - va'!" ed ha

preso il suo cavallo ed è tornato al suo

paese e quando lo hanno visto arrivare è

entrato nel suo castello e sua madre

(era) là con l'altro re

5 - "Oh Bovo! Oh Bovo!". "Ah - dice

Bovo - volevi uccidermi, farmi morire!

Per fortuna che mi hanno salvato! Su -

dice - Cavalo Rundelo!" E l'ha presa

1 - papún = nonno. anche papú.

3 - korúna = corona. (franc. couronne, ital.

corona).

- so káma ma = quello che desidero.

Probabilmente distorsione di so kamáv me.

4 - rantrodás = é entrato. Rantrov- = entrare

(franc. rentrer).

5 - Heureusement = Franc. Per fortuna

-sovad- = pass. di sovav- "salvare" (franc.

sauver).

104


sovadén ma-le, allez! - penéla -

Kaválo Rundélo!" Te šnapardás la

agjál, čidás-lo ǧov, bréno akáj andren

lákro per t'o graj χálas-lo dová

6 - Au lieu de i ǧov t'o bréno, χálas-lo

lákro mas, ta o králi penéla: "Na in

me, in tri daj!". "Ah oui! - penéla o

Bóvo - ǧanáva, mais - penéla - tu si

ǧas túke, si ǧas tuke, na maráva tu!"

7 - O králi ǧas vek ta gjás-lo palé ta

tant que gjas-lo ková Bóvo pírlas-lo à

pied t'o graj nakélas, ǧájas kun

péskro raj, par te rodél i čaj do králi

così, le ha messo avena e crusca nella

pancia e il cavallo l'ha mangiata

6 - Invece di mangiare l'avena e la

crusca ha mangiato la sua carne, ed il re

dice: "Non sono io, è tua madre!". "Ah

sì! - dice Bovo - lo so ma - dice - te ne

devi andare, te ne devi andare, non ti

ucciderò"

7 - Il re se n'è andato via e mentre lui se

ne andava Bovo camminava a piedi ed

il cavallo lo seguiva, andava con il suo

padrone per cercare la figlia del re

6 - Au lieu de = Franc. invece di

- Ah oui! = Franc. ah sì!

7 - tant que = Franc. mentre, fintanto che

- à pied = Franc. a piedi.

105


RAKARIBÉN 49 (DUJ BIŠ TA ENJÁ) TESTO 49 NOTE

1 - Lačéla-lo je pelegríno. Alors ková

pelegríno jas les duj gúrdi da panín.

Alors reskuntravéna pen-le. "Oh! -

penéla - Bóvo kaj ǧája?". "Ǧáva ko

králi" penéla o Bóvo. "Na in tu

truš?"

2 - "Ovoá, in man truš!" penéla.

"Allez! Panín" penéla o Bóvo. Lélas

je gúrda t'o pelegríno rakardás-lo

lačó mais andré ková panín ke djas

les, čidás-lo opium andrén

3 - o Bóvo sutjás-lo koj ke na

ganǧolás-lo butér t'o pelegríno ljas

léstar o sábro ta mukjás-lo o péskero

ta kántu ganǧolás-lo o Bóvo na jas-li

butér kek sábro

4 - "Ah - penéla - ǧa, ke mro tiknó

pelegríno, te se lačaráv tu...".

Jargál palál renkontradén pén-le. "Ah

dik! - penela - Ah! I-lo kaj, i-lo kaj! -

penéla - akáj ǧáva čalaváv les"

1 - Incontra un pellegrino. Allora quel

pellegrino aveva due zucche piene

d'acqua. Allora si sono incontrati. "Oh!

- dice - Bovo dove vai?". "Vado dal re"

dice Bovo. "Non hai sete?"

2 - "Sì ho sete" dice. "Su! Acqua" dice

Bovo. Prendeva una zucca ed il

pellegrino gli ha parlato bene ma dentro

a quell'acqua c'era dell'oppio

3 - Bovo si è addomentato lì senza

risvegliarsi ed il pellegrino gli ha preso

la sciabola e gli ha lasciato la sua e

quando si è risvegliato Bovo non aveva

più la sua sciabola

4 - "Ah! - dice - va che se ti incontro,

mio piccolo pellegrino...".

Molto tempo dopo si sono incontrati.

"Toh guarda! - Dice - Ah! E' qui! È qui!

- dice - adesso lo metto a posto io"

5 - "Oh Bovo!". "Oh pelegrino! Hai

sete?". "Sì, ho sete!". "Ah sì! - dice - su,

1 - pelegríno = pellegrino (ital. pellegrino,

franc. pèlerin).

-reskuntrav- = incontrare (provenzale

rescountrar ?).

3 - ganǧov- = svegliare, svegliarsi. In SPP

anche sganǧav-, sganǧov-.

4 - te se lačarav tu = se ti incontro.

Probabilmente te se lačáv tu, in quanto lačarsignifica

"aggiustare".

- jargál = molto tempo. SPP = χargá

106


5 - "Oh Bóvo!". "Oh pelegríno! In tu

truš?". "Ovoá, in man truš!" "Ah

oui! - penéla - allez, de ma mro sábro

kaj!". "Mais non!"

6 - Allez, mardás-lo o pelegríno ta

delanǧardás pa-lo, o Bóvo, ta ljas le

rivibén do pelégríno ta ridás pes-lo do

pelegríno ta pirdás-lo à pied ta gjas-lo

koj ko šatólo andró fóro

rendimi la mia sciabola!". "Ma no!"

6 - Ebbene Bovo ha ucciso il pellegrino

e lo ha spogliato ed ha preso i vestiti del

pellegrino e si è vestito da pellegrino ed

ha camminato a piedi ed è andato al

castello nella città

6 - delanǧar- = spogliare. (franc. de- +

(l,r)anǧar "aggiustare") (piem. rangé, franc.

ranger).

(segue)

107


RAKARIBÉN 50 (PAŠ SEL) TESTO 50 NOTE

1 - Alors mangélas-lo. Penéla:

"Kerén i karitáda!". Alors le gaǧé do

fóro: "Ah! Te šunéla tu o králi, márla

tu, činéla tri men!". "Ah! - penéla -

Eh beh! muk činéla mri men!"

2 - Allez, pándar: "Kerén i

karitáda!". Vjas ko králi ta čidás peslo

koj: "I karitáda par o

Bovedantúna!"

3 - Koj jas léskro graj pírlas-lo kun o

graj ta pírlas-lo à pied, ta léskri

romní i raklí, vjas-li duj čavé léstar ta

baré agjál

4 - Ta i gaǧí jas-li beští avrin pre je

bánko t'o graj pašjolás-lo par le tikné

raklé ke rukjen-le pren, ta jov: "Mais

so i-les mro graj? - penéla - ǧamáj na

kerdás-lo dová!"

5 - Alors léskri romní na pinǧardás-la

butér, jov, jas-lo puró ninge. Alors

penéla: "O gráj, pinǧaráva péskri

1 - Allora chiedeva la carità. Dice:

"Fate la carità!". Allora la gente della

città: "Ah! Se ti sente il re ti uccide, ti

taglia il collo!". "Ah! - dice - Eh beh!

lascia che mi tagli il collo!"

2 - Ed ancora: "Fate la carità!". E'

arrivato dal re e si è messo li: "la carità

per Bovedantuna!"

3 - Là c'era il suo cavallo camminava

con il cavallo e camminava a piedi, e

sua moglie la ragazza aveva avuto due

figli da lui che erano (già) grandi

4 - E la donna era seduta su una

panchina ed il cavallo si era coricato

per far montare su di lui i due ragazzi, e

lui: "Ma cos'ha il mio cavallo? - dice -

non si è mai comportato così!"

5 - Allora non conosceva più sua

moglie, anche lui era diventato vecchio.

Allora dice: "O cavallo, conosco la sua

generazione ma non conosco la

1 - karitáda = carità. (ital. e piem).

4 - bánko = panca (piem.).

108


ženerasjúna mais o raj na pinǧaráva

péskri ženerasjúna!"

6 - "Mais sar! - penéla - mais so, ku in

tu?". "Eh oui! - penéla - o graj

pašjóla par rukél péskri ženerasjúna

aprén, t'o raj, na χajóla-lo dová!"

7 - Alors penéla: "Jal tu mri romní!"

"Eh beh oui! Jom tri romní" penéla.

Alors koj le tikné raklé jas-le pro graj

ta jov jas-lo kun péskri romni. Da koj

vjas ke čajas kun péskri romní, ková

Bovedantúna

generazione del suo padrone!"

6 - "Ma come! - dice - ma cosa, chi sei

tu?". "Eh sì! - dice - il cavallo si corica

per far montare su di lui la sua

generazione e il padrone non capisce

questa cosa!"

7 - Allora dice: "Tu sei mia moglie!"

"Ebbene sì! Sono tua moglie" dice.

Allora i bambini andavano sul cavallo e

lui andava con sua moglie. Da allora

quel Bovedantuna rimase con sua

moglie

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Bibliografia

a) sinto piemontese parlato in Italia:

1) Sergio Franzese, Grammatica di Sinto Piemontese (con collegamenti ipertestuali e supporto audio su CD-

ROM) - Pagg. 64 Dizionario Italiano - Sinto Piemontese - Inglese - Francese (e registri inversi) (su CD-

ROM), Ed. O Vurdón, 2001 (prima edizione anno 1985)

Revisione 2021: https://www.yumpu.com/it/document/read/65202012/il-dialetto-dei-sinti-piemontesi

2) Sergio Franzese, I Sinti Piemontesi - Le Sínti Piemontákeri (testo bilingue), Ed. O Vurdón, 2001

3) Sergio Franzese, Marí čib… maró braválimo (La nostra lingua... la nostra ricchezza), sussidiario di lingua

romaní - dialetto sinto piemontese, Centro Studi Zingari di Torino, 1987

4) Annibale Niemen, O ker kun le penijà, Editrice Sinnos Roma - Collana “I Mappamondi”, 1995

5) Sergio Partisani, Glossario del dialetto zingaro piemontese, in Lacio Drom 6/72 p. 11-32

6) Giulio Soravia, Dialetti degli Zingari Italiani, Pacini, Pisa, 1977, pp. 51-56

111


7) O sucar gau (o lil da le ticné sinti), a cura del Centro Studi Zingari di Torino, 1984

b) sinto piemontese - variante francese:

1) Shmit Chaudy - Jean Charles.Brulé, Storielle sinte, in Lacio Drom 5/79, pp. 2-3

2) Bernard Formoso (a cura di), O Bovedantuna, in Lacio Drom 4/84, pp. 2-14

3) Bernard Formoso - Georges Calvet, Lexique Tsigane. Dialecte sinto piémontais, P.O.F., Paris, 1987

c) discografia :

Lick Dubois (et les Zingaria), Sinti Song (Zingaria production, 1999)

CD contenente 10 canzoni in sinto piemontese

( i testi sono reperibili su Internet all’URL: https://www.progettoniglo.org/Sinti_Song.htm

Lick Dubois (et les Zingaria), Nomadsong (Zingaria production, 2015)

CD contenente 7 canzoni in sinto piemontese

112


d) testi diversi su storia e tradizioni:

Armando Brignolo (a cura di), Sinti: un modo di vivere, pagg. 19, Gruppo editoriale "Il Torchio", Asti (senza

data). Racconto biografico di Michele Iussi "Balin", sinto piemontese (fotografie di A.Brignolo - testi curati da

Renato Rosso);

Lick Dubois, Scènes de la vie manouche - Sur les routes de Provence avec le Sinti Piémontais 1935 - 1945

(Récit), pagg. 430 Ed. Wallada, 1998;

Lick Dubois, Il était une fois les Bohémiens - Scènes de la vie manouche - Tome II - 1945 - 2000 (Récit),

pagg. 222 Ed. Wallada, 2003;

113


114


In conclusione …

La realizzazione di questo lavoro è durata oltre un anno ed è stata portata avanti nel "tempo libero", quello che resta oltre al

tempo dedicato al lavoro, agli impegni famigliari, ecc.

Ha richiesto impegno, sacrificio e soprattutto passione. Ha coinvolto alcuni Sinti (menzionati nel capitolo introduttivo) che con

me hanno condiviso le finalità di questo progetto. E' stato revisionato molte volte e nonostante ciò probabilmente ha ancora

diverse lacune ed imperfezioni (perlomeno più di qualche errore di battitura sfuggito alle numerose riletture).

Ritengo che questi difetti siano comunque nell'insieme piuttosto trascurabili in rapporto alla qualità complessiva dell'opera e

comunque di essi mi scuso con i lettori. Tutti coloro che desiderano far pervenire osservazioni, suggerimenti o richieste di

chiarimento potranno comunicare con me attraverso l'indirizzo di posta elettronica: vurdon@tiscali.it

L'auspicio è che a breve termine possa seguire la realizzazione di un CD audio con la registrazione dei testi contenuti nel presente

volume al fine di integrarlo con un supporto utile a familiarizzare con la lettura e con la pronuncia del sinto piemontese. Ma per il

momento è solo un'idea, un progetto ancora tutto da realizzare, insieme a molti altri che hanno per scopo la salvaguardia della

lingua e delle tradizioni dei Sinti Piemontesi nell'ambito di una difesa dei valori della cultura romaní.

Nel frattempo…te čen baχtalé ta sasté! (…siate felici ed in buona salute!)

Sergio Franzese

115


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Sergio Franzese è nato a Torino il 6 febbraio 1958, ha fatto parte del Comitato

Promotore del Centro Studi Zingari (Via dei Barbieri 22, 00186 Roma), editore

della rivista Lacio Drom.

Ha svolto per oltre quattro decenni ricerche sull'identità culturale (aspetti

storici, socio-antropologici e linguistici) dei Rom e dei Sinti, in modo

particolare ha approfondito questa tematica nell'ambito delle comunità dei

Sinti Piemontesi, minoranza storica presente all'interno del territorio

piemontese e francese (Alpes Maritimes, Côte d'Azur) da oltre mezzo secolo,

attraverso contatti e lunghe frequentazioni.

Ha curato la sezione dedicata a Rom e Sinti allestita presso il Centro Inteculturale della Città di Torino (laboratorio

sulle minoranze storiche cittadine).

Ha realizzato e curato dal mese di aprile 1977 al mese di marzo 2013 il sito Internet (ora non più attivo) "O

Vurdón" dedicato alla storia e cultura romaní (zingara) e, successivamente, nel 2013, ha fondato l’Associazione

Culturale "ProgettoNiglo" per la tutela delle tradizioni e della lingua dei Sinti in Italia, di cui è presidente,

realizzando contestualmente il sito "Progettoniglo.org" (http://www.progettoniglo.org), che raccoglie i frutti delle

sue ricerche sul dialetto dei Sinti Piemontesi e altri contributi.

Tra le sue principali pubblicazioni e ricerche figurano il vocabolario dei Rom Χoraχané, pubblicato sul n. 2/1983

della rivista Lacio Drom, le due precedenti edizioni di questa grammatica (1985 e 2002), un sussidiario per

bambini di lingua romaní in due differenti varianti linguistiche (rom χoraχanó e sinto piemontese), il testo bilingue

italiano/sinto piemontese "I Sinti Piemontesi - Le Sínti Piemontákeri" (2002) e il manuale di conversazione

Rakarássa Romanés (testi in lingua romaní - dialetto sinto piemontese) (2004). Ha collaborato inoltre con diverse

associazioni del settore in Italia ed all’estero.

© 1a edizione: 2004

© 2a edizione: 2021

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